[Nonviolenza] Telegrammi. 3759



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3759 del 3 giugno 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Opporsi al razzismo
2. Proposta di una lettera da inviare al governo
3. Proposta di una lettera da inviare ai Comuni
4. Carlo Angela
5. Fortunato Caccamo
6. Jan Deddens
7. Gladys del Estal
8: Pietro Dodi
9. Costanzo Ebat
10. Giovanni XXIII
11. Vittoria Giunti
12. Nazim Hikmet
13. Franz Kafka
14. Roberto Longhi
15. Gino Meneghel
16. Mario Mineo
17. Paolino Ranieri
18. Roberto Rossellini
19. Andres Segovia
20. Aldo Capitini: La mia opposizione al fascismo
21. Carogno Mozzarecchi: Un pomeriggio al circolo bocciofilo
22. Mauro Otello Fenedisci: Un predicatore
23. Massimiliano Fortuna presenta "Un'altra patria" di Marco Labbate
24. Enrico Pompeo presenta "Tutti i racconti" di Luis Sepulveda
25. Segnalazioni librarie
26. La "Carta" del Movimento Nonviolento
27. Per saperne di piu'

1. I COMPITI DELL'ORA. OPPORSI AL RAZZISMO

Opporsi al razzismo.
Restare umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.

2. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO

Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI

Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

4. MEMORIA. CARLo ANGELA

Il 3 giugno 1949 moriva Carlo Angela
medico antifascista e Giusto tra le nazioni
con gratitudine lo ricordiamo

5. MEMORIA. FORTUNATO CACCAMO

Il 3 giugno 1944 moriva assassinato dai fascisti
Fortunato Caccamo
partigiano
con gratitudine lo ricordiamo

6. MEMORIA. JAN DEDDENS

Il 3 giugno 1999 moriva Jan Deddens
poliziotto olandese che nel 1943
rifiuto' di di essere complice della Shoah
e fu deportato in Lager
Giusto tra le nazioni
con gratitudine lo ricordiamo

7. MEMORIA. GLADYS DEL ESTAL

Il 3 giugno 1979 moriva uccisa Gladys del Estal
miliante ecologista e pacifista
con gratitudine la ricordiamo

8. MEMORIA. PIETRO DODI

Il 3 giugno 1944 moriva assassinato dai nazisti
Pietro Dodi
partigiano
con gratitudine lo ricordiamo

9. MEMORIA. COSTANZO EBAT

Il 3 giugno 1944 moriva assassinato dai fascisti
Costanzo Ebat
partigiano
con gratitudine lo ricordiamo

10. MEMORIA. GIOVANNI XXIII

Il 3 giugno 1963 moriva Giovanni XXIII
il papa del Concilio e della Pacem in Terris
con gratitudine lo ricordiamo

11. MEMORIA. VITTORIA GIUNTI

Il 3 giugno 2006 moriva Vittoria Giunti
partigiana e militante del movimento operaio
con gratitudine la ricordiamo

12. MEMORIA. NAZIM HIKMET

Il 3 giugno 1963 moriva Nazin Hikmet
poeta e militante per la liberazione dell'umanita'
con gratitudine lo ricordiamo

13. MEMORIA. FRANZ KAFKA

Il 3 giugno 1924 moriva Franz Kafka
scrittore
con gratitudine lo ricordiamo

14. MEMORIA. ROBERTO LONGHI

Il 3 giugno 1970 moriva Roberto Longhi
illustre critico e storico dell'arte
con gratitudine lo ricordiamo

15. MEMORIA. GINO MENEGHEL

Il 3 giugno 1979 moriva Gino Meneghel
partigiano medico e scrittore
con gratitudine lo ricordiamo

16. MEMORIA. MARIO MINEO

Il 3 giugno 1987 moriva Mario Mineo
pensatore marxista e militante del movimento operaio
con gratitudine lo ricordiamo

17. MEMORIA. PAOLINO RANIERI

Il 3 giugno 2010 moriva Paolino Ranieri
militante del movimento operaio e partigiano
con gratitudine lo ricordiamo

18. MEMORIA. ROBERTO ROSSELLINI

Il 3 giugno 1977 moriva Roberto Rossellini
che fu il cinema come dovrebbe essere
con gratitudine lo ricordiamo

19. MEMORIA. ANDRES SEGOVIA

Il 3 giugno 1987 moriva Andres Segovia
musicista
con gratitudine lo ricordiamo

20. MAESTRI. ALDO CAPITINI: LA MIA OPPOSIZIONE AL FASCISMO
[Nuovamente riproponiamo il seguente articolo di Aldo Capitini originariamente apparso su "Il ponte", anno XVI, n. 1, gennaio 1960, disponibile anche nel sito www.aldocapitini.it e nel sito www.nonviolenti.org
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Tra le opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' ancora quella a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori, Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); ma notevole ed oggi imprescindibile e' anche la recente antologia degli scritti a cura di Mario Martini, Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004, 2007; delle singole opere capitiniane sono state recentemente ripubblicate: Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989, Edizioni dell'asino, Roma 2009; Elementi di un'esperienza religiosa, Cappelli, Bologna 1990; Colloquio corale, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2005; L'atto di educare, Armando Editore, Roma 2010; cfr. inoltre la raccolta di scritti autobiografici Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; La religione dell'educazione, La Meridiana, Molfetta 2008; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007; Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero, Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009. Tra le opere su Aldo Capitini: a) per la bibliografia: Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Bibliografia di scritti su Aldo Capitini, a cura di Laura Zazzerini, Volumnia Editrice, Perugia 2007; Caterina Foppa Pedretti, Bibliografia primaria e secondaria di Aldo Capitini, Vita e Pensiero, Milano 2007; segnaliamo anche che la gia' citata bibliografia essenziale degli scritti di Aldo Capitini pubblicati dal 1926 al 1973, a cura di Aldo Stella, pubblicata in Il messaggio di Aldo Capitini, cit., abbiamo recentemente ripubblicato in "Coi piedi per terra" n. 298 del 20 luglio 2010; b) per la critica e la documentazione: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Mario Martini (a cura di), Aldo Capitini libero religioso rivoluzionario nonviolento. Atti del Convegno, Comune di Perugia - Fondazione Aldo Capitini, Perugia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Gian Biagio Furiozzi (a cura di), Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Maurizio Cavicchi, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita, Manduria 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; Alarico Mariani Marini, Eligio Resta, Marciare per la pace. Il mondo nonviolento di Aldo Capitini, Plus, Pisa 2007; Maura Caracciolo, Aldo Capitini e Giorgio La Pira. Profeti di pace sul sentiero di Isaia, Milella, Lecce 2008; Mario Martini, Franca Bolotti (a cura di), Capitini incontra i giovani, Morlacchi, Perugia 2009; Giuseppe Moscati (a cura di), Il pensiero e le opere di Aldo Capitini nella coscienza delle giovani generazioni, Levante, Bari 2010; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; e Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del Novecento, Donzelli, Roma 2006; c) per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato ed i volumi bibliografici segnalati sopra]

Non e' facile elevarsi su quel patriottismo scolastico che ci coglie proprio nel momento, dai dieci ai quindici anni, in cui cerchiamo un impiego esaltante delle nostre energie, una tensione attiva e appoggiata a miti ed eroi.
Quaranta anni successivi di esperienza in mezzo ad una storia movimentatissima ci hanno ben insegnato due cose: che la devozione alla patria deve essere messa in rapporto e mediata con ideali piu' alti e universali; che la nazione e' una vera societa' solo in quanto risolve i problemi delle moltitudini lavoratrici nei diritti e nei doveri, nel potere, nella cultura, in tutte le liberta' concretamente e responsabilmente utilizzabili.
Quella "patria" che la scuola ci insegno', che era del Foscolo e del Carducci, e diventava del D'Annunzio e del Marinetti, non poteva essere il centro di tutti gli interessi; e percio' potei essere nazionalista tra i dieci e i quindici anni, ma non poi restarlo quando vidi la guerra in rapporto, meno con la nazione, e piu' con l'umanita' sofferente e divisa; quando dalla letteratura vociana e di avaguardia salii (da autodidatta e piu' tardi che i coetanei) alla piu' strenua, vigorosa, e anche filologica classicita', vista nei testi latini, greci e biblici, come valori originali; quando portai la riflessione politica, precoce ma intorbidata dall'attivismo nazionalistico, ad apprezzare i diritti della liberta' e l'apertura al socialismo come cose fondamentali, insopprimibili per qualsiasi motivo.
Umanitario e moralista, tutto preso dalla ricostruzione della mia cultura (eseguita tardi ma con consapevolezza) e anche dal dolore fisico, il dopoguerra 1918-'22 mi trovo' del tutto estraneo al fascismo, anche se avevo coetanei che vi erano attivissimi: non sentii affatto l'impulso ad accompagnarmi con loro. Anzi, mi permettevo nella mia indipendenza, di leggere la "Rivoluzione liberale", di offrire lieto il mio letto ad un assessore socialista cercato dagli squadristi, e la mattina della "Marcia su Roma" sentii bene che non dovevo andarci, perche' era contro la liberta'.
Certo, per chi e' stato, purtroppo (e purtroppo dura ancora), educato a quel tal patriottismo scolastico, per chi non ha potuto nell'adolescenza non assorbire del dannunzianesimo e del marinettismo, qualche volta il fascismo poteva sembrare un qualche cosa di energico, di impegnato a far qualche cosa; e comprendo percio' le esitazioni e le cadute di tanti miei coetanei, che hanno come me press'a poco gli anni del secolo.
Se io fui preservato e salvato per opera di quell'evangelismo umanitario-moralistico e indipendente, per cui non ero diventato ne' cattolico (pur essendo teista) ne' fascista, e preferii rinunciare alla politica attiva, a cui pur da ragazzo tendevo, scegliendo un lavoro di studio, di poesia, di filosofia, di ricerca religiosa; tanti altri, anche per il fatto di essere stati in guerra (io ero stato escluso perche' riformato), lungo il binario del patriottismo, del combattentismo, dello squadrismo, videro nel fascismo la realizzazione di tutto.
Queste mie parole sono percio' un invito a diffidare del patriottismo scolastico, che puo' portare a tanto e a giustificare tanti delitti, e un proposito di lavorare per un'educazione ben diversa. Questa e' dunque la prima esperienza che ho vissuto in pieno: ho potuto contrastare al fascismo fin dal principio perche' mi ero venuto liberando (se non perfettamente) dal patriottismo scolastico; esso fu uno degli elementi principalmente responsabili dell'adesione di tanti al fascismo.
*
Ed ora vengo alla seconda esperienza fondamentale. Si capisce che mentre il fascismo si svolgeva, quasi insensibile com'ero alla soddisfazione "patriottica", mi trovavo contrario alla politica estera ed interna. Per l'estero io ero press'a poco un federalista, e mi pareva che un'unione dell'Italia, Francia, Germania (circa centocinquanta milioni di persone) avrebbe costituito una forza viva e civile, anche se l'Inghilterra fosse voluta rimanere per suo conto; ma ci voleva uno spirito comune, che, invece, il nazionalismo fece rovinare. Ebbi sempre un certo rispetto per la Societa' delle Nazioni; e mi pareva che l'Italia avesse avuto molto col Trattato di Versailles, malgrado le strida dei nazionalisti. Approvavo il lavoro di Amendola e degli altri per un patto con gli Jugoslavi, che ci avrebbe risparmiato tante tragedie e tante vergogne.
Per la politica interna la Milizia in mano a Mussolini, il delitto Matteotti, la dittatura e il fastidio, a me lettore e raccoglitore di vari giornali, che dava la lettura di giornali eguali, l'avversione che sentivo per il saccheggio e la distruzione e l'abolizione di tutto cio' che era stata la vita politica di una volta, le Camere del lavoro, le varie sedi dei partiti, le logge massoniche; mi tenevano staccato dal fascismo.
Sapevo degli arresti, delle persecuzioni. Dov'era piu' quel bel fermento di idee, quella vivacita' di spirito di riforme che avevo vissuto dal '18 al '24? Quanti libri liberi, riviste ("Conscientia" per esempio, che conservavo come preziosa), erano finiti! L'Italia che avrebbe dovuto riformarsi in tutto, era ora affidata ad un governo reazionario e militarista! E io ricordavo il mio entusiasmo per le amministrazioni socialiste: come seguivo quella di Milano, quella di Perugia, mia citta'!
Non ero iscritto a nessun partito, non partecipavo nemmeno, preso da altro, alla dialettica politica, ma le amministrazioni socialiste mi parevano una cosa preziosa, con quegli uomini presi da un ideale, umili di condizione, e "diversi", la' impegnati ad amministrare per tutti.
Sicche' ero contrario al regime, e la seconda esperienza fondamentale lo confermo': fu la Conciliazione del febbraio del '29.
Non ero piu' cattolico dall'eta' di tredici anni, ma ero tornato ad un sentimento religioso sul finire della guerra, e lo studio successivo, anche filosofico e storico sulle origini del cristianesimo, di la' dalle leggende e dai dogmi mi aveva concretato un teismo di tipo morale.
Guardando il fascismo, vedevo che lo avevano sostenuto in modo decisivo due forze: la monarchia che aveva portato con se' (piu' o meno) l'esercito e la burocrazia; l'alta cultura (quella parte vittima del patriottismo scolastico) che aveva portato con se' molto della scuola. C'era una terza forza: la Chiesa di Roma. Se essa avesse voluto, avrebbe fatto cadere, dispiegando una ferma non collaborazione, il fascismo in una settimana. Invece aveva dato aiuti continui. Si venne alla Conciliazione tra il governo fascista e il Vaticano.
La religione tradizionale istituzionale cattolica, che aveva educato gli italiani per secoli, non li aveva affatto preparati a capire, dal '19 al '24, quanto male fosse nel fascismo; ed ora si alleava in un modo profondo, visibile, perfino con frasi grottesche, con prestazione di favori disgustose, con reciproci omaggi di potenti, che deridevano alla " scuola liberale " e ai "conati socialisti", come cose oramai vinte! Se c'e' una cosa che noi dobbiamo al periodo fascista, e' di aver chiarito per sempre che la religione e' una cosa diversa dall'istituzione romana.
Perche' noi abbiamo avuto da fanciulli un certo imbevimento di idee e di riti cattolici, che sono rimasti la', nel fondo nostro; ed anche se si e' studiato, e si sanno bene le ragioni storiche, filosofiche, sociali, anche religiose, per cui non si puo' essere cattolici, tuttavia ascoltando suonare le campane, vedendo l'edificio chiesa, incontrando il sacerdote, uno potrebbe sempre sentire un certo fascino.
Ebbene, se si pensa che quelle campane, quell'edificio, quell'uomo possono significare una cerimonia, un'espressione di adesione al fascismo, basta questo per insegnare che bisogna controllare le proprie emozioni, non farsi prendere da quei fatti che sono "esteriori" rispetto alla doverosita' e purezza della coscienza.
La Chiesa romana credette di ottenere cose positive nel sostenere il fascismo, realmente le ottenne. Ma per me quello fu un insegnamento intimo che vale piu' di ogni altra cosa. Non aver visto il male che c'era nel fascismo, non aver capito a quale tragedia conduceva l'Italia e l'Europa, aver ottenuto da un potere brigantesco sorto uccidendo la liberta', la giustizia, il controllo civico, la correttezza internazionale; non sono errori che ad individui si possono perdonare, come si deve perdonare tutto, ma sono segni precisi di inadeguatezza di un'istituzione, ancora una volta alleata di tiranni.
Fu li', su questa esperienza che l'opposizione al fascismo si fece piu' profonda, e divenne in me religiosa; sia nel senso che cercai piu' radicale forza per l'opposizione negli spiriti religiosi-puri, in Cristo, Buddha, S. Francesco, Gandhi, di la' dall'istituzionalismo tradizionale che tradiva quell'autenticita'; sia nel senso che mi apparve chiarissimo che la liberazione vera dal fascismo stesse in una riforma religiosa, riprendendo e portando al culmine i tentativi che erano stati spenti dall'autoritarismo ecclesiastico congiunto con l'indifferenza generale italiana per tali cose.
Vidi chiaro che tutto era collegato nel negativo, e tutto poteva essere collegato nel positivo. Mi approfondii nella nonviolenza. Imparai il valore della noncollaborazione (anzi lo acquistai pagandolo, perche' rifiutai l'iscrizione al partito, e persi il posto che avevo); feci il sogno che gli italiani si liberassero dal fascismo noncollaborando, senza odio e strage dei fascisti, secondo il metodo di Gandhi, rivoluzione di sacrificio che li avrebbe purificati di tante scorie, e li avrebbe rinnovati, resi degni d'essere, cosi' si', tra i primi popoli nel nuovo orizzonte del secolo ventesimo.
Divenni vegetariano, perche' vedevo che Mussolini portava gli italiani alla guerra, e pensai che se si imparava a non uccidere nemmeno gli animali, si sarebbe sentita maggiore avversione nell'uccidere gli uomini.
*
Nel lavoro di suscitamento e collegamento antifascista, svolto da me dal 1932 al 1942, sta la terza esperienza fondamentale: il ritrovamento del popolo e la saldatura con lui per la lotta contro il fascismo. Figlio di persone del popolo, vissuto in poverta' e in disagi, con parenti tutti operai o contadini, i miei studi (vincendo un posto gratuito universitario nella Scuola normale superiore di Pisa) ed anche i primi amici non mi avevano veramente messo a contatto con la classe lavoratrice nella sua qualita' sociale e politica.
Anche se da ragazzo ascoltavo con commozione le musiche di campagna che il primo maggio sonavano di lontano l'Inno dei lavoratori, di la' dal velo della pioggia primaverile, non conoscevo bene il socialismo. Avevo visto dal mio libraio le edizione delle opere di Marx e di Engels annerite dagli incendi devastatori dei fascisti milanesi alla redazione dell'"Avanti!", ma, preso da altro lavoro, non le avevo studiate.
Accertai veramente la profondita' e l'ampiezza del mondo socialista nel periodo fascista, quando le possibilita' di trovare documentazioni e libri (lo sappiano i giovani di ora, che se vogliono possono andare da un libraio e acquistare cio' che cercano) erano di tanto diminuite, ma c'era, insieme, il modo di ritrovare i vecchi socialisti e comunisti, che erano rimasti saldi nella loro fede, veramente "fede" "sostanza di cose sperate ed argomento delle non parventi", malgrado le botte, gli sfregi, la poverta', le prigioni, le derisioni degli ideali e dei loro rappresentanti uccisi ("con Matteotti faremo i salsicciotti") e sebbene vedessero che le persone "dotte" erano per Mussolini e il regime.
Ritrovare queste persone, unirsi con loro di la' dalle differenze su un punto o l'altro dell'ideologia, festeggiare insieme il primo maggio magari in una soffitta o in un magazzino di legname, andare insieme in campagna una domenica (che per il popolo e' sempre qualche cosa di bello), e talvolta anche in prigione: nella lotta contro il fascismo si formo' questa unione, che non fu soltanto di persone e di aiuto reciproco, ma fu studio, approfondimento, constatazione degli interessi comuni dei lavoratori e degli intellettuali contro i padroni del denaro e del potere: si apriva cosi l'orizzonte del mondo, l'incontro di Occidente e Oriente in nome di una civilta' nuova, non piu' individualistica ne' totalitaria.
*
Questo io debbo al fascismo, ma in quanto ebbi, direi la Grazia, o interni scrupoli o ideali che mi portarono all'opposizione. Opponendomi al fascismo, non per cose di superficie o di persone o di barzellette, ma pensando seriamente nelle sue ragioni, nella sua sostanza, nel suo esperimento e impegno, non solo me ne purificavo completamente per cio' che potesse essercene in me, ma accertavo le direzioni di un lavoro positivo e di una persuasione interiore che dovevo continuare a svolgere anche dopo.
Il fascismo aveva unito in un insieme tutto cio' contro cui dovevo lottare per profonda convinzione, e non per caso, per un un male che mi avesse fatto, per un'avversione o invidia verso persone, o perche' avessi trovato in casa o presso maestri autorevoli un impulso antifascista. Nulla di questo ebbi, ed anche percio' ad un'attiva opposizione con propaganda non passai che lentamente e dopo circa un decennio.
Posso assicurare i giovani di oggi che il mio rifiuto fu dopo aver sentito le premesse del fascismo proprio nell'animo adolescente, e dopo averle consumate; sicche' i fascisti mi apparvero dei ritardatari. Ero arrivato al punto in cui non potevo accettare:
1, il nazionalismo che esasperava un riferimento nazionale e guerriero a tutti i valori, proprio quando ero convinto che la guerra avrebbe indebolito l'Europa, e che la nazione dovesse trovare precisi nessi con le altre;
2, l'imperialismo colonialistico, che, oltre a portare l'Italia fuori dalla sua influenza in Europa, nei Balcani e a freno della Germania, era un metodo arretrato, per la fine del colonialismo nel mondo;
3, il centralismo assolutistico e burocratico con quel far discendere tutto dall'alto (per giunta corrotto), mentre io ero decentralista, regionalista, per l'educazione democratica di tutti all'amministrazione e al controllo;
4, il totalitarismo, con la soppressione di ogni apporto di idee e di correnti diverse, si' che quando parlavo ai giovanissimi della vecchia possibilita' di scegliersi a vent'anni un partito, che aveva sue sedi e sua stampa, sembrava che parlassi di un sogno, di un regno felice sconosciuto;
5, il prepotere poliziesco, per cui uno doveva sempre temere parlando ad alta voce, conversando con ignoti, scrivendo una lettera, facendo un telefonata;
6, quel gusto dannunziano e quell'esaltazione della violenza, del manganello come argomento, dello spaccare le teste, del pugnale, delle bombe a mano, e, infine, l'orribile persecuzione contro gli ebrei;
7, quel finto rivoluzionarismo attivista e irrazionale sopra un sostanziale conservatorismo, difesa dei proprietari, di cio' che era vecchio e perfino anteriore alla rivoluzione francese;
8, quell'alleanza con il conservatorismo della chiesa, della parrocchia, delle gerarchie ecclesiastiche, prendendo della religione i riti e il lato reazionario, affratellandosi con i gesuiti, perseguitando gli ex-sacerdoti;
9, quel corporativismo con una insostenibile parita' tra capitale e lavoro che si risolveva in una prigione per moltitudini lavoratrici alla merce' dei padroni in gambali ed orbace;
10, quel rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di educazione, quella fascista, e il traviamento degli adolescenti, mentre ero convinto che della libera produzione e circolazione delle varie forme di cultura una societa' nazionale ha bisogno come del pane;
11, quell'ostentazione di Littoria e altre poche cose fatte, dilapidando immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno e delle Isole;
12, l'onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianamente la grossolanita', la mutevolezza, l'egotismo, l'iniziativa brigantesca, la leggerezza nell'affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piu' possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e collaborazione, ed essere anonimo, grigio anche, perche' lo splendore stia nei valori puri della liberta', della giustizia, dell'onesta', della produzione culturale e religiosa, non nelle persone, che in uniforme o no, nel governo o a capo dello Stato, sono semplicemente al servizio di quei valori.
*
Percio' il fascismo, nel problema dell'Italia di educarsi a popolo onesto, libero, competente, corretto, collaborante, mi parve un potenziamento del peggio e del fondo della nostra storia infelice, una malattia latente nell'organismo e venuta fuori, l'ostacolo che doveva, per il bene comune, essere rimosso, non in un modo semplicemente materiale, ma prendendo precisa e attiva coscienza delle ragioni per cui era sbagliato, e trasformando in questo lavoro se' e persuadendo gli altri italiani.

21. DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. CAROGNO MOZZARECCHI: UN POMERIGGIO AL CIRCOLO BOCCIOFILO

E il pomeriggio del giorno di festa
ci ritroviamo al circolo bocciofilo
sotto la pergola e sul tavolino
pane e salame e giu' chiaretto a litri
si chiacchiera dei fatti nostri e altrui
del piu' e del meno di partite e macchine
di femmine e di modi di far soldi
ci si organizza per passar la sera
in allegria a bruciare le baracche
dei negri cosi' sanno chi comanda.

Che la mattina presto si lavora
a reclutare i negri e scarrozzarli
dove c'e' da raccogliere gli ortaggi
e tener d'occhio tutti i pelandroni
con la catena e con la carabina
che c'e' l'economia da far girare
e la nazione da tenere in alto
come compete a noi che discendiamo
da Roma che impero' sul mondo intero
e gl'insegno' che e' la civilta'.

22. DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. MAURO OTELLO FENEDISCI: UN PREDICATORE

Tutte le cose che dici sono false
se non le provi con le tue ferite

Non si puo' chiamare alle barricate
se non ci si espone su una barricata

Non vale un soldo bucato la parola
di chi non ha avuto la carne strappata

Solo chi ha pianto di freddo di paura di vergogna
solo chi ha provato la fame che stringe le viscere e fa sragionare
solo chi si e' trovato disperato sull'alto respiro del mare o dentro un sacco
solo chi ha condiviso l'ultima briciola di pane l'ultimo sorso di fiele
solo il lacero il mendico il gemebondo il carcerato
il perseguitato che nessuno piu' vede
puo' parlare con cuore sincero merita di essere ascoltato

Nessun dottore nessun professore
nessuno che abbia un colletto
nessuno che una casa una macchina possieda
nessuno che ha in mano un oggetto
nessun portavoce nessun predicatore nessun uomo di lettere e d'ingegno
e' un nostro compagno

Tu che scrivi tu che leggi queste righe
sei un impostore

23. LIBRI. MASSIMILIANO FORTUNA PRESENTA "UN'ALTRA PATRIA" DI MARCO LABBATE
[Dal sito del "Centro studi Sereno Regis" di Torino riprendiamo la seguente recensione]

Marco Labbate, Un'altra patria. L’obiezione di coscienza nell'Italia repubblicana, Pacini, Ospedaletto (Pisa) 2020, pp. 300, euro 20.
*
Questo libro era atteso. Si sapeva che Marco Labbate, storico dell'Università di Urbino, da qualche tempo era impegnato a scriverlo rielaborando la sua tesi di dottorato sulla storia dell'obiezione di coscienza, discussa nel 2016 presso la medesima sede universitaria. Un lavoro che negli anni precedenti lo aveva portato in giro per mezza Italia a spulciare le carte di non pochi archivi, in cerca di tracce che lo aiutassero a ricostruire un quadro il piu' completo possibile delle molte vicende che si snodano attorno all'obiezione di coscienza.
Era passato anche da noi al Centro Studi Sereno Regis, che sul tema conserva documenti importanti, e non era stato difficile accorgersi subito della ricchezza della sua preparazione e della serieta' del suo impegno. Ecco perche' ora non sorprende che il risultato di tutto quel lavoro si condensi in un libro di valore.
La questione della pace nell'Italia postunitaria – e delle sue numerose implicazioni sociali e politiche – non si puo' dire sia un argomento che abbia sinora goduto di troppa attenzione da parte degli storici, finendo inevitabilmente per diventare piu' terreno di testimonianza e militanza che di analisi critica, premessa in fondo indispensabile di ogni seria militanza. Questo lavoro di Labbate si segnala dunque per essere uno dei non molti saggi che vanno in questa direzione e contribuisce a colmare un po' questa carenza storiografica.
Finora l'unico libro che si era proposto di ricostruire per intero le vicende dell'obiezione di coscienza al servizio militare nell'Italia repubblicana era stato quello di Sergio Albesano (Storia dell'obiezione di coscienza in Italia, Santi Quaranta, 1993), studio che su questo tema ha avuto il grande merito di essere pionieristico ma, a distanza di quasi trent'anni dal suo apparire, andava integrato e ampliato con nuove ricerche. Obiettivo che mi pare Marco Labbate abbia felicemente conseguito, guidandoci, con l'ausilio di un gran numero di fonti (cartacee ma non solo), a ripercorrere il dedalo di fili storici che si dipanano dal racconto dell'obiezione e aiutandoci a rintracciare i nessi che legano queste vicende alla complessiva storia italiana della seconda meta' del Novecento. Incombere della minaccia atomica, fermenti di rinnovamento della Chiesa cattolica, protesta giovanile, questi e altri temi si agitano infatti sullo sfondo delle lotte messe in atto dagli obiettori di coscienza, e' difficile provare a raccontare queste ultime senza situarle entro il contesto politico sociale nel quale sono sorte e del quale furono parte viva.
L'arco temporale del libro copre un venticinquennio, dalla seconda meta' degli anni Quaranta al 1972 (anno in cui vede la luce una legge che per la prima volta concede agli obiettori la possibilita' di un servizio civile alternativo a quello militare), durante il quale la traiettoria dell'obiezione e' letta come momento di un piu' ampio processo di lotte per i diritti civili, che contribui' a conferire maggior sostanza democratica alla repubblica sorta dalle ceneri della dittatura fascista. All'interno di questo processo, quella dell'obiezione sembra caratterizzarsi come una vicenda segnata da una polarita': da un lato, per lungo tempo, una storia di pochi, situata ai margini del dibattito politico dell'Italia di quegli anni, dall'altro un'idea che ha saputo disseminare tracce di se' un po' ovunque, capaci di emergere all'improvviso, come un fiume carsico, magari anche dove meno ce lo aspetteremmo, ad esempio in un vecchio film del grande Toto'.

24. LIBRI. ENRICO POMPEO PRESENTA "TUTTI I RACCONTI" DI LUIS SEPULVEDA
[dal sito di "Azione nonviolenta (www.azionenonviolenta.it) col titolo "Il cantore degli ultimi"]

Luis Sepulveda, Tutti i racconti, Guanda, Parma 2012, 2018, pp. 472, a cura di Bruno Arpaia, traduzione di Ilide Carmignani.
*
La scomparsa di Luis Sepulveda ha lasciato un segno di profondo dolore in tutti noi che siamo convinti che questo non e' il migliore dei mondi possibili.
Lo scrittore cileno ha sempre messo al primo posto i diseredati, i reietti della terra, quelli che sembrano sconfitti dalla realta', ma che, invece, incarnano i valori migliori.
Nelle sue storie ha sempre delineato, senza retorica, un'umanita' dolente, alla perenne ricerca di riscatto e mai doma, anche se spesso destinata all'insuccesso. Il teatro principale delle sue epopee malinconiche e' stato il Sud America, con i nativi, gli indios come principali depositari di saggezza e rispetto, pur se messi ai margini della societa'.
Ma spesso ha ambientato le sue vicende in Europa, in particolare in Germania e in Italia. Aveva un rapporto stretto con il nostro paese: ne amava la cucina e il vino, la storia, l'arte e quella particolare forma di disincanto, che non e' rassegnazione, che spesso era un tratto caratteristico dei suoi personaggi. Ma c'era di piu': anche ragioni familiari. Nell'albero genealogico, una sua parente lontana, un'avuela, una nonna di chissa' quante lontane generazioni era nata qui, nella citta' dove vivo, Livorno.
Questo libro raccoglie tutti i racconti di questo immenso scrittore, grande affabulatore e uomo dallo spirito buono e generoso.
Purtroppo qui da noi, nonostante una tradizione importante, da Calvino a Buzzati, la forma breve e' considerata minore rispetto al romanzo.
Non sono d'accordo. Il punto e' che non sono paragonabili. Sono due terreni profondamente diversi, con proprie regole e dinamiche interne che li rendono simili, ma distanti. Come il calcio e il calcetto, per rimanere in un ambito sportivo caro al nostro autore.
Come amava ripetere in molte interviste, Sepulveda si sentiva piu' a suo agio nel racconto. Citava spesso una frase di un altro grande scrittore sudamericano, Cortazar, che diceva: "Nel combattimento che si scatena fra un testo appassionante e il lettore, il romanzo vince sempre ai punti, mentre il racconto deve vincere per knockout".
Ed e' in questo ambito che lo scrittore cileno da' il meglio di se', creando figure nette con poche pennellate, con uno stile che mescola sapientemente frasi brevi e periodi piu' articolati, in un ritmo trascinante dalla forza espressiva profonda.
Va dritto al punto, senza fronzoli, trascinandoti subito nel mezzo dei villaggi sperduti in Patagonia dietro un vecchio che nasconde un tesoro dove nessuno potra' mai trovarlo. Oppure in Nicaragua accanto a un gruppo di guerriglieri ribelli travestiti da pugili per attraversare la frontiera.
E il Cile, la sua terra, con il sogno socialista di Allende e la barbarie di Pinochet, con le madri che ancora cercano i propri figli scomparsi e i militari impuniti che spadroneggiano per le strade, dove, di notte, si aprono spazi di ribellione e rivalsa.
Ma arriviamo anche nella nebbia di Amburgo, tra amori, ombre e sparizioni. Oppure nel cielo nuvoloso di Parigi e delle sue promesse, spesso non mantenute.
Fino ad arrivare a El Idilio, l'immaginario villaggio, dove un Vecchio leggeva romanzi d'amore.
O a un incontro tra un ambasciatore cileno e il suo corrispettivo cinese, nel quale Sepulveda da' un saggio della sua grande abilita' di scrittore, mettendo a confronto due culture opposte, descrivendo la difficolta' dei due interpreti a tradurre il linguaggio figurativo orientale e quello pratico della terra spaccata del deserto di Atacama.
Due visioni opposte, che trovano un punto di incontro nel tabacco, nel fumo che riesce a evocare un piacere condiviso.
Quel sigaro, che sempre lo accompagnava e che, sicuramente, ha indebolito quei polmoni dove il maledetto virus si e' insediato e non se n'e' piu' andato.
Ma i grandi autori, in realta', non muoiono mai.
Le loro storie continuano e questa raccolta consente di seguire l'opera di questo maestro della narrativa, seguendo, quasi in ordine cronologico piu' di quarant'anni di scrittura, evidenziando l'evoluzione, la continua ricerca di precisione e leggerezza, pur nella drammaticita' della trama.
La voce di Sepulveda e' inconfondibile. Se si inizia ad ascoltare, la si riconosce. Come un cantante che apprezzi e che ritrovi anche dopo una sola parola alla radio.
E credo che questo libro sia un ottimo approdo per chi lo ha gia' letto prima in alcune delle sue opere piu' conosciute, come "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegno' a volare", "Jacare'", "Il mondo alla fine del mondo". Oppure per quelli che ancora non lo conoscono e che possono scoprirlo attraverso la forma che piu' lui sentiva naturale, piu' adatta al suo modo di scrivere. Rileggerlo adesso e' anche un modo per ricordarlo, per omaggiare un autore che per tutta la vita ha voluto ribadire di non arrendersi mai, anche se la meta sembra irraggiungibile.
Per concludere, mi permetto di citare una frase di un altro scrittore sudamericano, uruguayano, amico di colossali cene e bevute con Sepulveda, Eduardo Galeano: "L'utopia e' come l'orizzonte. Mi avvicino di un passo e quello si allontana di un passo. Mi muovo verso di lui di due passi e quello scappa indietro di due passi. Allora a cosa serve l'orizzonte? A non perdere mai la voglia di camminare".
Buon cammino Luis.
Bevi un bicchiere alla nostra salute!

25. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Poesie di Giosue Carducci 1850-1900, Zanichelli, Bologna 1921, pp. XVI + 1080. Sedicesima edizione con due ritratti e quattro facsimili.
- Giosue Carducci, Tutte le poesie, Newton Compton, Roma 1998, pp. 880.
*
Riedizioni
- Gianfranco Ravasi, Gli Atti degli apostoli. All'origine del cristianesimo, Mondadori, Milano 2020, pp. 142, euro 5,90.
*
Maestre
- Julia Kristeva, Etrangers a' nous-memes, Fayard, Paris 1988, Gallimard, Paris 1998, pp. 312.
- Sara Ruddick, Maternal Thinking. Toward a Politics of Peace, Ballantine Books, New York 1990, pp. XII + 292.

26. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

27. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3759 del 3 giugno 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
*
Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
Per non ricevere piu' il notiziario e' sufficiente recarsi in questa pagina: https://lists.peacelink.it/sympa/signoff/nonviolenza
Per iscriversi al notiziario, invece, l'indirizzo e' https://lists.peacelink.it/sympa/subscribe/nonviolenza
*
L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e' centropacevt at gmail.com