[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 67



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 67 del 30 aprile 2021

In questo numero:
1. Giuseppe Vacca: Antonio Gramsci (2002) (parte quarta e conclusiva)
2. Davide Brugnaro presenta "Socrate" di Hannah Arendt
3. Davide Brugnaro presenta "Tra archein e prattein. Agire libero e fondazione politica nel pensiero di Hannah Arendt" di Luisa G. Musso
4. Davide Brugnaro presenta "Arendt's Judgment. Freedom, Responsibility, Citizenship" di Jonathan P. Schwartz

1. MAESTRI. GIUSEPPE VACCA: ANTONIO GRAMSCI (2002) (PARTE QUARTA E CONCLUSIVA)
[Dal sito www.treccani.it riproponiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]

Opere. Le principali edizioni degli scritti e delle lettere del G. (tutte, salvo diversa indicazioni pubblicate a Torino presso Einaudi) sono le seguenti.
Gli scritti politici sono stati editi in due serie successive. Nella prima comparvero: L'Ordine nuovo 1919-1920, 1954; Scritti giovanili 1914-1918, 1958; Sotto la Mole 1916-1920, 1960; Socialismo e fascismo. L'Ordine nuovo 1921-1922, 1966; La costruzione del partito comunista 1923-1926, 1971. La seconda serie comprende: Cronache torinesi 1913-1917, a cura di S. Caprioglio, 1980; La Citta' futura 1917-1918, a cura di S. Caprioglio, 1982; Il nostro Marx 1918-1919, a cura di S. Caprioglio, 1984; L'Ordine nuovo 1919-1920, a cura di V. Gerratana - A.A. Santucci, 1987.
I quaderni del carcere furono dapprima pubblicati in edizione tematica (Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce, 1948; Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, 1949; Il Risorgimento, 1949; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, 1949; Letteratura e vita nazionale, 1950; Passato e presente, 1951), quindi nell'edizione critica dell'Istituto Gramsci: Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, I-IV, 1975.
La corrispondenza dal carcere ebbe una prima edizione in Lettere dal carcere, 1947. Nuove acquisizioni (2000 pagine di G., a cura di G. Ferrata - N. Gallo, I-II, Milano 1964) e nuovi criteri furono alla base di una successiva edizione delle Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio - E. Fubini, 1965. Alcune nuove acquisizioni in Lettere dal carcere, I-II, a cura di A. A. Santucci, Roma 1987, e in Lettere dal carcere, I-II, a cura di A.A. Santucci, Palermo 1996.
Altri carteggi o carteggi parziali in P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, in Annali dell'Istituto G. Feltrinelli, III (1960), pp. 388-529, poi in Id., La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, Roma 1962, e, con prefaz. di P. Spriano, ibid. 1984; Forse rimarrai lontana. Lettere a Iulca 1922-1937, a cura di M. Paulesu Quercioli, Roma 1987; Lettere 1908-1926, a cura di A.A. Santucci, 1990; A. Gramsci - T. Schucht, Lettere 1926-1935, a cura di A. Natoli - C. Daniele, 1997; G. a Roma, Togliatti a Mosca. Il carteggio del 1926, a cura di C. Daniele, con un saggio di G. Vacca, 1999.
Le principali edizioni straniere delle lettere e degli scritti sono: Lettres de prison, a cura di H. Albani - Ch. Depuyper - G. Saro, Paris 1971; Selections from the prison notebooks, a cura di Q. Hoare - G. Nowell-Smith, London 1971; Cartas desde la carcel, a cura di E. Benitez, Madrid 1972; Briefe aus dem Kerker, Frankfurt a.M. 1972; Ecrits politiques, a cura di R. Paris, I-III, Paris 1974-80; Escritos politicos 1917-1933, a cura di J.C. Portantiero, Mexico 1977; Selections from political writings, a cura di Q. Hoare, I-II, London-New York 1977-78; Cahiers de prison, a cura di R. Paris, I-V, Paris 1978-96; Cuadernos de la carcel, I-IV, ed. critica dell'Ist. Gramsci a cura di V. Gerratana, Mexico 1981-86; Selections from cultural writings, a cura di D. Forgacs - G. Nowell-Smith, London 1985; Prison letters, a cura di H. Henderson, Edinburgh 1988; Gefaengnis Hefte, Hamburg 1991-98; Briefwechsel mit Giulia Schucht, Frankfurt a.M. 1985; Prison notebooks, I-II, a cura di J. Buttigieg, New York 1992-96; Letters from prison, a cura di F. Rosengarten, I-II, New York 1994; Further selections from the prison notebooks, a cura di D. Boothman, London 1995.
Fonti e bibliografia: Di peculiare importanza per la storia della ricezione e della fortuna del pensiero del G. nella cultura italiana e internazionale sono gli atti dei convegni, organizzati con cadenza decennale dall'Istituto poi Fondazione Istituto Gramsci: Studi gramsciani. Atti del Convegno… 1958, I-II, Roma 1958; G. e la cultura contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi gramsciani... Cagliari... aprile 1967, a cura di P. Rossi, I-II, Roma 1969; Politica e storia in G. Atti del Convegno internazionale di studi gramsciani, Firenze... 1977, a cura di F. Ferri, I-II, Roma 1977; G. e il Novecento. Atti del Convegno internazionale per il LX anniversario della morte di G., Cagliari, ... 1997, a cura di G. Vacca, I-II, Roma 1999.
La bibliografia internazionale gramsciana e' un "work in progress" del quale sono stati pubblicati i primi due volumi: Bibliografia gramsciana 1922-1988, a cura di J. M. Cammett, Roma 1991; Bibliografia gramsciana. Supplement updated to 1993, a cura di J.M. Cammett - M.L. Righi, Roma 1995.
Di seguito viene indicata la bibliografia utilizzata per la ricostruzione della vita e del pensiero del G. proposta in questa voce: E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1943. Quindici anni dopo. 1945-1960, I-II, Bari 1966, ad ind.; P. Togliatti, G., a cura di E. Ragionieri, Roma 1967; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I-V, Torino 1967-75, ad indices; G. Nardone, Il pensiero di G., Bari 1971; F. De Felice, Serrati, Bordiga, G., e il problema della rivoluzione in Italia. 1919-1920, Bari 1972; M.L. Salvadori, G. e il problema storico della democrazia, Torino 1972; L. Paggi, A. G. e il moderno principe, I, Nella crisi del socialismo italiano, Roma 1972; E.H. Carr - E. Davies, Le origini della pianificazione sovietica, Torino 1972, ad ind.; E. Garin, Gli intellettuali italiani del XX secolo, Roma 1974, ad ind.; L. Paggi, La teoria generale del marxismo in G., in Annali dell'Istituto G. Feltrinelli, 1974, pp. 1319-1370; A. Agosti, La Terza Internazionale. Storia documentaria, I-III, Roma 1974-79, passim; J.M. Cammett, A. G. e le origini del comunismo italiano, Milano 1974; Il Rinascimento: storia di un dibattito, a cura di M. Ciliberto, Firenze 1975, ad ind.; C. Buci-Glucksmann, G. e lo Stato. Per una teoria materialistica della filosofia, Roma 1976; G. Nardone, L'umano in G. Evento politico e comprensione dell'evento politico, Bari 1977; P. Spriano, G. e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere, Torino 1977; A. Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Milano 1978; F. De Felice, Introduzione ad A. Gramsci, Americanismo e Fordismo. Quaderno 22, Torino 1978; M. Ciliberto, Come lavorava G. (Varianti vichiane), in Id., Filosofia e politica nel Novecento italiano. Da Labriola a "Societa'", Bari 1982, pp. 263-313; G. Francioni, L'officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei "Quaderni del carcere", Napoli 1984; L. Paggi, Le strategie del potere in G. Tra fascismo e socialismo in un solo paese 1923-1926, Roma 1984; V. Gerratana, G. Problemi di metodo, Roma 1987; P. Spriano, G. in carcere e il partito, Roma 1988; A. Natoli, Antigone e il prigioniero, Roma 1990; G. Vacca, G. e Togliatti, Roma 1991; N. Bobbio, Saggi su G., Milano 1991; C. Natoli, G. in carcere: le campagne per la liberazione, il partito, l'Internazionale (1932-1933), in Studi storici, XXXVI (1995), pp. 295-352; Id., Le campagne per la liberazione di G., il PCd'I e l'Internazionale (1934), ibid., XL (1999), pp. 77-156; G. Vacca, Sraffa come fonte di notizie per la biografia di G., ibid., pp. 5-37; Id., Appuntamenti con G. Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma 1999; Id., in G. a Roma, Togliatti a Mosca. Il carteggio del 1926, pp. 3-149; P. Togliatti, Scritti su G., a cura di G. Liguori, Roma 2001.

2. LIBRI. DAVIDE BRUGNARO PRESENTA "SOCRATE" DI HANNAH ARENDT
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 5, n. 2 (2016)]

Hannah Arendt, Socrate, Raffaello Cortina Editore, 2015, pp. 123.
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Il testo qui presentato costituisce la terza e ultima parte di una serie di lezioni che Hannah Arendt tenne alla Notre Dame University nel marzo del 1954 dal titolo Philosophy and Politics. The Problem of Action and Thought after the French Revolution; in esso la pensatrice sviluppa un'importante riflessione sull'origine del rapporto fra filosofia e politica a partire dall'esperienza greca della polis e dalla vicenda che lega Socrate e Platone. Lo scritto, redatto da Arendt in una lingua "non materna" e pensato per essere letto in un'aula universitaria, e' ora disponibile in questa nuova edizione, egregiamente curata da Ilaria Possenti, la quale risulta importante per almeno tre ordini di motivi. In primo luogo, questo corso del '54, sebbene troppe volte in ombra in alcune letture del pensiero dell'Autrice, costituisce un tassello imprescindibile per lo studio del rapporto fra l'agire e il pensare – quegli ambiti dell'attivita' umana che Arendt considera piu' densi di significato. In secondo luogo, Possenti si impegna in un nuovo e notevole lavoro di editing, curando la traduzione dal dattiloscritto originale, la suddivisione in paragrafi, l'introduzione, una nota al testo e le note critiche; queste ultime, in particolare, costituiscono uno strumento efficace non soltanto perche' giustificano scelte di traduzione o integrano alcuni passaggi, ma soprattutto poiche' segnalano importanti connessioni con altri testi di Arendt, fra cui le opere maggiori, la produzione coeva e quella preziosa fonte di indicazioni rappresentata dai Quaderni e diari. Infine, al testo seguono i saggi critici di Adriana Cavarero e Simona Forti, senza dubbio due fra le interpreti piu' accreditate del pensiero arendtiano nel panorama nazionale italiano.
Per orientare il lettore nel comprendere il valore dello scritto all'interno dell'economia globale dell'opera arendtiana, utile e' la precisazione preliminare di queste due studiose, secondo la quale e' possibile trovare il riferimento a Socrate su due scene. La prima vede nel filosofo ateniese l'inizio di una pratica filosofica e, assieme, politica che Platone ha poi tradito (ed e' proprio su tale contrapposizione che e' costruito il testo); la seconda scena, invece, considera Socrate modello di un pensiero critico che sta alla base della facolta' di giudicare.
Nonostante la sua brevita', si tratta di un testo molto denso, per cui risulta complesso fornirne una sintesi che sia esaustiva e chiara allo stesso tempo; in questa sede l'intento sara', pertanto, quello di mettere in luce alcuni nodi ritenuti significativi in riferimento agli interessi persistenti della filosofa tedesca e agli sviluppi delle sue riflessioni. Il corso, infatti, costituisce il punto di avvio di una "questione socratica" che nasce proprio nei primi anni Cinquanta e che non smettera' di stimolare Arendt fino alle pagine su Pensare (1973).
Tesi principale e' che l’abisso fra filosofia e politica sia sorto in seguito alla condanna di Socrate e, in particolare, alle conseguenze che Platone ne ha tratto. Quest'ultimo, infatti, ha iniziato non soltanto a dubitare del valore della persuasione, ma anche a nutrire quel disprezzo delle opinioni che diventa la base per il suo concetto di verita' (intesa, per l'appunto, come l'esatto opposto della doxa); per Arendt, tuttavia, la contrapposizione verita'/opinione e' esattamente la conclusione piu' antisocratica che Platone potesse ricavare dal processo a Socrate. Ulteriore e conseguente mossa, definita da Cavarero "speculativamente fatale" (p. 87), e' stata l'introduzione nella sfera delle faccende umane – secondo Arendt, relativa per definizione – di criteri assoluti, ovvero l'utilizzo delle idee per regolare l'ambito politico; l'allegoria della caverna e' stata infatti progettata, per Arendt, al fine di raffigurare la politica dal punto di vista della filosofia, non viceversa. Cio' si e' tradotto in una degradazione della sfera degli human affairs a pura attivita' di governo, ossia a dimensione che deve essere regolata da criteri ad essa esterni. La svolta platonica si caratterizza, dunque, come un pesante fraintendimento dell'insegnamento del maestro.
Sono almeno due i punti meritevoli di attenzione. Il primo riguarda il nesso verita'-opinione. Mentre solitamente in Arendt la verita' e' connessa alla coercizione, qui – come nota giustamente Possenti – vengono poste le basi per una "concezione della verita' come opinione veritiera" (p. 14). Per Socrate, infatti, la verita' non e' contrapposta alla doxa, ma vi aderisce: dialogando coi suoi interlocutori, egli cerca la "verita' nella doxa" (p. 35), la quale ha valore politico poiche' non e' soltanto l'opinione di un uomo, ma e' soprattutto la formulazione della sua posizione o apertura sul mondo.
Il secondo punto, piu' complesso, concerne il rapporto fra pensiero e pluralita'. Come sottolinea Cavarero, la tesi del testo non e' affatto nuova; la novita' sta nel diverso trattamento che, secondo Arendt, Socrate e Platone riservano al dato della pluralita': mentre il primo avrebbe il merito di confrontarsi con il mondo poliprospettico delle doxai dei suoi concittadini, la "tirannia del vero" (p. 31) del secondo sacrifica il mondo comune nella coincidenza totalizzante di Unita', Essere e Verita'. Socrate, nell'interpretazione arendtiana, ha voluto rendere la filosofia rilevante per la polis in un senso nuovo: non aspirava ad essere ne' sophos, ne' governante, bensi' tafano. La maieutica era per lui un'attivita' politica perche' desiderava rendere i suoi concittadini, con le loro doxai, piu' veritieri; la funzione politica del filosofo consisteva nell'aiutare a stabilire un mondo comune, retto sulla capacita' di comprensione tipica della relazione d'amicizia, in cui non c'e' bisogno del comando. Per tutti questi motivi e' legittima la lettura di Possenti, la quale vede in Socrate il tentativo di una "democratizzazione della democrazia" (p. 8).
La fondamentale scoperta del "due-in-uno", ossia di quel dialogo silenzioso dell'io con se stesso in cui consiste l'attivita' del pensiero, e' da Arendt attribuita a Socrate, non a Platone, come ricorda anche Cavarero. La rilevanza politica di tale scoperta risiede nel fatto che la solitudine, ritenuta prerogativa dei filosofi e sospettata dalla polis di essere una condizione anti-politica, e' al contrario "la condizione necessaria per il buon funzionamento della polis" (p. 46) stessa. Per Arendt, infatti, gli uomini non soltanto esistono al plurale, ma portano in se' un "indizio" (p. 44) di questa pluralita', poiche' essa e' rappresentata nel se' mutevole e ambiguo che ci accompagna. La pluralita', "insita" (p. 42) in ogni uomo, non puo' pertanto essere mai eliminata. Da questo punto di vista, la colpa piu' grave di Platone e' l'aver voluto prolungare oltre ogni limite l'attimo non discorsivo in cui consiste la meraviglia (inizio e fine della filosofia), cercando di trasformarlo in un modo di vita, il bios theoretikos. Il filosofo platonico, infatti, "fonda la sua intera esistenza sulla singolarita' di cui fa esperienza nel pathos del thaumazein; e cosi' facendo distrugge, dentro di se', la pluralita' della condizione umana" (p. 60). Questa pluralita', invece, deve per Arendt essere assunta come oggetto del thaumazein se si vuole giungere ad una nuova filosofia politica.
Il bel saggio di Adriana Cavarero, da una parte, chiarisce il rapporto fra thaumazein, theorein e due-in-uno e, dall'altra, inquadra i temi di Socrate all'interno del pensiero arendtiano nel suo complesso, mettendoli in relazione all'obiettivo del ripensamento dell'umano, nonche' alla questione ontologica della radicalita' del male e a quella morale della sua banalita'. Ed e' proprio Socrate a funzionare come doppio antidoto nei confronti di queste due facce, distinte ma non contrapposte, del male. L'Autrice del contributo, infatti, pone l'accento sulla complicita' che la tradizione metafisica ha avuto, secondo Arendt, nella comparsa di Auschwitz. Non si tratta certo di un nesso causale, ma di una forte correlazione: Platone e' per Arendt padre di "un'ontologia falsa" e "astratta" che, in quanto incapace di pensare la pluralita' – e, quindi, la politica – non e' stata in grado di opporre una "resistenza teorica alla nientificazione fattuale" (p. 80) della pluralita' stessa.
I due saggi critici sono, in un certo senso, complementari: se Cavarero evidenzia il legame fra ontologia e politica, Forti focalizza l'attenzione su quello fra politica ed etica.
Mediante l'interessante riconoscimento di un circolo virtuoso fra il Socrate arendtiano del due-in-uno, il Socrate parresiasta di Foucault e quello eretico di Patocka, in quanto accomunati dalla definizione del pensiero come attrito, resistenza nei confronti del contesto e vigilanza verso ogni forma di dominazione, Simona Forti si concentra sull'etica socratica come modo di vita, contribuendo a delineare la fisionomia di quella seconda scena arendtiana in cui Socrate e' scopritore di un'esperienza solitaria della coscienza che "per sua stessa natura" (p. 102) minaccia la coesione della comunita' politica. Il "momento socratico autonomo" (p. 121) che i tre autori recuperano in chiave antiplatonica diventa la base di un processo di soggettivazione etica. Da questo punto di vista, Socrate e Eichmann rappresentano due forme sempre possibili e antitetiche della soggettivita': Socrate e' "esempio di come una vita singolare possa fare scudo contro gli eccessi del potere", ossia di "un'attivita' etopoietica, del modo in cui un bios si fa ethos" (p. 100).
Come si e' tentato di mostrare, dunque, questo corso arendtiano del '54 risulta particolarmente affascinante. Ciononostante, esso complica il quadro d'insieme: la maggiore difficolta' di Arendt, sottolinea criticamente Cavarero, e' pensare il rapporto fra azione e pensiero, il passaggio dall'esterno all'interno; la congiunzione fra i due ambiti pare essere la categoria della pluralita' (esterna e reale, o interna e rappresentata), ma "non viene mai sufficientemente chiarito il tipo di rapporto che i due modi dell'essere-insieme intrattengono" (p. 95). Agire e pensare sono ambiti separati ma che Arendt si sforza di connettere "in modo altalenante e con esiti non sempre convincenti" (p. 93), cosicche' l'accostamento fra pluralita' del mondo comune e dualita' del pensiero pare un po' forzoso. Infatti, sostiene Possenti, continuare il percorso intrapreso in quelle pagine, avrebbe richiesto la tematizzazione proprio del rapporto fra pluralita' e dualita'. Come osserva anche Forti, Arendt lascia, di fatto, non risolto lo statuto del soggetto, dal momento che non chiarisce in cosa si radichi il due-in-uno, il quale rischia di sembrare un "dono inspiegabile" (p. 107).
Lo stesso presupposto da cui muove Arendt, ossia la contrapposizione Socrate/Platone, e' problematico, in quanto difficile da provare, soprattutto filologicamente. Tuttavia, concordano le studiose, non e' come storica della filosofia che Arendt si approccia alla questione: suo intento e' "pensare con Socrate e mediante Socrate" (p. 73), pertanto ella ne fa "un tentativo di immaginazione e reinvenzione filosofica" (p. 18), una sorta di "proiezione idealtipica" (p. 101). Per usare le parole di Arendt, Socrate rappresenta l'esempio di una relazione non gerarchica, ma "ancora solida tra esperienza politica ed esperienza filosofica" (pp. 59-60); in questo senso, afferma Forti, egli e' "alter ego" (p. 103) della stessa Arendt.
Se il paradigma socratico e' simbolo di quell'"alternativa rimossa" (p. 15), come lo definisce Possenti, capace di far crollare i dualismi, e se, come scrive Cavarero, funge da "modello" (p. 93) sia nell'agire che nel pensare, allora la questione socratica diviene una delle chiavi di lettura piu' interessanti e proficue dell'opera arendtiana, una possibilita' – ancora poco indagata – di ricomporre in qualche modo la frattura fra pensiero e azione, poiche' entrambe, in definitiva, altro non sono che due modalita' dell'essere-insieme.

3. LIBRI. DAVIDE BRUGNARO PRESENTA "TRA ARCHEIN E PRATTEIN. AGIRE LIBERO E FONDAZIONE POLITICA NEL PENSIERO DI HANNAH ARENDT" DI LUISA G. MUSSO
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 5, n. 1 (2016)]

Luisa G. Musso, Tra archein e prattein. Agire libero e fondazione politica nel pensiero di Hannah Arendt, Vita e Pensiero, 2014, pp. 228.
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Azione, liberta' e fondazione, concetti fortemente intrecciati all'interno del pensiero di Hannah Arendt, costituiscono il nucleo teorico preso in esame da Luisa Giulia Musso nel suo Tra archein e prattein. Agire libero e fondazione politica nel pensiero di Hannah Arendt. Il volume, che costituisce la rielaborazione della tesi di dottorato dell'Autrice, ha ottenuto il terzo posto nella sezione Saggistica del Premio Letterario Citta' di Castello nel 2012 ed e' stato edito da Vita e Pensiero nel 2014. Considerata la vastita' del panorama degli studi su Hannah Arendt, potrebbe sembrare, in prima battuta, che un libro che tratta queste tematiche abbia poco da aggiungere al dibattito sulle questioni affrontate; in realta', il metodo seguito nella ricerca e alcuni degli elementi in essa contenuti risultano meritevoli di attenzione.
Il testo e' articolato in tre parti: nel primo capitolo i tratti dell'azione vengono fatti emergere mediante la distinzione dalle altre forme della vita activa; la seconda parte, invece, si concentra su un'analisi piu' specifica dell'agire libero; la terza e ultima sezione, infine, conduce all'obiettivo centrale del lavoro, ovvero all'analisi e alla valutazione del paradigma arendtiano della fondazione politica. I primi due capitoli si configurano quindi come una contestualizzazione del fenomeno – prettamente politico, prima che antropologico – della liberta' dell'agire, e si rivelano funzionali all'analisi dell'esperienza della fondazione.
Utilizzando il binomio archein/prattein come chiave di interpretazione della natura dell'azione, l'autrice rende possibile leggere la complessa articolazione interna dell'agire libero in relazione ai suoi caratteri specifici. Affermare che l'azione in quanto tale e' tesa tra archein e prattein significa mostrare come essa si dipani tra iniziativa singolare (o di pochi) e conduzione plurale, tra spontaneita' e intersoggettivita', ossia tra avvio individuale e collaborazione (o interazione) comune nello spazio politico. La liberta', dunque, non e' soltanto la pura facolta' di cominciare propria di chi e' di per se' un inizio, ma e' anche e soprattutto liberta' pienamente sviluppata, ossia concreta e tangibile, concepita in maniera primariamente politica come caratteristica dell'esistenza nel mondo. La stessa nozione di principio rappresenta sia la sorgente di ispirazione dell'azione (cio' per amore del quale essa si mette in moto), sia la fonte di nutrimento per l'azione stessa lungo tutto il suo perdurare. O, ancora, la felicita' pubblica si presenta col duplice carattere di piacere provato da ognuno nel manifestare se stesso ai propri pari, ma anche di gioia di fronte al non essere soli e al condividere il mondo con gli altri.
La chiave di lettura della duplicita' si rivela particolarmente efficace, in quanto i termini archein/prattein non soltanto rendono ragione delle caratteristiche dell'agire cosi' come Arendt lo concepisce, ma ne mostrano la reciproca interdipendenza e rimandano piu' in profondita' a quelle condizioni esistenziali che lo rendono possibile: la natalita' e la pluralita'.
Uno dei propositi del testo, inoltre, e' il tentativo di andare oltre l'alternativa fra un modello eroico-agonistico dell'azione (individualistico e centrato sulla rivelazione di se') e uno partecipativo-comunicativo (sbilanciato a favore della pluralita'), a cui corrispondono diverse concezioni della liberta' e dello spazio pubblico. Assumere la nozione arendtiana di liberta' nella sua complessita' implica il riconoscimento del suo aspetto negativo di liberazione e di quello positivo di realta' stabile, del suo costituirsi come liberta' di movimento nel mondo fisico, ma anche nel mondo dello spirito. Se esperienze come quella della polis greca o della fondazione politica assumono un ruolo cosi' centrale nella riflessione arendtiana e' perche' rappresentano espressioni storicamente eminenti di questa liberta'.
Nel contesto della ricostruzione e dell'analisi del paradigma di fondazione elaborato dalla pensatrice tedesca, l'ammirazione mostrata da Arendt nell'opera Sulla Rivoluzione per il processo di genesi di quella che e' divenuta la sua seconda patria porta Luisa G. Musso a concentrare l'attenzione sull'esperienza americana. Cio' che principalmente distingue i Founding Fathers rispetto ai successivi rivoluzionari d'oltreoceano e' per Arendt la superiore consapevolezza e il carattere deliberato del loro agire politico. Di fronte al problema dell'assoluto, insito nel fatto stesso della rivoluzione, gli americani si sono rivolti all'antichita' romana, la cui storia e' imperniata sulla fondazione dell'urbs. Per Arendt, pero', un autentico pensiero dell'inizio (rivelatore dell'affinita' fra nascita e fondazione) va ricercato non tanto nell'Eneide – che avrebbe interpretato la nascita di Roma come una ri-nascita di Troia (Rome anew) – quanto nella quarta egloga delle Bucoliche; la rilettura che ne hanno dato gli uomini della rivoluzione americana, ossia la "coraggiosa" (p. 136) sostituzione di magnus con novus, testimonia la loro consapevolezza di fronte alla possibilita' di fondare una storia completamente nuova (a new Rome). Ciononostante, a causa di un certo difetto di comprensione, essi non sono riusciti a cogliere l'elemento in grado di salvare l'atto dell'inizio dalla sua arbitrarieta': il fatto di portare in se stesso il proprio principio. Questa mancata evoluzione del pensiero, che non e' andata di pari passo col rinnovamento politico in atto, non solo ha impedito loro di intuire il senso piu' profondo dell'esperienza di cui erano protagonisti, ma ha comportato la perdita dello stesso spirito rivoluzionario.
Tuttavia, uno degli aspetti che l'Autrice ha voluto sottolineare e' il fatto che il potere esistente fra quegli uomini non e' apparso con la Dichiarazione d'indipendenza (1776), bensi' e' nato e si e' consolidato durante il periodo coloniale, nel corso del quale gli individui si sono impegnati l'uno nei confronti dell'altro attraverso patti e vincoli, in virtu' del fondamentale principio politico della mutua promessa. Pertanto, l'archein della Repubblica americana si scopre essere in realta' precedente la fase propriamente rivoluzionaria e si rivela caratterizzato come una forma di prattein diffusa fra i coloni. Di qui si comprende anche la ragione per cui la Costituzione degli Stati Uniti (1787) ha i caratteri del nomos greco, ma soprattutto della lex romana, in quanto legame e rapporto fra soggetti distinti, costruito intersoggettivamente e sorto per regolamentare quel mondo che fra essi si era creato.
Il testo presenta una struttura omogenea e ha il pregio di mostrare l'interdipendenza fra le dimensioni e i tratti dell'agire libero e la riflessione sulla rivoluzione. Le tre parti, infatti, sono fra loro interconnesse da una serie di rimandi concettuali. Non soltanto il paradigma della fondazione risulta comprensibile alla luce del precedente discorso sulla liberta' in quanto inizio, ma esso e' in grado di illuminare caratteri dell'azione la cui comprensione resterebbe altrimenti incompleta. Per citare alcuni esempi, e' grazie all'esame della rivoluzione che acquista un senso anche la separazione – risultata ad alcuni eccessivamente netta – fra le forme della vita activa. Intento di Arendt, infatti, e' quello di definire l'autonomia del politico, affinche' la prassi non si appiattisca sul soddisfacimento dei bisogni vitali o non debordi pericolosamente nell'ambito violento della poiesis. Inoltre, l'azione (in quanto libera) non e' solo ludica, come se non potesse mai porsi alcun fine: proprio nella rivoluzione autentica, infatti, non deve mai venir meno l'obiettivo della fondazione del nuovo corpo politico.
Il libro e' dotato di un importante apparato di note, il quale offre una ricchezza di spunti notevole. I riferimenti agli autori antichi e moderni di cui Arendt si nutriva sono innumerevoli. Ma la rilevanza scientifica del testo di Luisa G. Musso si fonda soprattutto sull'ampia gamma e sulla natura dei testi arendtiani consultati, fra i quali assumono un ruolo di primo piano gli inediti, che l'autrice ha potuto consultare presso la Fogelman Social Science and Humanities Library della New School for Social Research di New York, dove Arendt ha insegnato dal 1967. Presso il Bard College, invece, ha avuto la possibilita' di tenere fra le mani i testi utilizzati dalla stessa Arendt, opere contenenti annotazioni che si rivelano prove tangibili dei luoghi sui quali si era soffermata l'attenzione della pensatrice.
Pur riconoscendo all'istanza fondativa un ruolo insopprimibile all'interno della riflessione della pensatrice di Hannover, Luisa G. Musso afferma che la possibilita' di rinvenire in essa "una soluzione valida per il problema della legittimita' delle democrazie moderne" (pp. 122-123) rimane in parte ancora da chiarire. Nelle ultime pagine del testo, infatti – sulla base dell'accento posto da Arendt sul concetto di condizione umana e della sua sfiducia nei confronti di quello di natura umana – Musso avanza una critica al tentativo della filosofa di attribuire alla nozione di principio una validita' universale, ossia indipendente da persone o gruppi specifici. E' possibile riconoscere che, nella sua critica, il testo mette in luce una difficolta' reale, poiche' in Arendt tale nozione mantiene almeno un certo grado di oscurita'. Per l'autrice, solo se la relazione caratterizza la natura umana in quanto tale puo' realizzarsi quell'eccedenza implicita nella fondazione; in caso contrario, la pluralita' rimane un dato di fatto, qualcosa di contingente.
Uno dei meriti del testo e' certamente quello di non adeguarsi ad una o all'altra delle alternative interpretative che sono state spesso presentate in risposta a presunte o reali ambiguita' arendtiane. Cio' avviene non perche' la prospettiva adottata voglia essere conciliante, ne' per incapacita' di prendere posizione: tale riconoscimento del valore dell'aporia – la quale segnala anche i limiti che caratterizzano un autore – si spiega unicamente col tentativo di salvaguardare la complessita' di un pensiero che, nella sua produttivita', non ha cessato di interrogare e far discutere. Come la stessa Musso riconosce, la politica per Arendt e' non solo una fra le umane possibilita', ma la piu' alta. Quella degli uomini e' la condivisione di un destino in cui non c'e' traccia di necessita'. L'agire politico stesso e' non necessario, ma discontinuo e potenziale. La liberta' politica non e' il risultato automatico della fine di un'oppressione, bensi' il frutto di un atto deliberato di fondazione.
Considerato il limite che spesso e' stato contestato ad Arendt, ossia la difficolta' di superare le critiche all'inadeguatezza dei nostri concetti per porsi nella direzione di una pars construens, ogni tentativo di colmare questa mancanza e' forse destinato a porsi "oltre" (p. 199) Hannah Arendt. Cio' non toglie, tuttavia, che il compito dello studioso rimanga proprio quello di immaginare nuove possibilita'.

4. LIBRI. DAVIDE BRUGNARO PRESENTA "ARENDT'S JUDGMENT. FREEDOM, RESPONSIBILITY, CITIZENSHIP" DI JONATHAN P. SCHWARTZ
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 6, n. 1 (2017)]

Jonathan P. Schwartz, Arendt's Judgment. Freedom, Responsibility, Citizenship, University of Pennsylvania Press, 2016, pp. 272.
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Nel suo Arendt's Judgment, Jonathan Peter Schwartz si pone l'importante obiettivo di restituire la giusta dimensione ad una questione che, com'e' noto, e' rimasta per lo piu' incompiuta: si tratta probabilmente dell'unico testo interamente dedicato alla teoria arendtiana del giudizio politico, la quale viene solitamente relegata allo spazio di articoli o saggi e considerata come un'affascinante e strana appendice al pensiero dell'intellettuale tedesca. L'Autore si colloca invece in una posizione di discontinuita' rispetto alle precedenti, seppur autorevoli, interpretazioni della questione, le quali a suo dire hanno, in un modo o nell'altro, mancato di afferrarne la reale portata. Egli ritiene, infatti, che Arendt abbia compiuto la piu' importante riflessione sull'argomento dopo Aristotele.
Il problema centrale che ha accompagnato Arendt, e che l'ha spinta a scrivere le sue grandi opere sulle due fondamentali sfere dell'esperienza umana, e' quello della relazione fra le facolta' dell'azione e del pensiero. Tuttavia, le indagini condotte in The Human Condition e in The Life of the Mind sono concentrate esclusivamente su una dimensione (rispettivamente sulla vita activa e sulla vita della mente) e lasciano pertanto intravedere una certa incompiutezza e una reciproca complementarieta'. Cio' che manca, quindi, e' un terzo step in grado di chiarire come i due domini si pongano in relazione fra loro. La risposta a tale mancanza – ritenuta dall'Autore peraltro insufficiente – e' stata il tentativo, intrapreso da diversi studiosi, di ricostruire una "teoria" arendtiana del giudizio, ossia di quella facolta' che, secondo Arendt, avrebbe dovuto costituire un ponte fra l'ambito dell'agire e quello del pensare. Ci troviamo di fronte ad un puzzle incompleto ma, piu' che una "terza parte", sostiene Schwartz, Arendt avrebbe dovuto scrivere un "prequel" (p. 10) che spiegasse come le due forme di vita interagiscono e si influenzano. Lo scopo che il testo si prefigge e' mostrare come sarebbe potuta essere questa premessa o, in altre parole, comprendere il significato che Arendt attribuiva ad un'autentica filosofia politica.
E' infatti convinzione dell'Autore che, sebbene ella non lo dichiari ne' lo discuta apertamente, il fine principale che orienta il progetto positivo di Arendt riguardi il rapporto fra la filosofia e la politica, nonche' la questione di come ristabilire la possibilita' del giudizio politico in un contesto come quello dell'eta' moderna (alla cui genesi e' dedicato il capitolo conclusivo di The Human Condition), caratterizzato dall'alienazione dal mondo, ossia dalla riduzione dello spazio dedicato all'agire politico. Obiettivo primo del testo e' mostrare come Arendt concepisse la sua teoria del giudizio come una risposta positiva a tali difficolta', le quali, per l'Autore, non hanno smesso di contraddistinguere la contemporaneita'.
L'aspetto innovativo dell'approccio adottato risiede dunque nel mettere il tema del giudizio proprio al centro della ricerca: le tappe dell'argomentazione complessiva conducono all'ultima sezione, vero e proprio acme del libro, e sono ad essa funzionali. Il testo presenta una grande chiarezza nella strutturazione, oltre che nella capacita' espositiva, senza per questo mancare di spessore teorico. Anche il metodo viene chiarito fin da subito: data la particolarita' del procedere arendtiano, parlare della sua teoria implica, da un lato, un'opera di ricostruzione e, dall'altro, una dose di inferenze ben fondate. Le fonti cui si attinge non si limitano al repertorio delle opere pubblicate, ma fanno riferimento a quell'ampio bacino di inediti che – sottostimati da molti studi tradizionali e oggi in buona parte disponibili anche online – una volta presi in considerazione, mostrano di poter risolvere alcune importanti difficolta' nell'interpretazione di particolari snodi arendtiani.
Il primo capitolo pone l'accento sul carattere radicale della concezione arendtiana dell'azione e sul suo esplicito rifiuto del modello della sovranita'. Qui Schwartz avanza una lettura originale, sostenendo che l'attenzione di Arendt nei confronti della politica proviene in realta' da un interesse primario per la storia: cio' che contraddistingue la riflessione arendtiana sull'agire, infatti, e' la forte riaffermazione del ruolo dell'azione umana all'interno del processo storico, ottenuta attraverso una rielaborazione e una critica del pensiero heideggeriano.
Le esperienze politiche originarie dei Greci, dei Romani e dei rivoluzionari moderni costituiscono l'oggetto del secondo capitolo; queste tre occorrenze storiche dell'athanatizein politico sono per Arendt in grado di offrire intuizioni fondamentali sulla natura del vivere comune, in quanto hanno dovuto affrontare il duplice problema della fondazione e del mantenimento di un corpo politico; esse hanno anche pero' mancato, sebbene in misura e per motivi diversi, di considerare adeguatamente la facolta' del pensiero, il cui ruolo Arendt riteneva essenziale anche nella vita pubblica.
All'altra faccia della medaglia, ossia alle vicende della filosofia e alla distinzione fra pensiero e contemplazione, e' dedicato il terzo capitolo. E' a questo punto che si comincia a capire che cosa e' andato storto agli albori del pensiero politico occidentale, inscindibilmente legato all'eredita' che Platone consegno' alla tradizione: mediante il paradigma della fabbricazione, egli stabili' una relazione gerarchica fra filosofia e politica che ha costituito la cornice concettuale all'interno della quale tutta la tradizione successiva si sarebbe mossa. Secondo l'Autore, e' in questa tradizione del pensiero politico e nella scienza moderna che Arendt individua le due fonti dalle quali la necessita' fa irruzione nella sfera degli affari umani.
Il capitolo successivo si occupa della "modern scientifically conditioned culture" (p. 107), la quale rappresenta una sorta di ribellione contro la condizione umana da cui sono derivate un'eclissi del mondo comune e una confusione circa i limiti e le potenzialita' delle capacita' dell'uomo. Schwartz propone un'ampia disamina delle patologie della modernita' e di come possano combinarsi con il modo tradizionale di intendere la politica, dando vita a quel "pensiero" di stampo ideologico che, nel corso del XX secolo, ha condotto ad un modello deteriore di giudizio, giustificando gli abusi totalitari, da cui il discorso politico contemporaneo non e' purtroppo immune.
Nel quinto capitolo si rende esplicito in che senso Arendt concepisse la sua proposta di giudizio politico come una soluzione alla problematicita' della condizione moderna. Per valutare la teoria arendtiana del giudizio bisogna prima comprendere quali sono i problemi teoretici che la pensatrice pensava con essa di poter risolvere. Dopo aver distinto una formulazione pre-kantiana della teoria del giudizio di Arendt da quella, invece, che poggia espressamente sulla Kritik der Urteilskraft del filosofo di Koenigsberg, l'Autore giustifica il motivo di tale cambiamento. Nella prospettiva arendtiana, il riferimento a Kant sembra sciogliere due difficolta': in primo luogo, egli ha delineato, implicitamente e per analogia, il rapporto fra il giudizio e l'azione quando ha parlato di quello esistente fra il gusto ed il genio (par. 50 della terza Critica); entrambe le relazioni, infatti, attingono alle stesse capacita' umane: il giudizio, come il gusto, attinge al sensus communis, mentre l'azione, come il genio, si basa sulla facolta' della natalita'. In secondo luogo, la nozione kantiana di una "subjective general validity" (p. 160) rappresenta un tipo di validita' non coercitiva ma ancora legittima, l'unica opzione in grado di uscire dall'aporia insita nella nozione di sensus communis (segnata da una certa ambiguita' fin dalla sua originaria formulazione aristotelica tesa fra koine aísthesis ed endoxa).
Tesi dell'Autore e' che, nelle faccende politiche, pensare in termini di giusto o sbagliato non costituisca l'approccio appropriato. L'imparzialita' che si puo' raggiungere nel giudizio politico, infatti, va tenuta distinta dall'oggettivita' dei truth-tellers. Poiche' il giudizio va coltivato, la questione e' determinare "who is more right, who has a clearer, more cultivated sensus communis, who has the deeper, richer feeling for reality [...] There will therefore never be any single, correct political theory – no final, sovereign account of politics" (pp. 182-183). Si tratta, pertanto, di restituire la filosofia politica ai cittadini, i quali possono praticarla intersoggettivamente pensando, giudicando e agendo. Essere judging citizens significa essere sia political theorists che political actors: in altre parole, la filosofia politica autentica si configura essenzialmente come pratica di cittadinanza fondata sulla partecipazione.
Schwartz difende infine la forza teoretica della teoria arendtiana del giudizio da numerose critiche, mostrandosi al contempo consapevole che in questo sforzo si nasconde anche il limite del testo: proponendo di considerare Arendt "in a different light" (p. 10), ha dovuto inevitabilmente cimentarsi piu' nel confronto con le altre interpretazioni che in una critica rivolta direttamente alla pensatrice. Tale critica e' un'operazione non soltanto filosoficamente legittima e, forse, doverosa, ma anche problematica, in quanto corre il rischio di utilizzare quelle categorie che sono parte del nostro lessico politico ma che Arendt riteneva inadeguate; per non incorrere in questo circolo vizioso le opzioni sono due: sostenere la bonta' della tradizione contro la prospettiva arendtiana o cercare di raggiungere una terza prospettiva – intento, quest'ultimo, che si colloca oltre lo scopo del presente studio.
Ma l'aspetto che sopra ogni altro segna la novita' dell'opera in questione e' non solo l'affermazione di Schwartz della possibile praticabilita' del tipo di giudizio politico teorizzato da Arendt, ma anche la convinzione della sua auspicabilita'. Il mondo in cui viviamo, la cui complessita' da un punto di vista politico e socio-economico e la cui interdipendenza delle parti tendono ad acuirsi col passare del tempo, impone non soltanto un ripensamento della relazione fra i cittadini e le istituzioni – che preveda per i primi una nuova assunzione di responsabilita' – ma "a profound shift in how we organize our world and what we aspire" (p. 202). Ricerche recenti citate nel testo (come quella di T. Piketty e R. Heinberg), infatti, mostrano che avremo verosimilmente a che fare con un futuro a bassa crescita economica, il quale mettera' in crisi la fiducia nello sviluppo, vitale per il buono stato di salute delle istituzioni liberali. Cio', unito all'insostenibilita' ambientale ed ecologica delle nostre societa' e dei nostri sistemi produttivi, costituisce una sfida la cui portata pare ancora troppo lontana dal poter essere affrontata con successo. Fra le soluzioni da mettere in campo, e' probabile che una nuova politica per l'Occidente teorizzata e praticata sulla scia delle idee di Arendt riveli una rilevanza concreta non trascurabile. La sostenibilita' del futuro piu' prossimo del nostro pianeta dipendera', plausibilmente, soprattutto da una "global non-sovereign politics", ossia da "a political world that relied heavily on the political judgment and agency of individual citizens, whose political, economic and social organization would be far more decentralized, localized, republican, and federalized – ideally to a global level" (p. 202).
Per lo sforzo ricostruttivo, l'originalita' della prospettiva interpretativa basata sulla centralita' del giudizio e la rivalutazione del potenziale pratico delle riflessioni di Arendt, il lavoro di Jonathan Peter Schwartz e' probabilmente destinato a diventare un testo-chiave all'interno della letteratura sulla teoria del giudizio della filosofa tedesca.
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Link utili
http://www.jonathanpschwartz.com/book.html
http://www.upenn.edu/pennpress/book/15519.html

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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 67 del 30 aprile 2021
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