[Nonviolenza] Telegrammi. 3746
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- Date: Wed, 20 May 2020 19:17:02 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3746 del 21 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Il volto di Rosa e di Hannah. Dodici tesi sull'ora presente
2. Proposta di una lettera da inviare al governo
3. Proposta di una lettera da inviare ai Comuni
4. Sosteniamo il Movimento Nonviolento
5. Anna Puglisi: Felicia Bartolotta Impastato
6. Anna Puglisi: Michela Buscemi
7. Anna Puglisi: Giovanna Giaconia Terranova
8. Anna Puglisi: Simona Mafai
9. Anna Puglisi: Antonietta Marino Renda
10. Segnalazioni librarie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. L'ORA. IL VOLTO DI ROSA E DI HANNAH. DODICI TESI SULL'ORA PRESENTE
1. Il metodo piu' efficace per narcotizzare la generalita' della popolazione e' quello di indurla a delegare ad altri la fatica di pensare. Se ogni persona non torna a pensare da se' non si riuscira' mai a ragionare insieme, e solo ragionando insieme potremo trovare le soluzioni adeguate ai problemi che dobbiamo affrontare.
2. L'epidemia in corso avrebbe fatto molte meno vittime se i governanti regionali razzisti ed i governanti centrali mezzo-razzisti non avessero commesso errori catastrofici, provocando decine di migliaia di morti che potevano essere evitate. Allontanare tutti questi signori razzisti e mezzo-razzisti da tutti i pubblici uffici e' una urgente necessita'. Salvare le vite e' il primo dovere.
3. Caratteristiche precipue della democrazia, ricordava Ralf Dahrendorf, sono poter cambiare governo senza spargimenti di sangue; avere un sistema di controlli e contrappesi che impedisca ai governanti di commettere crimini e follie; poter garantire in qualche modo alla popolazione tutta una reale partecipazione al governo della cosa pubblica. Occorre far dimettere i governanti regionali razzisti e i governanti centrali mezzo-razzisti che con la loro irresponsabilita', insipienza, stoltezza e tracotanza hanno provocato una strage evitabile; occorre con nuove elezioni fare in modo che le istituzioni della repubblica cessino di essere bivacco di manipoli; occorre tornare al rispetto della Costituzione repubblicana e del diritto internazionale; occorre tornare alla legalita' che salva le vite.
4. E' stato raggiunto un limite. Le guerre e il disastro ambientale stanno minacciando di distruzione la civilta' umana.
5. Occorre adesso - non in un indefinito domani, ma adesso - una svolta nonviolenta nella cultura, nella societa', nell'economia, nella politica: la cultura, la societa', l'economia, la politica, che sono quattro nomi distinti per indicare sostanzialmente una stessa cosa: le relazioni tra gli esseri umani e tra gli esseri umani e l'intero mondo vivente - quest'unico mondo vivente di cui siamo insieme parte e custodi.
6. Le guerre sono una criminale follia che non possiamo piu' permetterci: abolire le armi e gli eserciti e' una necessita' non piu' rinviabile.
7. Un modo di produzione e un modello di sviluppo fondati sulla crescita illimitata dei profitti; sullo sfruttamento e l'alienazione delle persone fino a ridurle a scarti; sull'avvelenamento, la devastazione, la rapina e l'esaurimento dei beni naturali che sono la sostanza di cui e' costituito il mondo vivente; sono un modo di produzione e un modello di sviluppo incompatibili con i limiti della biosfera e con il riconoscimento e la protezione dei diritti umani ad ogni essere umano inerenti.
8. Una organizzazione sociale e politica gerarchica e oppressiva che nega l'eguale diritto di tutti gli esseri umani alla vita, alla dignita', alla solidarieta', alla responsabilita' e alla felicita', con tutta evidenza non e' piu' sostenibile, poiche' ci sta portando alla catastrofe.
9. La brama di ricchezza e potere di alcuni mette in pericolo l'umanita' intera: e' necessario che prevalga il bene comune; la politica necessaria oggi e' la decisione condivisa e cogente di limitare l'avidita', di limitare ogni eccessivo accumulo - ovvero ogni effettuale rapina e concreta dissipazione - di ricchezza e potere: tutte le risorse devono essere equamente condivise e gestite in comune per garantire a tutte le persone una vita degna, per non desertificare il mondo vivente. Questa equa condivisione e questa gestione in comune si chiama repubblica.
10. La democrazia non puo' avere confini: deve includere l'umanita' intera se non vuole diventare una maschera dei dittatori.
11. Condividere il bene ed i beni deve essere il criterio che guida l'agire e il convivere.
12. Se non comincia ora la rivoluzione nonviolenta, non comincera' mai; se non comincia ora la rivoluzione nonviolenta, l'umanita' non potra' salvarsi dal disastro.
2. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO
Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.
3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI
Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.
4. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Occorre certo sostenere finanziariamente con donazioni tutti i servizi pubblici che stanno concretamente fronteggiando l'epidemia. Dovrebbe farlo lo stato, ma e' tuttora governato da coloro che obbedienti agli ordini di Mammona (di cui "Celochiedonoimercati" e' uno degli pseudonimi) hanno smantellato anno dopo anno la sanita' e l'assistenza pubblica facendo strame del diritto alla salute.
Ed occorre aiutare anche economicamente innanzitutto le persone in condizioni di estrema poverta', estremo sfruttamento, estrema emarginazione, estrema solitudine, estrema fragilita'. Dovrebbe farlo lo stato, ma chi governa sembra piu' interessato a garantire innanzitutto i privilegi dei piu' privilegiati.
Cosi' come occorre aiutare la resistenza alla barbarie: e quindi contrastare la guerra e tutte le uccisioni, il razzismo e tutte le persecuzioni, il maschilismo e tutte le oppressioni. Ovvero aiutare l'autocoscienza e l'autorganizzazione delle oppresse e degli oppressi in lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera. Ovvero promuovere l'universale democrazia e la legalita' che salva le vite, solidarieta', la responsabilita' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e conforta e sostiene, la condivisione del bene e dei beni.
In questa situazione occorre quindi anche e innanzitutto sostenere le pratiche nonviolente e le organizzazioni e le istituzioni che la nonviolenza promuovono ed inverano, poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
E tra le organizzazioni che la nonviolenza promuovono ed inverano in Italia il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e' per molte ragioni una esperienza fondamentale.
Chi puo', nella misura in cui puo', sostenga quindi il Movimento Nonviolento, anche con una donazione.
*
Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it
Per destinare il 5x1000 al Movimento Nonviolento: codice fiscale 93100500235
Per sostegno e donazioni al Movimento Nonviolento: Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455
5. REPETITA IUVANT. ANNA PUGLISI: FELICIA BARTOLOTTA IMPASTATO
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]
Felicia Bartolotta Impastato (Cinisi (Palermo) 1916-2004).
Felicia Bartolotta nasce in una famiglia di piccola borghesia con qualche appezzamento di terreno di proprieta', coltivato ad agrumi e ulivi. Il padre era impiegato al Municipio, la madre casalinga, come sara' anche Felicia.
Si sposa, nel 1947, con Luigi Impastato, di una famiglia di piccoli allevatori legati alla mafia del paese: "Io allora non ne capivo niente di mafia, altrimenti non avrei fatto questo passo" (cosi' racconta nella sua storia di vita pubblicata nel volume La mafia in casa mia, da cui sono tratte anche le citazioni successive). In effetti Felicia sceglie di sposarsi con Luigi per amore, dopo avere preso una decisione non usuale a quei tempi nelle famiglie come la sua. Era stata fidanzata con un uomo scelto dal padre, mentre lei avrebbe voluto un giovane di un altro paese che le piaceva di piu', ma non era benvoluto dalla sua famiglia. Ma poco prima del matrimonio, quando gia' era tutto pronto, disse al padre che non voleva piu' sposarsi e che non dovevano permettersi di prenderla con la forza (cioe', come si usava, non dovevano rapirla per la tradizionale fuitina).
Il 5 gennaio 1948 nasce Giuseppe; nel 1949 nasce Giovanni che morira' nel 1952; nel 1953 nasce il terzo figlio, anche lui Giovanni.
Luigi Impastato, durante il periodo fascista, aveva fatto tre anni di confino a Ustica, assieme ad altri mafiosi della zona, e durante la guerra aveva fatto il contrabbando di generi alimentari. Dopo non ebbe piu' problemi con la giustizia.
Uno dei suoi fratelli, soprannominato "Sputafuoco", era impiegato come gabelloto (affittuario) in un feudo. Il cognato di Luigi, Cesare Manzella, marito della sorella, era il capomafia del paese. Manzella muore nel 1963, ucciso assieme al suo campiere (guardia campestre) dall'esplosione di un'auto imbottita di tritolo, durante la guerra di mafia che vide contrapposte la cosca dei Greco, con cui era alleato, e quella dei La Barbera. La morte dello zio colpisce profondamente Peppino, che aveva quindici anni e da tempo aveva cominciato a riflettere su quanto gli dicevano il padre e lo zio. Felicia ricorda che le diceva: "Veramente delinquenti sono allora".
L'affiatamento con il marito dura molto poco. Lei stessa afferma: "Appena mi sono sposata ci fu l'inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: 'Stai attento, perche' gente dentro [casa] non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre'". Felicia non sopporta l'amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Manzella, e litiga con Luigi quando vuole portarla con se' in visita in casa dell'amico. Il contrasto con il marito si acuira' quando Peppino iniziera' la sua attivita' politica.
Per quindici anni, dall'inizio dell'attivita' di Peppino fino alla morte di Luigi, avvenuta otto mesi prima dell'assassinio del figlio, la vita di Felicia e' una continua lotta, che pero' non riesce a piegarla. In quegli anni non ha piu' soltanto il problema delle amicizie del marito. Ora c'e' da difendere il figlio che denuncia potenti locali e mafiosi e rompe con il padre, impegnandosi nell'attivita' politica in formazioni della sinistra assieme a un gruppo di giovani che saranno con lui fino all'ultimo giorno.
Felicia difende il figlio contro il marito che lo ha cacciato di casa, ma cerca anche di difendere Peppino da se stesso. Quando viene a sapere che Peppino ha scritto sul foglio ciclostilato "L'idea socialista" un articolo sulla mafia va in giro per il paese per raccogliere le copie e distruggerle. E quando l'attivita' politica di Peppino entra nel vivo, non ha il coraggio di andare ad ascoltare i suoi comizi, ma intuendo di cosa avrebbe parlato chiede ai suoi compagni di convincerlo a non parlare di mafia. E a lui: "Lasciali andare, questi disgraziati".
Morto il marito (in un incidente che puo' essere stato un omicidio camuffato), la cui presenza era in qualche modo una protezione per il figlio, Felicia intuisce che per Peppino sono aumentati i pericoli: "Guardavo mio figlio e dicevo: 'Figlio, chi sa come ti finisce'. Lo andai a trovare che era a letto, gli dissi: 'Giuseppe, figlio, io mi spavento'. E come apro quella stanza, che' ci si corica mia sorella la', io vedo mio figlio, quella visione mi e' rimasta in mente".
La mattina del 9 maggio 1978 viene trovato il corpo sbriciolato di Peppino. Felicia dopo alcuni giorni di smarrimento decide di costituirsi parte civile (allora era possibile chiederlo anche durante la fase istruttoria). Una decisione che nelle sue intenzioni doveva servire anche per proteggere Giovanni, il figlio che le era rimasto e che, al contrario, in questi anni si e' impegnato assieme alla moglie (anche lei Felicia), per avere giustizia per la morte di Peppino. Felicia ricorda: "Gli dissi: 'Tu non devi parlare. Fai parlare me, perche' io sono anziana, la madre, insomma non mi possono fare come possono fare a te'". Per questa decisione ha dovuto fare ancora una volta una scelta radicale, rompere con i parenti del marito che le consigliavano di non rivolgersi alla giustizia, di non mettersi con i compagni di Peppino, con i soci del Centro siciliano di documentazione di Palermo, successivamente intitolato a Peppino, di non parlare con i giornalisti.
Al contrario, da allora Felicia ha aperto la sua casa a tutti coloro che volevano conoscere Peppino. Diceva: "Mi piace parlarci, perche' la cosa di mio figlio si allarga, capiscono che cosa significa la mafia. E ne vengono, e con tanto piacere per quelli che vengono! Loro si immaginano: 'Questa e' siciliana e tiene la bocca chiusa'. Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise". Un figlio che: "... glielo diceva in faccia a suo padre: 'Mi fanno schifo, ribrezzo, non li sopporto... Fanno abusi, si approfittano di tutti, al Municipio comandano loro'... Si fece ammazzare per non sopportare tutto questo".
Le delusioni, quando sembrava che non si potesse ottenere nulla, e gli acciacchi di un'eta' che andava avanzando non l'hanno mai piegata. Al processo contro Badalamenti, venuto dopo 22 anni, con l'inchiesta chiusa e riaperta piu' volte grazie anche all'impegno di alcuni compagni di Peppino e del Centro a lui intitolato, con il dito puntato contro l'imputato e con voce ferma lo ha accusato di essere il mandante dell'assassinio.
Badalamenti e' stato condannato, come pure e' stato condannato il suo vice.
Entrambi sono morti, e Felicia, che aveva sempre detto di non volere vendetta ma giustizia, a chi le chiedeva se aveva perdonato rispondeva che delitti cosi' efferati non possono perdonarsi e che Badalamenti non doveva ritornare a Cinisi neppure da morto. E il giorno in cui i rappresentati della Commissione parlamentare antimafia le hanno consegnato la Relazione, in cui si dice a chiare lettere che carabinieri e magistrati avevano depistato le indagini, esprime la sua soddisfazione: "Avete risuscitato mio figlio".
Felicia ha accolto sempre con il suo sorriso tutti, in quella casa che soltanto negli ultimi tempi, dopo un film che ha fatto conoscere Peppino al grande pubblico, si riempiva, quasi ogni giorno, di tanti, giovani e meno giovani che desideravano incontrarla. Rendendola felice e facendole dimenticare i tanti anni in cui a trovarla andavamo in pochi e a starle vicino eravamo pochissimi. E ai giovani diceva: "Tenete alta la testa e la schiena dritta".
Bibliografia: Felicia Bartolotta Impastato (a cura di Anna Puglisi e Umberto Santino). La mafia in casa mia, Palermo, La Luna 2003; Commissione parlamentare antimafia, Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Roma, Editori Riuniti 2006; Anna Puglisi - Umberto Santino, Cara Felicia, Palermo, Centro Impastato 2005.
6. REPETITA IUVANT. ANNA PUGLISI: MICHELA BUSCEMI
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]
Michela Buscemi (Palermo 1939 - vivente).
Nel febbraio del 1986 le cronache giudiziarie sul maxi-processo, iniziato nell'aula bunker di Palermo, registrano la presenza in aula, oltre che dei parenti dei cosiddetti "servitori dello stato", di due donne, uniche parenti di vittime di mafia che provenissero dagli strati popolari della citta' e che avevano chiesto la costituzione di parte civile. Erano Vita Rugnetta, madre di Antonino ucciso dalla mafia perche' amico del collaboratore di giustizia Totuccio Contorno, e Michela Buscemi, sorella di Salvatore e Rodolfo, il primo ucciso forse perche' vendeva sigarette di contrabbando senza il permesso della mafia e il secondo perche' aveva cominciato a indagare nel suo quartiere su chi potesse avere ucciso Salvatore. Un collaboratore di giustizia aveva dichiarato che Rodolfo era stato strangolato e, poiche' non c'era abbastanza acido per sciogliere il suo corpo, era stato buttato a mare legato a una pietra. La stessa sorte l'aveva subita il cognato Matteo, sequestrato assieme a lui. Rodolfo aveva 24 anni, era sposato con un figlio. La giovane moglie, incinta quando lui era stato sequestrato, dopo aver partorito si lascio' morire per inedia.
Michela Buscemi nasce in una famiglia poverissima, prima di dieci fratelli. Del padre dice che faceva mille mestieri. Sua madre, casalinga, era continuamente incinta.
Michela ricorda che nel dopoguerra suo padre per portare a casa qualcosa da mangiare era costretto a vendere quel poco che possedevano. Cerco' lavoro all'estero, in Belgio, come minatore, e la madre, sperando in un ricongiungimento, per racimolare la somma per la partenza vendette la piccola casa dove abitavano. La famiglia, allora c'erano ancora soltanto quattro figli, dovette trasferirsi da un parente, anche lui con una famiglia numerosa, Michela ricorda che fu un'esperienza terribile.
L'avventura all'estero del padre fini' prestissimo, ma a Palermo si continuava a non trovare lavoro.
Michela riesce a frequentare la scuola elementare malgrado i genitori spesso la obblighino anche con la violenza a rimanere a casa ad aiutare nelle faccende o a badare ai fratelli piu' piccoli. Piu' grande frequentera' la media alla scuola serale.
Nel '60, dopo varie traversie, la famiglia ottiene una casa popolare. Michela trova lavoro in una sartoria dove si confezionano vestiti e cappotti per uomo. Vi era entrata come apprendista a diciott'anni dopo aver frequentato un corso professionale e avere preso un attestato come operaia, addetta a cucire a macchina. Lo stipendio e' misero, ma a suo carico ci sono i fratelli per i quali percepisce gli assegni familiari, visto che padre e madre sono disoccupati. Suo padre, contrario a che le donne lavorassero, aveva accettato che lei si impiegasse soltanto per avere gli assegni familiari.
Michela si fidanza con l'attuale marito, dopo aver rotto, a un mese dal matrimonio, un precedente fidanzamento con una persona che non le piaceva, impostale dal padre. Per vincere le resistenze del padre e della suocera accetta la proposta del fidanzato di fare la classica fuitina (fuga). Ma la suocera continuava a mettere discordia tra lei e il fidanzato, perche' riteneva che Michela le avesse rubato il figlio il piu' grande, l'unico che lavorasse in quel periodo. Michela esasperata tenta il suicidio. Nel '63 riescono a sposarsi. Avranno cinque figli, un maschio e quattro femmine. Ragazzi che hanno studiato, l'ultima e' laureata in lingue.
Verso la fine dell'83 i giornali parlano della collaborazione di giustizia di Vincenzo Sinagra, un mafioso arrestato un anno prima, poco dopo la sparizione di Rodolfo. Michela e i suoi familiari gia' avevano avuto il sospetto che fosse collegato ai mafiosi che avevano ucciso Salvatore e uno dei responsabili dell'uccisione di Rodolfo. Dalle sue dichiarazioni conoscono come e' morto Rodolfo e che il suo corpo non potra' essere recuperato. Sinagra sara' uno dei mafiosi imputati nel maxiprocesso iniziato a Palermo il 10 febbraio 1986.
Michela e la madre decidono di costituirsi parte civile, anche perche' vengono a sapere di un comitato che ha raccolto, con una sottoscrizione nazionale, fondi per aiutare le parti civili ad affrontare le spese processuali.
Ma avvengono due fatti, uno prevedibile, l'altro no e molto grave.
Avviene che la madre di Michela all'ultimo momento decide di non presentarsi, convinta dagli altri figli. In un colloquio burrascoso le dice di aver paura che li avrebbero ammazzati tutti, e poiche' Michela, per la quale il fratello Rodolfo era stato come un figlio, non torna indietro nella decisione, dichiara alla stampa: "Io non ho mai pensato di costituirmi parte civile. Soltanto mia figlia Michela si e' costituita parte civile. Ne' io, ne' gli altri ci entriamo". Espone pericolosamente in questo modo Michela, che pero' continua ad avere l'appoggio del marito e dei suoi figli, mentre rompe ogni relazione con la sua famiglia d'origine.
Non basta. Dopo qualche giorno si viene a sapere che il comitato che aveva lanciato la sottoscrizione decide che la somma raccolta deve andare soltanto ai parenti dei "servitori dello stato". Cosi' Michela Buscemi, insieme a Vita Rugnetta, oltre a subire l'isolamento del loro ambiente, non mafioso ma succube della mafia, vennero isolate proprio da una parte di quella "societa' civile" che avrebbe dovuto, al contrario, sostenere il loro impegno.
I giornali dettero la notizia e soltanto il Centro Impastato di Palermo e l'Associazione donne siciliane per la lotta alla mafia decisero di aiutarle, sottolineando l'importanza del gesto delle due donne e lanciando a loro volta delle sottoscrizioni. Ad aiutarle furono anche gli avvocati che gia' avevano accettato la loro difesa e che continuarono gratuitamente ad assisterle. Per cui le somme raccolte furono date a loro (e a un'altra donna, Piera Lo Verso, che in un altro processo aveva accusato i mafiosi che riteneva avessero ucciso il marito e con lui altre sette persone) poiche' per la loro decisione avevano subito dei danni economici: nessuno piu' andava nel bar che Michela aveva aperto con il marito, ne' nel negozietto di mobili della Rugnetta (ne' nella macelleria di Piera).
Le due associazioni non si sono limitate al contributo economico, ma sono state loro accanto durante le udienze.
Al processo d'appello Michela si ripresenta, malgrado le fossero arrivati avvertimenti e qualche minaccia. Lei racconta: "Ero con Vita Rugnetta, siamo andate in aula e ho sentito una voce: 'Arreri cca e'! (Di nuovo qua e'!)'. Il 7 marzo, alle undici di sera, ho ricevuto una telefonata. L'ha presa una delle mie figlie. Era un uomo che chiedeva di me: 'Lei e' Buscemi Michela? Si ritiri da parte civile che e' meglio per lei. Se no prima di Pasqua avra' un morto in famiglia. Non creda perche' suo figlio e' partito e' in salvo. Si ritiri'. E ha bloccato il telefono. Le mie figlie erano terrorizzate. E allora ho deciso di parlare a mio marito, perche' delle prime minacce non gli avevo detto niente. Mio marito si e' preoccupato e mi ha detto di ritirarmi. Ne ho parlato con il Centro Impastato, con l'Associazione delle donne contro la mafia e con l'avvocato e ho deciso di ritirarmi. Anche se mi faceva una rabbia ritirarmi... Sottostare al loro volere mi pareva una cosa assurda. Ma non volevo che ci andasse di mezzo la mia famiglia".
Ritirarsi da parte civile, per lei, fu come se i suoi fratelli venissero uccisi un'altra volta; cosi' decise di andare in aula per dichiarare apertamente, davanti alle gabbie dove erano rinchiusi gli imputati, che si ritirava solo perche' le minacce ricevute ora riguardavano i suoi figli.
Michela e' diventata socia dell'Associazione donne contro la mafia, assumendo nel tempo anche un ruolo direttivo. Da allora ha partecipato innumerevoli volte a iniziative antimafia in Italia e anche all'estero, con una particolare attenzione verso gli studenti. Ha scritto un'autobiografia, Nonostante la paura, e una poesia in cui racconta un suo sogno: A morti da mafia (La morte della mafia).
Bibliografia: Anna Puglisi, Sole contro la mafia, Palermo, La Luna 1990.
7. REPETITA IUVANT. ANNA PUGLISI: GIOVANNA GIACONIA TERRANOVA
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]
Giovanna Giaconia Terranova (Palermo 1922 - vivente).
Giovanna Giaconia nasce a Palermo in una famiglia dell'alta borghesia. I figli (sette femmine e un maschio) crescono in un ambiente sereno; i genitori amano il teatro di prosa, l'opera lirica, i concerti. Giovanna ricorda la capacita' del padre di affrontare ogni situazione con leggerezza e umorismo, e la forza e la bellezza della madre, Carmela Cirino, che, morto improvvisamente il marito durante la guerra, affronta le difficolta' sopraggiunte, insegnando ai figli ad accettare le contrarieta' come eventi che fanno parte della vita.
Giovanna studia al Sacro Cuore, un collegio esclusivo tenuto da suore francesi che danno del lei anche alle bambine. Si laurea in lettere, ma non insegnera', per una sua innata timidezza che le impedisce di affrontare una scolaresca; da' pero' lezioni private con grande entusiasmo.
Nel '50 conosce Cesare Terranova, allora pretore in provincia di Messina, e si sposano dopo pochi mesi. Il marito si dimostrera' con lei sempre molto protettivo, ma le decisioni importanti verranni prese assieme, in particolare quelle che riguardano la carriera di Cesare, del cui lavoro Giovanna ama discutere, pur nel rispetto del segreto istruttorio.
Nel '58 il marito ottiene il trasferimento a Palermo e gia' negli anni Sessanta, da giudice istruttore, si occupa di mafia e con molta profondita', forse perche' molti sono i processi di mafia che si vanno accumulando sul suo tavolo, forse perche' - come ricorda Giovanna - e' il piu' giovane in quel momento o, ancora, perche' e' una persona molto disponibile. Dopo qualche anno Cesare Terranova diventa procuratore a Marsala e successivamente accetta l'offerta di candidarsi nelle elezioni nazionali come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano; entra a far parte della Commissione parlamentare antimafia. Durante il suo mandato parlamentare viene arrestato il capomafia di Riesi Giuseppe Di Cristina e sulla stampa viene pubblicata una sua dichiarazione: "Liggio ha condannato a morte il giudice Terranova". Cesare rassicura la moglie, ma scrive una lettera, una sorta di testamento spirituale limpido e toccante, che il suo legale consegnera' a Giovanna dopo la sua morte.
Il 19 luglio del '79 viene ucciso a Palermo il vicequestore Boris Giuliano, molto vicino a Cesare, il quale aveva deciso di tornare al suo lavoro di magistrato e chiesto il posto di giudice istruttore a Palermo. L'omicidio Giuliano mette in allarme Giovanna, e anche Cesare non riesce del tutto a nascondere la sua preoccupazione. Giovanna vorrebbe convincerlo a chiedere un'altra sede. Saputo ufficiosamente di essere stato nominato, rilascia un'intervista che viene pubblicata la domenica. Il martedi' successivo, 25 settembre 1979, Cesare Terranova viene ucciso con il maresciallo Lenin Mancuso, mentre si accinge ad andare al palazzo di giustizia. Giovanna sente un gran rumore: erano i colpi di mitra. Ha un presentimento, scende in vestaglia, ma le viene impedito di avvicinarsi al corpo del marito.
"Sprofondai in un abisso senza fondo, per un po' persi la cognizione del tempo... Poi la vita piu' o meno lentamente riprende, anche se una morte di questo tipo non si dimentica. Non si dimentica perche' al dolore si sovrappone l'orrore, la gratuita', la volgare brutalita' dell'assassinio, la violenza che colpisce pure la dignita' della persona fisica".
Giovanna si costituisce parte civile nel processo intentato contro Luciano Liggio, anche se e' convinta che proprio il lavoro del marito indicasse che i responsabili avrebbero dovuto essere cercati anche altrove. E accetta, lei che non aveva mai fatto attivita' sociale e politica di alcun genere, di far parte dell'Associazione donne siciliane per la lotta contro la mafia, di cui diventa presidente all'atto della costituzione formale (1982).
Malgrado la sua timidezza, partecipa agli incontri con gli studenti e a tutte le iniziative pubbliche dell'Associazione. Assieme alle altre socie, e' accanto ad alcune donne palermitane costituitesi parte civile nei processi contro gli assassini mafiosi dei loro congiunti, donne che comprendono appieno l'importanza della loro decisione di rompere con la sudditanza alla mafia. Nell'88 riceve il premio "Donna d'Europa".
"All'inizio l'istinto e' quello di rinchiudersi nel proprio dolore, non si pensa assolutamente di mettersi in gioco. E' quello che ho provato anch'io. Pero' poi ho avuto la sensazione di non essere la protagonista di una tragedia soltanto personale, ma di una tragedia collettiva, che il pericolo minacciava un'intera societa', non solo me. E' questo che spinge ad un certo punto a testimoniare, quando ci si dice che non sono fatti tuoi, ma sono fatti di tutti i cittadini. E non si deve perdere la capacita' di reagire, cioe' quel filo che ci lega gli uni agli altri in una societa' civile, che e' il filo della reattivita'. Altrimenti si rischia di scivolare nell'indifferenza e nella rassegnazione, si rischia di dimenticare".
Bibliografia: A. Puglisi, Storie di donne. Antonietta Renda, Giovanna Terranova, Milly Giaccone raccontano la loro vita, Trapani, Di Girolamo 2007.
8. REPETITA IUVANT. ANNA PUGLISI: SIMONA MAFAI
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]
Simona Mafai (Roma 1928 - Paermo 2019).
Simona e' la seconda delle tre figlie di due artisti, il pittore Mario Mafai e la pittrice e scultrice Antonietta Raphael. La fanciullezza sua e delle sue sorelle, Miriam e Giulia, risente quindi del clima culturale creato dalle frequentazioni dei genitori, ma anche di una qualche lontananza da loro, che, pur nel grande affetto per le figlie, non esitano a lasciarle alla cura della nonna paterna per seguire i loro interessi artistici.
La madre proveniva da una famiglia ebrea di Vilnius, in Lituania. Non era osservante, ma non rinunciava al rito del venerdi' sera (lo shabbath) e non ha fatto battezzare le figlie. Dopo la promulgazione delle leggi razziali le tre sorelle, che gia' erano considerate diverse dalle compagne perche' figlie di artisti, antifasciste ed ebree, subiranno l'allontanamento dalla scuola pubblica e Simona nel '38 si trova in una scuola privata, spaesata tra ragazzi ebrei, che scrivevano in ebraico e frequentavano la sinagoga.
Nell'estate del '39 la famiglia decide di trasferirsi a Genova, dove le sorelle Mafai possono frequentare la scuola pubblica: il loro e' un cognome "ariano", della madre non si sa che e' ebrea e riescono a eludere la richiesta di presentare il certificato di battesimo. Nel giugno del '40 l'Italia entra in guerra, cominciano i bombardamenti, le corse nei rifugi. Ma Simona ricorda anche che e' il periodo delle prime amicizie maschili, dei balli anche se in famiglia. E anche della presa di coscienza: c'erano dei prigionieri russi che venivano condotti a lavorare, sotto il controllo di soldati tedeschi, passando vicino alla loro casa. Simona e le sue sorelle un giorno decidono di comprare delle sigarette e al loro passaggio le lanciano tra i loro piedi. Simona commenta: "Era un atto di solidarieta' concreta e in un certo senso anche rischiosa, fatto in modo del tutto spontaneo da tre ragazze tra gli undici e quindici anni" (da Un lungo incantesimo, da cui sono tratte le altre citazioni).
Il 25 luglio '43 trova la famiglia ancora a Genova, ma il padre decide di tornare a Roma, dove, appena quattordicenne, Simona, pur non avendo ancora una vera e propria formazione politica, inizia il suo impegno, che non abbandonera' piu' anche se espresso in forme diverse. Bisognava distribuire "l'Unita'" clandestina, appiccicare sui muri adesivi su cui era scritto "Viva Lenin", lanciare volantini dal loggione di un teatro. Nell'autunno del '44 decide, assieme a Miriam e contro la volonta' del padre che per qualche tempo non volle parlare con loro, di andare a vivere in un appartamento affittato assieme ad altri compagni. Mentre si prepara per gli esami di riparazione e per l'ammissione al terzo liceo (ma decidera' che non e' necessario avere una laurea e abbandonera' gli studi), viene accettata come dattilografa presso la sede del Partito Comunista, dove le danno da copiare i Quaderni del carcere di Gramsci. Nel '46 ci sono le prime elezioni comunali, il Referendum, la Costituente e il sabato e la domenica Simona e' impegnata in riunioni e comizi (dove sempre parlava anche una donna) a Roma e nei paesi del Lazio e dell'Umbria. All'inizio del '48 viene mandata come responsabile femminile regionale in Veneto, dove partecipa alla campagna elettorale per il Fronte popolare, ma non e' piu' come prima, quando ogni comizio vedeva consensi e applausi. E poi in Veneto dominava la Democrazia Cristiana. Nel '50 a Roma, alla scuola di partito, incontra Pancrazio De Pasquale che, pur avendo soltanto 25 anni era gia' segretario del Partito Comunista di Palermo e si trovava a Roma perche' stava subendo un processo interno per una vicenda legata a dissensi sul modo di condurre la lotta per la terra. L'incontro con De Pasquale l'aiuta ad acquistare un punto di vista critico, a mettere un freno a una qualche "tendenza al fanatismo". Si sposano civilmente in Campidoglio il 3 gennaio 1952 e il rapporto intenso con il marito continuera' fino alla scomparsa improvvisa di lui nel 1992. Affrontano assieme momenti critici, come nel '56 in cui ci furono le rivelazioni di Krusciov su Stalin al XX Congresso del Partito comunista sovietico e l'invasione dell'Ungheria da parte dell'esercito sovietico. Hanno molti dubbi ma rimangono nel partito perche' "totalmente d'accordo con la linea politica generale".
Simona segue il marito in Sicilia, dove trova una "situazione molto piu' debole politicamente... ma non arretrata dal punto di vista del costume e in particolare del rapporto uomo-donna... Anche nelle zone di grande miseria e degrado sociale, le donne dimostravano vitalita' e capacita' di rivolta". Le figlie nascono a Messina, Raffaella nel '52 e Sabina nel '57. L'aiuta la suocera, ma Simona "cerca di far fronte a tutto". Era un madre severa ma ricorda: "La mia relativa severita' non mi ha mai impedito di esprimere anche fisicamente il mio affetto per loro: abbracci, baci, colazione tutti insieme...".
Dal '62 al '67 e' a Roma ed e' un periodo di relativo distacco dall'impegno nel partito: "Vedevo spesso mia madre, mio padre, le mie sorelle... Ho potuto assistere mio padre assieme alle mie sorelle e raccogliere le sue ultima parole".
Nel '67 la famiglia si trasferisce a Palermo, che diverra' la sua citta' e quella in cui si sposeranno le figlie. L'impegno politico diventa piu' pressante, per i movimenti studenteschi, il sostegno alle popolazioni colpite dal terremoto del gennaio '68, le lotte per le leggi sul divorzio e sull'aborto. Nel '76 viene eletta al Senato, dove rimarra' fino al '79. Simona ricorda che fu un periodo particolarmente pesante, per la situazione politica generale (era iniziato il terrorismo), ma anche dal punto di vista personale perche' "la famiglia era completamente disarticolata".
Nel 1980 viene eletta consigliera al Comune di Palermo, dove svolge un intenso lavoro come capogruppo: "Ero determinata a far diventare l'opposizione comunista al Comune un punto di riferimento chiaro nella lotta contro la mafia". E' la stagione in cui cadono uccisi dalla mafia tanti che le si sono opposti, tra cui il segretario regionale del Pci, Pio La Torre.
L'impegno di Simona contro la mafia, terminata l'esperienza al consiglio comunale nel '90 e lasciato il Partito Comunista, e' continuato come componente del direttivo dell'Associazione donne siciliane per la lotta contro la mafia, come fondatrice e collaboratrice della rivista "Mezzocielo", "un giornale rivolto a tutti, ma pensato e realizzato da donne", come attenta osservatrice della realta' politica italiana e animatrice di iniziative culturali e politiche. Di se' dice: "Per quanto mi riguarda quel che ho fatto ho fatto: qualcosa di buono, nulla di cattivo, molto di inutile. Guardo con attenzione e rispetto quello che fanno le altre/gli altri. Vorrei poterlo apprezzare e sostenere".
Bibliografia: Simona Mafai, Un lungo incantesimo. Storie private di una comunista raccontate a Giovanna Fiume, Palermo, Gelka Editori 1999.
9. REPETITA IUVANT. ANNA PUGLISI: ANTONIETTA MARINO RENDA
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]
Antonietta Marino Renda (Mazzarino (Caltanissetta) 1923 - Palermo 2010).
Antonietta Marino nasce a Mazzarino, un paese di contadini, in una famiglia di socialisti, ed e' la maggiore di cinque fratelli.
Giovanissima, inizia l'attivita' politica nel Partito comunista. Racconta: "Mentre nel Nord Italia c'era la guerra di liberazione, noi giovani ci riunivamo... Si leggevano i giornali, i libri. E poi si comincio' a parlare di Marx, dell'Unione Sovietica. A mio padre... faceva piacere che, invece di battere le mani al duce, pensavamo ad altro" (Storie di donne).
Preso il diploma magistrale, nel '40, vorrebbe prendere la maturita' scientifica, con l'intenzione di iscriversi all'Universita', ma l'impegno politico ha il sopravvento. Nel '45 viene fondata in paese la sezione del Partito Comunista. Antonietta prende la tessera e le viene proposto di candidarsi alle elezioni comunali del '46. Viene eletta e si attiva, assieme ai compagni, per risolvere i problemi del paese, tanto che, malgrado le elezioni fossero state vinte dalla Democrazia Cristiana, sembrava che a governare fosse la sinistra, che effettivamente in seguito per anni amministro' il paese.
Il suo impegno era rivolto specialmente alle donne, di cui ricorda la presenza alle sedute del consiglio comunale e nelle iniziative "destando la sorpresa di chi pensava che le donne non si interessassero di politica". Ricorda che durante le assemblee con i contadini questi si meravigliavano che una ragazza, cosi' giovane, intervenisse per parlare del loro diritto ad avere la terra. "E non dimenticavo mai di dire loro di far partecipare le donne... E le donne venivano, ed erano centinaia".
La presenza numerosa delle donne alle iniziative sindacali e politiche, e' una costante nel racconto dell'esperienza del suo lavoro politico, continuato a Caltanissetta come responsabile femminile alla Camera del lavoro e, dopo il matrimonio, ad Agrigento e poi a Palermo.
Per il suo impegno Antonietta (un lavoro volontario perche' non e' mai stata una funzionaria stipendiata), era costretta a spostarsi nei paesi. Ricorda l'estrema poverta' di mezzi a disposizione ma anche l'affettuosa ospitalita' della gente.
Antonietta nel '49 si sposa, dopo un breve fidanzamento, con Francesco Renda, allora giovane dirigente della Confederterra. Si erano conosciuti nel '47 quando Renda era andato a Mazzarino per un comizio sindacale e si era congratulato con lei per il movimento che c'era nel paese e per la partecipazione delle donne. Si sposano civilmente perche' entrambi non credenti. Antonietta aveva deciso di non andare piu' in chiesa da ragazzina, dopo avere aver assistito a un episodio che l'aveva turbata profondamente: un prete aveva mandato via, perche' non aveva le sei lire richieste, una donna che gli aveva chiesto di battezzare il suo bambino che stava morendo.
Nel '50, dopo la nascita del primo figlio, Marcello, la famiglia si trasferisce ad Agrigento perche' il marito viene nominato segretario della Camera del lavoro in quella citta', dove lei riprende il lavoro politico. Ad aiutarla in casa, anche perche' successivamente nascono altri due figli, Emilio e Adriana, viene la sorella della madre.
Nel '55 la famiglia si trasferisce Palermo, perche' il marito viene eletto all'Assemblea regionale. Antonietta, malgrado i figli siano ancora piccoli, non lascia l'impegno politico: come maestra volontaria nella scuola popolare dell'Udi (Unione Donne Italiane), nei quartieri popolari della citta' e nei paesi della provincia, nella lotta per la pace, durante le campagne elettorali. Ad aiutarla questa volta (dopo la morte della zia e della madre) e' il padre che si trasferisce in casa loro.
Nel '67 inizia a lavorare come maestra alle scuole elementari, perche' la famiglia e' numerosa. Aveva partecipato a tre concorsi ottenendo l'idoneita', ma non era riuscita ad avere il posto in ruolo perche' in Italia, per accedere all'insegnamento nella scuola elementare, c'erano due graduatorie, una per gli uomini e una per le donne che potevano essere scavalcate dagli uomini, anche se avevano un punteggio piu' elevato. Antonietta entra in ruolo dopo che le maestre riescono ad ottenere la graduatoria unica. E' una vittoria delle donne siciliane. Infatti la lotta viene condotta specialmente dalle compagne di Palermo, che preparano il disegno di legge presentato dalle deputate palermitane del Pci, e vede Antonietta in prima fila.
Inizia l'insegnamento in paesi lontani da Palermo e "la domenica era una giornata di lavoro immenso per la casa". Il marito era stato eletto senatore, ma Antonietta ricorda che in casa non c'era mai una lira, perche' c'erano tre figli da mantenere e allora gli eletti dei partiti di sinistra lasciavano la meta' dello stipendio al partito. E c'erano sempre compagni che avevano bisogno di aiuto economico. E ricorda con orgoglio di non avere abusato delle cariche di suo marito per avere il trasferimento in sedi meno disagiate, neanche nel periodo in cui suo marito fece parte della Commissione pubblica istruzione. Successivamente Francesco Renda si dedichera' all'insegnamento universitario e sara' uno dei maggiori storici siciliani.
Antonietta, rimasta una dolcissima comunista malgrado le tante delusioni accumulatesi negli anni, ha continuato a essere fedele ai suoi ideali di uguaglianza e di giustizia, anche se non piu' impegnata attivamente.
Bibliografia: Anna Puglisi, Storie di donne. Antonietta Renda, Giovanna Terranova, Milly Giaccone raccontano la loro vita, Trapani, Di Girolamo 2007.
10. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Emma Neri, Irene Joliot-Curie, Rba, Milano 2020, pp. 188, euro 9,99.
*
Riletture
- Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975, 2001, 4 volumi, pp. 3.438.
- Simone Weil, Quaderni, Adelphi, Milano 1982-1993, quattro volumi per complessive pp. 1846.
*
Riedizioni
- Gioconda Belli, Nel paese delle donne, Feltrinelli, Milano 2011, Gedi, Roma 2020, pp. 256, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3746 del 21 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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