[Nonviolenza] No. 18
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- Date: Mon, 31 Aug 2020 07:39:46 +0200
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NO ALL'ANTIPARLAMENTARISMO, NO AL FASCISMO, NO ALLA BARBARIE
No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
Al referendum del 20-21 settembre votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 18 del 31 agosto 2020
In questo numero:
1. No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
2. Il testo del quesito referendario
3. Severino Vardacampi: Per tre ragioni votero' NO al referendum del 20-21 settembre 2020
4. "Il manifesto": Referendum costituzionale sul taglio del parlamento, dieci motivi per dire NO
5. Stefano Feltri: Perche' NO
1. APPELLI. NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE CHE MUTILA LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E MIRA AD IMPORRE UN REGIME TOTALITARIO NEL NOSTRO PAESE
Al referendum costituzionale sulla mutilazione del parlamento del 20-21 settembre 2020 voteremo no.
Siamo contrari a ridurre il Parlamento a una tavolata di yes-men al servizio di esecutivi tanto insipienti quanto tracotanti e dei grotteschi e totalitari burattinai razzisti e militaristi che li manovrano.
Siamo contrari al passaggio dalla democrazia rappresentativa, per quanto imperfetta essa possa essere, al fascismo.
La mutilazione del parlamento attraverso la riduzione del numero dei parlamentari ha questo significato e queste fine: favorire il passaggio da una democrazia costituzionale gia' profondamente ferita a un regime sempre piu' antidemocratico ed eslege, sempre piu' protervo e brutale.
Al referendum del 20-21 settembre 2020 votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie.
No all'antiparlamentarismo, che alla separazione e all'equilibrio dei poteri, alla rappresentanza proporzionale dell'intera popolazione e alla libera discussione e consapevole deliberazione vuole sostituire i bivacchi di manipoli, l'autoritarismo allucinato, plebiscitario e sacrificale, il potere manipolatorio dei padroni occulti e palesi delle nuove tecnologie della propaganda e della narcosi.
No al fascismo, crimine contro l'umanita'.
No alla barbarie, che annichilisce ogni valore morale e civile, che perseguita ed estingue ogni umana dignita' e virtu', che asservisce la societa' alla menzogna e alla violenza.
2. MATERIALI. IL TESTO DEL QUESITO REFERENDARIO
Il testo del quesito referendario e' il seguente: "Approvate il testo della legge costituzionale concernente 'Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari', approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n. 240 del 12 ottobre 2019?".
3. REPETITA IUVANT. SEVERINO VARDACAMPI: PER TRE RAGIONI VOTERO' NO AL REFERENDUM DEL 20-21 SETTEMBRE 2020
In questi giorni un numero crescente di persone, e di prestigiose associazioni, stanno prendendo posizione per il NO al referendum che si terra' fra tre settimane. Da don Luigi Ciotti a padre Alex Zanotelli, da Romano Prodi a Massimo Cacciari, dalle Acli all'Arci, dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia fino a 183 illustri costituzionalisti che hanno sottoscritto un appello la cui lettura convincerebbe a votare NO chiunque abbia il dono della ragione.
Ovviamente tutte queste persone condividono alcuni motivi comuni, poi ciascuna ne propone anche altri, diversi e fin peculiari.
Anche io votero' NO alla mutilazione del parlamento italiano imposta da Conte, Di Maio e Salvini, per le stesse ragioni per cui votai NO alla mutilazione del parlamento italiano imposta da Berlusconi nel 2006, e per le stesse ragioni per cui votai NO alla mutilazione del parlamento italiano imposta da Renzi nel 2016. Contro l'aggressione alla Costituzione e alla democrazia rappresentativa da parte di Berlusconi prima, e di Renzi poi, vincemmo. Possiamo, dobbiamo vincere anche contro l'aggressione alla Costituzione e alla democrazia rappresentativa da parte di Conte, Di Maio e Salvini.
Da semplice "quidam de popolo" enuncio qui di seguito le tre ragioni che ritengo decisive per votare NO.
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La prima ragione: perche' preferisco la democrazia alla dittatura; perche' preferisco il Parlamento allo squadrismo; perche' preferisco la separazione (e quindi il bilanciamento e il reciproco controllo) dei poteri al fascismo.
Chi vuole mutilare il parlamento preferisce invece l'arbitrio del piu' forte, del piu' selvaggio, del piu' brutale.
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La seconda ragione: perche' preferisco che le leggi siano fatte attraverso una pubblica discussione ascoltando tutte le opinioni e tutte le critiche con tutto il tempo che ci vuole, e in un luogo in cui sia rappresentata la maggior parte possibile della popolazione con criterio proporzionale e quindi senza esclusione delle minoranze, poiche' la democrazia in questo consiste: nel conflitto civilmente espresso e nella mediazione razionalmente raggiunta nel rispetto dei diritti fondamentali di tutti gli esseri umani garantiti per legge.
Chi vuole mutilare il parlamento preferisce invece che decidano tutto quattro criminali razzisti nelle segrete stanze dei bottoni nel disprezzo e a danno dell'intera umanita'.
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La terza ragione: perche' provo disgusto ed orrore di ogni violenza e soprattutto della violenza dei potenti, e preferisco vivere in un paese in cui la legalita' salvi le vite, in cui ogni essere umano bisognoso di aiuto sia aiutato, in cui ogni persona abbia il diritto di far valere il suo voto, in cui si possano correggere gli errori prima che abbiano conseguenze nefaste e irreversibili.
Chi vuole mutilare il parlamento preferisce invece risparmiarsi la fatica del pensiero, della comprensione, del dialogo, del riconoscimento e del rispetto delle altre persone, ed imporre la barbarie che e' sempre distruttiva, che e' sempre assassina.
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Per queste tre ragioni votero' NO al referendum del 20-21 settembre 2020.
NO all'antiparlamentarismo, NO al fascismo, NO alla barbarie.
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In calce a questa dichiarazione allego l'"appello nonviolento per il NO" promosso dalla struttura nonviolenta viterbese e il testo integrale dell'appello dei 183 costituzionalisti, materiali che mi sembrano utili per l'autonoma riflessione di chi vorra' leggere queste righe.
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Allegato primo: Un appello nonviolento per il NO al referendum
No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
Al referendum costituzionale sulla mutilazione del parlamento del 20-21 settembre 2020 voteremo no.
Siamo contrari a ridurre il Parlamento a una tavolata di yes-men al servizio di esecutivi tanto insipienti quanto tracotanti e dei grotteschi e totalitari burattinai razzisti e militaristi che li manovrano.
Siamo contrari al passaggio dalla democrazia rappresentativa, per quanto imperfetta essa possa essere, al fascismo.
La mutilazione del parlamento attraverso la riduzione del numero dei parlamentari ha questo significato e queste fine: favorire il passaggio da una democrazia costituzionale gia' profondamente ferita a un regime sempre piu' antidemocratico ed eslege, sempre piu' protervo e brutale.
Al referendum del 20-21 settembre 2020 votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie.
No all'antiparlamentarismo, che alla separazione e all'equilibrio dei poteri, alla rappresentanza proporzionale dell'intera popolazione e alla libera discussione e consapevole deliberazione vuole sostituire i bivacchi di manipoli, l'autoritarismo allucinato, plebiscitario e sacrificale, il potere manipolatorio dei padroni occulti e palesi delle nuove tecnologie della propaganda e della narcosi.
No al fascismo, crimine contro l'umanita'.
No alla barbarie, che annichilisce ogni valore morale e civile, che perseguita ed estingue ogni umana dignita' e virtu', che asservisce la societa' alla menzogna e alla violenza".
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Allegato secondo: L'appello di 183 costituzionalisti per il NO al referendum
Le ragioni del nostro NO al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari
In risposta all'appello del Direttore della testata online "Huffington Post" Mattia Feltri, pubblicato lo scorso 8 agosto, le sottoscritte e i sottoscritti, docenti, studiose e studiosi di diritto costituzionale, intendono spiegare le ragioni tecniche per le quali si oppongono alla riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari, illustrando i rischi per i principi fondamentali della Costituzione che la revisione comporta.
Si precisa che il presente documento scaturisce da un'iniziativa autonoma e totalmente indipendente sia dal Coordinamento per la democrazia costituzionale (CDC), sia dal Comitato nazionale per il No al taglio del Parlamento, cosi' come da ogni altro ente, organismo e associazione, esprimendo considerazioni frutto esclusivamente dell'elaborazione collettiva dei sottoscrittori.
Il testo di legge costituzionale sottoposto alla consultazione referendaria, introducendo una riduzione drastica del numero dei parlamentari (da 945 componenti elettivi delle due Camere si passerebbe a 600), avrebbe un impatto notevole sulla forma di Stato e sulla forma di governo del nostro ordinamento. Tanti motivi inducono a un giudizio negativo sulla riforma: qui si illustrano i principali.
1) La riforma svilisce, innanzitutto, il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentativita', senza offrire vantaggi apprezzabili ne' sul piano dell'efficienza delle istituzioni democratiche ne' su quello del risparmio della spesa pubblica.
I fautori della riforma adducono, a sostegno del "SI'" al referendum, la riduzione di spesa che la modifica della composizione delle Camere determinerebbe. Si tratta, pero', di un argomento inaccettabile non soltanto per l'entita' irrisoria dei tagli di cui si parla, ma anche perche' gli strumenti democratici basilari (come appunto l'istituzione parlamentare) non possono essere sacrificati o depotenziati in base a mere esigenze di risparmio.
La riduzione del numero dei parlamentari non deriverebbe, inoltre, da una riforma ragionata del bicameralismo perfetto (il vigente assetto parlamentare in base al quale le due Camere si trovano nella stessa posizione e svolgono le medesime funzioni). Tale sistema non sarebbe toccato dalla legge costituzionale oggetto del referendum.
Spesso si fa riferimento agli esempi di altri Stati ma non puo' correttamente compararsi il numero dei componenti delle Camere italiane con quello di altre assemblee parlamentari in termini astratti, senza tenere conto del numero degli elettori (e, dunque, del rapporto eletti/elettori). Si trascura, inoltre, che in molti degli ordinamenti assunti come termini di paragone si riscontrano forme di governo e tipi di Stato diversi dai nostri.
2) La riforma presuppone che la rappresentanza nazionale possa essere assorbita nella rappresentanza di altri organi elettivi (Parlamento europeo, Consigli regionali, Consigli comunali, ecc.), contro ogni evidenza storica e contro la giurisprudenza della Corte costituzionale.
I fautori della riforma sostengono ancora che la riduzione del numero dei parlamentari non arrecherebbe alcun danno alle esigenze della rappresentativita' perche' sarebbero gia' tanti gli organi elettivi (Parlamento europeo, Consigli regionali, consigli comunali, ecc.) la cui formazione dipenderebbe dal voto dei cittadini. La rappresentanza nazionale, secondo questa tesi, potrebbe trovare un'espressione parcellizzata in altri luoghi istituzionali. A prescindere, pero', da ogni altra considerazione sul ruolo e sulle competenze degli organi elettivi richiamati (ad esempio, i Consigli regionali italiani non sono paragonabili ai parlamenti degli Stati membri di una federazione), si puo' ricordare che la Corte costituzionale ha chiarito che "solo il Parlamento e' sede della rappresentanza politica nazionale, la quale imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile".
Basta leggere, del resto, le materie attribuite dalla Costituzione alla competenza esclusiva del legislatore statale (e considerare l'interpretazione estensiva che di molte di queste materie ha dato la stessa Corte costituzionale nella sua giurisprudenza) per avere un'idea dell'importanza delle Camere.
3) La riforma riduce in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza di interi territori.
Per quanto riguarda la nuova composizione del Senato, alcune Regioni finirebbero con l'essere sottorappresentate rispetto ad altre. Cosi', ad esempio, l'Abruzzo, con un milione e trecentomila abitanti, avrebbe diritto a quattro senatori, mentre il Trentino-Alto Adige, con le sue due province autonome e con una popolazione complessiva di un milione di abitanti, avrebbe in tutto sei senatori; e ancora la Liguria, con cinque seggi, avrebbe una rappresentanza al Senato, in sostanza, della sola area genovese.
4) La riforma non eliminerebbe ma, al contrario, aggraverebbe i problemi del bicameralismo perfetto (anche se e' spesso presentata dai suoi sostenitori come un intervento volto a raggiungere gli stessi obiettivi di precedenti progetti di riforma, diretti a rendere piu' efficiente l'istituzione parlamentare).
Come si e' gia' detto, l'attuale riforma non introduce alcuna differenziazione tra le due Camere ma si limita semplicemente a ridurne i componenti, il cui elevato numero costituisce una caratteristica del Parlamento e non del bicameralismo perfetto. Tale assetto, in teoria, potrebbe anche essere modificato senza alterare in modo cosi' incisivo il numero dei parlamentari, anche solo per il tramite di una contestuale riforma dei regolamenti parlamentari di Camera e Senato. Al contrario, se si considerano i problemi di rappresentanza di alcuni territori regionali che la riforma comporterebbe, risulta che paradossalmente la legge in questione finirebbe con l'aggravare, anziche' ridurre, i problemi del bicameralismo perfetto.
5) La riforma appare ispirata da una logica "punitiva" nei confronti dei parlamentari, confondendo la qualita' dei rappresentanti con il ruolo stesso dell'istituzione rappresentativa. La revisione costituzionale sembra essere espressione di un intento "punitivo" nei confronti dei parlamentari – visti come esponenti di una "casta" parassitaria da combattere con ogni mezzo – ed e' il segno di una diffusa confusione del problema della qualita' dei rappresentanti con il ruolo dell'organo parlamentare. Non e' dato riscontrare, tuttavia, un rapporto inversamente proporzionale tra il numero dei parlamentari e il livello qualitativo degli stessi. Una simile riduzione dei componenti delle Camere penalizzerebbe soltanto la rappresentanza delle minoranze e il pluralismo politico e potrebbe paradossalmente produrre un potenziamento della capacita' di controllo dei parlamentari da parte dei leader dei partiti di riferimento, facilitato dal numero ridotto degli stessi componenti delle Camere.
Non puo' trascurarsi, inoltre, lo squilibrio che si verrebbe a determinare qualora, entrata in vigore la modifica costituzionale, non si avesse anche una modifica della disciplina elettorale, con essa coerente, tale da assicurare – nei limiti del possibile – la rappresentativita' delle Camere e, allo stesso tempo, agevolare la formazione di una maggioranza (sia pur relativamente) stabile di governo.
E' illusorio, in conclusione, pensare alle riforme costituzionali come ad azioni dirette a causare shock a un sistema politico-partitico incapace di autoriformarsi, nella speranza che l'evento traumatico possa innescare reazioni benefiche. Una cattiva riforma non e' meglio di nessuna riforma. Semmai e' vero il contrario. Respingendo questa riforma perche' monca e destabilizzante, ci sarebbe spazio per proposte equilibrate che mantengano intatti i principi fondanti del nostro ordinamento costituzionale; al contrario sarebbe piu' difficile mettere in discussione una riforma appena avallata dal corpo elettorale. Occorrono, in definitiva, interventi idonei ad apportare miglioramenti al sistema nel rispetto della democraticita' e della rappresentativita' delle istituzioni.
Per queste ragioni i sottoscritti voteranno convintamente "NO"!
4. REPETITA IUVANT. "IL MANIFESTO": REFERENDUM COSTITUZIONALE SUL TAGLIO DEL PARLAMENTO, DIECI MOTIVI PER DIRE NO
[Dal quotidiano "Il manifesto" riprendiamo questo articolo del 20 agosto 2020 dal titolo "Referendum costituzionale sul taglio del parlamento: perche' No" e il sommario "Tra un mese il voto. L'etichetta della legge e' semplice: 230 deputati e 115 senatori in meno. Ma il contenuto e' pericoloso. Dieci motivi per dire di No"]
1. A conti fatti si risparmia la meta'
Cominciamo da qui, dai soldi, perche' e' l'argomento "forte" del Movimento 5 Stelle, sebbene non originale. Quattro anni fa, infatti, era stato il Pd (Renzi) a scrivere sui suoi manifesti che "Basta un si' per cancellare poltrone e stipendi" – e' noto che quel referendum costituzionale lo vinsero i no. Sul manifesto dei grillini c'e' scritto adesso "1 miliardo per i cittadini", a tanto ammonterebbe il risparmio ottenuto con 345 "stipendi" parlamentari in meno.
La cifra e' fortemente esagerata: per raggiungerla ci vorrebbero dieci anni (due legislature) e 100 milioni di risparmi l'anno. I 5 Stelle giurano che saranno tanti ma e' facile smentirli. Gli ultimi bilanci di camera e senato indicano infatti tra indennita' e rimborsi una spesa di 144,885 milioni di euro per i deputati e 79,386 milioni per i senatori. Il che vuol dire che 230 deputati in meno garantirebbero un risparmio di 52,9 milioni e la rinuncia a 115 senatori significherebbe risparmiare 28,530 milioni.
Anche cosi' la promessa grillina non e' rispettata, il totale fa 81,430 milioni in meno l'anno, non 100. Ma e' un calcolo fatto al lordo delle tasse, perche' lo stato recupera una parte dell'indennita' sotto forma di Irpef e di addizionali regionali e comunali. Sono circa dieci milioni di gettito per i deputati e sei per i senatori. Il risparmio netto quindi e' piu' basso: 42,7 milioni per i deputati e 22,7 milioni per i senatori, totale 65,4 milioni l'anno.
C'e' di piu': una quota dei rimborsi che spettano ogni anno ai deputati e ai senatori e' destinata a pagare i collaboratori. Chi vuole tagliare le "poltrone" non ha ancora mai detto di volere parimenti licenziare gli assistenti (e per certi versi, anzi, il loro numero potrebbe addirittura salire, vedremo piu' avanti). Il vero risparmio netto dunque puo' essere calcolato in 36 milioni per i deputati e 17 milioni per i senatori, per un totale che e' quasi la meta' di quello annunciato dai sostenitori del si'.
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2. Non si toccano altre voci
Ma e' giusto mettere tanta attenzione ai risparmi, quando si parla di un'istituzione come il parlamento? Se la vostra risposta e' comunque si', e anche 50 milioni l'anno non vi sembrano affatto trascurabili, e' bene considerare che questo risparmio ottenuto tagliando la rappresentanza permetterebbe di fare economia sulle spese annuali di camera e senato soltanto per il 2,5%. Per avere un metro di paragone, si puo' considerare che le spese totali di camera e senato per il personale (stipendi e previdenza, parliamo quindi di tutti tranne che degli eletti) sono di circa 350 milioni l'anno. Vale a dire sette volte quello che si risparmierebbe rinunciando a 230 deputati e 115 senatori. Queste spese non saranno toccate.
Cinquanta milioni all'anno vuol dire che per arrivare al miliardo di minori spese reclamizzato da Di Maio (che ha anche gia' pubblicato uno schema di cosa intende fare, subito, con quei soldi) bisognera' arrivare alla fine di quattro legislature intere con il parlamento ridimensionato. A partire dalla prossima (se vincono i si'). Quindi appuntamento al 2043.
Intanto gli economisti dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani guidato da Carlo Cottarelli hanno calcolato per il taglio di 445 parlamentari un risparmio molto vicino a quello che abbiamo stimato noi, per loro sono 57 milioni l'anno. E hanno aggiunto che si tratta appena dello 0,007% della spesa pubblica italiana (camera e senato hanno bilanci autonomi, ma evidentemente i risparmi comporterebbero minori trasferimenti pubblici). Dividendo infine il risparmio annuo per tutta la popolazione italiana, l'Osservatorio sui conti pubblici ha concluso che si tratta dell'equivalente di un caffe' (0,95 centesimi) all'anno per ognuno di noi 60 milioni. In cambio di un bel taglio alla rappresentanza.
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3. Giu' il rapporto tra eletti e popolo
La rappresentanza, eccoci al punto. Gli aspetti da valutare sono due. Il primo e' il rapporto tra il numero degli abitanti e il numero dei parlamentari (deputati e senatori). Piu' e' alto questo rapporto, meno i cittadini sono rappresentati, nel senso che un parlamentare deve rappresentare una fetta maggiore di "popolo". Allora facile capire perche' negli ultimi cento anni i deputati siano sempre cresciuti, prendiamo come riferimento la legislatura del 1919 perche' fu la prima in cui entro' in funzione l'attuale aula di Montecitorio (e fu l'ultima legislatura senza Benito Mussolini tra i banchi), allora gli italiani non arrivavano a 40 milioni.
Dal 1919 a oggi i deputati sono aumentati di 112 unita' (erano allora 518), sempre crescendo con l'eccezione delle due legislature elette con il sistema plebiscitario durante il regime fascista. Curiosita': in quel periodo i seggi per i deputati furono ridotti proprio a 400 come si intende fare adesso. Nel 1948 la Costituzione non previde un numero fisso di deputati e senatori. I primi avrebbero dovuto essere uno ogni 80mila abitanti o frazione superiore ai 40mila, mentre i senatori sarebbero stati uno ogni 200mila abitanti o frazione superiore a 100mila. Di conseguenza nella prima legislatura i deputati furono 572 e i senatori 237.
Il rapporto con la popolazione fu congelato nel 1963, quando una riforma costituzionale stabili' un numero fisso di parlamentari: 630 deputati e 315 senatori (piu' i senatori a vita e gli ex presidenti della Repubblica). Malgrado siano trascorsi quasi sessant'anni da quelle riforma costituzionale, il rapporto tra elettori ed eletti e' rimasto su per giu' lo stesso: e' un po' aumentato alla camera, dove oggi c'e' un deputato ogni 96mila abitanti ed e' un po' diminuito al senato, dove c'e' oggi un senatore ogni 192mila abitanti. Con il taglio queste proporzioni sarebbero stravolte.
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4. Diventeremo gli ultimi tra i paesi Ue
"L'Italia e' il paese con il numero piu' alto di parlamentari". Quante volte lo avete sentito dire dalla propaganda per il si'? Talvolta lo slogan viene appena un po' corretto aggiungendo "elettivi" a "parlamentari", tanto e' evidentemente falso: basta dire che nel Regno Unito i parlamentari sono piu' di 1.400. Ma a Londra ci sono i lords che hanno una funzione e soprattutto una carica, non elettiva, imparagonabile a quella dei nostri rappresentanti del popolo.
Problema simile c'e' con molte altre camere "alte" degli altri paesi, che spesso sono non elettive o rappresentano le autonomie locali o gli stati federati. Piu' facile il raffronto con le camere "basse", ovunque elette direttamente dal popolo. Oggi l'Italia con i suoi 96mila abitanti per deputato e' uno degli stati con maggiore rappresentativita': piu' del Regno Unito (un deputato ogni 102mila abitanti), piu' dell'Olanda (uno ogni 114mila), della Germania e della Francia (entrambe hanno un deputato ogni 116mila abitanti) e piu' della Spagna (uno ogni 133mila).
Un rapporto maggiore tra elettori ed eletti rispetto al nostro c'e' in Danimarca, Finlandia, Svezia, Belgio, Polonia, Grecia e Portogallo, tra gli altri. Non e' corretto pero' dire, come dicono i 5 Stelle, che con la riforma l'Italia si "allineera'" ai maggiori paesi europei. Il taglio di 230 deputati infatti portera' il nostro rapporto fino a un deputato ogni 151mila elettori. Diventeremmo cioe' di colpo il paese con la peggiore rappresentativita' tra tutti i 28 appartenenti all'Unione europea. E di gran lunga, visto che dopo di noi ci sarebbe la Spagna, ferma a un deputato ogni 133mila abitanti.
Peraltro a Madrid la camera "alta" e' a composizione mista – in parte e' eletta a suffragio universale, in parte e' designata dalle comunita' autonome – comunque piu' grande del nuovo senato italiano (266 senatori contro i nostri 200) per una popolazione assai inferiore (46 milioni contro i nostri 60 milioni).
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5. Territori penalizzati (chi piu', chi meno)
Ma il problema della rappresentanza e' anche un altro e riguarda i territori. Perche' diminuendo notevolmente il numero degli eletti a livello nazionale, meno 230 deputati e meno 115 senatori come detto, diminuisce ovviamente quello dei rappresentanti dei singoli territori. Fino a diventare un numero esiguo, questo e' vero soprattutto al senato.
Con 196 senatori (quattro sono destinati a essere eletti all'estero) da distribuire nelle venti regioni – confermate le "quote minime" di un senatore in Valle d'Aosta e due in Molise – il taglio sara' pesante dappertutto. Ma non ugualmente pesante. Per esempio la Toscana perdera' sei senatori (da 18 a 12), con un taglio del 33,3%. Sotto la media nazionale, che e' del 36,5%. Piu' penalizzato il Friuli Venezia Giulia, che subira' un taglio del 42,9%, stessa percentuale dell'Abruzzo (entrambe le regioni passeranno da 7 a 4 senatori). Male anche la Calabria, con meno 40% (da 10 a 6 senatori).
Ma soprattutto a essere penalizzate saranno l'Umbria e la Basilicata, che passeranno da 7 a 3 senatori, per entrambe meno 57,1%. Un abisso paragonato al Trentino Alto Adige, che – per via delle due province autonome alle quali e' stato garantito un numero uguale di senatori – perdera' in totale appena un seggio, scontando una diminuzione della rappresentanza parecchio sotto la media nazionale: meno 14,3%.
Il risultato di questa distribuzione e' la fotografia di un'Italia diseguale, dove in Trentino Alto Adige in media ci sara' un seggio elettivo per il senato ogni 171mila abitanti. E in Sardegna un seggio elettivo ogni 328mila abitanti, vale a dire quasi il doppio. Naturalmente questo ha effetti anche sulla rappresentanza politica, penalizzando le liste meno forti, oltre che sulla rappresentanza territoriale.
Come cercheremo di spiegare nella prossima scheda.
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6. La soglia di sbarramento "naturale"
Della legge elettorale parleremo altrove, ma intanto e' bene ricordare che i partiti – maggioranza e opposizione – si stanno attualmente dividendo attorno alla questione della soglia di sbarramento. Nella proposta all'esame della camera questa soglia e' fissata al 5% e c'e' chi la considera, con buone ragioni, eccessiva. Ma e' solo la soglia "esplicita", quella che e' scritta nella legge. Assai piu' alta e' la soglia "implicita", quella che concretamente le liste dovranno raggiungere per sperare di avere un eletto, questo proprio perche' gli eletti nel collegio sono molto pochi.
Ancora una volta dunque il problema si pone soprattutto al senato. Per esempio, in Liguria dove si eleggeranno, se il taglio sara' approvato, solo cinque senatori, superare il 5% non servira' a niente, visto che la soglia "implicita" sara' di oltre il doppio (circa il 12,5%). La Basilicata con i suoi tre senatori soltanto vedra' all'opera una soglia effettiva di quasi il 20%: raggiungibile secondo gli attuali sondaggi soltanto da due partiti. Il problema, attenuato, si pone anche alla camera.
Al senato e' piu' pesante perche' si aggiunge la previsione costituzionale in base alla quale la camera "alta" deve essere eletta su base regionale. Questo vuol dire che un partito per conquistare rappresentanti sul territorio deve superare entrambi gli sbarramenti a livello regionale, quello legale e quello "naturale" (il secondo e' di regola piu' alto del primo).
A questo secondo problema si sta cercando di porre rimedio con una riforma costituzionale appena all'inizio dell'iter parlamentare: cancellerebbe la base regionale per l'elezione del senato, introducendo come per la camera la base circoscrizionale. Resta il problema che partiti piccoli, quando sul territorio si eleggono pochissimi rappresentanti, sono condannati a restare fuori.
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7. Lavori piu' difficili, meno efficienza
Poco male, si dira', se tutto questo servira' a rendere il parlamento piu' efficiente. Perche' e' questo l'altro argomento ricorrente nei discorsi dei sostenitori del si'. Meno parlamentari significa lavori piu' spediti, posto l'indimostrato teorema che un parlamento e' tanto piu' efficiente quanti atti legislativi produce. Spesso e' vero il contrario.
In ogni caso, e' proprio cosi'? In realta' oggi – anche prima dello stato di emergenza, che ha esasperato i problemi – l'attivita' parlamentare e' impostata secondo i ritmi del governo. Decreti legge da esaminare entro la scadenza e questioni di fiducia sono la regola. Il problema della sottomissione del potere legislativo alle esigenze di quello esecutivo, di vecchia data, non sara' per niente scalfito dalla diminuzione del numero dei parlamentari.
Soprattutto perche' questa viene fatta con un chiaro intento antiparlamentare, visto che si tratta di rinunciare a un costo considerato improduttivo. Nella realta' la camera e il senato, condannati da un bicameralismo paritario – che non e' nemmeno scalfito da questa riforma – possono comunque lavorare in sincrono, portando avanti contemporaneamente progetti di legge diversi.
I lavori delle commissioni poi non saranno per nulla facilitati, visto che i regolamenti prevedono che possano andare avanti con un terzo dei commissari presenti: il che significa nove deputati o cinque senatori. Un numero troppo basso per un serio lavoro redigente.
A meno di non poter contare su uno staff molto largo e molto competente, come per esempio avviene nel senato degli Stati Uniti, dove i pochi senatori hanno a disposizione risorse enormi per gli uffici e i collaboratori. In conclusione, quindi, per avere garantita nel nuovo parlamento a ranghi ridotti almeno l'efficienza attuale, bisognera' spendere di piu'.
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8. Regolamenti superati, ma non cambiati
C'e' il famoso accordo di maggioranza, che aveva previsto alcune condizioni perche' il Pd e gli altri alleati dei 5 Stelle dessero il via libera al taglio dei parlamentari. Il si' c'e' stato ma le condizioni, chiamate "riequilibri", non si sono realizzate. Non si e' realizzata anzi non e' stata neanche approvata in commissione quella legge elettorale a base proporzionale che dovrebbe recuperare – ma solo un po' – la perdita di rappresentativita' che certamente derivera' dal taglio lineare dei parlamentari.
E non si sono realizzate le altre riforme costituzionali che, giusto o sbagliato che sia, Pd e Leu avevano considerato sufficienti a "riequilibrare" le istituzioni: l'equiparazione dell'elettorato attivo e passivo di camera e senato, la riduzione dei delegati regionali per l'elezione del presidente della Repubblica e la gia' citata introduzione della base circoscrizionale anche per l'elezione del senato.
Ma dove si avverte tutta l'incompletezza della riforma costituzionale voluta dei 5 Stelle e' nel mancato aggiornamento dei regolamenti parlamentari. Che sono stati scritti per i numeri attuali dei senatori e deputati e prevedono una serie di soglie a garanzia soprattutto delle minoranze. Trenta deputati, per esempio, oggi possono chiedere l'inversione dell'ordine del giorno, chiedere la votazione a scrutinio segreto, presentare subemendamenti agli emendamenti del governo: ovviamente 30 su 630 e' molto diverso rispetto a 30 su 400.
Le liste piu' piccole avranno difficolta' a formare un gruppo (20 deputati e 10 senatori), persino a entrare in tutte le attuali 14 commissioni e nelle giunte. In definitiva la vita delle minoranze sara' piu' difficile. I regolamenti, si dice, possono essere cambiati. E' vero, ma a parte che non sara' facile – serve la maggioranza assoluta e c'e' il voto segreto – non ci si doveva pensare prima?
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9. Il pasticcio del voto all'estero
Probabilmente non e' il principale, ma un bel problema il taglio dei parlamentari lo pone anche per la rappresentanza degli italiani all'estero. Rappresentanza prevista da una riforma pensata male (Tremaglia) e realizzata peggio, ma che in ogni caso oggi stabilisce (legge 459 del 2001) che i deputati e senatori eletti all'estero siano scelti con il sistema proporzionale e l'indicazione della preferenza.
Oggi la circoscrizione estera piu' grande e' quella europea (oltre due milioni e mezzo di residenti iscritti all'Aire) a seguire quella dell'America meridionale (un milione e mezzo), assai piu' piccole le circoscrizioni dell'America centrosettentrionale e di Africa, Asia e Oceania.
Non avendo avuto il coraggio di rinunciare ai seggi assegnati all'estero, con il taglio dei parlamentari nazionali e' stata tagliata anche la delegazione estera, percentualmente un po' meno: si passa infatti da 12 a 6 deputati e da 8 a 4 senatori. Il risultato e' che il deputato eletto nella circoscrizione piu' piccola (Africa, Asia, Oceania) sara' tre volte piu' rappresentativo di quello eletto nella circoscrizione piu' grande (Europa).
Il pasticcio principale e' stato fatto con i senatori, che essendo solo quattro giocoforza saranno uno per circoscrizione, che sia una circoscrizione grandissima o piccolissima. Avremo cosi' un senatore in rappresentanza dell'Europa intera, con tutto quello che significa in termini di campagna elettorale (impossibile e/o dispendiosissima) e rappresentanza. Ma anche con il tradimento del principio proporzionale stabilito dalla legge: tutti i collegi senatoriali delle circoscrizioni estero saranno nei fatti dei collegi uninominali. Il seggio andra' infatti a chi prende un voto in piu' e a lui soltanto.
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10. Un sacrificio lineare slegato da tutto
I difetti e le mancanze di questa riforma costituzionale sono tali che anche i sostenitori del si' a volte ricorrono all'argomento definitivo: in fondo sono quasi quarant'anni (dalla prima commissione bicamerale per le riforme) che si propone la riduzione dei parlamentari. E' vero, ma mai era stata proposta come un taglio lineare senza altri interventi sull'impianto istituzionale.
E' vero anche che per la riduzione si e' schierata in passato la sinistra, soprattutto dopo che le assemblee (legislative) regionali hanno ampliato e spostato verso il basso la rappresentanza. Ma la proposta (Ferrara, Rodota', 1985) anche in quel caso era di sistema e soprattutto prevedeva il monocameralismo. Una sola camera di 600 deputati eletta con una legge proporzionale non avrebbe tutti i problemi in termini di penalizzazione della rappresentanza territoriale e politica che ha invece la riforma dei 5 Stelle.
Riforma, quest'ultima, comparsa per la prima volta in un documento ufficiale nella nota di aggiornamento al Def del settembre 2018 (governo gialloverde Conte-Salvini) legata pero' a doppio filo con l'introduzione della "democrazia diretta". Velocissimo l'iter di approvazione: dalla prima lettura della prima deliberazione (febbraio 2019 al senato) alla seconda lettura della seconda deliberazione (ottobre 2019 alla camera) sono passati appena otto mesi.
Difficile trovare precedenti cosi' rapidi di riforme costituzionali negli ultimi venti anni. Persino l'abolizione della pena di morte nel 2007 e l'introduzione della parita' di genere nell'accesso alle cariche elettive nel 2003 sono state piu' meditate. L'unica modifica costituzionale che e' stata approvata a questa velocita' (anche a maggioranza qualificata) e' stata l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012.
Quasi tutti se ne sono pentiti.
5. DOCUMENTAZIONE. STEFANO FELTRI: PERCHE' NO
[Dal sito www.noaltagliodelparlamento.it col titolo "Perche' NO" e il sommario "Come nel 2016, una riforma costituzionale vuole mettere in discussione l'equilibrio tra i poteri in nome di risparmi risibili, imprecisati aumenti di efficienza e interessi politici di breve periodo. Visto che il fronte del Si' non ha altri argomenti che l'ostilita' ai parlamentari, non resta che votare No al referendum di settembre"]
Il 20 e 21 settembre si vota per confermare la riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari da 945 a 600, la Camera passa da 630 a 400 membri e il Senato da 315 a 200. Il governo promette che la riforma portera' "un miglioramento del processo decisionale" delle camere e ridurra' i costi della politica.
L'onere dell'argomentazione, nel caso dei referendum costituzionali, spetta a chi promuove la riforma. E in questo caso non ci sono argomentazioni, se non una generica ostilita' verso il parlamento. Molti voteranno pensando soltanto alle ricadute politiche sul governo (la vittoria del No metterebbe in difficolta' i Cinque stelle). Come nel 2016, io votero' No per difendere la Costituzione da riforme pensate soltanto per logiche di consenso di breve periodo, in nome di risparmi irrisori e miglioramenti di efficienza che neppure gli autori della riforma sanno spiegare.
Se vince il Si', nel breve periodo le camere rischieranno di essere paralizzate: servira' una nuova legge elettorale, nuovi collegi, nuovi regolamenti parlamentari. Neppure i promotori della riforma hanno mai spiegato da dove arriverebbe la maggiore efficienza. E i tagli di 100 milioni all'anno sono irrisori, soltanto l'ultimo salvataggio di Alitalia vale trent'anni di risparmi sul costo delle camere.
Dopo aver assistito all'indegno spettacolo di parlamentari strapagati che chiedono di nascosto il bonus da 600 euro per i professionisti in difficolta' risulta difficile avere una discussione serena sul referendum costituzionale del 20 e 21 settembre. Eppure e' necessario, perche' la nostra democrazia rappresentativa, costruita faticosamente sulle macerie del fascismo e della guerra, si regge sui rappresentanti e sulla partecipazione informata dei rappresentati, cioe' noi elettori.
Il quesito del referendum riguarda l'approvazione di una riforma costituzionale promossa dal Movimento 5 stelle e approvata con una larga maggioranza dai due rami del parlamento, che riduce il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200.
A quale scopo? La risposta la prendiamo dal sito del dipartimento per le Riforme istituzionali, guidato prima dal ministro Riccardo Fraccaro (che era anche ministro per la "democrazia diretta") e ora affidato a Federico D'Inca', entrambi Cinque stelle: "L'obiettivo e' duplice: da un lato favorire un miglioramento del processo decisionale delle camere per renderle piu' capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e dall'altro ridurre il costo della politica (con un risparmio stimato di circa 500 milioni di euro in una Legislatura)".
Se questi sono gli obiettivi, per decidere come votare a settembre bisogna rispondere a qualche domanda: la riforma proposta permette di favorire il processo decisionale? Rende le camere piu' capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini? Riduce i costi della politica?
Se la risposta a queste domande e' positiva, allora puo' essere conveniente ridurre il numero degli eletti, anche accettando che un minore numero di parlamentari equivale a una minore rappresentanza degli elettori. Quindi, in assenza della democrazia diretta promessa dai Cinque stelle (sperimentata con risultati dubbi sulla piattaforma Rousseau), a una minore possibilita' di essere parte del processo decisionale.
L'aspetto curioso e' che neppure i promotori della riforma provano a dimostrare che l'impatto sara' quello promesso.
I dossier di documentazione della Camera e quelli presenti sul sito del ministero dedicano molte pagine ai confronti internazionali (per dimostrare che anche 600 parlamentari non sono cosi' pochi), alla dimensione dei collegi elettorali, al nuovo ruolo degli italiani all'estero (che non si e' mai capito perche' votino nelle elezioni di un paese nel quale non vivono). Ma sulla maggiore efficienza non c'e' una virgola. Sulla capacita' di un parlamento piu' piccolo di essere maggiormente rappresentativo non si trova un solo paragrafo. E solo un certo provincialismo porta a comparare le camere ridotte con il Congresso degli Stati Uniti (435 deputati e 100 senatori), che e' il parlamento di uno stato federale in una repubblica presidenziale, quindi non c'entra nulla con quello italiano.
L'argomento dei costi, poi, e' privo di senso: 500 milioni ogni cinque anni fanno 100 milioni all'anno. Senza un solo minuto di dibattito parlamentare, il governo Conte II ha deciso di nazionalizzare per l'ennesima volta Alitalia con un investimento pubblico di 3 miliardi in una compagnia decotta. Quindi ha bruciato trent'anni di risparmi dal taglio dei parlamentari, almeno sei legislature. Se 100 milioni all'anno su un bilancio pubblico da 800 miliardi sono considerati un risparmio rilevante, allora facciamo anche un referendum su Alitalia.
Il governo e le forze politiche che hanno sostenuto la riforma, in primis Cinque stelle e Lega, non hanno alcun vero argomento a sostegno del taglio dei parlamentari. Citano tutti i tentativi precedenti di variare il numero di deputati e senatori nei decenni, a dimostrazione che loro, finalmente, ci stanno riuscendo. Ma non spiegano perche' il parlamento sara' migliore con meno membri.
Un parlamento piu' piccolo sembra funzionale soltanto a un disegno, abborracciato e ormai destinato a rimanere incompiuto, dei Cinque stelle di introdurre forme di democrazia diretta o almeno poco mediata, come il referendum propositivo, attraverso il progressivo svuotamento dei canali della democrazia rappresentativa. Ma nel contesto attuale non si capisce che beneficio dovrebbe trarre l'elettore dal fatto di perdere un po' di parlamentari.
Nel breve periodo ci sarebbero sicuramente problemi: la legge elettorale da rifare, i regolamenti parlamentari da adeguare, i collegi elettorali da ridisegnare. Ma neppure nel lungo periodo e' chiaro perche' l'efficienza dovrebbe aumentare o la qualita' del personale politico migliorare.
Di sicuro in questi anni il parlamento e' stato svuotato di competenze e autorevolezza, anche per colpa dei parlamentari che lo compongono, scelti dai segretari di partito (o piu' o meno a caso, tra i Cinque stelle) invece che dagli elettori, e dai governi che hanno abusato dei decreti legge fino all'ultima evoluzione: il ricorso ai dpcm, i decreti della presidenza del Consiglio utilizzati dal premier, Giuseppe Conte, che non passano neppure dal parlamento per la conversione, come invece accade per i decreti legge.
E' chiaro che in questa prospettiva il parlamento e' pletorico: ma allora invece che 600 deputati teniamone soltanto sessanta, come omaggio puramente simbolico a un'epoca in cui il parlamento qualcosa contava. A che servono 600 deputati e senatori a cui ormai non viene più concesso neppure il tempo di leggere il testo della legge di bilancio, il provvedimento piu' importante dell'anno, prima di votarla?
Gli elettori italiani hanno gia' votato sulla riduzione del numero dei parlamentari, nel 2006 (riforma di centrodestra) e nel 2016 (riforma del centrosinistra renziano), in entrambi i casi si sono opposti. Perche' gli scenari alternativi a quello attuale erano addirittura peggiori.
Nel 2016 il governo Renzi voleva stravolgere la Costituzione per alcune ragioni sensate, per altre discutibili e per altre ancora indicibili: per mettere ordine nei rapporti tra stato centrale e regioni, per rendere il parlamento piu' piccolo ed efficiente, per dominarlo al meglio grazie a una legge elettorale (incostituzionale) che avrebbe consegnato al Pd i pieni poteri sulla base di sondaggi che poi si sono rivelati effimeri.
Al netto della parte sui poteri delle regioni, che aveva elementi fondati come si e' visto durante la pandemia nel caos sanitario tra governatori e ministero della Salute, il resto non aveva senso e ha suscitato una trasversale indignazione. Sostituire un Senato di eletti con un gruppo di amministratori locali nominati che dovevano votare leggi fondamentali nel tempo libero, quasi fosse un dopolavoro, e' parso un po' assurdo al 60 per cento degli italiani.
L'argomento dei risparmi economici veniva, giustamente, sbertucciato anche all'epoca: poche decine di milioni all'anno. E l'idea di un parlamento piu' piccolo, dominabile da un solo partito, spaventava.
Almeno i renziani avevano fatto lo sforzo di inventare una narrazione di maggiore efficienza, contraddetta pero' da un testo di riforma cosi' confuso che nessuno aveva ben chiaro neppure quali compiti avrebbe avuto il nuovo Senato.
Nella riforma del 2020 i promotori non ci hanno neppure provato: vogliono un parlamento piu' piccolo, all'insegna del principio less is more. Meno parlamentari ci sono, meglio e'. Punto.
Uno degli aspetti discutibili della riforma Renzi era l'elevazione di sindaci e delegati dai consigli regionali al rango di senatori non eletti ma influenti. Pure in questa riforma ci sono oscuri delegati regionali che si trovano dotati di superpoteri senza ragione alcuna: 58 persone, non elette ma indicate dalle regioni, che partecipano, tra l'altro, al voto per scegliere il Presidente della Repubblica.
Nell'ultima elezione, quella per Sergio Mattarella nel 2015, pesavano poco: 58 su 1009, pari al 5,7 per cento. Ora passano all'8,9 per cento, con il rischio di essere decisivi nella scelta del prossimo capo dello stato. Perche' togliere potere ai rappresentanti eletti per darla a delegati nominati? Non si sa, e il governo non lo spiega.
Nel 2016 ho votato con convinzione contro la riforma costituzionale del governo Renzi: intervenire sul parlamento e' delicato, farlo in nome di un malinteso slancio di rinnovamento che mascherava disegni di dominio e "pieni poteri" mi sembrava assurdo e pericoloso.
Oggi gli stessi partiti che avevano votato contro quella riforma a difesa della Costituzione vogliono cancellare parlamentari per risparmiare 100 milioni all'anno, promettendo presunti miglioramenti ed efficienze. Si aggiunge il paradosso del Pd, che e' riuscito a essere prima a favore della riforma Renzi, poi contro quella Lega-Cinque stelle, poi pero' l'ha approvata in cambio della partenza del Conte II e ora non sa bene cosa votare.
Chi, come me, nel 2016 ha votato in difesa del parlamento e degli equilibri tra poteri previsti dalla Costituzione, per coerenza non ha molte alternative che votare no alla riduzione dei parlamentari.
Mi rendo conto che e' una posizione probabilmente destinata a essere minoritaria, perche' oggi come nel 2016 in tanti voteranno a prescindere dal merito della riforma ma sulla base delle conseguenze politiche del risultato: quattro anni fa per consacrare o congedare Matteo Renzi, oggi per salvare o sabotare gli equilibri Pd-Cinque stelle alla base dell'attuale governo.
Ma ai referendum costituzionali, lo dice la parola, si vota per riscrivere la Costituzione. Anzi, si vota per valutare se tra gli elettori c'e' un sufficiente consenso a legittimare le decisioni gia' prese in parlamento con ampie maggioranze. E' un supplemento di verifica previsto dai padri costituenti per essere sicuri che la riscrittura delle regole della competizione democratica sia davvero condivisa.
L'onere dell'argomentazione e' a carico dei sostenitori della riforma. Tradotto: sono i sostenitori del Si' al taglio dei parlamentari che devono convincerci che Camera e Senato funzioneranno meglio con meno membri, non tocca a chi propende per il No difendere l'esistente.
E a me, cari promotori della riforma e sostenitori del Si', non avete convinto. Quindi, come nel 2016, votero' a difesa della Costituzione che abbiamo invece di abbracciare cambiamenti motivati da impalpabili e ipocriti risparmi e vaghe idee di democrazia diretta che, in societa' piu' complesse delle polis greche, di solito implicano meno democrazia.
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NO ALL'ANTIPARLAMENTARISMO, NO AL FASCISMO, NO ALLA BARBARIE
No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
Al referendum del 20-21 settembre votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 18 del 31 agosto 2020
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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