[Nonviolenza] Telegrammi. 3918



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3918 del 9 novembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Ricordando Aldo Natoli e Luciano Gallino
2. Il generale ai suoi prodi
3. Dizionario di filosofia Treccani: Filosofie del femminismo
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. MAESTRI E COMPAGNI. RICORDANDO ALDO NATOLI E LUCIANO GALLINO

Ricorre quest'oggi, 8 novembre 2020, il decimo anniversario della scomparsa di Aldo Natoli ed il quinto anniversario della scomparsa di Luciano Gallino, che entrambi annoveriamo tra i nostri maestri.
Alla scuola delle loro scelte, all'ascolto delle loro esperienze e riflessioni, leggendone le opere di studiosi e militanti, abbiamo appreso e confermato verita' necessarie, preso decisioni impegnative ed irrevocabili, siamo entrati e restati anche noi nella lotta contro tutte le oppressioni, contro tutte le ingiustizie, in difesa dell'eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani, per contrastare la barbarie dei poteri dominanti e costruire una societa' libera, giusta e solidale in cui da ciascuna persona sia dato secondo le sue capacita' ed a ciascuna persona sia dato secondo i suoi bisogni.
La nonviolenza in cammino si nutre di molte radici, conosce molte compagne e molti compagni, s'invera in molteplici vicende di resistenza all'inumano, convoca a riconoscere e contrastare la violenza, a recare soccorso a chi soffre, a costruire la liberazione comune, a condividere il bene ed i beni.
Tra i molti maestri e compagni alla cui sequela ci siamo posti anche Aldo Natoli e Luciano Gallino ricordiamo, con gratitudine che non si estingue.
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Un ritratto di Aldo Natoli scritto da Rossana Rossanda (2003)
Su Aldo Natoli riproponiamo ancora una volta il seguente profilo scritto da Rossana Rossanda e pubblicato sul quotidiano "Il manifesto" del 20 settembre 2003 in occasione del suo novantesimo compleanno.
Rossana Rossanda: Un amico
Aldo Natoli e' un bellissimo uomo che compie oggi novanta anni. Asciutto, scattante, elegante - mi si permetta di cominciare in questo modo poco canonico.
Lo conobbi verso la meta' degli anni cinquanta, e mi colpi' quanto poco somigliasse al comunista popolano anzi plebeo cantato da Pasolini e che i "romani" opponevano con ironia a noi milanesi cultori del poco pittoresco proletariato di fabbrica.
Aldo Natoli non era certo un'anima semplice, e aveva un passato favoloso: era stato un cospiratore antifascista, condannato da uno degli ultimi processi del regime, aveva fatto la Resistenza e poi, primo segretario della federazione, aveva costruito il partito comunista a Roma. Dal Campidoglio aveva lanciato con "L'Espresso" la campagna "Capitale corrotta, nazione infetta", era deputato, era medico, sapeva di letteratura francese quasi quanto il fratello Glauco, e tutto di storia e politica del Novecento. E sempre senza scomporsi parlava al microfono d'una piazza, della Camera, in borgata o si appartava a leggersi i lirici tedeschi. Insomma un compagno importante, non molto piu' grande ma quanto bastava per impormi rispetto.
Lo trovavo al comitato centrale, dove arrivavo assai dopo di lui e alla Camera e a "Rinascita" - nel breve periodo in cui Togliatti la cambio'. Ci riconoscevamo presto come coloro fra i compagni cui la fine degli anni cinquanta poneva molti interrogativi. Non quelli sull'Urss, che ci avevano angosciato nel 1956 e avrebbero indotto Natoli a lavorare sullo stalinismo; ma una domanda sul Pci davanti alla prima grande modernizzazione del paese, che ne cambiava lo scenario sociale. Un giorno che ero calata da Milano per non so quale riunione, mi invita a colazione come niente fosse in via Veneto (il poverismo del 1968 non era ancora di moda, si era poveri davvero) e al momento di pagare scopri' di non avere il portafoglio. Un gentiluomo assai confuso e io deliziata della sua confusione, da quel momento diventammo amici.
Assieme o da vicino e da lontano, formavamo con altri quella sinistra ingraiana, che Ingrao non si sogno' mai di organizzare - e non si organizzo' mai come frazione; erano comuni le domande, i dubbi, il confronto delle diverse esperienze -, l'Italia cambiava, l'economia era partita nel boom, mutavano le soggettivita' operaie, specie degli immigrati dal sud al nord, mutavano i costumi e i valori privati. L'estate del 1960 vide i ragazzi in maglietta a striscie scendere in strada a Genova e, assieme ai portuali, cacciare i fascisti del Msi. La Cgil, dove aveva preso un grande ruolo Trentin alla testa della Fiom, cresceva. Alle elezioni del maggio 1963 il Pci fece un balzo in avanti, la Democrazia cristiana prese un colpo solenne e Aldo Moro pianse a San Pellegrino. Insomma andavamo forte, ma andavamo giusto?
Con Aldo si compartiva un dubbio di fondo: il gruppo dirigente era persuaso che il capitale fosse incapace di fare il suo mestiere e che l'apertura della Dc ai socialisti avrebbe trascinato anche noi al governo. Noi dubitavamo e degli effetti della modernizzazione capitalista e del centrosinistra.
Io ero ormai a Roma, responsabile degli intellettuali a Botteghe Oscure dove demolivo coscienziosamente le commissioni dei pittori, cinematografari, scrittori, scienziati comunisti che venivano a prendere la linea, convinta che su questi terreni il Pci non dovesse metter becco, occupandosi invece sul serio degli apparati ideologici dello stato, impostando una ricerca non "marxista leninista" o "nazional popolare" ma marxista, cosa poco praticata e anzi sospetta.
Natoli lo incontravo nel Comitato centrale, dove avanzavamo le prime sortite - il mondo si muoveva, l'Algeria si liberava, cominciava l'agitazione nei campus americani sui diritti civili, contro la guerra al Vietnam. Della quale Natoli si occupava specialmente e con cui tesse' rapporti che durarono a lungo. Non ci persuadeva la pacifica coesistenza mentre gli Usa compivano l'escalation militare. E si era aperta la falla tra Urss e Cina.
Molti di noi volevano andare a fondo in quello spaccarsi della terra e delle idee. E neppure ci rendemmo conto quanto fastidio dessimo. Con la morte di Togliatti si era aperta la successione, era una battaglia di linea fra Amendola e Ingrao. Nel 1966 all'XI congresso Berlinguer si alleo' ad Amendola e si passo' allo sterminio degli ingraiani. Io ero gia' stata liquidata nel 1965, e non pianse nessuno. Natoli restava un outsider a Roma, mentre Pintor, Magri, Castellina furono tutti emarginati.
Col risultato che - esplosione del 1968 e invasione della Cecoslovacchia aiutando - quello che sarebbe stato "Il manifesto" dette battaglia da tutte le parti: esprimevamo inquietudini e bisogni comuni. Al XII congresso nel 1969 arrivammo solo in tre con diritto di parola, Natoli, Pintor ed io, e solo io con diritto di voto: il meccanismo delle recinzioni era perfetto. Parlammo per tre mattine di fila, ascoltati da una immensa sala che si riempiva presto per assistere al torneo, giornalisti inclusi - i comunisti adoravano il dissenso di sinistra purche' alla fine rientrasse.
Natoli, Pintor ed io fummo riproposti al comitato centrale. Ma non avemmo piu' nessun incarico - ammessi ma all'indice. Cosi' nacque l'idea di dare alle nostre idee una continuita', un laboratorio - una rivista.
Aldo Natoli, Lucio Magri, Luigi Pintor, Luciana Castellina, Ninetta Zandegiacomi, Valentino Parlato ed io pensammo che stavamo sfidando il partito e imponendo un dibattito. Il dibattito dilago' ma, in capo a tre comitati centrali, il Pci ci mise fuori. Proprio ad Aldo, Paolo Bufalini doveva dire che i sovietici avevano messo in riscossione la cambiale - che forse Berlinguer aveva simbolicamente firmato riproponendoci in comitato centrale dopo i forti attacchi all'Urss. Nella seduta del Comitato centrale del 24 novembre 1969 ci tenevamo vicini, Natoli, Pintor ed io, quando si aprirono le porte, sempre sbarrate, ai fotografi perche' fotografassero liberamente i reietti. Fu Aldo a fare la dichiarazione finale e non gli perdonarono di avere detto, con l'abituale nettezza, che si poteva essere comunisti senza la tessera del Pci.
Aldo scrisse sul "Manifesto" mensile fin dal primo numero - discutevamo assieme tutto piu' volte alla settimana. A lui interessava naturalmente di batter la linea di Amendola e la voglia di entrare al governo, ma il suo lavoro piu' profondo era sul Vietnam e la controversia fra Urss e Cina, che investiva la natura stessa d'una transizione e l'idea del socialismo.
Sul "Manifesto" la rivoluzione culturale cinese fu approfondita con documenti e analisi come in nessun'altra parte d'Europa, con l'aiuto di Lisa Foa e Maria Regis.
Ma Aldo fu anche d'accordo con l'avventura del quotidiano proposta da Luigi Pintor, se pur la famosa grafica di Trevisani non lo entusiasmo'. Lo irritava supremamente il dover attenersi non alla dimensione del ragionamento ma a quella della messa in pagina. Ma lavorammo felici, Lisa Foa, lui ed io ed un solo giornalista vero, Luca Trevisani. Eravamo tutto il giorno in via Tomacelli a pesare fra le avare agenzie, e a commentare il mondo, come allora nessun giornale faceva e da noi imparo' a fare. Solo che Aldo non si divertiva affatto nel casino che imperversava in un quotidiano povero, militante, pieno di ragazzi che aborrivano ogni disciplina e piu' inclini allo slogan che alla riflessione, e che in piu' si doveva fare e chiudere in fretta. Eternamente un semilavorato, non c'era mai tempo di discutere a fondo qualcosa. Ma questa era una questione di metodo, che bruciava alla sua cultura esigente.
Piu' grave fu il suo dissenso sul fare del "Manifesto", che era ormai una societa' diffusa, un vero e proprio partito. Tutta l'ondata del sessantotto tendeva a coagularsi in gruppi, che ci annusavano, diffidando peraltro di noi ex comunisti, quindi sospetti di non farla facile e di eccessi di prudenza. Natoli preferiva un lavorio alla base che una organizzazione verticalizzata e il confronto con gruppi leaderisti e tendenti all'estremismo. Ma anche la maggior parte di quella che stava diventando la nostra base premeva per darsi una organizzazione, un nome, un peso nelle citta' dove operava, non le bastava leggere e diffondere "Il manifesto", premeva per una accelerazione.
Su questo la pensavamo diversamente e la divisione avvenne sulle elezioni del 1972: essere presenti o no? Assenti, dicemmo Natoli ed io. Presenti, dissero Pintor e Parlato e quasi tutto il "Manifesto" periferico. Presenti disse, dopo una esitazione, Magri che dirigeva la rete centrale e periferica. La gente accorse in grandiosi comizi, ci applaudi' e voto' per il Pci, scatto' il voto utile. Disperdemmo un milione di suffragi. Natoli si dimise dal gruppo dirigente.
Continuo' a scrivere sul giornale, ma allora fini' la storia comune con "Il manifesto", che avrebbe conosciuto altre separazioni, speranze e delusioni.
Aldo continuo' a lavorare con alcuni circoli di Roma, e si deve anche a lui se furono a lungo attivi e riflessivi.
Ma in lui si faceva sempre piu' forte il bisogno di interrogarsi sulla storia del movimento comunista - e a questo si dedica da allora, spesso in collaborazione con l'Universita' di Urbino.
Negli archivi dell'Istituto Gramsci avrebbe incontrato il carteggio di Gramsci con Tatiana Schucht, sul quale nessuno s'era ancora soffermato. Gramsci fra partito in carcere e partito a Mosca, Gramsci e la sua famiglia, una storia straziante e decisiva per capire molte cose. Natoli fu il primo a inoltrarvisi, con scrupolo da filologo e intelligenza di mezzo secolo di milizia comunista. Non fu accolto con grande entusiasmo ne' dall'Istituto Gramsci ne' dagli storici di professione, che non amano le incursioni dei non addetti ai lavori. E' una ricerca che continua.
C'e' un carattere "natoliano", qualcosa di indelebilmente suo? Si', c'e'. E' il rigore nel metodo, la capacita' di guardare ai processi in tempi lunghi, la diffidenza dallo scommettere sul breve termine. Sulla sua linea "Il manifesto" si sarebbe radicato di piu' nella societa', sarebbe riuscito a impedire la deriva che oggi sta portando alla fine di quella che era stata la piu' forte sinistra d'Europa? Non saprei affermarlo. Forse era tardi, le culture della sinistra erano spezzate e non componibili. Forse si soffoca nei tempi lunghi come nella stretta dei tempi brevi.
Tutte le domande che ci facemmo nella seconda meta' del secolo sono aperte. Non hanno vinto le idee in cui credevamo, e vediamo i piu' andarsene come pecore matte verso un futuro crudele pensando che eravamo noi a esser pazzi.
Pazzi? Non credo. Et s'il etait a' refaire, je referais ce chemin, ebbe a scrivere Eluard. Si', se fosse da rifare, Aldo Natoli rifarebbe questa strada. Non c'e' neppur bisogno di augurargli di essere ancora a lungo quel che e'. La storia non e' finita e gli uomini come lui hanno piantato dei semi che germineranno.
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Una ricordo di Luciano Gallino scritto da Marco Revelli (2015)
Su Luciano Gallino riproponiamo il seguente ricordo scritto da Marco Revelli ed apparso sul quotidiano "Il manifesto" l'11 novembre 2015.
Marco Revelli: Luciano Gallino, intellettuale di fabbrica
Luciano Gallino ha scritto fino all'ultimo, fino a pochi giorni fa, quando le forze sono venute meno.
Perche' sentiva l'importanza – forse anche l'angoscia – di cio' che aveva da dire. E cioe' che il mondo non e' "come ce lo raccontano". Che il meccanismo che le oligarchie finanziarie e politiche dominanti stanno costruendo e difendendo con ogni mezzo – quello che in un suo celebre libro ha definito il Finanz-capitalismo – e' una follia, "insostenibile" dal punto di vista economico e da quello sociale. Che l'Europa stessa – l'Unione Europea, con la sua architettura arrogantemente imposta – e' segnata da un'insostenibilita' strutturale. E che il dovere di chi sa e vede – e lui sapeva e vedeva, per il culto dei dati e dell'analisi dei fatti e dei numeri che l'ha sempre caratterizzato -, e' di dirlo. A tutti, ma in particolare ai giovani. A quelli che di quella rovina pagheranno il prezzo piu' amaro.
Non per niente il suo ultimo volume (Il denaro, il debito e la doppia crisi) e' dedicato "ai nostri nipoti". E reca come exergo una frase di Rosa Luxemburg: "Dire cio' che e' rimane l'atto piu' rivoluzionario".
Eppure Gallino non era stato, nella sua lunga vita di studio e di impegno, un rivoluzionario. E neppure quello che gramscianamente si potrebbe definire un "intellettuale organico".
La sua formazione primaria era avvenuta in quella Camelot moderna che era l'Ivrea di Adriano Olivetti, all'insegna di un "umanesimo industriale" che ovunque avrebbe costituito un ossimoro tranne che li', dove in una finestra temporale eccezionale dovuta agli enormi vantaggi competitivi di quel prodotto e di quel modello produttivo, fu possibile sperimentare una sorta di "fordismo smart", intelligente e comunitario, in cui si provo' a coniugare industria e cultura, produzione e arte, con l'obiettivo, neppur tanto utopico, di suturare la frattura tra persona e lavoro. E in cui poteva capitare che il capo del personale fosse il Paolo Volponi che poi scrivera' Le mosche del capitale, e che alla pubblicita' lavorasse uno come Franco Fortini, mentre a pensare la "citta' dell'uomo" c'erano uomini come Gallino, appunto, e Pizzorno, Rozzi, Novara... il fior fiore di una sociologia critica e di una psicologia del lavoro dal volto umano.
Intellettuale di fabbrica, dunque. E poi grande sociologo, uno dei "padri" della nostra sociologia, a cui si deve, fra l'altro, il fondamentale Dizionario di sociologia Utet. Straordinario studioso della societa' italiana, nella sua parabola dall'esplosione industrialista fino al declino attuale. E infine intellettuale impegnato – potremmo dire "intellettuale militante" – quando il degrado dei tempi l'ha costretto a un ruolo piu' diretto, e piu' esposto.
Gallino in realta', negli ultimi decenni, ci ha camminato costantemente accanto, anzi davanti, anticipando di volta in volta, con i suoi libri, quello che poi avremmo dovuto constatare. E' lui che ci ha ricordato, alla fine degli anni '90, quando ancora frizzavano nell'aria le bollicine della Milano da bere, il dramma della disoccupazione con Se tre milioni vi sembran pochi, segnalandolo come la vera emergenza nazionale; e poco dopo, nel 2003 – cinque anni prima dell'esplodere della crisi! – ci ha aperto gli occhi sulla dissoluzione del nostro tessuto produttivo, con La scomparsa dell'Italia industriale, quando ancora si celebravano le magnifiche sorti e progressive della new economy e del "piccolo e' bello".
E' toccato ancora a lui, con un libro folgorante, ammonirci che Il lavoro non e' una merce, per il semplice fatto che non e' separabile dal corpo e dalla vita degli uomini e delle donne che lavorano, proprio mentre tra gli ex cultori delle teorie marxiane dell'alienazione si faceva a gara per mettere a punto quelle riforme del mercato del lavoro che poi sarebbero sboccate nell'orrore del Jobs act, vero e proprio trionfo della mercificazione del lavoro.
Poi, la grande trilogia – Con i soldi degli altri, Finanzcapitalismo, Il colpo di Stato di banche e governi -, in cui Gallino ci ha spiegato, praticamente in tempo reale, con la sua argomentazione razionale e lineare, le ragioni e le dimensioni della crisi attuale: la doppia voragine della crisi economica e della crisi ecologica che affondano entrambi le radici nella smisurata dilatazione della ricchezza finanziaria da parte di banche e di privati, al di fuori di ogni limite o controllo, senza riguardo per le condizioni del lavoro, anzi "a prescindere" dal lavoro: produzione di denaro per mezzo di denaro, incuranti del paradosso che l'esigenza di crescita illimitata dei consumi da parte di questo capitalismo predatorio urta contro la riduzione del potere d'acquisto delle masse lavoratrici, mentre la spogliazione del pianeta da parte di una massa di capitale alla perenne ricerca d'impiego distrugge l'ambiente e le condizioni stesse della sopravvivenza.
E intanto, nelle stanze del potere, si mettono a punto "terapie" che sono veleno per le societa' malate, cancellando anche la traccia di quelle ricette che permisero l'uscita dalla Grande crisi del '29.
E' per questo che l'ultimo Gallino, quello del suo libro piu' recente, aggiunge ai caratteri piu' noti della crisi, anche un altro aspetto, persino piu' profondo, e "finale".
Rivolgendosi ai nipoti, accennando alla storia che vorrebbe "provare a raccontarvi", parla di una sconfitta, personale e collettiva. Una sconfitta – cosi' scrive – "politica, sociale, morale". E aggiunge, poco oltre, che la misura di quella sconfitta sta nella scomparsa di due "idee" – e relative "pratiche" – che "ritenevamo fondamentali: l'idea di uguaglianza e quella di pensiero critico".
Con un'ultima parola, in piu'. Imprevista: "Stupidita'". La denuncia della "vittoria della stupidita'" – scrive proprio cosi' – delle attuali classi dominanti.
Credo che sia questo scenario di estrema inquietudine scientifica e umana, il fattore nuovo che ha spinto Luciano Gallino a quella forma di militanza intellettuale (e anche politica) che ha segnato i suoi ultimi anni.
Lo ricordiamo come il piu' autorevole dei "garanti" della lista L'Altra Europa con Tsipras, presente agli appuntamenti piu' importanti, sempre rigoroso e insieme intransigente, darci lezione di fermezza e combattivita'. E ancora a luglio, e poi a settembre, continuammo a discutere – e lui a scrivere un testo – per un seminario, da tenere in autunno, o in inverno, sull'Europa e le sue contraddizioni, per dare battaglia. E non arrendersi a un esistente insostenibile...
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Anche nel ricordo di Aldo Natoli e di Luciano Gallino continuiamo nell'impegno nonviolento in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani.
Anche nel ricordo di Aldo Natoli e di Luciano Gallino continuiamo nell'impegno nonviolento in difesa dell'intero mondo vivente, casa comune dell'umanita'.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi.
Alla barbarie onnidistruttiva dei poteri dominanti opponiamo la lotta nonviolenta liberatrice.
Salvare le vite e' il primo dovere.

2. SCORCIATOIE. IL GENERALE AI SUOI PRODI

Signori
vi abbiamo vestito di stoffe e di ferro
vi abbiamo messo in mano l'arnese che morte dispensa
vi abbiamo schierato come birilli
fate il dovere vostro

Signori
voi siete soldati e soldati significa avere accettato
il soldo con cui abbiamo comprato
il vostro uccidere e il vostro morire
fate il vostro dovere
uccidete e morite

Signori
sul campo di battaglia
sul campo dell'onore
fate che possano corvi e avvoltoi
a sera banchettare delle vostre carni

Signori
cosa c'e' di piu' stupido che ammazzarsi
cosa c'e' di piu' scellerato che ammazzarsi
cosa c'e' di piu' infame che ammazzarsi
cosa c'e' di piu' superumano che ammazzarsi
dimostrate che nulla e' impossibile
date prova del vostro valore

Signori
per il re per la patria per dio
fate a pezzi quei porci e quei cani
che non credano di essere anch'essi
come noi veri esseri umani

Signori
il primo che uccide un nemico
il vostro generale gli regala
un sigaro e un terno da giocare al lotto

Signori
chi mi centra cinque teste va in licenza
nel paese del sole e del mare

Signori
e' una bella giornata il cielo e' sereno
tutto e' pronto per la mattanza
approfittiamo della luce del giorno
cominci continui la danza

3. REPETITA IUVANT. DIZIONARIO DI FILOSOFIA TRECCANI: FILOSOFIE DEL FEMMINISMO
[Ripresa dal sito www.treccani.it riproponiamo la voce "Femminismo" apparsa nel Dizionario di filosofia del 2009]

Per filosofie del femminismo si intende la pluralita' di teorizzazioni e pratiche che vanno dalle prime formulazioni del prefemminismo, agli studi sulla costruzione del genere, al pensiero della differenza sessuale, sino alle elaborazioni piu' recenti, quali l'Anglo-American feminist criticism, le teorie femministe francese e italiana, e da ultimo la Feminist film theory.
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Le origini
Il f. e' stato uno dei movimenti del Novecento di piu' vasta influenza nella vita sociale, politica e culturale a livello mondiale, caratterizzato da dinamicita' e pluralita' di posizioni e obiettivi. Come movimento teorico, pratico e d'autocoscienza si e' affermato nei paesi piu' sviluppati del mondo occidentale, in centri spontanei d'aggregazione politica e culturale che hanno dato vita a manifestazioni, associazioni, iniziative anche di massa, pure in appoggio ai movimenti antischiavisti, e in tali ambiti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e' entrato in uso il termine alla meta' dell'Ottocento (Dichiarazione di Seneca Falls, USA, 1848). Soprattutto nelle aree anglo-americana ed europea, in cui affonda le sue radici, il f. e' studiato e dibattuto a livello accademico in un'area disciplinare ampia e diversificata, e si e' consolidato in filoni di ricerca specifici a carattere interdisciplinare e comparativo. F. e movimento femminista si usano come sinonimi sia per la postulata inscindibilita' di teoria e prassi sia per la costitutiva dinamicita' del femminismo. Si puo' dire che al centro del f. ci sia l'idea che le donne, in quanto conformate al 'genere' femminile, sono trattate in modo iniquo nella societa', organizzata su una bipartizione di generi che avvantaggia gli uomini, impoverendo il mondo delle potenzialita' espressive non di un gruppo sociale ma di piu' della maggioranza dell'umanita'. L'accesso delle donne all'uguaglianza in una cultura a dominanza maschile non e' comunque mai stato un obiettivo universale del f., anche perche' e' controverso cosa significhi l'uguaglianza per le donne, come e riguardo a cosa essa vada acquisita, e quali siano gli effettivi ostacoli da superare. Nel 1792 Mary Wollstonecraft scrisse che nascere donne comporta inferiorita', oppressione e svantaggio e che occorre una rivoluzione perche' le donne, quale parte della specie umana, operino, riformando se' stesse, per riformare il mondo (Rivendicazione dei diritti della donna). Dell'anno prima e' la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Olympe de Gouges, ghigliottinata nel 1793. In questione era il riconoscimento di piena umanita', cioe' che la donna fosse un'individualita' autonoma, razionale e morale. Per cambiare un ordine di cose che non e' per natura ma costruito ad arte e trasmesso dall'educazione, occorreva l'impegno delle donne in un processo d'autoformazione e il concorso degli uomini progressisti per l'adeguazione dei diritti. Fin dall'inizio il f. unifica conquiste teoriche e pratiche, pensiero e vita, e manifesta il suo ruolo d'avanguardia riguardo ai rapporti di genere e alla vita umana nel mondo. Un'avanguardia che attinge non all'aristocrazia e al popolo ma al ceto medio, il che costituira' un problema in tutte le fasi dell'evoluzione del movimento. Lo scenario in cui prese avvio il f. era quello dei cambiamenti epocali connessi agli sviluppi impressi alla modernita' dalle rivoluzioni industriali, con i loro effetti sul sistema patriarcale, sui processi d'unificazione nazionale e sugli apparati istituzionali e statali. In tale contesto le donne acquisirono consapevolezza che il paradigma patriarcale imponeva loro d'essere cio' che gli uomini non sono (o non intendono apparire) e che per questo, con il supporto delle istituzioni poste a tutela dei privilegi maschili, le relegava nel privato interdicendole dal mondo pubblico e dalla cultura a valore simbolico. L'uguaglianza che si rivendica attiene comunque a ordini e sfere d'attivita', non significa mai omologazione all'uomo. Nelle sue varie fasi l'ordine patriarcale mantiene una struttura logofallocentrica che elide la donna senza nominarla, imponendo il discorso dell'universale neutro modellato sul maschile; discorso che e' di fatto regolato dalla 'logica del medesimo' in quanto la donna vi compare rappresentata dall'uomo. Quando si giungera' con la seconda ondata a questa formulazione il f. avra' maturato una piu' chiara convinzione che i diritti umani attengono a ogni essere umano in quanto individualita' autonoma (Martha Nussbaum, Luisella Battaglia, Marisa Forcina), ma il rapporto tra f. e diritti e' tuttora problematico (gruppo Diotima, Diana Sartori). Premesso che le donne hanno espresso visioni che oggi possono dirsi femministe assai prima dello sviluppo del discorso femminista della liberazione, la storia del f. non e' lineare visti la varieta' e l'intreccio di posizioni, avvicinamenti, distanziamenti e separazioni.
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Spazi e tempi del femminismo
Dell'attuale scansione del f. in ondate non e' condivisa la loro demarcazione, tanto piu' se cronologica, dato un approccio alla temporalita' incline non a visioni lineari e cicliche ma a forme di ricorsivita' innovativa, che si riflettono nel rifiuto di una schematizzazione. L'immagine dell'ondata e' efficace quando se ne focalizza la vitalita' e il dinamismo, per cui l'energia e' mantenuta attraverso un rinnovato slancio 'a partire da se'', che e' quanto ha inteso fare il f. contemporaneo disegnando una storia 'giocata' sulla mobilita' di scansioni e confini, quindi sui nessi tra istanze, teorizzazioni e azioni diverse e diacroniche. Come nel caso del 'problema' della prima ondata, cioe' dell'affermazione dell'individualita' moderna, che avrebbe trovato sbocco nel suffragismo avviatosi all'inizio del XIX sec., affondando le sue radici nel pensiero illuminista e nella rivoluzione francese. A connessioni e innesti le filosofe femministe della seconda ondata preferiscono la 'fluidita'', tematizzata soprattutto nel contesto francese (Luce Irigaray) e italiano (gruppo Diotima) trovando antecedenti in scrittrici e poetesse della prima ondata o in femministe ante litteram. Sono approcci diversi che coesistono con i contemporanei topoi del discorso femminista: mescolanza, ibridazione, creolizzazione e meticciato. Oltre alla pluralita' e alla delocalizzazione/dislocazione, questi topoi evocano la fluidita' del corpo e della sessualita' femminile in cui non c'e' cesura tra esterno e interno, e su questa peculiare continuita'/discontinuita' carnale le femministe, anche attingendo creativamente ai miti, si sono espresse in gesti, parole, scritture. La storia del f. trae sostegno dagli studi di storia delle donne, uno dei frutti piu' felici degli Women studies, e con la correlata storiografia ha dato luogo a controversie, anche perche' le due discipline, d'antico dominio maschile, hanno molto concorso all'elisione delle donne dagli ordini simbolici. La scansione in ondate, come la loro articolazione interna, deve tener conto dei diversi orientamenti teorici del f. legati a campi storico-culturali e linguistici diversi. La cartografia, quasi fino all'ultimo passaggio di secolo, mostra in primo piano il f. angloamericano e quello europeo continentale, con la presenza attiva di filosofe francesi e italiane. L'area del f. tedesco (oggi tanto internazionalizzato da non distinguersi come gruppo), riflettendo la tradizione del socialismo e del marxismo, ha una struttura molto ideologizzata e politicizzata in linea con la nuova sinistra, in piena consonanza con il dettato 'il personale e' politico'. Nei paesi di lingua spagnola, dato il prolungato isolamento politico dovuto alla dittatura franchista, si stagliano alcune figure di pensatrici e scrittrici (Maria Zambrano, Victoria Ocampo) che saranno riconosciute femministe piu' tardi. Nei paesi del Nord Europa, per le anticipate peculiari acquisizioni di diritti delle donne, il f. ha uno sviluppo celere ma poco originale e si consolida soprattutto nelle sedi accademiche a livello di ricerca e didattica. Al passaggio di secolo lo scenario appare mutato, allargandosi dall'Africa ai paesi dell'America latina e a quelli orientali, in specie l'India. Oltre a coinvolgere le questioni del f. postcoloniale (come le questioni delle donne nere, africane e non, di quelle africane bianche, di prima e seconda generazione, delle emigranti asiatiche, ecc.), questo neo-f. rivisita criticamente i paradigmi del f. storico (Seyla Benhabib), anche scalzandoli, come da ultimo il paradigma della lingua madre che il 'soggetto nomade' del f. postmoderno non conosce (Rosi Braidotti). Si tratta di linee di sviluppo piu' che di fuga, e i soggetti pure nomadi e 'mascherati' (Judith Butler) sono donne intenzionate a non farsi condizionare e a decidere liberamente delle loro scelte sessuali. Del f. piu' recente e' in discussione se sia una terza ondata o una coda della seconda e se debba definirsi o meno post-f., certo vi si colgono i segni del nuovo e la ripresa di temi antichi.
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Le ondate del femminismo
La prima ondata dell'emancipazionismo suffragista ottocentesco, su cui gli studi di storia delle donne stanno dando contributi innovativi, si e' avviata con una coppia, Harriet Taylor (L'emancipazione delle donne, 1851) e John Stuart Mill (La soggezione delle donne, 1869), non assestata sulla binarieta' maschile e femminile costruita in modo che il femminile slitti in seconda posizione. Entrambi sono polarizzati sul paradosso di un'uguaglianza dei diritti 'monca' perche' non applicabile alle donne. Le loro tesi, liberali in senso radicale e ugualitarie, sfoceranno nella conquista dei piu' rilevanti diritti richiesti, che il f. di orientamento socialista considera solo formali, in linea con il materialismo dialettico di Engels che lega la subordinazione della maggioranza delle donne alle condizioni economico-sociali (ponendo in questione la portata rappresentativa del suffragismo e il carattere borghese del femminismo). Saranno pero' i temi engelsiani della messa in discussione della famiglia monogamica e dei rapporti tra uomini e donne nella sfera della sessualita' non solo riproduttiva, collegata al desiderio e alla libera scelta amorosa (L'origine della famiglia, della proprieta' privata e dello Stato, 1884), a essere ripresi dal f. della seconda ondata. Nel cinquantennio, o fase d'eclisse, che la precede, il f. rielabora l'uguaglianza dei diritti e delle condizioni materiali mettendo a fuoco il tema della differenza. Virginia Woolf e Simone de Beauvoir ridanno linfa alla teoria femminista, mostrando come l'eclisse sia una modalita' dinamica d'assenza/presenza. Entrambe parlano dell'alterita' della donna, di quella impostale dall'uomo e a lui speculare e di quella interna a se' che ha bisogno d'esprimere. Woolf sembra investire tutto nel privato, ma il privato cui lei guarda e' un mondo, non una sfera accanto a quella pubblica, di fatto ridotta a zona di guerra per uomini bisognosi di possesso e controllo: e' un modo d'essere umano che muovendo dall'individualita' incarnata si apre all'universalita' umana. La cura di se' come forma di relazionalita' 'altra', con lo spazio e il tempo per viverla quale pratica di vita estranea alle pratiche maschili di morte, e' liberante ed e' politica, e le donne hanno in tale campo dei saperi da coltivare e da trasmettere. Simone de Beauvoir assume la differenza a categoria esistenziale, e la donna, in quanto costretta nel prototipo dell'alterita' con la maiuscola, l'Altro dall'uomo, ne mostra l'imprescindibilita'. Per recuperare la sua differenza, l'alterita' con la minuscola, la donna deve attingere a se' stessa, al proprio desiderio, riattivando la propria progettualita' esistenziale tramite la narrazione, riscrivendo la sua storia a un tempo individuale e comune. La pratica della narrazione - in forma di parola e scrittura biografica, autobiografica e fantastica - e' un tema costitutivo del f. perche' nel richiamare la donna a se' stessa la dispone alla scoperta di se' come altra, non fissando o chiudendo il discorso ma avviando un cammino di autoformazione. Il secondo sesso (1949) si chiude con un'affermazione decisa contro l'omologazione al maschile e a favore della liberazione, ma cio' significa scompaginare l'ordine dei sessi a partire da se', attingendo a una differenza ancora da scoprire, che impegnera' il f. della seconda ondata. Insorta negli anni Sessanta del Novecento, nel solco dei movimenti antiautoritari e di liberazione, sin da quello studentesco, la seconda ondata e' dirompente, ma vive anche fasi di riflusso ricche di nuove elaborazioni. La storia del f. degli anni Settanta/Novanta, nel suo prolungarsi al passaggio di secolo e al presente, appare percorsa da cambiamenti cosi' forti da prospettare una cesura che sarebbe segnata dall'apparizione del postfemminismo. Questo accentua il carattere di per se' controverso del termine f., laddove sembra piu' sensato parlare di divergenze del f. postmoderno da alcuni dei sempre mobili parametri femministi. Poco convincente appare anche l'idea di una terza ondata, viste la contiguita' temporale e la non univocita' della categoria di postmodernita'. Il f. filosofico ha peraltro condotto una disanima dei concetti postmoderni, quali differenza e identita', per analizzare la costruzione del soggetto donna e affermare la poliedricita' di ogni essere umano comunque sessuato. Infatti, sia l'opera di decostruzione del discorso dell'universale neutro quale soggetto logofallocentrico, sia l'azione di sabotaggio perpetrata sulla tradizione filosofica occidentale per strapparle alcune figure femminili esemplari (Adriana Cavarero), hanno mirato non alla costruzione della casa femminista definitiva fatta a regola, ma all'individuazione di uno spazio relazionale che dia modo al se' di manifestarsi e narrarsi.
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La situazione contemporanea
Il f., uso a lavorare sempre sul provvisorio e sul frammentario, soprattutto oggi vive trasformandosi, cosa che evoca la messa in gioco sia di controversie sia di possibilita' impreviste. Cosi' e' accaduto nella seconda ondata con La mistica della femminilita' di Betty Friedan (1963), che nell'avviare un movimento di emancipazione/liberazione delle donne di forte risonanza, ha innescato nuove iniziative pratiche e teoriche, innanzitutto sulla questione del potere. Infatti, mentre per Friedan le donne devono rivendicarlo, altri gruppi (per es., il gruppo Feminist, fondato da Ti-Grace Atkinson) lo contestano mettendo in discussione l'asse sessualita', patriarcato, capitalismo, come avviene anche nei gruppi europei di studio e autocoscienza, che scelgono il separatismo per elaborare modalita' proprie di pensiero e discorso (Rivolta femminile, Libreria delle donne di Milano, Centro Virginia Woolf, gruppo Diotima). Parlando di f. anglo-americano e f. europeo va tenuto conto delle difformita' dei rispettivi contesti socioculturali e delle matrici filosofiche, come nel caso dell'Anglo-American feminist criticism, delle teorie femministe francese e italiana (ciascuna con le sue articolazioni interne). Nell'attuale ampliarsi del raggio d'incidenza del f. si osserva pero', con l'usuale rimescolamento delle carte, una maggiore convergenza problematica, in specie sulle questioni etico-politiche, dove la cura, intesa come forma di razionalita' pratica, assume il ruolo di categoria fondativa di una nuova etica pubblica, che attraverso il lavoro 'attento' sui confini morali dati punta a scalzare i rapporti di disuguaglianza (Iris Marion Young, Joan Tronto, Laura Boella). La seconda ondata e' caratterizzata in Francia e in Italia da uno scavo sulla sessualita' femminile attraverso la rilettura critica delle teorie di Freud, Foucault, Lacan che porta a elaborare una teoria della differenza sessuale che fara' testo per gli sviluppi delle filosofie femministe. Luce Irigaray, rileggendo i testi della tradizione filosofica occidentale, e in specie quelli platonici a fronte di quelli freudiani, mostra la cancellazione dall'intera produzione speculativa della donna e della sessualita' femminile: il corpo incarnato e' assente dall'ordine simbolico, cioe' dal discorso che fa testo. Sul fronte semiotico e della teoria psicoanalitica, Julia Kristeva valorizza le potenzialita' segniche della lingua materna quale fonte di espressivita' poetica, gioiosa, libera e liberante, che emerge dalle maglie del linguaggio maschile sotto forma di trasgressione del significato e del senso normativo. La figura materna assurge a perno di un'elaborazione teoretica ampia e complessa soprattutto con il gruppo Diotima dell'universita' di Verona, il cui "pensiero della differenza sessuale" (accusato di essenzialismo, non solo dal f. di taglio piu' sociologico e costruttivista) ha avuto larga disseminazione. Rifacendosi all'analisi di Irigaray, esso ha individuato nella madre quale corpo generante il primo referente di un ordine simbolico capace di promuovere saperi incarnati, e da qui una genealogia femminile che prevede forme di separatismo dagli uomini e di affiliazione tra donne (Luisa Muraro). Il f. ha coinvolto con la sua critica e rilettura dei saperi anche l'epistemologia e la storia della scienza (Evelyn Fox Keller), cosi' come rapido sviluppo ha avuto anche l'ecofemminismo. Ma un settore molto vitale a livello internazionale e' quello filosofico-religioso, che vede accomunate femministe di varie religioni (Rosemary Radford Reuther, Christine Battersby, Francesca Brezzi, ecc.) impegnate, oltre che nella critica alle istituzioni religiose, in una rilettura dei testi biblici che parla anche di 'dio-donna'. Nel suo versante piu' dichiaratamente postmoderno il f., utilizzando le strategie decostruzioniste di Derrida e Deleuze, destabilizza il modello binario inscritto nel maschile e nel femminile performati dal discorso egemone, puntando a valorizzare, con la poliedricita' del femminile, la polivalenza della sessualita' e il carattere eversivo del desiderio (gia' impliciti nell'anarchia del corpo fluido femminile delineato da Irigaray), l'uno e l'altro normati sull'eterosessualita' (Teresa de Lauretiis, Adrienne Rich). Da qui la scelta di entrare nel gioco dei generi, 'mascherandosi' da donne per scalzare i consolidati ruoli di genere e determinarsi come soggetti femministi liberi di scegliere il proprio orientamento sessuale (Judith Butler, e prima Carla Lonzi). Il confronto con i media e le nuove tecnologie caratterizza il f. postmoderno e lesbico, che, mettendo in luce gli aspetti pervasivi e delocalizzanti, ne sfrutta la frammentazione e le discrepanze al fine di sperimentare le possibili trasformazioni della soggettivita' corporea (come la figura cyborg di Donna Haraway), in vista della liberazione del desiderio, sminuendo il peso delle differenze di genere (Kate Millett, Shulamith Firestone). Cio' incide pure sulla scrittura femminile intesa in senso femminista, cioe' come fatto creativo eccedente ogni sua codificazione e in quanto tale non esclusiva della donna (Helene Cixous). Si parla però anche di una tradizione letteraria femminile che presenta una continuita' di immagini e temi mutuati da generazione a generazione, associabile a un costante tessuto relazionale tra le scrittici e i loro contesti sociali di vita (Elaine Showalter). Tutto cio' rimanda a una proliferazione di donne capaci di pensiero, volonta' e azione, che attingendo a Hannah Arendt - una delle madri simboliche del f. contemporaneo - si possono raffigurare come il nostro "futuro alle spalle".
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Feminist film theory
Merita un cenno la anglosassone Feminist film theory, nata alla meta' degli anni Settanta del Novecento, riflessione sul linguaggio, oltre che metodo di lavoro, di codifica e di decodifica, che si interroga sostanzialmente sul rapporto tra rappresentazione e differenza sessuale: il cinema si fonda sul piacere di guardare e lo perpetua; il cinema e' messa in scena di voyerismo e feticismo, dove il maschile e' il soggetto della rappresentazione e il femminile il suo oggetto. Differenza sessuale, quindi, intesa non come dato biologico bensi' come costrutto culturale, prodotto di una tecnologia di rappresentazione e autorappresentazione. Ispirata alla psicoanalisi e passando per l'analisi testuale, tale ricerca e' approdata alla funzione spettatoriale espressa dai concetti di gaze e desire, ossia di interazione tra sguardo e desiderio. Il contributo di maggior peso e' dato dall'inglese Laura Mulvey nel suo testo Visual pleasure and narrative cinema (1975).

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Einaudi, Torino 1963, Mondadori, Milano 1974, pp. XVI + 200.
- Natalia Ginzburg, Non possiamo saperlo. Saggi 1973-1990, Einaudi, Torino 2001, pp. 222.
- Louise Labe', Il canzoniere, Mondadori, Milano 2000, pp. XLIV + 84.
- Louise Labe', Oeuvres completes. Sonnets - Elegies - Debat de Folie et d'Amour, Flammarion, Paris 1986, pp. 288.
- Itala Vivan, Africa australe. Panorama letterario, Cies, Roma 1987, pp. 40.
- Itala Vivan, Caccia alle streghe nell'America puritana, Rizzoli, Milano 1972, pp. 758.
- Itala Vivan, Interpreti rituali, Dedalo, Bari 1978, pp. 256.
- Itala Vivan (a cura di), Il nuovo Sudafrica, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996, pp. XXXII + 384.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3918 del 9 novembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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