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[Nonviolenza] Telegrammi. 4055
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4055
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Thu, 25 Mar 2021 18:22:03 +0100
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4055 del 26 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Umberto Santino: Mattarella 40 anni dopo. Ricostruire il contesto
2. Umberto Santino: L'industria della pandemia
3. Umberto Santino: Il virus, lo stato d'eccezione e la mafia
4. Umberto Santino: Salvini a Corleone
5. Umberto Santino: La storia cancellata. Ovvero: l'ignoranza del cosiddetto presidente del consiglio, la smemoratezza della scuola, le vittime di mafia dimenticate...
6. Annalisa Bertani: Libera Callegari in Venturini
7. Fiorella Imprenti: Laura Casartelli
8. Alice Romano: Anna Catasta
9. Roberta Cairoli: Francesca Ciceri detta Vera
10. Segnalazioni librarie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: MATTARELLA 40 ANNI DOPO. RICOSTRUIRE IL CONTESTO
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 7 gennaio 2020 con il titolo "Trame nascoste dietro il delitto".
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del "Centro Impastato" di Palermo, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, 2010; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007; (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 2008; Breve storia della mafia e dell'antimafia, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; Le colombe sulla rocca, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; L'altra Sicilia, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; Don Vito a Gomorra, Editori Riuniti, Roma 2011; La mafia come soggetto politico, Di Girolamo Editore, Trapani 2013; Dalla parte di Pollicino, Di Girolamo Editore, Trapani 2015. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino", da ultimo nel supplemento "Coi piedi per terra" nei nn. 421-425 del novembre 2010. Il sito del Centro Impastato e' www.centroimpastato.com]
Le considerazioni suscitate dal quarantesimo anniversario dell'assassinio del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella meritano di essere riprese su un punto di fondo: il personaggio, e quindi anche il delitto, non possono essere collocati dentro i confini locali ma in un orizzonte molto piu' ampio. Se in gioco c'era il rapporto tra i due maggiori partiti italiani, la Democrazia cristiana e il Partito comunista, in un Paese frontiera tra due mondi contrapposti, tale rapporto non poteva non avere ripercussioni a livello geopolitico. E' dunque l'intero quadro che bisogna ricostruire, al di la' dello stereotipo che vuole i delitti e le stragi classificati come "politico-mafiosi" destinati, sul piano giudiziario, a concludersi, bene che vada, con le condanne dei mafiosi, vuoi come mandanti o come esecutori, lasciando nell'ombra i poteri "occulti" (o occultati), dai servizi cosiddetti "deviati" alla P2, a Gladio o a fantomatiche entita' transnazionali.
La "pista nera" di cui si e' tornati a parlare, sull'onda delle dichiarazioni di Giovanni Falcone nel corso di un'audizione del 3 novembre 1988, desecretata dalla Commissione antimafia, rischia di replicare un copione che ricompare di tanto in tanto, se non viene inserita in un contesto che leghi insieme l'assassinio di Aldo Moro e quelli di Reina, Mattarella e La Torre, per limitarci solo ad alcuni delitti della fine degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. Falcone parlava di "saldature" che rendevano necessario riscrivere "la storia di certe vicende del nostro Paese" e nella requisitoria che accompagnava il rinvio a giudizio dei capimafia e dei terroristi neri Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, scriveva: "i rapporti tra gli ambienti del terrorismo nero e della criminalita' mafiosa sono ritenuti articolati e non occasionali". Cioe' si trattava di una strategia inclusiva, il cui collante erano l'anticomunismo e lo sbarramento ai progetti in corso di un'alleanza tra Dc e Pci.
In quegli anni a temere il "pericolo comunista" erano in tanti, a livello nazionale e internazionale, con in testa gli Stati Uniti, e niente esclude che possano esserci stati legami tra vari soggetti, apparentemente lontani e contrapposti. "O e' mafia o e' terrorismo", diceva Sciascia per il delitto Mattarella, "o e' mafia camuffata da terrorismo o terrorismo che ci si ostina a vedere come mafia". Ma l'aut-aut poteva tramutarsi in un et-et. Anche le Brigate rosse si erano arruolate a quella strategia, pensando che con il sequestro e l'uccisione di Moro, che dell'apertura ai comunisti era il piu' convinto sostenitore, si potesse aprire un varco alle loro velleita' "rivoluzionarie".
Sappiamo com'e' andata a finire. Sulla base della convinzione che Cosa nostra non poteva aver affidato l'esecuzione di un delitto di tale portata a due giovanotti neofascisti, la pista del terrorismo nero e' stata esclusa. In ogni caso, se lo scopo del delitto Mattarella era interrompere un'azione che poteva portare a un'apertura al Pci, quello scopo e' stato raggiunto: alla Presidenza della Regione e' andato Mario D'Acquisto, nettamente contrario a quell'alleanza. E quella prospettiva si sarebbe definitivamente chiusa. Siamo di fronte all'ennesimo esempio in cui la violenza si e' dimostrata una risorsa decisiva sul piano politico. Una vicenda cominciata, per dirla con Falcone, in "tempi assai lontani". Ci vorranno la mattanza dei corleonesi e soprattutto il delitto Dalla Chiesa perche' lo Stato passi all'offensiva.
Certo, un processo penale non e' la stessa cosa di una ricostruzione storica, ma se si vogliono verificare e approfondire le ipotesi di Falcone, e tenuto conto che la Cassazione ha messo un sigillo definitivo sull'assoluzione di Fioravanti e Cavallini, penso che la Commissione parlamentare antimafia dovrebbe fare, per il delitto Mattarella e altri delitti e stragi su cui non c'e' una verita' giudiziaria o e' inadeguata e parziale, quello che ha fatto per il depistaggio sul delitto Impastato, individuando responsabilita' anche ai livelli piu' alti della magistratura e delle forze dell'ordine. Ci sono troppi buchi neri: reperti scomparsi, anomalie non casuali. Anche la Commissione regionale antimafia potrebbe fare la sua parte. La storia non la scrivono solo gli storici.
2. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: L'INDUSTRIA DELLA PANDEMIA
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 26 aprile 2020 con il titolo “Rischio mafie nel dopo virus. La risposta spetta all'Europa"]
Si susseguono quotidianamente dichiarazioni sul possibile ruolo delle mafie nel dopo virus. A lanciare l'allarme prima sono stati il capo della polizia Gabrielli, il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho, i procuratori di Milano e Napoli, Greco e Melillo, ora si e' unita la ministra dell'Interno Lamorgese. Il rischio che le mafie si inseriscano nella gestione delle attivita' in programma e' reale e i precedenti, anche se non avevano questa portata, lo dimostrano. Ad esempio, per il terremoto in Irpinia si parlo' di "economia di catastrofe", con buona parte dei fondi che fini' nelle tasche dei camorristi.
Le mafie potrebbero intervenire a due livelli. Il primo: accaparrarsi quote consistenti dei fondi pubblici stanziati per fronteggiare gli effetti indotti dalla pandemia e per rilanciare l'economia, attraverso il condizionamento degli appalti, l'offerta di servizi e forniture; il secondo: prestare denaro a soggetti emarginati dalla crisi e gestire una sorta di "welfare" elementare per settori della popolazione il cui disagio sociale si aggravera' esponenzialmente. Si parla di 10 milioni di persone a rischio poverta'.
Sono gli effetti di quello che, con qualche infedelta' rispetto alle categorie introdotte da Carl Schmitt, e' stato chiamato, anche da chi scrive, "stato d'eccezione", perche' l'espressione rappresenta efficacemente una situazione, che non sara' la guerra mondiale, ma nega o comprime liberta' fondamentali, come la mobilita' sul territorio, ha una dimensione planetaria, ha stravolto la vita quotidiana e provocato una crisi che si ritiene piu' grave di quella del 1929.
Se il rischio c'e', bisogna vedere come farvi fronte, sul piano della prevenzione, prima che su quello della repressione, a buoi scappati. Intanto bisogna tener conto dell'entita' dei fondi pubblici e della destinazione della spesa, e molto si decidera' a livello europeo, se si riesce a vincere le resistenze dei crociati del fondamentalismo mercatista. Il problema non e' tanto scegliere tra il Mes, senza condizioni, ma il trattato che l'ha istituito le prevede, e gli eurobond, quanto mutare politica, varando un piano di investimenti che metta al centro il lavoro e affronti i grandi problemi che abbiamo davanti, dalla pandemia, che rischia di essere piu' che un'emergenza congiunturale, ai disastri ambientali, alle migrazioni, e non si limiti alla contabilizzazione di qualche punto di Pil. Il Recovery Fund puo' essere un primo passo in questo senso. Keynes ritorna, anche per i coltivatori di tulipani che non avrebbero a chi venderli. Ma se non ci sara' una mobilitazione come quella che c'e' stata per i mutamenti climatici non penso che ci sara' un effettivo cambiamento.
I fondi per le opere pubbliche saranno utilizzati tramite gli appalti e qui bisogna intervenire radicalmente, snellendo le procedure e calibrando i controlli. Ed e' centrale in Italia il problema della burocrazia. Forse lo "stato d'eccezione" puo' essere l'occasione per una riforma di apparati che sono insieme paralizzanti e aperti a ogni tipo di infiltrazione. Bisogna non sono snellire ma responsabilizzare, evitando lo sport nazionale dello scaricabarile. E resta sempre da affrontare il problema dell'evasione fiscale.
Sul secondo punto: per evitare il ricorso al credito e al "welfare" mafiosi, piu' che il prestito agevolato attraverso le banche, la strada migliore sarebbe erogare aiuti diretti a fondo perduto, come si e' fatto in altri Paesi, e l'assistenza emergenziale dovrebbe evolversi in strategia che miri a liberare dal bisogno parte della popolazione e a sottrarla alla "carita'" interessata dei gruppi criminali. Non basta il reddito di cittadinanza.
Questo significa intervenire sugli aspetti che rendono mafiogena una societa', per cui le mafie si riproducono, nonostante l'efficacia della repressione. E' inutile parlare di legalita' quando ci sono strati sociali che vivono di illegalita' e la considerano mezzo di sopravvivenza e pratica quotidiana.
La ministra Lamorgese ha parlato anche della regolarizzazione dei lavoratori agricoli immigrati. Adesso si scopre che sono indispensabili e che bisogna sottrarli alla mafia dei caporali. Ma ci sono altri immigrati da liberare dalla quarantena permanente della clandestinita'.
Diceva don Abbondio: "E' stata un flagello questa peste, ma e' stata anche una scopa, ha spazzato via certi soggetti che... non ce ne liberavamo piu'". Ma non si puo' desiderare la pandemia per fare quello che dovremmo fare quando siamo in buona salute.
3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: IL VIRUS, LO STATO D'ECCEZIONE, LA MAFIA
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento del 2020]
Medici, infermieri, il personale sanitario stanno facendo miracoli per fare fronte all'epidemia del coronavirus e ci stiamo accorgendo solo adesso che la sanita' pubblica e' indispensabile e insostituibile. Lo stato d'eccezione in cui stiamo vivendo ha fatto emergere gli aspetti piu' disastrosi delle politiche di questi anni, con lo smantellamento della sanita' pubblica e l'incentivo alla sanita' privata. Eppure c'erano tutte le condizioni per accorgersene prima. Si e' cominciato con l'aziendalizzazione e la regionalizzazione del sistema sanitario, si e' continuato con la chiusura di ospedali e il taglio dei posti letto. La salute, da diritto garantito dalla Costituzione, e' diventata merce e privilegio da pagare secondo le quotazioni del mercato, e il servizio pubblico che doveva assicurarla e' stato classificato come "azienda", la cui produttivita' si misura con il numero delle prestazioni e con l'entita' delle spese e dei ricavi. E nell'azienda capita che ci siano manager, direttori, primari, ma anche altri addetti, scelti in base ad appartenenze partitiche, a reti clientelari o amicali. In questi giorni il vero miracolo e' l'abnegazione di tutti coloro che si prodigano senza risparmiarsi, a rischio di ammalarsi e rimanere vittime dell'epidemia. Le condizioni in cui operano implicano anche rischi intollerabili: con un numero crescente di malati e mezzi e attrezzature limitati, si potra' creare, se non si e' gia' creata, un'altra eccezionalita', per cui si dovra' scegliere chi curare e chi abbandonare al suo destino. Una selezione che suscita angoscianti ricordi. Si sta raccogliendo quello che si e' seminato. I tagli alla sanita' pubblica li hanno fatti tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni e l'evasione, che non si e' mai combattuta seriamente, ha fatto mancare i fondi per servizi adeguati.
Con la riforma del titolo V della Costituzione la sanita' e' stata spartita tra Stato e regioni, con il proliferare di conflitti, un trattamento differenziato dei pazienti a seconda del luogo di residenza e la moltiplicazione delle sedi decisionali e degli appetiti. La sanita' regionalizzata e' diventata il terreno in cui si sperimentano vecchie e nuove tipologie di malaffare e di corruzione.
In questo contesto la mafia ha giocato in casa, ma lo faceva da tempo. Tra affiliati e capimafia i medici hanno avuto sempre un posto riservato, da Michele Navarra a Giuseppe Guttadauro. E in Sicilia si e' avuto il caso piu' emblematico di sanita' privatizzata. Nella clinica Villa Santa Teresa, a Bagheria, imprenditori, professionisti, mafiosi, politici, un emblematico campionario di borghesia mafiosa, per anni hanno dominato il "mercato sanitario", imponendo una lievitazione dei costi che ha dell'incredibile. Per un tumore alla prostata il costo medio per paziente era di 143.000 euro, soldi che venivano profusi dalla regione in base all'atto di "accreditamento". Con l'amministrazione giudiziaria e' sceso a 8.000 euro. E si e' parlato di "modello Provenzano", con una serie di imprese che erano insieme canali di riciclaggio e presidi di una strategia di occupazione del sistema sanitario. Qual e' la situazione adesso? Capisco che l'emergenza impone la sua agenda, ma dovremmo aver chiaro il quadro in cui ci muoviamo, al di la' di singoli episodi.
Cosa accadrà dopo, quando sara' cessato lo stato d'eccezione? Si tornera' alla "normalita'" o si capira' che bisognerebbe ridefinirla? Normalita' dovrebbe essere la sanita' pubblica capace di rispondere efficacemente alla domanda di salute, come pure la lotta a fondo all'evasione e alla corruzione e, tenendo conto di quello che e' accaduto, normalita' sarebbe anche l'eliminazione del sovraffollamento delle carceri, indegno di un paese civile. I condizionali sono d'obbligo.
E l'Europa? Dopo la dichiarazione imperdonabile di Christine Lagarde (gaffe o "voce dal sen fuggita"?), si sta cercando di far fronte all'emergenza. Ma il problema non e' rafforzare il pronto soccorso, sospendendo, temporaneamente, vincoli paralizzanti, iniettando liquidita', acquistando quote del debito, ma mutare strategia, cioe' promuovere politiche di sviluppo a lungo termine, superando le strettoie imposte dall'ideologia liberista. Ne va della stessa sopravvivenza dell'Unione.
Bisognerebbe sapere che, con una crisi gravissima, senza un piano di investimenti pubblici, rigorosamente controllati, se non sara' ridimensionata anche l'accumulazione illegale, si appesantirebbe la dipendenza dalle mafie delle imprese e di ampi settori della societa'.
4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: SALVINI A CORLEONE
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 24 aprile 2019 con il titolo "Il partigiano Placido Rizzotto, simbolo di due Resistenze che non sono in alternativa"]
"Un derby tra fascisti e comunisti": cosi' Salvini, ministro plenipotenziario del governo in carica, ha definito la Resistenza e ha annunciato che il 25 aprile disertera' le commemorazioni ufficiali e andra' a Corleone, per la sua esibizione antimafia. Qualcuno lo informera' che a Corleone c'e' stato un certo Placido Rizzotto, che ha fatto la Resistenza in Carnia ed e' stata la scuola in cui e' maturata la sua coscienza politica che lo ha portato a organizzare le lotte contadine e a lottare la mafia, pagandone il prezzo. Probabilmente sara' la prima volta che il superministro leghista, che non pare uomo di molte letture, ne sentira' parlare. Ma non e' un'eccezione, ormai pure la scuola ha voltato le spalle alla storia, eliminandola dalle materie per gli esami di maturita', ma di fascismo e Resistenza nelle scuole della Repubblica si e' parlato sempre poco o niente. E sulla base di un'ignoranza strutturale e congenita, c'e' stato un presidente del Consiglio che, sentendo parlare dei fratelli Cervi, anche per lui la prima volta che gli capitava, mostrava il desiderio di incontrare Alcide, il loro papa', che ci aveva lasciati nel lontano 1970. Ora tocca a un altro lumbard che, da tifoso dei social, traduce una storia che non conosce, e non gli interessa conoscere, in una partita di calcio stracittadina.
Viviamo in un periodo storico che, dopo la guerra fredda anticomunista, stravinta dal capitalismo associato, sembrava doversi aprire alla fratellanza universale, alla globalizzazione dei diritti e del benessere. Invece la dittatura del mercato ha portato all'archiviazione del welfare istituzionale, all'acuirsi delle disuguaglianze tra un club di straricchi e una stragrande maggioranza di vecchi e nuovi poveri, alle migrazioni di popoli che fuggono dalle guerre, dalla miseria e dalle catastrofi climatiche, frutti del sistema, e la reazione e' la chiusura dei porti e l'innalzamento dei muri. Ora la nuova geopolitica e' il sovranismo, con il "prima gli italiani!", declinazione nostrana di un egoismo generalizzato, che vede in qualche migliaio di persone a rischio naufragio un assalto ai sacri confini della Patria.
C'e' chi dice che il fascismo e' alle porte, ma voci affidabili avvertono che il fascismo e il nazismo erano un'altra cosa, delle dittature, cioe' la negazione della democrazia. Nel nostro Paese la democrazia formale e' salva, di tanto in tanto si va a votare, ma ci sono gruppi che si autodefiniscono fascisti e a Torre Maura, periferia romana, i camerati di Casa Pound qualche settimana fa gridavano ai Rom: "dovete morire" e calpestavano il pane destinato ai bambini. E' bastato il ragazzo Simone, che sfidava gli squadristi, a presidiare un senso di umanita' cosi' spudoratamente violato? La Costituzione vieta la riorganizzazione, "sotto qualsiasi forma", del disciolto partito fascista, ma ormai la Costituzione e' piu' un testo da stravolgere che da attuare. Certo, al Quirinale non siede un rampollo della dinastia savoiarda, con un imbelle reuccio che spiano' la strada al fascismo e firmo' le leggi razziali. Ma che altro e', se non razzismo, la xenofobia, l'odio e l'avversione per le persone di colore, che dagli spalti degli stadi tracima nella vita quotidiana? E come si spiega il successo di cui gode un personaggio con linguaggio e pose da ducetto in tirocinio? Tutto questo non ha qualcosa da spartire con il clima che genero' il consenso di massa alle resistibili ascese dei dittatori di ieri? La differenza e' che allora, sull'onda della rivoluzione sovietica, si temeva che qualcosa di simile potesse accadere in Italia e in Germania, e le sinistre divise facilitarono il cammino a Mussolini e Hitler, mentre oggi le sinistre, nelle loro varianti, tra un riformismo mutato in trasformismo e una predicazione rivoluzionaria destinata a non avere molto seguito, rischiano l'irrilevanza o la scimmiottatura di canoni delle destre. Ma non puo' essere questa la polizza di assicurazione che ci salvera' da un'involuzione in corso.
La crisi della democrazia, perche' di questo si tratta, al di la' dei rituali, si sposa con una cattiveria disumana che marchia come "buonismo" quel tanto che ci resta di coscienza civile e comunitaria. E' questo il terreno su cui si misura la tenuta di una Resistenza fatta soprattutto di conoscenza e di capacita' di progettare alternative all'epidemia di intolleranza o di indifferenza che rischia di travolgerci. Per uno come Salvini la scelta di andare il 25 aprile a Corleone e' decisamente sbagliata, perche' li' antifascismo e antimafia si incrociano nel nome di un partigiano di due Resistenze. In ogni caso ce' da augurarsi che l'unica traccia che il suo passaggio lascera' sara' il post del suo faccione con un cannolo in bocca.
5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA STORIA CANCELLATA. OVVERO: L'IGNORANZA DEL COSIDDETTO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, LA SMEMORATEZZA DELLA SCUOLA, LE VITTIME DI MAFIA DIMENTICATE
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento del 2018]
Se un presidente del Consiglio, anche se capitato per caso a Palazzo Chigi, confonde l'8 settembre del 1943 con il 25 aprile del 1945, sara' un caso di imperdonabile ignoranza personale, ma probabilmente e' qualcosa di piu'. Giuseppe Conte e' un professore ordinario di diritto, il massimo della carriera accademica, ma evidentemente per la parcellizzazione delle discipline, strada obbligata per la moltiplicazione delle cattedre, non e' tenuto a sapere un po' di storia. Anche perche' nelle scuole italiane si parla molto degli assiro-babilonesi e degli antichi egiziani, ma poco di storia contemporanea, del Novecento, di fascismo, di Resistenza e di tutto quello che ne e' seguito. Ora si e' deciso di abolire il tema di storia dalle prove della maturita' e l'insegnamento di storia sara' ulteriormente ridimensionato, se non cancellato. E' l'ulteriore prova della strategia di espunzione del passato, soprattutto quando e' scomodo e contraddittorio.
La memoria non e' automatica, ci vuole qualcuno, che la tenga viva. Per esempio, nel caso delle vittime di mafia o di terrorismo, possono essere i familiari, puo' essere un'associazione, un comitato, un sindacato, un partito. E a volte neppure questo basta. Il caso di Giovanni Orcel e' esemplare. A suo tempo gli e' stata dedicata la Camera del lavoro di Palermo ma il suo nome non figura nel volume sulla Sicilia della Storia delle regioni d'Italia dell'Einaudi e nelle storie di mafia e antimafia piu' gettonate (Renda, Lupo, Dickie), tolta qualche eccezione (Marino, chi scrive). Solo di recente si e' cercato di ricostruirne l'attivita' e di interrogarsi sul perche' la sua memoria e' stata cancellata. Orcel e' stato un protagonista della vita sindacale e politica a Palermo nel primo ventennio del Novecento. Segretario della Fiom, il sindacato degli operai metallurgici, ha unito attivita' sindacale e impegno politico, ha fondato e diretto giornali, ha avuto contatti a livello non solo nazionale, ha gestito, nel "biennio rosso” (1919-1920), le lotte operaie in citta', fino all'occupazione del Cantiere navale nel settembre del 1920. Tutto questo avveniva in un periodo in cui le condizioni di vita e di lavoro degli operai erano pesantissime, con salari di fame e orari massacranti e il mondo socialista era lacerato da profonde divisioni: riformisti, votati al compromesso, subalterni al padronato, da un lato; "intransigenti", massimalisti, rivoluzionari, protocomunisti, dall'altro.
Orcel aveva capito che bisognava unire citta' e campagne, lotte urbane e contadine, la strategia che avrebbe prospettato Gramsci. Su questa strada e' stato decisivo l'incontro con Nicolo' Alongi, dirigente tra i piu' prestigiosi delle lotte contadine. Stiamo parlando di "dirigenti", ma Alongi non aveva finito le scuole elementari nella sua Prizzi e Orcel, dopo le scuole elementari, non aveva potuto continuare gli studi e aveva cominciato a lavorare in tipografia. Un contadino e un operaio senza studi che diventano organizzatori di grandi lotte operaie e popolari e sono capaci di analizzare la societa' in cui vivono, di progettarne il mutamento. Non avendo potuto frequentare le scuole del Regno, sono andati alla scuola del sindacato, del partito, dell'impegno sociale e politico (oggi basta smanettare sui social). Quel progetto unitario, di cui Alongi e Orcel sono i maggiori protagonisti, viene visto come un grosso pericolo dal padronato e dalla mafia. Alongi viene assassinato il 29 febbraio del 1920, Orcel il 14 ottobre dello stesso anno. I due delitti, come tanti altri che hanno colpito protagonisti del movimento antimafia, sono rimasti impuniti, nonostante che i compagni di militanza abbiano fatto nomi e cognomi di coloro che ritenevano responsabili. E per Orcel, di fronte a una giustizia inerte e collusa, si e' pensato di ricorrere a una forma di giustizia proletaria: il presunto mandante, il capomafia Sisì (Silvestre) Gristina viene assassinato qualche tempo dopo. E' questa la ragione del silenzio su di lui? Penso che ci sia una ragione piu' di fondo: la Sicilia e il Mezzogiorno di quegli anni sono visti come una "grande campagna", ignorando la storia delle lotte urbane, minoritarie ma non minori. In ogni caso l'avvio di una strategia unitaria che collegava lotte operaie e contadine avrebbe dovuto suscitare una maggiore attenzione. Alongi e Orcel muoiono quando e' in atto l'offensiva padronale e mafiosa a cui presto si sarebbero aggiunte le squadre fasciste. Ci si e' sempre chiesto quanto le divisioni interne alla sinistra e tra i partiti democratici abbiano pesato nel favorire l'affermazione del fascismo. Anche oggi ci si chiede se si riuscira' a costruire uno schieramento unitario in grado di battere le destre, che mirano a cambiare il volto, gia' abbastanza sfigurato, del vecchio continente.
Il 14 ottobre 2018, nel 98mo anniversario dell'assassinio di Giovanni Orcel, la Camera del lavoro di Palermo, il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" e il No mafia Memorial hanno organizzato un incontro sul tema: Contadini e operai in lotta contro la mafia. Il ruolo di Nicolo' Alongi e Giovanni Orcel, con un'introduzione di Umberto Santino, presidente del Centro Impastato, interventi di Giovanni Abbagnato, autore del libro Giovanni Orcel. Vita e morte per mafia di un sindacalista siciliano (1887-1920), Enzo Campo, segretario della Camera del lavoro, Francesco Foti, segretario della Fiom di Palermo e Dino Paternostro, responsabile del Dipartimento Legalita' e memoria storica della Cgil di Palermo.
6. MAESTRE. ANNALISA BERTANI: LIBERA CALLEGARI IN VENTURINI
[Dal sito www.biografiesindacali.it]
Libera Callegari in Venturini (1912-2013), partigiana, repubblicana, comunista, rappresentante per la Camera del Lavoro di Milano presso la Commissione per lo studio dell'Ente Regione Lombardia.
Libera Callegari nacque il primo gennaio 1912 a Padova da Paolo e Virginia Bertagnolli. Aveva due sorelle, Giuseppina, detta Pina, e Pasqualina, detta Lina. La sua famiglia di origine era attivamente antifascista e legata al fronte azionista di Ugo La Malfa. Laureata in Chimica all'Universita' di Padova, si trasferi' con i familiari a Milano tra il 1936 e il 1939. Sposatasi nel settembre 1943 con Bruno Venturini, partigiano di Giustizia e Liberta' noto come Bianchini, fu costretta a cambiare di frequente domicilio per sfuggire assieme al marito alle indagini della polizia fascista. Nel 1943 fu arrestata, incinta, assieme alla madre e alla sorella Lina e condannata per "favoreggiamento di partigiani", scontando tre mesi di reclusione nel carcere di San Vittore. Sfollata a Bergamo diede alla luce Anna, la sua unica figlia, il 29 luglio 1944, e trovo' impiego come chimico-analista alla Vieille Montagne e come responsabile della documentazione tecnica e della biblioteca della Montecatini. Il 29 novembre 1944 il marito venne ucciso a Brescia dalla Guardia nazionale repubblicana, ma Libera Callegari apprese la notizia soltanto nel maggio del 1945. Dal 1945 al 1946 fu vice-commissario all'Igiene e Sanita' al Cln lombardo e nel dopoguerra, per la sua attivita' antifascista, le fu riconosciuta la qualifica di partigiana. Dopo la Liberazione prosegui' l'impegno politico all'interno del Partito comunista italiano a cui aveva aderito negli ultimi mesi di occupazione fascista e in particolare si occupo' della Commissione femminile della Federazione di Milano e dell'assistenza alle famiglie bisognose diventando anche vice-commissaria alla Sanita' nel Ministero dell'assistenza post-bellica. Libera si dedico' sempre all'assistenza: dal 1946 sedette nel Consiglio di Amministrazione dell'Ente Comunale di assistenza (Eca), fece parte del Comitato direttivo dell'Opera nazionale maternita' e infanzia (Onmi) e di quello dell'Istituto nazionale confederale di assistenza (Inca); mentre nel 1948 la Camera del Lavoro di Milano la nomino' sua rappresentante presso la Commissione per lo studio dell'Ente Regione Lombardia. Negli stessi anni fece parte dell'Associazione donne vedove e capofamiglia promossa dall'Unione donne italiane (Udi). Lavoro' per alcuni anni alla Montecatini come analista alle miniere di Gorno, ma abbandono' il settore chimico per dedicarsi all'editoria, prima per la rivista "La chimica e l'industria" e successivamente come caporedattore scientifico per prestigiose case editrici quali Feltrinelli, Boringhieri e Einaudi. Mori' a Milano il 28 febbraio 2013.
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Fonti
AdL, Archivio della Camera del Lavoro confederale di Milano (1945-1981); Fondazione Isec, Archivio Pci Federazione milanese, Commissione federale di controllo, Biografie dei militanti, b. 38, fasc. 55, Callegari Libera; Istituto di storia contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino (Iscop), Fondo FV-Venturini; M. Granata, Consigli d'amministrazione della congregazione di carita' di Milano (1862-1937) e dell'ente comunale di assistenza (1937-1978), in "Storia in Lombardia", 1/2002, pp. 149-162.
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Bibliografia
M. Alloisio, G. Gadola Beltrami, Volontarie della liberta', Mazzotta, Milano, 1981; R. Farina (a cura di), Dizionario biografico delle donne lombarde (568-1968), Baldini & Castoldi, Milano, 1995; Venturini Callegari L., Bruno Venturini: umanita' razionalita' e passione politica di un combattente per la liberta', Vangelista, Milano, 1988.
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Sitografia
G. Amendola, Bruno Venturini nell'antifascismo e nella Resistenza, in www.sistemabibliotecariofano.it/fileadmin/grwww.sistemabibliotecariofano.it/fileadmin/grpmnt/5596/1_Not_1974_Amendola_G_Bruno.pdf, consultato il 15/6/2018; Memorie di Marca, Venturini, in http://memoriedimarca.it/index.php/venturini-2, consultato il 20/06/2018.
7. MAESTRE. FIORELLA IMPRENTI: LAURA CASARTELLI
[Dal sito www.biografiesindacali.it]
Laura Casartelli (1883-1932), maestra, giornalista, socialista, Sezione maestri e maestre della Camera del Lavoro di Milano, Commissione esecutiva della Camera del Lavoro di Milano, Gruppo femminile socialista milanese, Perito del Lavoro, Societa' Umanitaria, Comitati Provoto, Associazione per la Donna, Federazione internazionale delle Lavoratrici.
Giornalista e femminista, maestra ed esperta di lavoro femminile, Laura Casartelli nacque in provincia di Sondrio nel 1883 e si avvicino' giovanissima al socialismo assieme al fratello Paride Lillia, avvocato che prestava la propria opera alle societa' operaie delle valli. Trasferitasi a Milano per insegnare, Laura Casartelli collaboro' nel primo decennio del secolo con la Camera del Lavoro, si iscrisse alla Sezione maestre e maestri e fu incaricata come conferenziera e propagandista con l'obbiettivo di aumentare le adesioni delle donne nelle diverse leghe. Si interesso' alle inchieste della Societa' Umanitaria e si iscrisse nel 1908 alla Scuola pratica di legislazione sociale organizzata dall'Ufficio del Lavoro dell'Umanitaria, diplomandosi tra i migliori del corso e ottenendo il titolo di perito del lavoro. Il primo incarico che svolse in tale veste fu l'indagine condotta insieme all'ispettrice nazionale del lavoro Santa Volonteri per raccogliere i dati utili alla Societa' Umanitaria per la pubblicazione di un saggio sul lavoro a domicilio a Milano, firmato da Alessandro Schiavi e pubblicato nel 1908.
Convinta che la scarsa adesione delle donne alle istituzioni del movimento operaio dipendesse da ragioni organizzative ed economiche, in un sistema in gran parte egemonizzato dagli uomini, nel 1908 scrisse per il quotidiano "Il Tempo" una lunga requisitoria rivolta contro tutte le Camere del lavoro d'Italia, le Federazioni di mestiere e la Confederazione generale del lavoro accusate di interessarsi solo formalmente allo "scabroso e difficile problema dell'organizzazione femminile". Secondo la Casartelli alle dichiarazioni di principio non si accompagnava un reale impegno per l'organizzazione femminile e su questo chiamava in causa in particolare la Fiot, la Federazione dei tessili, per la quale aveva appena concluso un giro di conferenze in tutto il Nord d'Italia, sottolineando la gravita' di questo atteggiamento in una categoria composta quasi interamente da lavoratrici. La polemica tra Laura Casartelli, spalleggiata dal gruppo femminile socialista milanese, e la Fiot continuo' negli anni successivi. Nel 1910 attacco' la Federazione che aveva scelto di lasciare vacante una nomina al Consiglio superiore del lavoro, dovendo esprimere un nome femminile e non trovandone di adeguati: "La Federazione non ha sentito tutto lo schiaffo morale - scriveva Casartelli - che da' a quelle donne che sono sempre state con la Federazione fin dall'inizio dell'organizzazione e che non mancano mai - e io ne ho viste parecchie - ai loro comizi e assemblee?". Lo strappo tra la Fiot e la Casartelli si ricuci' nel 1913, all'inizio del nuovo corso dell'organizzazione che ripensava la propria struttura in modo da facilitare i contatti con la base e da rappresentarne le reali esigenze e aspettative. Casartelli venne quindi incaricata di un viaggio di propaganda nel salernitano, a Ponte Fratte, Nocera Inferiore, Penta e Acquamela.
In quegli anni Laura Casartelli aveva assunto un ruolo di rilievo nel socialismo riformista come esperta del lavoro femminile. Nel 1909 era stata nominata dal Consiglio comunale di Milano nel consiglio di amministrazione dell'Opera Pia Cucine Economiche. Nel 1910 e nel 1911 fu poi eletta nella Commissione esecutiva della Camera del Lavoro.
Legata sentimentalmente al socialista Angiolo Cabrini, si trasferi' a Roma dove si avvicino' agli ambienti femministi dell'Associazione per la donna, essendo stata attiva fin dalle origini nei Comitati Pro voto. A Roma continuo' negli anni la sua attivita' giornalistica, sempre piu' volta a ragionare sul nesso tra lavoro e piena cittadinanza, civile e politica, per le donne. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1919, Casartelli partecipo' come delegata tecnica del Governo Italiano alla Conferenza Internazionale del Lavoro di Washington, che riuniva i delegati di 41 paesi, tra cui 23 donne. Questo Congresso faceva parte del processo di formazione dell'ILO, International Labour Organization, uno dei piu' importanti organismi internazionali, oltre alla Societa' delle Nazioni, scaturiti dalla Conferenza di pace. Le 23 delegate del Congresso, lamentando di essere state delegate dai governi con un ruolo da consigliere o osservatrici tecniche, quindi per lo piu' senza diritto di voto, decisero di organizzare contemporaneamente, sempre a Washington, insieme a un folto gruppo di esponenti del movimento sindacale femminile americano ed europeo, un evento parallelo, che prese corpo nel primo Congresso Internazionale del Lavoro femminile da cui scaturi' un Comitato Internazionale delle Donne Lavoratrici, del cui Ufficio di corrispondenza in Italia venne nominata responsabile Laura Casartelli (mentre Angiolo Cabrini diventava direttore dell'ufficio italiano dell'ILO). Il Comitato internazionale delle Donne Lavoratrici, poi Federazione internazionale delle lavoratrici, tenne il suo secondo congresso a Ginevra nell'ottobre 1921 e nuovamente Casartelli fu tra le delegate.
Forte della sua lunga esperienza sul tema, tra il 1920 e il 1925 Laura Casartelli firmo' la Rassegna del Movimento femminile italiano all'interno dell'Almanacco della Donna Italiana edito da Bemporad dal 1920. Il suo nome fu cancellato dalle collaboratrici dopo un articolo del 1925 in cui Laura Casartelli, nel bel mezzo della crisi Matteotti, accuso' il governo fascista di aver totalmente disatteso le promesse fatte al movimento femminile. Uscita dalla scena pubblica e senza piu' spazi di espressione delle proprie idee, Laura Casartelli mori' a Roma nel 1932 a soli 49 anni.
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Bibliografia
R. Farina (a cura di), Dizionario biografico delle donne lombarde (568-1968), Baldini & Castoldi, Milano, 1995; F. Imprenti, Le leghe femminili e il movimento operaio tra diffidenza e inclusione. Il caso della Federazione tessile, in L. Guidi, M.R. Pellizzari (a cura di), Nuove frontiere per la storia di genere, Salerno, Edizioni Universita' degli studi di Salerno, 2013; F. Imprenti, Operaie e socialismo. Milano, le leghe femminili, la Camera del Lavoro (1891-1918), Milano, Franco Angeli, 2007; S. Franchini, S. Soldani (a cura di), Donne e giornalismo. Percorsi e presenze per una storia di genere, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 355-357; D. Rossini, Donne e propaganda internazionale. Percorsi femminili tra Italia e Stati Uniti nell'eta' della Grande Guerra, Franco Angeli, 2015, pp. 143-144.
8. MAESTRE. ALICE ROMANO: ANNA CATASTA
[Dal sito www.biografiesindacali.it]
Anna Catasta (1952).
Anna Catasta nacque a Genova il 6 maggio 1952, ma si trasferi' giovanissima a Milano, dove si diplomo' al Berchet e laureo' in Lettere Moderne all'Universita' statale.
Aderi' ai movimenti studenteschi di inizio anni Settanta. Impiegata presso l'azienda Argon Service fu distaccata nel 1975 e nominata responsabile per la Cgil del Consiglio unitario di zona a San Siro.
Nel 1981 fu la seconda donna, vent'anni dopo Stella Vecchio, ad entrare nella Segreteria della Camera del Lavoro di Milano, carica che ricopri' fino al 1989. In quegli anni porto' avanti importanti trattative con il Comune di Milano per garantire alla cittadinanza l'accesso ai servizi e tariffe congrue per i mezzi pubblici e gli asili nido.
Fin dalle origini dell'attivita' sindacale si attivo' per ipotizzare nuove forme di aggregazione e garantire protagonismo alle donne nel sindacato. Fu componente attiva del Coordinamento donne unitario e partecipo' alla fondazione della rivista "Pari e Dispari".
Nella sua lunga carriera politica fu Consigliera di parita'.
Nel 1989, lasciata la Camera del Lavoro di Milano, fu eletta al Parlamento Europeo e prese parte all'intergruppo sindacale presieduto da Pierre Carniti, alla Commissione affari sociali e alla Commissione per i diritti delle donne.
Nel 1994 fondo' l'associazione Centro di iniziativa europea (Cdie) che si occupa di attivita' di consulenza sulle politiche europee, accesso a bandi e finanziamenti, societa' per cui lavora a tutt'oggi. Prosegue il suo impegno politico e sociale ed e' componente della Direzione regionale del Partito democratico.
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Fonti
AdL, Archivio della Camera del Lavoro confederale di Milano (1945-1981); Intervista rilasciata all'autrice, marzo 2018.
9. MAESTRE. ROBERTA CAIROLI: FRANCESCA CICERI DETTA VERA
[Dal sito www.biografiesindacali.it]
Francesca Ciceri detta Vera (1940 - 1988), comunista, partigiana, Commissione femminile della Camera del Lavoro di Milano, medaglia d'oro per la Resistenza.
Nacque a Rancio di Lecco (Como) il 23 agosto 1904 da Vincenzo e da Savina Selvini, entrambi operai. Per contribuire al magro bilancio famigliare, entro' a soli dieci anni in una fabbrica metallurgica. Nel primo dopoguerra, s'iscrisse al sindacato di fabbrica e partecipo' alle lotte operaie che segnarono il "biennio rosso", che ricordava cosi': "Dopo i grandi scioperi del '19, nel '20 ci sono state le occupazioni delle fabbriche. Anche la mia fu occupata. Eravamo tutti dentro, uomini e donne, lavoravamo e mandavamo avanti la produzione. Noi volevamo fermarci anche alla notte e fare la guardia, ma i compagni non volevano donne" (Alasia, 1976).
Nel 1924 raggiunse a Parigi Gaetano Invernizzi, "Nino", sindacalista e militante comunista, emigrato clandestinamente nel 1922. I due si sposarono nel 1925, uniti da allora in poi nella vita privata e nella militanza politica. Fino al 1929, anno in cui si iscrisse al Partito comunista d'Italia, fu particolarmente attiva nell'organizzazione e nella direzione dei Gruppi femminili delle donne italiane sia a Parigi che a Lione, dove assieme al marito, faceva parte del Comitato Regionale dei gruppi di lingua italiana del Partito comunista francese (Pcf). Nel 1931, venne inviata dal partito in Italia a svolgere attivita' antifascista fra le operaie tessili e a dirigere la lotta delle mondine: "Distribuivamo dei volantini, davamo consigli sul come condurre la lotta. Nelle mani delle risaiole quei manifestini che parlavano chiaro contro il fascismo, contro i padroni, acquistavano un valore, una forza che le sosteneva nelle lotte. Anch'io che ero una donna diventavo importante, diventava una forza ogni parola che dicevo" (Alasia, 1976).
Nel 1932, i coniugi Invernizzi vennero inviati alla scuola leninista di Mosca, dove rimasero due anni. Rientrati clandestinamente in Italia, furono arrestati il 13 giugno 1936 a Milano, rinchiusi nel carcere di San Vittore e processati nel maggio del 1937 davanti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Francesca Ciceri venne condannata a otto anni da scontare nel carcere femminile di Perugia, dove, intanto, si era costituito un collettivo di compagne che assieme studiavano e discutevano. Uscira' nel 1941, in precarie condizioni di salute, dimagrita di 20 chili. Con la caduta del fascismo riprese la sua attivita' politica in seno al Partito comunista. All'indomani dell'8 settembre 1943, "Vera" (il suo nome di battaglia) e il marito raggiunsero i Piani d'Erna, dando vita a una delle prime formazioni partigiane, di cui Invernizzi divenne commissario politico. In seguito al rastrellamento operato dai nazisti nell'ottobre del 1943, rientro' a Milano a disposizione del partito per il quale ristabili' la rete dei collegamenti per l'organizzazione dei Gruppi di difesa della donna iniziando dalla Magneti Marelli di Crescenzago.
"Io ricordo con commozione come l'organizzazione richiedesse di saggiare all'interno delle famiglie di provata fede antifascista, il temperamento e il coraggio delle ragazze, assai spesso fra i 17 e i 20 anni. Ricordo Norina Brambilla e Isa De Ponti, che ho scelto perche' fossero loro affidate importanti azioni; portare bombe ad un appuntamento, portare armi, portare munizioni. Credo di aver sempre caldeggiato il fatto che l'uguaglianza della donna si dimostrava combattendo i nazifascisti alla pari degli uomini, senza indulgere ai sentimenti, alla paura, al dolore, allo sforzo fisico" (Cairoli, 2005).
Dopo la Liberazione, continuo' l'attivita' politica e sindacale come dirigente della federazione femminile del Pci e, dalla fine del 1945, come componente della Commissione femminile consultiva della Camera del Lavoro di Milano, organismo che diresse fino al 1948. Nel 1959, ormai vedova, si ristabili' a Lecco e per vent'anni fu parte del Comitato federale del Pci locale. Negli ultimi anni della sua vita ricopri' la carica di presidente dell'Anpi di Lecco, associazione di cui fu anche consigliera nazionale. Nel 1977, l'amministrazione comunale le conferi' la medaglia d’oro per la Resistenza. Mori' a Lecco nel 1988.
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Fonti
ACS, CPC, b. 1335, ad nomen; Fondazione Isec, Fondo Ciceri Invernizzi, b. 6, fasc. 1; Fondazione Isec, Archivio Pci Federazione milanese, Commissione federale di controllo, Biografie dei militanti, b. 40, fasc. 65, Francesca Ciceri Invernizzi.
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Bibliografia
AA. VV, Aula IV. Tutti processi del Tribunale Speciale fascista, a cura dell'Anppia, Roma, 1961; AA. VV, Mille volte no, Roma, 1965; P. Secchia (a cura di), Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, La Pietra, Milano, 1968; F. Alasia, Gaetano Invernizzi dirigente operaio, Vangelista, Milano, 1976; M. Alloisio, G. Beltrami Gadola, Volontarie della liberta', Mazzotta, Milano, 1981; L. Mariani, Quelle dell'idea. Storie di detenute politiche 1927-1948, De Donato, Bari, 1982; P. Gabrielli, Fenicotteri in volo. Donne comuniste nel ventennio fascista, Carocci, Roma, 1999; Ead., Col freddo nel cuore. Uomini e donne nell'emigrazione antifascista, Donzelli, Roma, 2004; R. Cairoli, Nessuno mi ha fermata. Antifascismo e Resistenza nell'esperienza delle donne del Comasco 1922-1945, NodoLibri, Como, 2005.
10. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Claude Levi-Strauss, Antropologia strutturale due, Il Saggiatore, Milano 19978, 2018, pp. 408.
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4055 del 26 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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