[Nonviolenza] No. 31



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NO ALL'ANTIPARLAMENTARISMO, NO AL FASCISMO, NO ALLA BARBARIE
No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
Al referendum del 20-21 settembre votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 31 del 13 settembre 2020

In questo numero:
1. No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
2. Il testo del quesito referendario
3. Siti utili per l'informazione e l'impegno
4. Ancora quasi un "Enchiridion militis pro bono rei publicae". Due discorsi tenuti a Viterbo la sera di venerdi' e la mattina di sabato per il NO al referendum
5. Carlo Bertini intervista Rosy Bindi
6. Daniella Mazzucconi: Vademecum per il referendum
7. "Il manifesto": Referendum costituzionale sul taglio del parlamento, dieci motivi per dire NO

1. APPELLI. NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE CHE MUTILA LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E MIRA AD IMPORRE UN REGIME TOTALITARIO NEL NOSTRO PAESE

Al referendum costituzionale sulla mutilazione del parlamento del 20-21 settembre 2020 voteremo no.
Siamo contrari a ridurre il Parlamento a una tavolata di yes-men al servizio di esecutivi tanto insipienti quanto tracotanti e dei grotteschi e totalitari burattinai razzisti e militaristi che li manovrano.
Siamo contrari al passaggio dalla democrazia rappresentativa, per quanto imperfetta essa possa essere, al fascismo.
La mutilazione del parlamento attraverso la riduzione del numero dei parlamentari ha questo significato e queste fine: favorire il passaggio da una democrazia costituzionale gia' profondamente ferita a un regime sempre piu' antidemocratico ed eslege, sempre piu' protervo e brutale.
Al referendum del 20-21 settembre 2020 votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie.
No all'antiparlamentarismo, che alla separazione e all'equilibrio dei poteri, alla rappresentanza proporzionale dell'intera popolazione e alla libera discussione e consapevole deliberazione vuole sostituire i bivacchi di manipoli, l'autoritarismo allucinato, plebiscitario e sacrificale, il potere manipolatorio dei padroni occulti e palesi delle nuove tecnologie della propaganda e della narcosi.
No al fascismo, crimine contro l'umanita'.
No alla barbarie, che annichilisce ogni valore morale e civile, che perseguita ed estingue ogni umana dignita' e virtu', che asservisce la societa' alla menzogna e alla violenza.

2. MATERIALI. IL TESTO DEL QUESITO REFERENDARIO

Il testo del quesito referendario e' il seguente: "Approvate il testo della legge costituzionale concernente 'Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari', approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n. 240 del 12 ottobre 2019?".

3. RIFERIMENTI. SITI UTILI PER L'INFORMAZIONE E L'IMPEGNO

- Comitato nazionale per il NO al taglio del parlamento: sito: www.noaltagliodelparlamento.it
- Coordinamento per la democrazia costituzionale, sito: www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it
- Noi per il NO, sito: https://noiperilno.it

4. REPETITA IUVANT. ANCORA QUASI UN "ENCHIRIDION MILITIS PRO BONO REI PUBLICAE". DUE DISCORSI TENUTI A VITERBO LA SERA DI VENERDI' E LA MATTINA DI SABATO PER IL NO AL REFERENDUM

A Viterbo, nella serata di venerdi' 11 settembre in piazza del Sacrario, e nella mattinata di sabato 12 settembre a Porta Romana, il responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera", Peppe Sini, ha tenuto due discorsi argomentando il NO nel referendum che si svolgera' il 20 e 21 settembre 2020.
Di seguito una estrema sintesi degli argomenti svolti.
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L'orda razzista e golpista che ha invaso e occupato i palazzi del potere ha deciso di imporre una scellerata riforma costituzionale.
Una scellerata riforma costituzionale che mutila il parlamento.
Una scellerata riforma costituzionale che viola l'assetto e gli equilibri stabiliti dalla Costituzione repubblicana.
Una scellerata riforma costituzionale che annienta la possibilita' che rappresentanti delle oppresse e degli oppressi possano entrare nelle istituzioni.
Una scellerata riforma costituzionale che cancella la separazione e il controllo dei poteri.
Una scellerata riforma costituzionale che colpisce la democrazia e mira a sostituire ad essa un regime autoritario ed eslege, asservito ai potentati finanziari, ai demagoghi professionali, alle cricche oligarchiche, alla barbarie di quello che Gramsci chiamo' "il popolo delle scimmie", alla brutalita' del regime che Gobetti defini' "l'autobiografia della nazione".
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C'e' un solo modo per impedire che prevalga e diventi mostruosa realta' questa scellerata riforma costituzionale: votare NO al referendum.
Il 20-21 settembre solo votando NO si difende la democrazia parlamentare, il principio della rappresentanza, l'eguaglianza delle cittadine e dei cittadini.
Il 20-21 settembre solo votando NO si difende la Costituzione repubblicana, democratica ed antifascista.
Il 20-21 settembre solo votando NO si difende la sovranita' popolare.
Il 20-21 settembre solo votando NO si difende la divisione e il controllo dei poteri, fondamento dello stato di diritto e della civile convivenza.
Il 20-21 settembre solo votando NO si difende il diritto delle oppresse e degli oppressi in lotta ad eleggere propri rappresentanti in parlamento.
Il 20-21 settembre solo votando NO si impedisce che il parlamento sia definitivamente asservito al governo, al padronato, a poteri extraistituzionali privi di regole ed intesi soltanto alla violenza, alla rapina, alla dissipazione, a un abissale nichilismo.
Il 20-21 settembre solo votando NO si contrasta il fascismo che torna.
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Votiamo NO per le ragioni esposte da illustri costituzionalisti.
Votiamo No per le ragioni esposte da illustri magistrate e magistrati.
Votiamo No per le ragioni esposte dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia.
Votiamo No per le ragioni esposte dal Movimento nonviolento.
Votiamo No per le ragioni esposte dalle donne che ogni giorno lottano contro la violenza alle donne.
Votiamo No per il bene comune del nostro paese e dell'umanita'.
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Votiamo No al tentativo di Conte, Salvini e Di Maio di aggredire il parlamento, la Costituzione e la democrazia.
Votiamo NO come gia' nel referendum del 2006, quando sconfiggemmo l'analogo tentativo di Berlusconi di aggredire il parlamento, la Costituzione e la democrazia.
Votiamo NO come gia' nel referendum del 2016, quando sconfiggemmo l'analogo tentativo di Renzi di aggredire il parlamento, la Costituzione e la democrazia.
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Votando NO al referendum opponiti tu a una scellerata, barbara imposizione.
Votando NO al referendum opponiti tu alla violenza di macchine politiche oligarchiche e razziste.
Votando NO al referendum opponiti tu al regime  della frode e della corruzione.
Votando NO al referendum opponiti tu al sistema di potere dell'avidita' che riduce gli esseri umani a scarti e che devasta quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Prendi posizione alla scuola di Hannah Arendt, prendi posizione alla scuola di Rosa Luxemburg, prendi posizione alla scuola di Simone Weil, prendi posizione alla scuola di Virginia Woolf.
Sii tu a fare la cosa giusta.
Sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.

5. DOCUMENTAZIONE. CARLo BERTINI INTERVISTA ROSY BINDI
[Dal quotidiano "La Stampa" del 7 settembre 2020 col titolo "Rosy Bindi; La riforma delegittima l'Aula e asseconda anni di populismo e demagogia"]

"ll popolo italiano ha salvato la Costituzione da Berlusconi e da Renzi, ora la salvera' dai 5Stelle". Rosy Bindi, ex-presidente della commissione Antimafia, combatte come sempre a petto in fuori: stavolta ha sfornato un appello "Noi per il NO", che ha gia' raggiunto oltre 300 adesioni, con decine di firme di peso, contro la riforma del taglio dei parlamentari. L'ex-presidente del Partito Democratico ribalta la tesi che chi fa campagna per il No danneggi il governo Conte.
"Se vincera' il Si' – dichiara Bindi- le destre presenteranno il conto, perche' e' vero che nessuno vuole votare, ma dopo un referendum in cui il popolo dovesse dire che vuole 600 parlamentari e non 1000, sarebbe facile per loro dire che queste Camere sarebbero delegittimate".
Argomento pesante certo, anche se i fautori del Si' sostengono l'inverso: che con meno poltrone in palio, gli eletti in carica non mollerebbero il seggio se non con la pistola alla tempia, e quindi il governo sarebbe piu' blindato.
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- Carlo Bertini: Nel suo appello, lei avverte che c'e' il rischio di una deriva populista. Perche'?
- Rosy Bindi: Perche' delegittimare i parlamenti o indebolirli e' un modo per assecondare la crisi delle democrazie parlamentari. Questo e' il vero problema di questa riforma: mette il sigillo ad anni di attacco demagogico e populista, che si è accanito indebitamente sul Parlamento. Anche se la “casta” vera è altrove e forse si avvantaggia dall’indebolimento dei parlamenti.
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- Carlo Bertini: Alcuni costituzionalisti pensano che il taglio potrebbe disarmare le ragioni dell0'odio anti-casta. Si illudono?
- Rosy Bindi: L'istituzione per essere piu' vicina ai cittadini dovrebbe assicurare di essere scelta da loro. E questo non avviene senza una legge elettorale che garantisca il superamento dei parlamentari nominati dalle segreterie. Ma la vera anomalia italiana e' il bicameralismo paritario.
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- Carlo Bertini: A proposito, avrebbe detto si' al progetto che fu caldeggiato dalla lotti: meno parlamentari e una sola Camera?
- Rosy Bindi: Appunto: il modo giusto per diminuire il numero degli eletti non e' un taglio lineare, ma differenziare la funzione delle due Camere e intervenire sui regolamenti.
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- Carlo Bertini: E allora perche' ha bocciato la riforma di Renzi?
- Rosy Bindi: Perche' di quella riforma non era condivisibile il modo in cui superava il bicameralismo con un Senato pasticciato. Ma soprattutto il metodo incostituzionale che ha seguito Renzi, mettendoci sopra la testa del governo, la sua e del suo gruppo dirigente. La Costituzione non e' proprieta' delle maggioranze.
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- Carlo Bertini: Per dire si' alla riforma dei grillini non bastano i correttivi come la legge Fornaro che riduce la compressione della rappresentanza?
- Rosy Bindi: No, sono palliativi rispetto al problema centrale, la mancanza di una legge elettorale e la correzione del bicameralismo. Qualunque correttivo faranno verra' meno la rappresentanza di tutte le minoranze e delle zone a meno densita' di popolazione: nessuna legge elettorale garantisce di raddrizzare le storture di questa riforma.

6. DOCUMENTAZIONE. DANIELLA MAZZUCCONI: VADEMECUM PER Il REFERENDUM
[Dal sito noiperilno.it]

Le riforme istituzionali e il referendum
Negli ultimi anni e' stato un continuo riproporsi di riforme istituzionali, che riguardano cioe' l'assetto, le articolazioni e l'organizzazione delle varie istituzioni dello Stato: dal Parlamento giu' giu' fino alle province e alle societa' pubbliche. Alcune di esse sono diventate leggi dello Stato con procedura ordinaria, altre di rilevanza costituzionale sono state approvate, diventando definitivamente leggi, oppure, votate dal Parlamento, non hanno superato lo sbarramento del referendum costituzionale: da un lato, abbiamo avuto la modifica del titolo V della Costituzione e l'istituzione delle citta' metropolitane nel 2001, la previsione dei Parlamentari all'estero sempre nel 2001, l'introduzione del pareggio di bilancio obbligatorio nel 2012, tanto per fare degli esempi, ma, dall'altro, anche proposte che, approvate dal Parlamento con una maggioranza inferiore a quella prevista per modificare la Costituzione, non sono state ratificate dal referendum previsto per legge.
Infatti, quando una legge di revisione costituzionale non e' approvata con la maggioranza qualificata dei due terzi dai componenti di ciascuna camera, puo' essere sottoposta a referendum popolare. E' l'articolo 138 della Costituzione che lo prevede: "Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non e' promulgata, se non e' approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge e' stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti".
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Il caso specifico: la riduzione del numero dei Parlamentari
Nel caso specifico, lo scorso ottobre, la Camera ha approvato, al termine del previsto iter bicamerale, una modifica agli articoli 56, 57, 59 della Costituzione, con la quale viene prevista una riduzione del numero dei Parlamentari: da 630 seggi a 400 per la Camera dei Deputati e da 315 seggi a 200 per il Senato. In entrambi i rami del Parlamento, tuttavia, pur avendo avuto la maggioranza assoluta, la riforma non ha raggiunto i due terzi previsti dei voti, cosi' un numero congruo di senatori ha chiesto, come da art. 138 della Costituzione, di sottoporre la norma approvata, ma non ancora promulgata, a referendum.
Il referendum si svolgera', salvo particolari eventi, il 20 e il 21 settembre. Saremo chiamati a rispondere al seguente quesito: "Approvate il testo della legge costituzionale concernente 'Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei Parlamentari', approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?".
Se la maggioranza di coloro che esprimeranno il voto, votera' si', la legge sara' definitivamente approvata e promulgata; se, invece, la maggioranza rispondera' no, la legge non sara' promulgata e decadra'.
In questo tipo di referendum non e' previsto un quorum per i votanti, come invece avviene per il referendum abrogativo: per cui, qualunque sia il numero dei cittadini che si recheranno al voto il referendum sara' valido.
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Cosa accade oggi nei vari Paesi europei?
Pur essendo ovviamente diverse le leggi e la tipologia delle assemblee nei vari Paesi, vale la pena fare un confronto con alcuni dei principali Paesi europei, in cui talvolta sono in vigore norme che prevedono assemblee a numero variabile come avviene in Germania per l'assise parallela alla nostra Camera dei Deputati (Bundestag). Si devono inoltre considerare le diverse funzioni svolte dalle due Camere: in alcuni Paesi vige il bicameralismo perfetto, in altri le differenti funzioni determinano numeri diversi e modalita' di elezione diversa rispetto all'elettorato popolare.
Se si facesse pero' la somma dei Parlamentari delle Camere dei Paesi europei, scopriremmo un dato singolare: l'Italia ha circa 1,6 Parlamentari ogni 100.000 abitanti, la Polonia e la Francia 1,4, la Spagna 1,3, la Germania 0,8, ma l'Irlanda 5,5, la Svezia 3,7, la Danimarca 3,2, l'Austria 2,9 e tutte le altre nazioni sono abbondantemente sopra i nostri numeri, cioe', se stilassimo una graduatoria a livello europeo, l'Italia sarebbe in basso alla classifica non in alto. Con la riforma, di cui stiamo discutendo, il rapporto ci vedrebbe addirittura in fondo alla lista: aumenterebbe infatti il numero degli abitanti per ogni deputato ed ogni senatore eletto.
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Democrazia e rappresentanza
Il tema centrale e' quello della rappresentanza dei territori e delle persone, dei loro diversi orientamenti politici: non sara' stata casuale la scelta dei padri costituenti in un'Italia, che aveva allora (1948) 46.210.000 abitanti (oggi sono: 60.359.546), quando decisero che doveva esserci un deputato ogni 80.000 abitanti (o frazione superiore a 40.000) e un senatore ogni 200.000 abitanti (o frazione superiore a 100.000). La qual cosa ci porterebbe oggi ad avere un numero di parlamentari molto piu' alto dell'attuale e fluttuante in base alla popolazione. Nel 1963 furono modificati gli articoli della Costituzione che prevedevano queste norme e vennero fissati i numeri attuali: 630 deputati e 315 senatori.
C'e' poi in gioco molto di piu' di quanto non appaia: ci sono in gioco la democrazia parlamentare e la centralita' del Parlamento, che, e' giusto dirlo, ha subito negli ultimi decenni spallate non da poco in nome di snellimento dei tempi e velocita' di decisioni, talvolta esigenze reali, talvolta presunte e di comodo.
La deriva antiparlamentare e' sotto gli occhi di tutti, ma inspiegabilmente non fa paura, forse perche' si spera che ci tolga dall'incomodo di pensare! Cosi' accade per il sentimento diffuso contro la politica in generale: l'antipolitica. La democrazia, cosiddetta, diretta, quella del click a casa propria attrae: e' meno impegnativa e permette a ciascuno di fare gli affari propri: fino a quando? E poi sara' cosi' vero? Chi decide la domanda da sottoporre al click? Chi "organizza" la risposta? Come avviene il controllo contro le manipolazioni?
In questo i partiti fanno spesso, in negativo, la loro parte: decisioni verticistiche che hanno bisogno non di gruppi parlamentari che concorrano all'elaborazione di idee e contenuti, ma di parlamentari che al momento giusto obbediscano al capo. Se ci rassegnassimo a questo, tuttavia, si potrebbero eliminare quasi del tutto i gruppi Parlamentari ed anche la riduzione in esame non sarebbe sufficiente!
Discussione, condivisione, relazione sono elementi fondamentali per una politica che voglia essere, nel cuore e nell’intelligenza, democratica: questa dovrebbe essere l'essenza di un partito politico, questo il sistema attraverso cui leggere i bisogni del Paese e dei cittadini (e delle persone!) che vi abitano e trovare le risposte a cui chi sceglie di fare politica e' moralmente tenuto.
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La rappresentanza: questione di democrazia o di costi?
Oggi c'e' un argomento molto diffuso in questo dibattito: e' la questione dei costi della politica. Accanto a un tema piu' generale di moralizzazione dei comportamenti in politica, che non va sottaciuto, molti analisti tuttavia hanno rilevato come il taglio dei parlamentari non contribuisca certo a migliorare l'economia del Paese, neppure se lo si lega ad una serie di provvedimenti volti a togliere indennita' di funzione, cioe' i compensi, ad altri livelli istituzionali (basti pensare ai Presidenti di provincia, che devono essere obbligatoriamente scelti tra i Sindaci in carica: se viene scelto il Sindaco di un piccolo comune con indennita' minima o nulla, non potra' neppure di fatto, non di diritto, chiedere l'aspettativa dal lavoro, perche' non riuscirebbe a vivere, ed e' chiaro che, facendo il Sindaco e il Presidente della provincia e lavorando, al di la' degli enormi sacrifici personali, qualcosa alla fine rischia di non andare per il verso giusto!).
Ma perche' questa insistenza sui costi? Il vento dell'antipolitica spira ormai da molti anni nel nostro Paese ed e' questo il limite della legge che verra' sottoposta al referendum, perche' l'antipolitica ne e' il principale movente, il principio ispiratore, che ha trovato terreno fertile nell'accondiscendenza acritica e passiva e nella sottovalutazione delle implicanze, della maggioranza dei partiti, che, per altro, in questi mesi faranno finta di fare campagna elettorale.
Il Movimento 5 stelle, che si fa vanto di tutto cio', non si interroga mai sulle conseguenze delle proprie azioni; in questo caso, sulle conseguenze destabilizzanti per il sistema istituzionale e sul percorso antidemocratico intrapreso.
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La mancata connessione con la legge elettorale, ma non solo
Cio' che risulta ancora piu' assurdo in questa vicenda e' la mancata connessione con una legge elettorale che consenta al cittadino almeno di avere voce in capitolo nella scelta dei propri rappresentanti, per cui un'eventuale riduzione del numero dei parlamentari potrebbe essere astrattamente accettabile. Questo puo' avvenire anche con sistemi elettorali diversi, ad esempio: il sistema maggioritario con collegi uninominali, dove primarie serie e regolate per legge consentano di scegliere il candidato (non individuato, come e' accaduto in passato, a seguito dello spoglio, effettuato dalle oligarchie partitiche, tra collegi vincenti, dove mettere d'imperio gli amici, e collegi perdenti, dove mettere chi capita); oppure il sistema proporzionale su liste con preferenza, dove, appunto, il cittadino sceglie la persona a cui dare la preferenza. In entrambi i casi il cittadino avrebbe voce in capitolo. Poi si potranno introdurre limiti con sbarramenti o con spinte ad alleanze preelettorali di liste o altri correttivi; questo attiene piu' alla governabilita', ma qui non e' possibile affrontare compiutamente l'intera questione. Perche' il tema resta questo: il cittadino deve decidere; il cittadino non e' arbitro solo nella scelta in generale dell'orientamento politico, ma anche nella scelta concreta e precisa dei propri rappresentanti, a cui poter chiedere puntualmente conto di scelte e di comportamenti e da cui ottenere risposte esaurienti circa le motivazioni delle scelte via via compiute: meno parlamentari con l'attuale sistema elettorale porterebbe di fatto a un maggior potere delle elites dei partiti nella scelta degli stessi, con il relativo pesante e autoritario condizionamento nel loro voto, oltre che a una decisa compressione delle forze magari minoritarie, ma vive nella cultura politica del Paese.
Non essendosi, poi, occupato nessuno delle conseguenze legate alla riduzione del numero dei parlamentari al di fuori di un quadro istituzionale articolato, si avranno, per il Senato, le regioni medio-piccole che vedranno sostanzialmente dimezzato il contingente di senatori loro assegnato, con relativa mancata rappresentanza o scarsa rappresentanza di alcune forze politiche e di alcuni territori.
Ancora, solo a titolo di esempio: le commissioni parlamentari sono il perno dell'attivita' parlamentare, perche' svolgono la maggior parte del lavoro delle due assemblee; esse dovranno necessariamente essere ridotte nel numero e nei componenti. Avremo meno commissioni "specializzate", a danno probabilmente delle competenze, ma soprattutto che ne sara' della funzione deliberante attribuita talvolta alle commissioni per evitare gli intasamenti del dibattito in aula? Come si fara' a garantire con le attuali norme la rappresentanza di tutte le forze elette? E, infine, ma non alla fine per importanza, resta sul tappeto la riflessione che andrebbe affrontata sulle funzioni e i poteri delle due Camere, riflessione su cui gli studiosi hanno gia' aperto un serio dibattito: restare nel bicameralismo perfetto, le due Camere continueranno cioe' a fare in tutto le medesime cose, o cominciare a pensare ad una differenziazione per poteri, funzioni e materie? Entrambe le posizioni hanno punti di forza e punti di debolezza, ma che si debba affrontare seriamente la discussione relativa e' fuor di dubbio.
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Riforma o non riforma?
Non e' che la Costituzione non possa essere riformata, ma cio' deve avvenire in un quadro complessivo, in cui il legislatore si fa carico con responsabilita' delle conseguenze.
La riforma costituzionale non si puo' fare sull'ondata emotiva dell'opportunismo, sulla conta quotidiana dei followers, di coloro che seguono il proprio beniamino politico del momento, che, magari, domani abbandoneranno per qualcun altro, o sempre sulla conta dei like, perche' oggi magari posso dire che una cosa "mi piace", domani, cambio pulsantino (neanche quello e' piu' reale, materiale!) e dico "non mi piace": questa e' la politica del disimpegno, della smaterializzazione delle relazioni, della perdita della dimensione sociale, collettiva e comunitaria, perche' – giovera' ricordarlo – siamo dentro un tessuto di relazioni, nessuno di noi vive staccato e isolato dagli altri, e la politica resta un formidabile strumento per affrontare insieme e risolvere i problemi di una comunita' civile. Bisognerebbe che i cittadini prestassero piu' attenzione all'antipolitica e al populismo: fanno bene, forse, alla pancia, ma fanno male alla democrazia, in sostanza fanno male al popolo, fanno male a ciascuno di noi.

7. REPETITA IUVANT. "IL MANIFESTO": REFERENDUM COSTITUZIONALE SUL TAGLIO DEL PARLAMENTO, DIECI MOTIVI PER DIRE NO
[Dal quotidiano "Il manifesto" riprendiamo questo articolo del 20 agosto 2020 dal titolo "Referendum costituzionale sul taglio del parlamento: perche' No" e il sommario "Tra un mese il voto. L'etichetta della legge e' semplice: 230 deputati e 115 senatori in meno. Ma il contenuto e' pericoloso. Dieci motivi per dire di No"]

1. A conti fatti si risparmia la meta'
Cominciamo da qui, dai soldi, perche' e' l'argomento "forte" del Movimento 5 Stelle, sebbene non originale. Quattro anni fa, infatti, era stato il Pd (Renzi) a scrivere sui suoi manifesti che "Basta un si' per cancellare poltrone e stipendi" – e' noto che quel referendum costituzionale lo vinsero i no. Sul manifesto dei grillini c'e' scritto adesso "1 miliardo per i cittadini", a tanto ammonterebbe il risparmio ottenuto con 345 "stipendi" parlamentari in meno.
La cifra e' fortemente esagerata: per raggiungerla ci vorrebbero dieci anni (due legislature) e 100 milioni di risparmi l'anno. I 5 Stelle giurano che saranno tanti ma e' facile smentirli. Gli ultimi bilanci di camera e senato indicano infatti tra indennita' e rimborsi una spesa di 144,885 milioni di euro per i deputati e 79,386 milioni per i senatori. Il che vuol dire che 230 deputati in meno garantirebbero un risparmio di 52,9 milioni e la rinuncia a 115 senatori significherebbe risparmiare 28,530 milioni.
Anche cosi' la promessa grillina non e' rispettata, il totale fa 81,430 milioni in meno l'anno, non 100. Ma e' un calcolo fatto al lordo delle tasse, perche' lo stato recupera una parte dell'indennita' sotto forma di Irpef e di addizionali regionali e comunali. Sono circa dieci milioni di gettito per i deputati e sei per i senatori. Il risparmio netto quindi e' piu' basso: 42,7 milioni per i deputati e 22,7 milioni per i senatori, totale 65,4 milioni l'anno.
C'e' di piu': una quota dei rimborsi che spettano ogni anno ai deputati e ai senatori e' destinata a pagare i collaboratori. Chi vuole tagliare le "poltrone" non ha ancora mai detto di volere parimenti licenziare gli assistenti (e per certi versi, anzi, il loro numero potrebbe addirittura salire, vedremo piu' avanti). Il vero risparmio netto dunque puo' essere calcolato in 36 milioni per i deputati e 17 milioni per i senatori, per un totale che e' quasi la meta' di quello annunciato dai sostenitori del si'.
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2. Non si toccano altre voci
Ma e' giusto mettere tanta attenzione ai risparmi, quando si parla di un'istituzione come il parlamento? Se la vostra risposta e' comunque si', e anche 50 milioni l'anno non vi sembrano affatto trascurabili, e' bene considerare che questo risparmio ottenuto tagliando la rappresentanza permetterebbe di fare economia sulle spese annuali di camera e senato soltanto per il 2,5%. Per avere un metro di paragone, si puo' considerare che le spese totali di camera e senato per il personale (stipendi e previdenza, parliamo quindi di tutti tranne che degli eletti) sono di circa 350 milioni l'anno. Vale a dire sette volte quello che si risparmierebbe rinunciando a 230 deputati e 115 senatori. Queste spese non saranno toccate.
Cinquanta milioni all'anno vuol dire che per arrivare al miliardo di minori spese reclamizzato da Di Maio (che ha anche gia' pubblicato uno schema di cosa intende fare, subito, con quei soldi) bisognera' arrivare alla fine di quattro legislature intere con il parlamento ridimensionato. A partire dalla prossima (se vincono i si'). Quindi appuntamento al 2043.
Intanto gli economisti dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani guidato da Carlo Cottarelli hanno calcolato per il taglio di 445 parlamentari un risparmio molto vicino a quello che abbiamo stimato noi, per loro sono 57 milioni l'anno. E hanno aggiunto che si tratta appena dello 0,007% della spesa pubblica italiana (camera e senato hanno bilanci autonomi, ma evidentemente i risparmi comporterebbero minori trasferimenti pubblici). Dividendo infine il risparmio annuo per tutta la popolazione italiana, l'Osservatorio sui conti pubblici ha concluso che si tratta dell'equivalente di un caffe' (0,95 centesimi) all'anno per ognuno di noi 60 milioni. In cambio di un bel taglio alla rappresentanza.
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3. Giu' il rapporto tra eletti e popolo
La rappresentanza, eccoci al punto. Gli aspetti da valutare sono due. Il primo e' il rapporto tra il numero degli abitanti e il numero dei parlamentari (deputati e senatori). Piu' e' alto questo rapporto, meno i cittadini sono rappresentati, nel senso che un parlamentare deve rappresentare una fetta maggiore di "popolo". Allora facile capire perche' negli ultimi cento anni i deputati siano sempre cresciuti, prendiamo come riferimento la legislatura del 1919 perche' fu la prima in cui entro' in funzione l'attuale aula di Montecitorio (e fu l'ultima legislatura senza Benito Mussolini tra i banchi), allora gli italiani non arrivavano a 40 milioni.
Dal 1919 a oggi i deputati sono aumentati di 112 unita' (erano allora 518), sempre crescendo con l'eccezione delle due legislature elette con il sistema plebiscitario durante il regime fascista. Curiosita': in quel periodo i seggi per i deputati furono ridotti proprio a 400 come si intende fare adesso. Nel 1948 la Costituzione non previde un numero fisso di deputati e senatori. I primi avrebbero dovuto essere uno ogni 80mila abitanti o frazione superiore ai 40mila, mentre i senatori sarebbero stati uno ogni 200mila abitanti o frazione superiore a 100mila. Di conseguenza nella prima legislatura i deputati furono 572 e i senatori 237.
Il rapporto con la popolazione fu congelato nel 1963, quando una riforma costituzionale stabili' un numero fisso di parlamentari: 630 deputati e 315 senatori (piu' i senatori a vita e gli ex presidenti della Repubblica). Malgrado siano trascorsi quasi sessant'anni da quelle riforma costituzionale, il rapporto tra elettori ed eletti e' rimasto su per giu' lo stesso: e' un po' aumentato alla camera, dove oggi c'e' un deputato ogni 96mila abitanti ed e' un po' diminuito al senato, dove c'e' oggi un senatore ogni 192mila abitanti. Con il taglio queste proporzioni sarebbero stravolte.
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4. Diventeremo gli ultimi tra i paesi Ue
"L'Italia e' il paese con il numero piu' alto di parlamentari". Quante volte lo avete sentito dire dalla propaganda per il si'? Talvolta lo slogan viene appena un po' corretto aggiungendo "elettivi" a "parlamentari", tanto e' evidentemente falso: basta dire che nel Regno Unito i parlamentari sono piu' di 1.400. Ma a Londra ci sono i lords che hanno una funzione e soprattutto una carica, non elettiva, imparagonabile a quella dei nostri rappresentanti del popolo.
Problema simile c'e' con molte altre camere "alte" degli altri paesi, che spesso sono non elettive o rappresentano le autonomie locali o gli stati federati. Piu' facile il raffronto con le camere "basse", ovunque elette direttamente dal popolo. Oggi l'Italia con i suoi 96mila abitanti per deputato e' uno degli stati con maggiore rappresentativita': piu' del Regno Unito (un deputato ogni 102mila abitanti), piu' dell'Olanda (uno ogni 114mila), della Germania e della Francia (entrambe hanno un deputato ogni 116mila abitanti) e piu' della Spagna (uno ogni 133mila).
Un rapporto maggiore tra elettori ed eletti rispetto al nostro c'e' in Danimarca, Finlandia, Svezia, Belgio, Polonia, Grecia e Portogallo, tra gli altri. Non e' corretto pero' dire, come dicono i 5 Stelle, che con la riforma l'Italia si "allineera'" ai maggiori paesi europei. Il taglio di 230 deputati infatti portera' il nostro rapporto fino a un deputato ogni 151mila elettori. Diventeremmo cioe' di colpo il paese con la peggiore rappresentativita' tra tutti i 28 appartenenti all'Unione europea. E di gran lunga, visto che dopo di noi ci sarebbe la Spagna, ferma a un deputato ogni 133mila abitanti.
Peraltro a Madrid la camera "alta" e' a composizione mista – in parte e' eletta a suffragio universale, in parte e' designata dalle comunita' autonome – comunque piu' grande del nuovo senato italiano (266 senatori contro i nostri 200) per una popolazione assai inferiore (46 milioni contro i nostri 60 milioni).
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5. Territori penalizzati (chi piu', chi meno)
Ma il problema della rappresentanza e' anche un altro e riguarda i territori. Perche' diminuendo notevolmente il numero degli eletti a livello nazionale, meno 230 deputati e meno 115 senatori come detto, diminuisce ovviamente quello dei rappresentanti dei singoli territori. Fino a diventare un numero esiguo, questo e' vero soprattutto al senato.
Con 196 senatori (quattro sono destinati a essere eletti all'estero) da distribuire nelle venti regioni – confermate le "quote minime" di un senatore in Valle d'Aosta e due in Molise – il taglio sara' pesante dappertutto. Ma non ugualmente pesante. Per esempio la Toscana perdera' sei senatori (da 18 a 12), con un taglio del 33,3%. Sotto la media nazionale, che e' del 36,5%. Piu' penalizzato il Friuli Venezia Giulia, che subira' un taglio del 42,9%, stessa percentuale dell'Abruzzo (entrambe le regioni passeranno da 7 a 4 senatori). Male anche la Calabria, con meno 40% (da 10 a 6 senatori).
Ma soprattutto a essere penalizzate saranno l'Umbria e la Basilicata, che passeranno da 7 a 3 senatori, per entrambe meno 57,1%. Un abisso paragonato al Trentino Alto Adige, che – per via delle due province autonome alle quali e' stato garantito un numero uguale di senatori – perdera' in totale appena un seggio, scontando una diminuzione della rappresentanza parecchio sotto la media nazionale: meno 14,3%.
Il risultato di questa distribuzione e' la fotografia di un'Italia diseguale, dove in Trentino Alto Adige in media ci sara' un seggio elettivo per il senato ogni 171mila abitanti. E in Sardegna un seggio elettivo ogni 328mila abitanti, vale a dire quasi il doppio. Naturalmente questo ha effetti anche sulla rappresentanza politica, penalizzando le liste meno forti, oltre che sulla rappresentanza territoriale.
Come cercheremo di spiegare nella prossima scheda.
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6. La soglia di sbarramento "naturale"
Della legge elettorale parleremo altrove, ma intanto e' bene ricordare che i partiti – maggioranza e opposizione – si stanno attualmente dividendo attorno alla questione della soglia di sbarramento. Nella proposta all'esame della camera questa soglia e' fissata al 5% e c'e' chi la considera, con buone ragioni, eccessiva. Ma e' solo la soglia "esplicita", quella che e' scritta nella legge. Assai piu' alta e' la soglia "implicita", quella che concretamente le liste dovranno raggiungere per sperare di avere un eletto, questo proprio perche' gli eletti nel collegio sono molto pochi.
Ancora una volta dunque il problema si pone soprattutto al senato. Per esempio, in Liguria dove si eleggeranno, se il taglio sara' approvato, solo cinque senatori, superare il 5% non servira' a niente, visto che la soglia "implicita" sara' di oltre il doppio (circa il 12,5%). La Basilicata con i suoi tre senatori soltanto vedra' all'opera una soglia effettiva di quasi il 20%: raggiungibile secondo gli attuali sondaggi soltanto da due partiti. Il problema, attenuato, si pone anche alla camera.
Al senato e' piu' pesante perche' si aggiunge la previsione costituzionale in base alla quale la camera "alta" deve essere eletta su base regionale. Questo vuol dire che un partito per conquistare rappresentanti sul territorio deve superare entrambi gli sbarramenti a livello regionale, quello legale e quello "naturale" (il secondo e' di regola piu' alto del primo).
A questo secondo problema si sta cercando di porre rimedio con una riforma costituzionale appena all'inizio dell'iter parlamentare: cancellerebbe la base regionale per l'elezione del senato, introducendo come per la camera la base circoscrizionale. Resta il problema che partiti piccoli, quando sul territorio si eleggono pochissimi rappresentanti, sono condannati a restare fuori.
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7. Lavori piu' difficili, meno efficienza
Poco male, si dira', se tutto questo servira' a rendere il parlamento piu' efficiente. Perche' e' questo l'altro argomento ricorrente nei discorsi dei sostenitori del si'. Meno parlamentari significa lavori piu' spediti, posto l'indimostrato teorema che un parlamento e' tanto piu' efficiente quanti atti legislativi produce. Spesso e' vero il contrario.
In ogni caso, e' proprio cosi'? In realta' oggi – anche prima dello stato di emergenza, che ha esasperato i problemi – l'attivita' parlamentare e' impostata secondo i ritmi del governo. Decreti legge da esaminare entro la scadenza e questioni di fiducia sono la regola. Il problema della sottomissione del potere legislativo alle esigenze di quello esecutivo, di vecchia data, non sara' per niente scalfito dalla diminuzione del numero dei parlamentari.
Soprattutto perche' questa viene fatta con un chiaro intento antiparlamentare, visto che si tratta di rinunciare a un costo considerato improduttivo. Nella realta' la camera e il senato, condannati da un bicameralismo paritario – che non e' nemmeno scalfito da questa riforma – possono comunque lavorare in sincrono, portando avanti contemporaneamente progetti di legge diversi.
I lavori delle commissioni poi non saranno per nulla facilitati, visto che i regolamenti prevedono che possano andare avanti con un terzo dei commissari presenti: il che significa nove deputati o cinque senatori. Un numero troppo basso per un serio lavoro redigente.
A meno di non poter contare su uno staff molto largo e molto competente, come per esempio avviene nel senato degli Stati Uniti, dove i pochi senatori hanno a disposizione risorse enormi per gli uffici e i collaboratori. In conclusione, quindi, per avere garantita nel nuovo parlamento a ranghi ridotti almeno l'efficienza attuale, bisognera' spendere di piu'.
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8. Regolamenti superati, ma non cambiati
C'e' il famoso accordo di maggioranza, che aveva previsto alcune condizioni perche' il Pd e gli altri alleati dei 5 Stelle dessero il via libera al taglio dei parlamentari. Il si' c'e' stato ma le condizioni, chiamate "riequilibri", non si sono realizzate. Non si e' realizzata anzi non e' stata neanche approvata in commissione quella legge elettorale a base proporzionale che dovrebbe recuperare – ma solo un po' – la perdita di rappresentativita' che certamente derivera' dal taglio lineare dei parlamentari.
E non si sono realizzate le altre riforme costituzionali che, giusto o sbagliato che sia, Pd e Leu avevano considerato sufficienti a "riequilibrare" le istituzioni: l'equiparazione dell'elettorato attivo e passivo di camera e senato, la riduzione dei delegati regionali per l'elezione del presidente della Repubblica e la gia' citata introduzione della base circoscrizionale anche per l'elezione del senato.
Ma dove si avverte tutta l'incompletezza della riforma costituzionale voluta dei 5 Stelle e' nel mancato aggiornamento dei regolamenti parlamentari. Che sono stati scritti per i numeri attuali dei senatori e deputati e prevedono una serie di soglie a garanzia soprattutto delle minoranze. Trenta deputati, per esempio, oggi possono chiedere l'inversione dell'ordine del giorno, chiedere la votazione a scrutinio segreto, presentare subemendamenti agli emendamenti del governo: ovviamente 30 su 630 e' molto diverso rispetto a 30 su 400.
Le liste piu' piccole avranno difficolta' a formare un gruppo (20 deputati e 10 senatori), persino a entrare in tutte le attuali 14 commissioni e nelle giunte. In definitiva la vita delle minoranze sara' piu' difficile. I regolamenti, si dice, possono essere cambiati. E' vero, ma a parte che non sara' facile – serve la maggioranza assoluta e c'e' il voto segreto – non ci si doveva pensare prima?
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9. Il pasticcio del voto all'estero
Probabilmente non e' il principale, ma un bel problema il taglio dei parlamentari lo pone anche per la rappresentanza degli italiani all'estero. Rappresentanza prevista da una riforma pensata male (Tremaglia) e realizzata peggio, ma che in ogni caso oggi stabilisce (legge 459 del 2001) che i deputati e senatori eletti all'estero siano scelti con il sistema proporzionale e l'indicazione della preferenza.
Oggi la circoscrizione estera piu' grande e' quella europea (oltre due milioni e mezzo di residenti iscritti all'Aire) a seguire quella dell'America meridionale (un milione e mezzo), assai piu' piccole le circoscrizioni dell'America centrosettentrionale e di Africa, Asia e Oceania.
Non avendo avuto il coraggio di rinunciare ai seggi assegnati all'estero, con il taglio dei parlamentari nazionali e' stata tagliata anche la delegazione estera, percentualmente un po' meno: si passa infatti da 12 a 6 deputati e da 8 a 4 senatori. Il risultato e' che il deputato eletto nella circoscrizione piu' piccola (Africa, Asia, Oceania) sara' tre volte piu' rappresentativo di quello eletto nella circoscrizione piu' grande (Europa).
Il pasticcio principale e' stato fatto con i senatori, che essendo solo quattro giocoforza saranno uno per circoscrizione, che sia una circoscrizione grandissima o piccolissima. Avremo cosi' un senatore in rappresentanza dell'Europa intera, con tutto quello che significa in termini di campagna elettorale (impossibile e/o dispendiosissima) e rappresentanza. Ma anche con il tradimento del principio proporzionale stabilito dalla legge: tutti i collegi senatoriali delle circoscrizioni estero saranno nei fatti dei collegi uninominali. Il seggio andra' infatti a chi prende un voto in piu' e a lui soltanto.
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10. Un sacrificio lineare slegato da tutto
I difetti e le mancanze di questa riforma costituzionale sono tali che anche i sostenitori del si' a volte ricorrono all'argomento definitivo: in fondo sono quasi quarant'anni (dalla prima commissione bicamerale per le riforme) che si propone la riduzione dei parlamentari. E' vero, ma mai era stata proposta come un taglio lineare senza altri interventi sull'impianto istituzionale.
E' vero anche che per la riduzione si e' schierata in passato la sinistra, soprattutto dopo che le assemblee (legislative) regionali hanno ampliato e spostato verso il basso la rappresentanza. Ma la proposta (Ferrara, Rodota', 1985) anche in quel caso era di sistema e soprattutto prevedeva il monocameralismo. Una sola camera di 600 deputati eletta con una legge proporzionale non avrebbe tutti i problemi in termini di penalizzazione della rappresentanza territoriale e politica che ha invece la riforma dei 5 Stelle.
Riforma, quest'ultima, comparsa per la prima volta in un documento ufficiale nella nota di aggiornamento al Def del settembre 2018 (governo gialloverde Conte-Salvini) legata pero' a doppio filo con l'introduzione della "democrazia diretta". Velocissimo l'iter di approvazione: dalla prima lettura della prima deliberazione (febbraio 2019 al senato) alla seconda lettura della seconda deliberazione (ottobre 2019 alla camera) sono passati appena otto mesi.
Difficile trovare precedenti cosi' rapidi di riforme costituzionali negli ultimi venti anni. Persino l'abolizione della pena di morte nel 2007 e l'introduzione della parita' di genere nell'accesso alle cariche elettive nel 2003 sono state piu' meditate. L'unica modifica costituzionale che e' stata approvata a questa velocita' (anche a maggioranza qualificata) e' stata l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012.
Quasi tutti se ne sono pentiti.

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NO ALL'ANTIPARLAMENTARISMO, NO AL FASCISMO, NO ALLA BARBARIE
No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
Al referendum del 20-21 settembre votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 31 del 13 settembre 2020
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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