[Nonviolenza] Telegrammi. 4068



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4068 dell'8 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Hans Kung
2. I nostri eroi in Libia
3. Umberto Santino: Per Alain Labrousse
4. Umberto Santino: Problema giustizia
5. Umberto Santino: La senatrice Pina Grassi e il senatore Andreotti
6. Umberto Santino: L'antimafia e gli imprenditori morali. Da "I cento passi" a "Felicia"
7. Diego Bianchi intervista Rossana Rossanda (2018)
8. Mattia Gozzi presenta "Hannah Arendt. Un umanesimo difficile" di Laura Boella
9. Segnalazioni librarie
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
 
1. LUTTI. HANS KUNG
 
E' deceduto Hans Kung, teologo illustre, costruttore di pace.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
2. CRONACHE DI NUSMUNDIA. I NOSTRI EROI IN LIBIA
 
Una delegazione dell'augusto governo di questo nostro antico e nobile reame di Nusmundia si e' recata in Libia per accertarsi che chi governa quel paese garantisca che gli untermenschen li' detenuti non riescano a evadere dai campi e non tentino di giungere nel nostro beneamato regno.
Di governo in governo, la gloriosa difesa della patria e della razza continua.
*
Nella prossima seduta del Consiglio dei ministri la proposta di un monumento equestre a Rudolf Hoess e Franz Stangl.
 
3. MEMORIA. UMBERTO SANTINO: PER ALAIN LABROUSSE
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riproponiamo questo necrologio del 2016.
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del "Centro Impastato" di Palermo, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, 2010; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007; (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 2008; Breve storia della mafia e dell'antimafia, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; Le colombe sulla rocca, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; L'altra Sicilia, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; Don Vito a Gomorra, Editori Riuniti, Roma 2011; La mafia come soggetto politico, Di Girolamo Editore, Trapani 2013; Dalla parte di Pollicino, Di Girolamo Editore, Trapani 2015. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino", da ultimo nel supplemento "Coi piedi per terra" nei nn. 421-425 del novembre 2010. Il sito del Centro Impastato e' www.centroimpastato.com
Alain Labrousse (19 febbraio 1937 - 12 luglio 2016), sociologo, docente e giornalista francese lungamente vissuto in America Latina, esperto di geopolitica, fondatore e direttore per dieci anni (1990-2000) dell'Observatoire geopolitique des drogues (Ogd), era uno dei maggiori studiosi del narcotraffico a livello mondiale. Tra le opere di Alain Labrousse: Tupamaros, guerrilla urbaine en Uruguay, Editions du Seuil, Paris 1971; L'Experience chilienne, reformisme ou revolution, Editions du Seuil, Paris 1972; L'Argentine, revolution et contre-revolution, avec Francoise Geze, Editions du Seuil, Paris 1975; Sur le chemin des Andes, a' la rencontre du monde indien, L'Harmattan, Paris 1983; Coca Coke, avec Alain Delpiroux, La Decouverte, Paris 1986; Le Sentier lumineux du Perou, un nouvel integrisme dans le tiers monde, avec Alain Hertogue, La Decouverte, Paris 1989; La drogue, l'argent et les armes, Fayard, Paris 1992; OGD, Atlas des drogues, La Decouverte, Paris 1995; Geopolitique et Geostrategie des Drogues, avec Michel Koutouzis, Economica, Paris 1996 (trad. it., Asterios, Trieste); Drogues, un marche' des dupes, Editions Alternatives, Paris 2000; Afghanistan, opium de guerre, opium de paix, Mille et Une Nuits, Fayard, Paris 2005]
 
Ho conosciuto Alain Labrousse nel settembre del 1990, quando lavorava a una delle sue opere maggiori: La drogue, l'argent et le armes, che offre un quadro dettagliato dei traffici di droghe e di armi a livello internazionale. Era venuto a Palermo per documentarsi sul ruolo della mafia siciliana e per avviare un rapporto con l'Ogd (Observatoire Geopolitique des Drogues), che aveva fondato a Parigi con alcuni collaboratori, tra cui la moglie Margit Vermes. L'Osservatorio mirava a costituire una rete di rapporti che comprendera' ottanta paesi ed era il frutto del lavoro che per anni Alain aveva svolto, in Francia, in Uruguay e in America Latina, dove aveva insegnato, e in Marocco.
In America latina aveva studiato l'azione dei gruppi di guerriglieri, dai Tupamaros a Sendero luminoso, le condizioni sociali e politiche dell'Argentina e del Cile, lo svilupparsi della produzione e del traffico di cocaina. Ora voleva creare un reseau multinazionale che assicurasse una capacita' di documentazione e di analisi a livello mondiale. Ho accolto con entusiasmo la proposta di fare il corrispondente per l'Italia.
L'Ogd pubblicava ogni anno un rapporto aggiornato e nel 1995 ha pubblicato l'Atlas des drogues, testo di riferimento fondamentale per studiosi e operatori sociali.
Era un periodo abbastanza interessante. A livello europeo si costitui' l'Encod (European Ngo Council on Drugs & Developmemt), una rete di organizzazioni non governative che si occupavano di droghe e sviluppo. E fu fondata un'organizzazione piu' istituzionale l'Emcdda (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction), la cui sede si decise che fosse Lisbona. Mentre quest'ultima aveva fondi comunitari, la prima stentava a vivere per carenza di fondi e nel giro di qualche anno cesso' l'attivita'.
Anche l'Ogd dovette cessare l'attivita' per mancanza di fondi. Le ragioni non sono difficili da cercare. Mentre l'Ogd e l'Encod promuovevano una visione critica della tossicodipendenza e ponevano l'accento sulle contraddizioni del contesto internazionale, l'Emcdda seguiva la politica corrente dettata dalle convenzioni internazionali che avevano creato o avallato il dogma del proibizionismo.
I rapporti con Alain ben presto divennero frequenti, con la collaborazione al rapporto annuale dell'Ogd e con la partecipazione a incontri. Nell'aprile del 1991 ha partecipato a un incontro svoltosi a Palermo nell'ambito delle iniziative del Progetto droga, promosso dal Ciss (Cooperazione internazionale Sud-Sud) e dal Centro Impastato, conclusosi con la pubblicazione del libro in quattro lingue Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993. Nel dicembre del 1992 a Parigi l'Ogd ha organizzato un convegno internazionale con la partecipazione di studiosi di molti Paesi e chi scrive svolse una relazione sulla mafia siciliana e il mercato delle droghe in Europa, successivamente pubblicata nel volume La planete des drogues. Organisations criminelles, guerre et blanchiment, a cura di Alain Labrousse e Alain Wallon, Editions du Seuil, Paris 1993.
Nel dicembre del 2000 Labrousse ha partecipato al seminario internazionale sui crimini della globalizzazione organizzato a Palermo dal Centro Impastato e da altre associazioni in contemporanea con il convegno delle Nazioni Unite in cui fu presentata e approvata la convenzione sul crimine transnazionale. La sua relazione aveva come titolo: "Sfide geopolitiche e contraddizioni degli stati nelle politiche anti-droghe" e sottolineava la mondializzazione dei flussi finanziari, il riciclaggio del denaro sporco, la moltiplicazione dei conflitti locali, che rafforzavano e mondializzavano l'economia dei traffici di droghe. La sua relazione seguiva alla mia, in cui parlavo di modello mafioso e globalizzazione.
Si scontravano due proposte di analisi: Per le Nazioni Unite il crimine transnazionale era frutto di un quadro segnato da Stati deboli e mercati senza regole; l'analisi dei partecipanti al seminario partiva da una critica radicale della globalizzazione neoliberista, considerata criminogena per due ragioni di fondo: l'aggravamento degli squilibri territoriali e dei divari sociali, per cui gran parte della popolazione del pianeta viveva in condizioni di emarginazione sociale e aveva come fonte di reddito le attivita' illegali e la finanziarizzazione dell'economia, che rendeva sempre piu' difficile distinguere capitali illegali e legali. Questo contesto favoriva lo svilupparsi e il proliferare di organizzazioni di tipo mafioso, nei centri e nelle periferie.
Negli anni successivi l'attivita' di Alain e' continuata con un volume sul ruolo della produzione di oppio nell'Afghanistan ma le sue condizioni di salute si sono sempre piu' aggravate e i rapporti si sono affievoliti fino ad esaurirsi. Ne mio ultimo soggiorno a Parigi, nel marzo del 2014, ho cercato di mettermi in contatto con lui, ma non e' stato possibile. E' morto il 12 luglio scorso. Non e' azzardato pensare che il suo isolamento non sia stato solo il frutto della malattia ma anche di una delusione dovuta a un contesto sempre piu' dominato dalla violenza e dall'irrazionalita'. I suoi scritti e la sua vita andavano in altra direzione, privilegiando l'intelligenza, il lavoro comune e la progettazione di alternative possibili.
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Opere di Alain Labrousse
Les Tupamaros, guerrilla urbaine en Uruguay, Editions du Seuil, Paris 1971.
L'Experience chilienne, reformisme ou revolution, Editions du Seuil, Paris 1972.
L'Argentine, revolution et contre-revolution, en collaboration avec Francoise Geze, Editions du Seuil, Paris 1975.
Sur le chemin des Andes, a' la rencontre du monde indien, L'Harmattan, Paris 1983.
Coca Coke, avec Alain Delpiroux, La Decouverte, Paris 1986.
Le Sentier lumineux du Perou, un nouvel integrisme dans le tiers monde, en collaboration avec Alain Hertogue, La Decouverte, Paris 1989.
La drogue, l'argent et les armes, Fayard, Paris 1992.
OGD, Atlas des drogues, La Decouverte, Paris 1995.
Geopolitique et Geostrategie des Drogues, avec Michel Koutouzis, Economica, Paris 1996, tradotto in italiano dalle edizioni Asterios di Trieste.
Drogues, un marche' des dupes, Editions Alternatives, Paris 2000.
Afghanistan, opium de guerre, opium de paix, Mille et Une Nuits, Fayard, Paris 2005.
 
4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: PROBLEMA GIUSTIZIA
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento del 2016]
 
Gli squallidi personaggi che, atteggiandosi a mafiosi e padroni del territorio, aggrediscono ed estorcono gli immigrati che gestiscono attivita' commerciali in via Maqueda (un giovane gambiano e' miracolosamente sopravvissuto a un colpo di pistola alla testa) sono stati arrestati su denuncia dei commercianti bengalesi, ma dopo qualche giorno alcuni di essi sono stati scarcerati. I bengalesi non possono non chiedersi se le cose nel quartiere andranno come prima, ma pare che siano determinati a vivere la loro vita e a fare il loro lavoro, resistendo alle persecuzioni dei malacarne di rione.
A Ostia i magistrati escludono che ci sia la mafia, anche se il consiglio municipale e' stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Non si sa che esito avra il processo per Mafia capitale: si decidera' che si tratta di associazione di tipo mafioso, secondo l'art. 416 bis del codice penale, o di associazione a delinquere semplice o di criminalita' politico-amministrativa, in base alla convinzione che si possa parlare di mafia soltanto nelle zone dove il fenomeno si e' originato, sedimentando aspetti specifici, inesportabili e irripetibili?
Il dibattito suscitato dall'inchiesta romana e' il seguito di un confronto che si e' innescato dopo una serie di processi in Lombardia e in altre regioni in cui si e' escluso che si trattasse di 'ndrangheta, anche se le azioni che avevano portato alle incriminazioni avevano il marchio della mafia calabrese in giro per la penisola. La dipendenza delle 'ndrine formatesi in regioni del Centro e del Nord dalle case madri poteva far pensare che l'input venisse dai paesini di poche migliaia di abitanti, arroccati sull'Aspromonte, in cui vivono i grandi padri del crimine organizzato calabrese. Siamo di fronte a una realta' che riesce a coniugare arcaico e postmoderno, sovranita' ancestrali e attivita' legate alla tradizione e alla contemporaneita', come le estorsioni, il movimento terra, gli appalti, il traffico di droga, in particolare di cocaina che ha il suo maggiore mercato di consumo nel capoluogo lombardo. Ma i tentativi di creare una 'ndrangheta settentrionale, autonoma dai patriarcati periferici, sono stati stroncati nel sangue. A dirigere le attivita' nel Nord Italia, in Canada e in Australia sarebbero Plati', San Luca e altri villaggi preistorici, ma cio' non esclude che si possa parlare di 'ndrangheta a Reggio Emilia e a Buccinasco.
La magistratura spesso si trova impreparata a gestire fenomeni che possono rientrare nelle fattispecie giuridiche solo se si ha un'idea adeguata, capace di distinguere tra mafie storiche, con tutto il corredo delle specificita' originarie, e associazione mafiosa cosi' come viene definita dalla legislazione.
Ma questo non e' il solo problema della giustizia italiana. Si e' voluto mettere all'ombra della Procura nazionale antimafia anche il terrorismo, che con la mafia ha qualche connessione, ma e' fenomeno diverso, da affrontare con altri mezzi e altre analisi.
Il problema di fondo della giustizia italiana continua a essere la spropositata durata dei processi che non puo' non derivare dai tre gradi di giudizio, con gli immancabili ricorsi in appello e in Cassazione. Non si tratta soltanto della prescrizione che vanifica anni di lavoro e delle carenze degli organici. Il problema della eternita' dei processi si puo' risolvere solo in un modo: limitandoli al primo grado, consentendo il ricorso in appello solo in casi limitatissimi, in presenza di fatti nuovi, e limitando ancora di piu' il ricorso in Cassazione. Sembrerebbe una soluzione di buon senso, su cui tutti dovrebbero essere d'accordo, ma i primi a non esserlo sono i magistrati, con poche eccezioni.
Tra le ultime notizie giunte dal palazzo di giustizia di Palermo c'e' la richiesta della procura di archiviare per prescrizione un'inchiesta sul depistaggio per il delitto Impastato, avviata troppo tardivamente, che coinvolge l'ex maggiore Antonio Subranni, i carabinieri Carmelo Canale, Francesco Abramo e Francesco Di Bono, estensori del verbale di perquisizione e sequestro redatto il 9 maggio 1878 nella casa della zia di Peppino Impastato. Alla base delle incriminazioni sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo secondo cui l'esattore Nino Salvo gli avrebbe confidato di aver avvicinato Subranni per ottenere l'archiviazione dell'inchiesta sull'omicidio di Peppino, in cambio del sostegno per la progressione in carriera. Non so cosa fara' il Gip, che a suo tempo aveva giudicato insufficiente il lavoro della procura e rimandato indietro le carte. L'unico risultato che i magistrati avevano ottenuto era l'interrogatorio della casellante Provvidenza Vitale, allora ritenuta irreperibile, perche' maldestramente cercata, e finalmente trovata dopo decenni, che pero' non ricorda nulla di quella notte tra l'8 e il 9 maggio 1978. Francamente non so cosa si possa fare in sede giudiziaria dopo tanto tempo dal delitto.
Le responsabilita' del depistaggio sono state chiaramente individuate dalla relazione della Commissione parlamentare antimafia del dicembre 2000. I depistatori furono rappresentanti della magistratura, a cominciare dal procuratore capo Gaetano Martorana che scrisse il fonogramma: "Attentato alla sicurezza dei trasporti da parte di tale Impastato Giuseppe che deponeva un ordigno della cui esplosione rimaneva vittima", e delle forze dell'ordine che, nel giorno in cui veniva trovato il corpo senza vita di Aldo Moro, trovarono "naturale" scambiare un "estremista" per terrorista, ignorando la sua decennale campagna contro la mafia. Tra un "uomo d'ordine" come Badalamenti e un "sovversivo" come Impastato non c'era scelta. Per fortuna quello che e' stato accertato da un organo istituzionale non e' soggetto a prescrizione.
 
5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA SENATRICE PINA GRASSI E IL SENATORE ANDREOTTI
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 12 giugno 2016 con il titolo "Pina Grassi e la difesa della memoria"]
 
"Grazie, cara collega, della lettera gentile e dei ricordi di un fervido lavoro politico. Molti auguri e saluti". Cosi' pare di leggere in un biglietto scritto con grafia quasi illeggibile che Giulio Andreotti inviava a Pina Grassi che nel maggio del 2003 gli aveva ricordato un vecchio impegno.
Pina, senatrice e componente della giunta per le autorizzazioni a procedere che nel 1993 esaminava le richieste delle procure di Palermo e di Perugia di processare Andreotti per associazione mafiosa e per l'omicidio Pecorelli, aveva chiesto al collega senatore: "Senatore Andreotti, mi scusi, ma lei, nella sua posizione non poteva non sapere, visti i suoi rapporti con Lima e Ciancimino, quale fosse la situazione a Palermo, non e' cosi'?". E Andreotti , a fine seduta, le si era avvicinato e le aveva detto: "Mia cara signora, appena finira' tutti questo rispondero' alla sua domanda". Ora che "tutto questo" era finito, con l'esito che sappiamo, tanto a Palermo (accertata l'associazione a delinquere fino al 1980, ma il reato era prescritto, assolto per il periodo successivo) che a Perugia (prima condannato, poi assolto); Pina gli scrive, ricostruendo la sua esperienza biennale al Senato, le impressioni suscitate dalla lettura del dossier su Andreotti ("mi sentivo dilaniata perche' gli avvenimenti descritti facevano parte della vita della mia citta' che avevo vissuto con consapevole rabbia impotente") e rammentando quell'impegno: "...io che ho fiducia nei magistrati, vorrei sapere, e lo vorrei sapere da lei. Chiedo troppo?". Andreotti risponde con quel bigliettino. Era Pina che chiedeva troppo o era Andreotti che era abituato a fare promesse che sapeva di non voler mantenere?
Destino diverso aveva avuto una lettera di Pina al Presidente Ciampi, del 23 agosto 2001, in cui gli chiedeva cosa pensasse della dichiarazione del ministro Lunardi: "Con la mafia dobbiamo convivere o con-morire? Dobbiamo accettare la cinica, arrogante irrisione per quanti ci hanno rimesso la vita, o dobbiamo dare una lezione di civilta' con la dignita' del lavoro? (...) La prego, dia la sua opinione perche' quella minoranza (?) di cittadini, che non la pensa come il ministro Lunardi, sappia come comportarsi". Ciampi rispondeva che "la lotta contro la mafia rimane un'assoluta priorita' del nostro Paese" e che "l’'esempio luminoso dato a tutto il paese dal Suo compianto marito rimane un monito alla coscienza di tutti gli Italiani. (...) E penso che l'opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica in cui Lei e' personalmente impegnata abbia dato e stia dando i suoi frutti, soprattutto tra i giovani". Siamo in piena epoca berlusconiana e le parole del Presidente esprimono piu' un augurio che una certezza.
Si e' detto di Pina che la sua era un'antimafia gentile, ma credo che sarebbe piu' aderente alla realta' dire che e' stata l'esempio di un'antimafia quotidiana, sobria e determinata, discreta e decisa, che nel contesto di questi anni forse non ha eguali. Un'antimafia che, come quella di Libero, viene da una cultura diventata stile di vita, modo di essere maturato negli anni, per cui scelte e prese di posizione appaiono "naturali" e spontanee.
Libero dice di no alla richiesta di pizzo perche' e' un imprenditore che vuole fare il suo mestiere senza scappellamenti e servaggi nei confronti di nessuno, a cominciare dai suoi colleghi che lo considerano un alieno, poiche' sono avvezzi ad altre pratiche e ad altre frequentazioni.
Pina, e con lei i figli Alice e Davide, rispondono all'assassinio con un manifesto che non vuole essere una lapide e ogni anno replica un'accusa: a uccidere Libero sono state la mafia, l'omerta' dell'associazione industriali, l'indifferenza dei partiti, l'assenza dello Stato. Una complicita' collettiva.
Cos'e' cambiato da allora? Alle dichiarazioni antimafia degli imprenditori sono succedute le incriminazioni per alcuni di loro, i piu' in vetrina; la nota positiva e' data da Addiopizzo e da Libero futuro con il loro sostegno a chi si rifiuta di pagare il pizzo, ma l'antimafia e' divisa da monopolismi e protagonismi che invece di unire e includere, dividono ed escludono. L'intelligente sobrieta' di Pina Grassi rimane un esempio di civilta' difficile da seguire.
Ricordo la delusione di Pina e di Libero nell'incontro del 4 maggio 1991 di fronte a una sala consiliare quasi vuota: duemila inviti e solo una trentina di persone. Ma le parole con cui Pina ha chiuso il libro a quattro mani con Chiara Capri' sono insieme memoria e apertura al futuro: le emozioni finiscono, "io per questo continuo a testimoniare con la mia presenza il sacrificio di chi e' caduto ... per proteggere la societa' civile e la liberta' di coscienza. Tante sono le vittorie riportate dai miei nipoti acquisiti di Addiopizzo ma la strada e' ancora lunga e in salita. Riusciranno a vincere solo in un modo: mantenendo la serieta' che li ha contraddistinti fin dall'inizio, la schiettezza e pulizia nei rapporti con la politica siciliana, il non abbassarsi al compromesso, sia economico che morale. Mi auguro anche che ... non dimentichino mai ... come e perche' sono nati. Perche' siamo niente senza memoria".
 
6. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: L'ANTIMAFIA E GLI IMPRENDITORI MORALI. DA "I CENTO PASSI" A "FELICIA"
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 9 giugno 2016 con il titolo "Le troppe licenze mediatiche dei film sulla mafia"]
 
Il criminologo americano Howard Becker in un saggio pubblicato negli anni '60 sottolineava il ruolo che hanno alcuni personaggi, definiti "imprenditori morali", nel produrre e diffondere idee sulla criminalita', nel suscitare attenzione verso fenomeni classificabili come delittuosi, nell'elaborare progetti e strategie di intervento.
Questo ruolo possono averlo le istituzioni, in primo luogo lo Stato (Pierre Bourdieu parlava di un "pensiero di Stato", nel senso che lo Stato produce le categorie di pensiero che applichiamo a qualunque cosa), i cultori delle scienze sociali, gli scrittori e i giornalisti, i personaggi pubblici che hanno una certa reputazione e un seguito consistente.
In Italia sono ben noti i casi di scrittori come Pasolini e Sciascia, considerati protagonisti del pensiero critico e rimpianti dopo la loro morte perche' non sarebbero stati adeguatamente sostituiti nella loro funzione di segnalatori dei mali sociali e di maestri di moralita'.
Questa funzione da tempo e' esercitata dal cinema e dalla televisione. Sono loro gli attori principali della "societa' dello spettacolo", i creatori del cosiddetto "immaginario collettivo" e su questo terreno spesso i luoghi comuni la fanno da padroni ispirando le narrazioni, sotto forma di film o di telefilm.
Facciamo qualche esempio. Il film In nome della legge, del 1949, tratto dal romanzo di Guido Loschiavo, dava l'immagine di una mafia che considera le sue leggi come leggi di natura, ma e' pronta a riconoscere lo Stato e a collaborare con esso. Erano gli anni in cui la mafia uccideva dirigenti e militanti delle lotte contadine, ma questi delitti non facevano parte del copione.
Molti anni dopo, lo sceneggiato televisivo La Piovra rappresentava una mafia onnipresente e onnipotente, che veniva affrontata da un singolo personaggio, prima un commissario, poi una magistrata, che sopravvivevano solo per esigenze di copione. Il messaggio era: contro una mafia-piovra universale puo' solo lottare un antagonista che non puo' che essere un eroe, un san Giorgio contro il drago. Una storia, dimenticata, ci dice che contro la mafia hanno lottato centinaia di migliaia di contadini, guidati da dirigenti che non giocavano a fare l'eroe.
Si dice che cinema e televisione hanno un loro linguaggio, richiedono obbligatoriamente un protagonista che riassume in se' una storia esemplare, degna di essere rappresentata. Questo protagonista puo' essere l'eroe antimafia ma puo' anche essere il boss mafioso. Nonostante le considerazioni di Hannah Arendt sulla "banalita' del male", il Male e' piu' fotogenico e attrattivo del Bene. E questo vale tanto per la Bibbia che per la tragedia greca, tanto per Shakespeare che per il piu' modesto sceneggiatore. In ogni caso, l'icona mediatica sostituisce la realta', la piega alle sue esigenze, diventa verita' e luogo comune, gia' per la semplice ragione che raggiunge e forma milioni di spettatori, che difficilmente puo' raggiungere un libro, tranne che non sia un bestseller, che per diventare tale segue le leggi del mercato, molto simili a quelli degli altri media.
Anche per Peppino Impastato e per la madre Felicia il film di Giordana e il telefilm di Albano hanno ricreato la realta' e hanno partita vinta su di essa. Peppino ormai e' identificato come il percorritore-numeratore dei cento passi, il predicatore della "mafia montagna di merda" e della bellezza che spodesta la lotta di classe. E si puo' essere certi che tanti vanno a Cinisi  per incontrare quel personaggio piu' che il Peppino reale. Ora il telefilm su Felicia l'ha rappresentata come una sorta di Giovanna d'Arco settantenne, che e' continuamente per strada o altrove per condurre la sua battaglia. Felicia usciva di casa rarissimamente, ma il 14 maggio, pochi giorni dopo l'assassinio, si e' recata al seggio elettorale per votare per suo figlio e i presenti la guardavano con tanto d'occhi. Gli sceneggiatori hanno costruito un personaggio diversissimo dall'originale e questo personaggio sostituira' per tantissimi (si parla di sette milioni di telespettatori, un successo insperato) la Felicia reale. Anche il boss Gaetano Badalamenti e' stato rimodellato secondo i dettami del mafioso da rappresentazione: un essere mostruoso. Al processo nell'aula bunker, Badalamenti dal teleschermo diceva che era stato amico della famiglia Impastato e non ha mosso ciglio davanti al dito puntato di Felicia che lo indicava come assassino del figlio.
In un incontro con il regista mi diceva che la televisione ha le sue regole che non possono essere disattese. Ho fatto i complimenti a Gianfranco Albano per il successo del filmato, ma non ho potuto fare a meno di ribadire quello che avevo detto agli sceneggiatori: Felicia, interpretata da una bravissima Lunetta Savino, era molto diversa da quella che abbiamo visto sugli schermi televisivi. E che io faccio cose che non ho mai fatto e non faccio quelle che ho fatto. Licenze mediatiche piu' forti e suadenti di quelle poetiche.
 
7. MAESTRE. DIEGO BIANCHI INTERVISTA ROSSANA ROSSANDA (2018)
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente intervista di Diego Bianchi a Rossana Rossanda trasmessa il 26 ottobre 2018 su "Propaganda Live" sulla rete televisiva La7]
 
- Diego Bianchi: Sei appena tornata dalla Francia, mi hai detto che non pensavi di trovare cosi' l'Italia. Che pensavi?
- Rossana Rossanda: Mancavo dall'Italia da 15 anni, pensavo di trovare un paese in difficolta' economica, politicamente basso, ma non scivolata dov'e' adesso, con questa lite continua. Nessuno sente il problema di dire com'e' che siamo arrivati a questo punto, com'e' che oggi si possono risentire accenti che dopo la guerra non erano piu' pensabili. La sinistra, che ha perso milioni di voti, non si interroga o, se si interroga, non ce lo dice.
*
- Diego Bianchi: Una volta invece ci si interrogava sempre.
- Rossana Rossanda: Certo. Adesso non so piu' se il partito democratico, o come si chiami, fara' il congresso.
*
- Diego Bianchi: Quei bei congressi di una volta...
- Rossana Rossanda: Belli non erano. Erano anche un po' noiosini. Pero' c'era il problema di dire dove siamo, cosa succede su scala mondiale, su scala italiana e che cosa proponiamo noi. Sono cose elementari, perche' una forza politica deve chiedersi in che mondo mi trovo, in che paese siamo, e che cosa farei io se fossi il governo.
*
- Diego Bianchi: Facciamo un congressino veloce. Ti sei data una risposta, una motivazione? Su scala internazionale per esempio in Brasile sta vincendo l'estrema destra.
- Rossana Rossanda: Accade dappertutto. Una ipotesi e' la delusione fornita dalla sinistra, sia nei luoghi dove ha potuto governare, sia in quelli dove non lo ha fatto. C'e' delusione. Gli operai non votano piu'.
*
- Diego Bianchi: Non votano piu' a sinistra?
- Rossana Rossanda: Non votano piu'. La sinistra ha perduto il suo elettorato.
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- Diego Bianchi: Sei ottimista sul breve termine?
- Rossana Rossanda: No. La sinistra del Pd di fatto non ha proposto niente di profondamente diverso da quello che fa la destra e allora perche' dovrebbe conservare il suo elettorato?
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- Diego Bianchi: Ti riferisci a qualcosa in particolare?
- Rossana Rossanda: L'immigrazione e' a parte perche' e' un fenomeno nuovo. Ma certo che si potesse approvare l'ultimo decreto di Salvini, anche con la firma della Presidenza della Repubblica, era inimmaginabile. Gli stessi diritti che noi vorremmo per noi, non li possiamo dare ai migranti. E' qualcosa di insopportabile, non pensi?
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- Diego Bianchi: Anche per questo il Pd e' stato molto criticato dalla sinistra.
- Rossana Rossanda: Ma quale sinistra? La sinistra non e' rappresentata. In verita' il piu' grande partito e' quello degli astensionisti. Molta sinistra si e' astenuta, non trovando nessuna offerta che la persuadesse. Penso che e' un errore astenersi. Quando non si ha una rappresentanza bisogna ricostruirsela.
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- Diego Bianchi: E tu che cosa pensi?
- Rossana Rossanda: Io sono una persona di sinistra. Sono stata cacciata dal Pci perche' ero troppo a sinistra. Una persona mite come me e' stata considerata una estremista. Oggi Bergoglio non credo che mi scomunicherebbe facilmente.
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- Diego Bianchi: Bergoglio ha fatto il papa sull'aborto, proprio oggi.
- Rossana Rossanda: E' un punto delicato. E meglio lui della piddina di Verona che ha votato contro l'aborto. Vorrei un politico italiano che parlasse come il papa, per esempio sui migranti. Se Minniti fosse un vescovo verrebbe bacchettato da Bergoglio.
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- Diego Bianchi: Si parla molto di questo governo di destra, di ritorno del fascismo, del razzismo. Chiedo a te che il fascismo l'hai vissuto.
- Rossana Rossanda: Non sono per dire che siamo agli anni '30. Sono preoccupata, anche se non credo che il paese accetterebbe un ritorno esplicito al fascismo. C'e' la semina di mezzo secolo di democrazia. Ma la battuta di Salvini "prima gli italiani" e' qualcosa di intollerabile. Perche' "prima gli italiani"? Che cosa hanno fatto di meglio degli altri? Cosa c'entra con le idee che hanno fatto l'Italia? Il fatto che la sinistra italiana non ha avuto il coraggio di votare lo jus soli e' veramente insopportabile. Bisogna essere italiani non solo per essere nati qui ma per che cosa allora? Non vorrei andare a frugare e trovare qualcuno che dice che ci sono le facce ariane e quelle non ariane. Sento l'odore di qualcosa di molto vecchio.
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- Diego Bianchi: Sei stata responsabile della politica culturale del Pci. Chi ti aveva dato questo ruolo?
- Rossana Rossanda: Togliatti.
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- Diego Bianchi: E che ne pensi, esistono oggi politiche culturali?
- Rossana Rossanda: Non mi pare. La cultura significa i valori, per che cosa ti batti. Adesso il partito democratico non si batte piu' neanche per l'uguaglianza dei migranti. Non lo vedo alla testa e neppure parteggia per la politica delle donne. La 194 e' una legge degli anni Settanta. Oggi forse non la rifarebbero piu'.
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- Diego Bianchi: Quindi essere del secolo scorso puo' diventare quasi un vanto?
- Rossana Rossanda: Assolutamente si'. Io sono del '900 e lo difendo. E' stato il primo secolo nel quale il popolo ha preso la parola dappertutto. E dove l'ha presa, l'ha presa sostenuto dalla sinistra.
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- Diego Bianchi: La domanda che in tanti si fanno, anche a sinistra, e' come comunicare. Tu frequenti i social network?
- Rossana Rossanda: No. Zero. Io sono sempre stata povera ma non vorrei dare neanche mezzo euro a Zuckerberg. In gran parte dipende da lui se siamo messi cosi'.
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- Diego Bianchi: Ci sono pero' questi strumenti di comunicazione, anche e soprattutto in politica.
- Rossana Rossanda: Non so se sia una vera comunicazione. Comunicare significa parlare a qualcuno di cui consideri che ha la tua stessa dignita'.
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- Diego Bianchi: Come si fa a parlare anche alla testa e non solo alla pancia? La sinistra sembra afona in entrambi i casi. Non e' capace o non sa cosa dire?
- Rossana Rossanda: Perche' non ci crede piu'. Non e' capace. Se la sinistra parla il linguaggio se non proprio della destra comunque dell'esistente, non puo' essere votata dall'operaio. La sinistra deve parlare a quella che e' la parte sociale dell'Italia piu' debole e meno ascoltata. Quando uno vota il jobs act indebolisce le difese degli operai. Si puo' continuare a chiamarlo contratto a tutele crescenti, ma la verita' e' che ha diminuito la forza operaia.
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- Diego Bianchi: Che idea hai sul Movimento 5 Stelle?
- Rossana Rossanda: Il Movimento 5 Stelle non e' niente. Gli italiani vogliono questa roba informe, generica, si fanno raccontare delle storie. Nella Lega invece cercano un'identita' cattiva. Questo e' Salvini. Di Maio non e' cattivo, non e' nulla.
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- Diego Bianchi: Grazie compagna Rossanda.
- Rossana Rossanda: Caro compagno certo e' difficile dire oggi questa parola. Non capiscono piu' in che senso lo dicevamo. E' una bella parola ed e' un bel rapporto quello tra compagni. E' qualcosa di simile e diverso da amici. Amici e' una cosa piu' interiore, compagni e' anche la proiezione pubblica e civile di un rapporto in cui si puo' non essere amici ma si conviene di lavorare assieme. E questo e' importante, mi pare.
 
8. MAESTRE. MATTIA GOZZI PRESENTA "HANNAH ARENDT. UN UMANESIMO DIFFICILE" DI LAURA BOELLA
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 9, n. 2/2020]
 
Laura Boella, Hannah Arendt. Un umanesimo difficile, Feltrinelli, Milano 2020, pp. 138, euro 14.
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Chi e' stata Hannah Arendt? E' questo il quesito che si pone Laura Boella all'inizio della sua opera e la risposta a suo avviso non puo' che essere semplice, dal momento che al giorno d'oggi la filosofa tedesca e' circondata da una popolarita' "aneddotica e alla moda" (p. 9). Pertanto, si chiede l'autrice, come si puo' ereditarne l'opera e allo stesso tempo proteggerne l'importanza? Per rispondere a tali interrogativi, Boella tenta di ripercorre quelle che sono state le tappe fondamentali della vita di Arendt: dal drammatico esilio dalla Germania nazista ad una faticosa ricostruzione della propria vita personale e professionale negli Stati Uniti, soffermandosi, di volta in volta, su quella che e' stata la sua straordinaria produttivita', attraverso la stesura di opere che continuano ad avere, ancora oggi, un importante valore filosofico.
Nel primo capitolo, Boella fa riferimento all'eredita' spirituale di Arendt, sottolineando come il suo portato filosofico sia stato recepito da diversi, autori successivi, ognuno dei quali ha saputo ricavare da questo lascito quanto di piu' necessario alle proprie esigenze, in virtu' anche del fatto che "l'opera arendtiana e' un work in progress, non ha alcun aspetto di compiutezza e di sistematicita', semmai procede per linee di scorrimento che legano gli scritti pubblicati e rendono ognuno di essi parte di un progetto piu' ampio" (p. 23). Secondo l'autrice, Arendt attraverso i suoi scritti ha dato vita a quella che si potrebbe definire come un'opera "aperta", perche' di fatto non e' mai stata definitivamente conclusa.
Inoltre, e' innegabile che molte delle sue tesi – come per esempio quelle sul totalitarismo, sulla banalita' del male e sull'agire politico – siano diventate essenziali per comprendere la realta' contemporanea. Si tratta pertanto di "un'eredita' in denaro contante" (p. 24), la quale pero' non deve essere sperperata, ma deve rimanere "un pegno di liberta' e creativita'" (p. 24).
Nel secondo capitolo, intitolato "Realta'", Boella rimarca l'immagine di una pensatrice in precario equilibrio tra la consapevolezza della crisi della politica occidentale e la fede nell'umano che dovrebbe redimere la violenza della storia e della politica. In tal senso, Boella si sofferma sul pensiero di Arendt riguardo alla condizione umana, in cui non mancano dei riferimenti al totalitarismo: il progetto totalitario si impegna nel rendere "superflui", attraverso una specifica categorizzazione, gran parte degli esseri umani; tale operazione avviene in un contesto drammatico come quello dei lager, dove l'essere umano viene inchiodato alla sua mera natura biologica, alla limitatezza delle sue energie, alla casualita' della sua capacita' di sopravvivere. In questo modo, la condizione umana viene minacciata da uno snaturamento che arriva ad alternare i confini della vita e della morte, facendo emergere figure che non sono morte dal punto di vista biologico, ma da quello sociale, morale e simbolico. Per Arendt, scrive Boella, questo e' un "dato di realta' crudo e inequivocabile" (p. 40). Tantoche', nella visione di Arendt, spiega l'autrice, non vi sono le condizioni per "comprendre pour pardonner" (p. 44), vi e' invece "un'empatia, senza simpatia, un "mettersi nei panni dell'altro senza possibilita' alcuna di condividerne pensieri, sentimenti, desideri" (p. 44). A tal proposito, in riferimento al caso Eichmann, Boella ricorda che Arendt si chiese piu' volte nei suoi scritti come fosse possibile considerarsi un semplice ingranaggio e rinunciare deliberatamente alla dignita' di essere umano, ma soprattutto si chiese se vi fossero alternative a quel tipo di comportamento. Arendt, in questo caso, cerco' di entrare in contatto con l'universo di Eichmann e di tutti i grigi burocrati rappresentanti del nazismo, cercando di cogliere le motivazioni che si nascondevano dietro a un modo di pensare e d'agire che porto' allo sterminio di milioni di persone. Ci vollero quattro settimane perche' Eichmann superasse i malesseri fisici che lo colsero quando visito' alcuni lager presenti in Polonia nel 1941; quattro settimane perche' potesse mettere da parte qualsiasi forma di pieta', costruendo efficaci barriere che gli permettessero di non percepire piu' la sofferenza altrui. In questo arco di tempo, egli imparo' a proteggersi dall'urto con la realta' e dall'effetto che le sue azioni provocavano su altri esseri umani: "idoli come la carriera, la benevolenza dei superiori, l'obbedienza agli ordini, il buon funzionamento della macchina burocratica dello sterminio divennero lo schermo di fronte alla realta'" (p. 51).
Nel capitolo terzo, intitolato "Verita'", Boella fa riferimento agli interventi arendtiani degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, i quali sono caratterizzati da una concitata discussione sulla verita' e la menzogna: secondo Arendt, "chi mente e' un "uomo d'azione", "un attore per natura", che vuole cambiare il mondo e si sente libero dalle circostanze date, anche se puo' abusare di tale liberta'.
Chi dice la verita' si trova invece in una situazione di solitudine, fuori dalla compagnia dei suoi simili, ma non puo' consolarsi "pensando di essere diventato uno straniero in questo mondo"" (p. 89). Da qui nasce il dibattito tra "dire le cose come stanno e intervenire attivamente sulla realta'" (p. 89). Attraverso tali presupposti, Arendt osserva che lo strumento della menzogna non solo e' volto a creare una realtà dai contorni falsati e distorti, ma implica anche il fatto di dover mentire a se' stessi, fatto che arreca un danno irreparabile alla complessa tessitura della realta'. In merito a tale argomento, Boella cita l'opera Verita' e politica, in cui Arendt nota come in una situazione di "menzogna organizzata" (p. 91), di negazione e distorsione dei fatti al servizio di un progetto politico, colui che "dice la verita', lo sappia o no, ha iniziato ad agire e ha fatto un primo passo verso il cambiamento del mondo". (p. 91). Dunque, il fatto di dire la verita' e' gia' di per sé un "modo di agire" (p. 91), perche' mette in movimento la complessita' e il dinamismo della realta' e del suo intrinseco tessuto di azioni e relazioni umane. Allo stesso tempo, il pensiero in situazioni di particolare emergenza puo' assumere un ruolo politico, poiche' "il suo profilo distruttivo si traduce nell'estensione dal consenso e dalla partecipazione a un regime in cui tutti la pensano allo stesso modo" (p. 91).
Una riflessione interessante, a mio avviso, viene proposta a fine capitolo riguardo al "male banale", di cui Arendt parla piu' volte, e che si dimostra tagliente e dirompente come un elemento contagioso, perennemente in espansione e in grado di attecchire chiunque in qualsiasi contesto. Boella riprende il ragionamento di Arendt secondo cui molti dei collaboratori del regime nazista tentarono di discolparsi sostenendo di essere stati solamente dei semplici ingranaggi di un sistema piu' grande di loro. Da questo punto di vista diventa difficile sia punire che perdonare chiunque si sia lasciato travolgere da eventi di questo tipo. Per quanto concerne quest'ultimo punto, e' meritevole notare che tutti coloro che diedero anche un minimo contributo all'immensa macchina totalitaria nazista potevano essere considerati come dei collaboratori; tuttavia, il grado di responsabilita' cambiava in base all'azione che si portava a termine e non sempre si era a conoscenza di quale fosse l'obiettivo finale delle operazioni alle quali si decideva di collaborare.
Il sopracitato tema viene ripreso con forza e in maniera approfondita nel quarto ed ultimo capitolo intitolato "Umanita'" (pp. 103-123); Boella riporta le opinioni di Arendt in merito al processo Eichmann, sottolineando come la filosofa tedesca abbia considerato il processo un fallimento, perche' invece di essere "il dramma della giustizia" era diventato "lo spettacolo della sofferenza" (p. 103): per la prima volta nella storia, erano state chiamate in causa le vittime dell'Olocausto, inaugurando quindi un nuovo capitolo nella storia della Shoah: quello dei testimoni. Molti sopravvissuti vennero chiamati a rivivere, attraverso le loro stesse parole, le inaudite violenze che furono costretti a subire. Boella ricorda allora come Arendt venne accusata di mancanza di empatia verso i sopravvissuti all'Olocausto poiche', secondo i suoi detrattori, avrebbe trasformato le vittime – che erano prese dai sensi di colpa per essere riuscite a sopravvivere e della vergogna per non essersi ribellate – in "soggetti agenti" (p. 104). A tal riguardo, va detto che il criterio di giudizio adottato da Arendt fu esigente: le veridicita' delle testimonianze doveva essere valutata sulla base del "dire la verita'" e Arendt riteneva che fosse questo il compito del suo reportage, ossia ricordare e ripensare avvenimenti e prospettive che i diversi attori e spettatori talvolta non prendevano nemmeno in considerazione. Questo era l'unico modo per dar vita ad un tribunale della Storia che avrebbe potuto animare voci e volti dimenticati. Solamente in questo modo Arendt riusci' a dar rilievo a storie come quella di Anton Schmid, sergente della Wehrmacht, che aiuto' alcuni partigiani prima di essere arrestato e giustiziato. La vicenda che riguardo' Schmid ha un importante valore, evidenzia l'autrice, perche' mostra come in una condizione di forte terrore, nonostante la maggioranza sia portata ad aderire al regime, rimane pur sempre una piccola minoranza che ha il coraggio di opporsi.
Infine, l'autrice invita a riflettere su un'idea di umanita' che e' costantemente esposta a trasformazioni dovute alla difficolta', individuale e collettiva, di sopportare il rischio e la fatica delle differenze senza le quali essa non sarebbe tale. Anche perche' si e' visto, prosegue Boella, che l'agire si colloca sullo sfondo della dipendenza da forze che oltrepassano l'individuo e che corrispondono alla Storia, alla natura, alle passioni e alle azioni di altri esseri umani.
L'autrice conclude affermando che l'umanesimo arendtiano presagisce lo squilibrio "tra un'organizzazione planetaria della vita sociale e l'assenza di strutture istituzionali e di forme di vita adeguate a governare le questioni comuni" (p. 121). Esso volge il suo sguardo verso una prospettiva futura e ci mostra quella che e' attualmente la questione piu' urgente: "ripensare la condizione umana in un'epoca di radicale trasformazione" (p. 121).
Prima di quest'opera, l'autrice aveva gia' dedicato diversi studi e scritti ad Arendt, di conseguenza e' consapevole del fatto che interrogare il pensiero di questa filosofa non e' un'operazione semplice, in quanto e' necessario entrare nel cuore del suo ragionamento, tentando di interpretarne tutte le varie ed innumerevoli sfaccettature. D'altronde, limitarsi a riepilogare cio' che un individuo ha fatto o prodotto non consente sempre di restituirne la grandezza. Boella ha la capacita' di andare oltre la semplice descrizione, dimostrando di sapersi orientarsi con sicurezza nel fitto ed intricato pensiero arendtiano, oltre a metterne in risalto gli aspetti essenziali. L'autrice presenta Arendt come una pensatrice dotata di un'instancabile passione per l'attivita' intellettuale dotata di uno stile critico e indipendente, capace di disarmare fedi e ideologie; al punto che la sua vita e i suoi studi sono diventati oggetto di un giudizio storico. D'altro canto, e' risaputo come le sue tesi, coraggiosamente controcorrente rispetto ad alcuni dogmi ideologici, abbiano avuto fin da subito un'immediata risonanza e siano ancora oggi fonte inesauribile di dibattito. L'autrice, inoltre, non dimentica di sottolineare come Arendt sia una studiosa del presente, estranea ad ogni tipo di utopia e di impazienza rispetto al proprio tempo.
In conclusione, questo testo apparentemente breve ma di notevole intensita', risulta intellettualmente coinvolgente fin dalla prima riga, facendo apprezzare ancora di piu' quella che puo' essere considerata a tutti gli effetti come una delle pensatrici piu' importanti del XX secolo.
 
9. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Marco Berisso, Per patria il mondo. Sulle tracce del sommo poeta, Gedi, Roma 2021, pp. 192, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
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Riletture
- Hans Kung, Dio esiste?, Mondadori, Milano 1979, pp. 956.
- Hans Kung, Ebraismo, Rcs, Milano 1993, 1995, pp. 848.
- Hans Kung, Essere cristiani, Mondadori, Milano 1976, 1979, pp. 794.
- Hans Kung, 20 tesi sull'essere cristiani - 16 tesi sulla donna nella Chiesa, Mondadori, Miano 1980, 1990, 1991, pp. 144.
- Hans Kung, Vita eterna?, Mondadori, Milano 1983, pp. II + 356.
- Hans Kung e Walter Jens, Della dignita' del morire, Rcs, Milano 1996, 2010, pp. 196.
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Riedizioni
- Vittorino Andreoli, L'uomo col cervello in tasca, Rcs, Milano 2019, 2021, pp. 336, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
 
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
11. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4068 dell'8 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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