[Nonviolenza] Telegrammi. 3745



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3745 del 20 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana: Una lettera alle amiche e agli amici del Movimento Nonviolento
2. Proposta di una lettera da inviare al governo
3. Proposta di una lettera da inviare ai Comuni
4. Sosteniamo il Movimento Nonviolento
5. Laura Boella: Hannah Arendt
6. Giorgio Nebbia: Maria Telkes
7. Omero Dellistorti: La specializzazione
8. Omero Dellistorti: Elogio della cultura
9. Segnalazioni librarie
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. AMICIZIE. MAO VALPIANA: UNA LETTERA ALLE AMICHE E AGLI AMICI DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Da Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, riceviamo e diffondiamo]

Care amiche e amici del Movimento Nonviolento,
spero di trovarvi tutti bene.
Ecco qui tre brevi aggiornamenti importanti, che vi prego di leggere fino in fondo.
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Cinque per mille
La forzata chiusura a causa della pandemia, ha messo in difficolta' anche noi, come tutti. Conseguentemente al blocco di alcune attivita', sono calate, quasi azzerate, le entrate necessarie a mantenere in vita le nostre strutture. Diventa quindi importante la risorsa rappresentata dal 5 x 1000, che vi chiediamo di scegliere per il Movimento Nonviolento. Per ognuno singolarmente un piccolo gesto, per il Movimento un aiuto decisivo.
5X1000 al Movimento Nonviolento: scrivi 93100500235
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Abbonamento sospeso
Un altro modo per sostenere il Movimento Nonviolento, e fare del bene, e' quello di pagare un "abbonamento sospeso" ad "Azione nonviolenta". Ci sono alcuni abbonati che ci segnalano, a malincuore, che dovendo fare dei tagli al proprio bilancio familiare, devono rinunciare all'abbonamento ad "Azione nonviolenta", che magari avevano da anni. Puoi pagarlo tu. Un "abbonamento sospeso" che poi noi dirottiamo su chi ne ha bisogno, su chi vorrebbe ma non puo', su alcuni detenuti in carcere che gradirebbero ricevere la rivista.
Versare 30 euro su iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455, nella causale scrivere "abbonamento sospeso".
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Maling list "Nonviolenti"
In queste settimane di pandemia, abbiamo visto come sia importante mantenere il collegamento e le comunicazioni tra gli amici della nonviolenza. Oltre al sito (www.azionenonviolenta.it), abbiamo attivato una newsletter per gli iscritti al Movimento. Inoltre ricordiamo che per far girare informazioni utili e' attiva anche una mailing list di area chiamata "Nonviolenti". Per riceverla e' necessario attivarla personalmente, utilizzando questo semplice modulo. Fallo subito.
Lista Nonviolenti, iscriviti qui: http://lists.nonviolenti.org/cgi-bin/mailman/listinfo/nonviolenti
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Grazie dell'attenzione. La nonviolenza è in cammino e avanza con i nostri passi.
Un caro saluto,
Mao Valpiana

2. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO

Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
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Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI

Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
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Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

4. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Occorre certo sostenere finanziariamente con donazioni tutti i servizi pubblici che stanno concretamente fronteggiando l'epidemia. Dovrebbe farlo lo stato, ma e' tuttora governato da coloro che obbedienti agli ordini di Mammona (di cui "Celochiedonoimercati" e' uno degli pseudonimi) hanno smantellato anno dopo anno la sanita' e l'assistenza pubblica facendo strame del diritto alla salute.
Ed occorre aiutare anche economicamente innanzitutto le persone in condizioni di estrema poverta', estremo sfruttamento, estrema emarginazione, estrema solitudine, estrema fragilita'. Dovrebbe farlo lo stato, ma chi governa sembra piu' interessato a garantire innanzitutto i privilegi dei piu' privilegiati.
Cosi' come occorre aiutare la resistenza alla barbarie: e quindi contrastare la guerra e tutte le uccisioni, il razzismo e tutte le persecuzioni, il maschilismo e tutte le oppressioni. Ovvero aiutare l'autocoscienza e l'autorganizzazione delle oppresse e degli oppressi in lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera. Ovvero promuovere l'universale democrazia e la legalita' che salva le vite, solidarieta', la responsabilita' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e conforta e sostiene, la condivisione del bene e dei beni.
In questa situazione occorre quindi anche e innanzitutto sostenere le pratiche nonviolente e le organizzazioni e le istituzioni che la nonviolenza promuovono ed inverano, poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
E tra le organizzazioni che la nonviolenza promuovono ed inverano in Italia il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e' per molte ragioni una esperienza fondamentale.
Chi puo', nella misura in cui puo', sostenga quindi il Movimento Nonviolento, anche con una donazione.
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Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it
Per destinare il 5x1000 al Movimento Nonviolento: codice fiscale 93100500235
Per sostegno e donazioni al Movimento Nonviolento: Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455

5. MAESTRE. LAURA BOELLA: HANNAH ARENDT
[Dal sito dell'Enciclopedia delle donne (www.enciclopediadelledonne.it) riprendiamo la seguente voce]

Hannah Arendt (Hannover 1906 - New York 1975)
Chi e' stata Hannah Arendt? Questa domanda, quasi ovvia o che ci sembra tale, quando la rivolgiamo a chi incontriamo nella nostra vita, diventa insolita per una pensatrice oggi molto nota. Chiedersi chi e' stata Hannah Arendt rimanda a cio' che essa ha vissuto, alle esperienze fondamentali della sua esistenza, a una biografia per molti aspetti drammatica, segnata dall'esilio dalla Germania nazista, dalla faticosa ricostruzione di una vita personale e professionale negli Stati Uniti, e pertanto anche alle opere caratterizzate da un'attualita' che continua a rinnovarsi. Le origini del totalitarismo (1951, 1956), Vita activa. La condizione umana (1958), La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), per citare solo le principali, ebbero un'immediata risonanza per le tesi e lo stile argomentativo coraggiosamente controcorrente rispetto ai dogmi ideologici e alle regole del sapere accademico e hanno dimostrato di reggere a revisioni e critiche.
Chiedersi "chi e'" stata Hannah Arendt vuol dire pero' un cosa piu' specifica e soprattutto implica formulare una domanda che fa gia' parte del pensiero arendtiano. In Vita activa troviamo infatti la distinzione tra il "chi" e il "che cosa" di una persona (1). Si tratta di una distinzione che permette di guardare alla sua figura in una maniera che non si limiti alla biografia e alla ricostruzione delle sue idee. Di fronte all'imponente bibliografia disponibile in Europa e negli Stati Uniti, e' venuto il momento di riflettere sulla figura di Hannah Arendt, considerata una pensatrice molto originale e per molti aspetti unica nel contesto del pensiero del Novecento.
La distinzione tra chi una persona e' e che cosa una persona fa, produce o crea e' il fulcro della teoria arendtiana dell'agire politico. Quest'ultimo infatti viene per cosi' dire riscoperto e sottratto da Hannah Arendt a una secolare atrofia attraverso la sua differenziazione dall'ambito del fare pratico-produttivo, quello che va dallo scrivere libri e poesie, dal dipingere quadri allo stilare un progetto di legge o di costituzione, un bilancio finanziario o ancora al produrre un tavolo o un'automobile. Libri, romanzi, opere d'arte, oggetti d'uso e macchine aggiungono cose nuove al mondo in cui viviamo, rappresentano i diversi modi in cui le persone mettono alla prova e realizzano le loro capacita'. Hannah Arendt ci avverte tuttavia che il livello del "che cosa" uno ha detto, fatto, prodotto non ci parla compiutamente dell'essenza della persona, per esempio della sua "grandezza". Quante volte notiamo una disparita' tra il contributo che un filosofo, uno scienziato ha dato al sapere o al pensiero e la sua umanita'. Il "chi" uno e' stato riguarda qualcosa di diverso da cio' che di sublime o di eccellente puo' esserci nella produzione teorica o anche nell'attivita' pratica. Ha invece molto a che vedere con il modo in cui la persona ha vissuto sulla scena del mondo, impegnando ovviamente la sua creativita' e produttivita', ma mettendo in gioco se stessa sulla scena in cui si scambiano gesti e parole con gli altri, si e' ascoltati e visti dagli altri e ci si da' cura della preservazione di questa possibilita' unica di essere se stessi. Siamo al centro di una delle tesi fondamentali del pensiero arendtiano: la forma piu' elevata di agire, quella che esprime al massimo grado la dignita' della condizione umana, non e', come pare ovvio per l'epoca moderna, il fare produttivo, bensi' l'agire politico, in cui si passa da un atteggiamento individualistico, per quanto rivolto a entita' sublimi, come la verita' o la bellezza o a valori materiali, come il denaro, a uno di relazione, si vive cioe' il mondo che ci circonda non come materia da usare e manipolare e in cui magari assumere un ruolo di protagonisti, bensi' come prezioso e insostituibile teatro dell'essere insieme, dell'agire insieme, probabilmente l'unico spazio in cui cio' che facciamo puo' trovare il suo significato.
La dimensione della politica per Hannah Arendt si lega a una tradizione totalmente alternativa e precedente (uno dei suoi modelli e' la polis ateniese) quella moderna della politica degli Stati e dei governi. Politica e' valorizzare il fatto che la condizione umana e' una condizione di pluralita'; politica e' abbandonare l'isolamento protettivo della vita privata, della famiglia, del gruppo e dell'etnia per accettare il rischio dell'esposizione agli altri per amore di un mondo abitato da persone uniche e diverse le une dalle altre. Certo, in questo modo Hannah Arendt rilanciava la dignita' della vita pubblica e del dialogo tra cittadini che in essa si svolge come antidoto allo schiacciamento dell'individuo nella massa tipico dei regimi totalitari. Ma la sua idea dell'agire politico come rivelazione di "chi" uno e', esplicazione del vincolo essenziale che sussiste tra ogni individuo e la realta' politica, sociale, culturale della sua epoca, esprime una convinzione generale: ogni essere umano puo' sottrarsi ai meccanismi che fatalmente lo condizionano e trovare il significato della sua esistenza, affermando una liberta' che e' sostanzialmente potere di iniziativa e di innovazione, capacita' di esprimere se stessi e di assumere la responsabilita' delle proprie azioni, trasformando il contesto delle relazioni, tradizioni, regole istituite che costituiscono la realta' che ci circonda nel luogo di un radicamento comune di esperienze, di condivisione di un comune destino.
Hannah Arendt e' stata una pensatrice della politica ma, secondo la sua stessa ammissione, non fu un animale politico: grande era la sua riservatezza per quanto riguarda le passioni private e soprattutto la sua idiosincrasia per l'appartenenza a gruppi o partiti. Dire chi e' stata Hannah Arendt implica dunque approfondire il modo in cui, insegnando, facendo conferenze, scrivendo, non solo libri e saggi, ma anche molte lettere (oggi si possono leggere i suoi numerosi e importanti epistolari) e coltivando numerose amicizie, essa sia stata una pensatrice caratterizzata da una fortissima individualita', che "pensava da se'", secondo l'espressione di Lessing, esponente dell'Illuminismo tedesco da lei molto amato, cioe' in piena autonomia e liberta', ma per la quale nell'impegno intellettuale e filosofico ne andava, non certo della propria personale eccellenza, bensi' della realta' del mondo.
Se la dimensione del "chi" e' la dimensione in cui entriamo in relazione con gli altri e quindi abitiamo il mondo, perche' non partire dal modo in cui altri e altre hanno visto Hannah Arendt? Faro' due esempi, relativi all'immagine che un uomo e una donna hanno dato di lei. E' noto il duraturo, per quanto discontinuo, legame affettivo e intellettuale di Hannah Arendt con Martin Heidegger, che fu il suo amante e uno dei pensatori che conto' di piu' nella sua formazione. Heidegger, professore a Friburgo, di sedici anni piu' anziano, gia' marito e padre, scrive una lettera d'amore nel 1925 alla diciottenne Hannah Arendt e cosi' la rappresenta: "Quando la bufera sibila intorno alla baita mi viene in mente la "nostra tempesta" [erano stati sorpresi da un temporale durante una passeggiata] – o ripercorro il silenzioso sentiero che costeggia il Lahn – o trascorro una pausa di tranquillita' sognando l'immagine di una fanciulla che con l'impermeabile, il cappello calcato fin sopra i grandi occhi quieti, entro' per la prima volta nel mio studio e, timida e riservata, diede una breve risposta a tutte le domande – ed e' allora che riporto l'immagine agli ultimi giorni del semestre – e solo allora capisco che la vita e' storia" (2).
Questa immagine fa venire in mente la foto in cui Hannah Arendt e' ritratta a circa diciotto anni, con un viso molto dolce e assorto, foto contrastante con altre, che la ritraggono, per esempio a Parigi, negli anni Trenta, con la sigaretta in mano e un volto gia' segnato e teso. In effetti, l'immagine di una Arendt fanciulla in boccio straordinariamente intensa, dagli occhi scuri molto espressivi, non fu solo di Heidegger e del suo romanticismo appassionato, ma anche dell'altro maestro e amico, Karl Jaspers, con il quale Hannah Arendt ebbe un rapporto filiale e che la considero' sempre la "schubertiana fanciulla straniera", una creatura difficilmente afferrabile, anzi "caparbiamente recalcitrante", iniziando a capire un carattere che aveva dentro di se' la forza, non dell'aggressivita', ma dell'attestazione su di se' (3).
Come vide invece Hannah Arendt una donna, forse la sua piu' grande amica, la scrittrice americana Mary McCarthy? Nel discorso pronunciato in occasione della morte di Hannah Arendt (5 dicembre 1975), Mary McCarthy traccia il ritratto di una donna molto bella, sicura di se', mettendo in luce i movimenti del suo corpo, il modo in cui mani, piedi e gambe seguivano il ritmo della concentrazione, dell'assorbimento in se stessa: "Bastava vederla una volta ritta su una pedana da conferenze per essere colpiti da quei suoi piedi, polpacci e caviglie che sembravano tenere il passo con i suoi pensieri. [...] Osservarla mentre parlava a un uditorio era come vedere i moti della mente trasferiti nell'azione e nel gesto. Improvvisamente, si arrestava davanti al leggio, aggrottava la fronte, consultava il soffitto, si morsicava il labbro" (4).
Questa non e' una creatura di sogno, piu' immaginata da una mente maschile che reale, bensi' e' una donna dotata di un corpo, di un corpo che si muove e muovendosi esprime se stessa.
Dopo lo sguardo dei filosofi e maestri e lo sguardo dell'amica, viene da chiedersi se Hannah Arendt abbia in qualche modo gettato uno sguardo su di se'. In effetti, quando, fugacemente, ha parlato di se', Hannah Arendt si e' per cosi' dire, ad un tempo, ritratta dentro di se' e presentata agli altri con i tratti della sua persona che avevano una rilevanza per il contesto storico e intellettuale della sua attivita'. "La verita' e' che io non ho mai avuto la pretesa di essere qualcosa d'altro o diversa da quello che sono, ne' ho mai avuto la tentazione di esserlo. Sarebbe stato come dire che ero un uomo e non una donna – cioe' qualcosa di insensato. [...] ho sempre considerato la mia ebraicita' come uno di quei fatti indiscutibili della mia vita, che non ho mai desiderato cambiare o ripudiare. [...] Cio' che ti confonde e' che le mie argomentazioni e il mio metodo sono diversi da quelli cui tu sei abituato; in altre parole, il guaio e' che sono indipendente. Con questo intendo dire, da un lato, che non appartengo ad alcuna organizzazione e parlo sempre solo per me stessa; dall'altro, che credo profondamente nel Selbstdenken di Lessing, che ne' l'ideologia, ne' l'opinione pubblica, ne' le "convinzioni" potranno mai sostituire, Qualunque cosa tu possa obiettare a queste conclusioni, non le capirai se non ti renderai conto che sono davvero mie e di nessun altro" (5).
In questo brano del drammatico carteggio intercorso con Gershom Scholem in seguito allo scandalo del processo Eichmann, Hannah Arendt e' per cosi' dire costretta a uscire allo scoperto e si rivela in un modo che non ha nulla a che vedere con un'immagine di se' contrapposta a quella degli altri. Con uno sforzo piuttosto tormentoso, Hannah Arendt presenta se stessa senza ombra di psicologia, per i tratti che ne definiscono il posto nel mondo: donna, ebrea, formata nell'ambito della filosofia tedesca degli anni Venti. Una volta messi in evidenza i dati di fatto, tutto quanto la definisce e non puo' essere cambiato (donna, ebrea che parla tedesco), interviene il vero e proprio autoritratto, anch'esso nel segno dell'impossibilita', del negativo: l'enfasi sulla propria identita' e' sostituita infatti dall'affermazione di non avere alcun vincolo di appartenenza. Il dato di fatto di una donna ebrea, nata e cresciuta in Germania, non puo' essere scambiato con nessun tipo di appartenenza di gruppo, di etnia, di partito, di fede. Trasformare la durezza di circostanze "naturali" o storiche (pensiamo alla lacerazione di un'ebrea costretta all'esilio e che rimane legata alla cultura tedesca, pur sentendosi obbligata a lottare contro la persecuzione nazista) che definiscono il nostro essere nel mondo nel possesso di un'identita' sarebbe una fatale illusione. L'unica via per trasformare cio' che e' dato in elemento dell'umanita' che si incarna in chi noi siamo e' assumersi la responsabilita' di se stessi, delle proprie azioni e dei propri pensieri, scegliersi degli interlocutori in relazione a questioni di interesse comune.
L'autoritratto piu' completo lasciatoci da Hannah Arendt e' contenuto nel brano di una lettera, scritta il 9 febbraio 1968 a Mary McCarthy: "Tutto cio' che faccio mi da' una sensazione di futilita'. Considerando la posta in gioco, tutto mi sembra frivolo. In confronto a quello che e' in gioco tutto mi sembra frivolo. So bene che questa sensazione scompare non appena mi lascio affondare nella lacuna tra passato e futuro, che e' il luogo temporale piu' appropriato per il pensiero. Cosa che non posso fare mentre insegno e devo essere interamente presente" (6).
E' molto raro trovare negli scritti arendtiani un incrocio cosi' stretto, ma anche pieno di imprevisto, tra pensiero ed esperienza personale. Il tono iniziale e' veramente imprevedibile, perche' la pensatrice che tutti considerano una teorica della politica, che esalta la "felicita' pubblica" e la vita activa, parla di una sensazione di "futilita'" relativa a cio' che fa, che scompare nel momento in cui di concentra in se' per pensare. Quella che sembrerebbe un'antitesi tra agire e pensare viene tuttavia scavalcata da un'ulteriore dimensione, l'insegnamento, in cui la quiete del pensiero non e' possibile, ma la persona e' li', con tutta se stessa. Siamo di fronte a una fulminea sintesi del pensiero arendtiano: cio' che si fa, si crea e si produce appare futile e privo di senso per chi, come Hannah Arendt, non crede ideologicamente a un futuro migliore o non si rifugia nella nostalgia del passato. Ogni azione introduce nel mondo qualcosa di nuovo, ma se si vuole preservare la liberta' di tale innovazione, non bisogna pretendere di governarne gli esiti, che sono imprevedibili perche' vanno a intrecciarsi con la rete delle innumerevoli azioni degli altri. Il pensiero rappresenta la via per dare una compiutezza all'agire. D'altra parte, la quiete del pensiero e' un luogo senza spazio ne' tempo, in cui l'individuo si dimentica di se' e si ritira dal mondo. L'io, la persona ricompare invece nella forma della presenza piu' piena, corpo e anima, nell'insegnamento, nella dimensione pubblica, in cui e' in gioco la formazione dei giovani a cui sta parlando. In queste parole c'e' una forte tensione tra l'attivita' del pensiero come concentrazione in se' e su di se', il senso di futilita' legato a un'epoca piena di minacce (il contesto della lettera e' dato dalla campagna elettorale del '68 negli Usa, che vede la sconfitta del candidato democratico Eugene McCarthy in favore del meno significativo Humphrey) e l'"esserci completamente" tipico di un'attivita' come l'insegnamento, in cui l'io non e' solo con se stesso, ma agisce in relazione, parla e si rivolge ad altri.
Si tratta in ogni caso di un modello estremamente vivo dell'idea fondamentale di Hannah Arendt: il pensiero nasce dall'esperienza vivente, che spesso ci colpisce con la sua durezza e insensatezza e ha una sua tipica incompiutezza, legata alle dinamiche casuali e aleatorie di tutto cio' che si trasforma nel tempo. Fermandoci a pensare – spesso Hannah Arendt ha usato l'espressione "narrare l'esperienza" – cerchiamo di "comprendere" (un'altra parola chiave frequente negli scritti arendtiani) cio' che accade, gli avvenimenti provocati dalle nostre azioni cosi' come dalle azioni degli altri. Il pensiero nasce da un urto con l'esperienza e ha pertanto un legame strettissimo con cio' che uomini e donne fanno accadere nel mondo. A questo punto appare molto chiaro il rapporto tra questa idea del pensare e gli studi arendtiani sul totalitarismo, sulla banalita' del male, sulla rivoluzione, sull'agire che rischiano di essere traditi quando vengono inquadrati in una disciplina specifica – la storiografia o la teoria politica o anche la filosofia di ascendenza esistenzialista o fenomenologico-heideggeriana.
Hannah Arendt e' stata provocata a pensare dagli eventi che hanno sconvolto il Novecento (e la sua vita personale): come ha piu' volte ripetuto, ha voluto "comprendere" (7). E questa volonta' di comprendere era motivata dal desiderio di essere "contemporanea", anche al prezzo di trovare un accordo (provvisorio) con il mondo che ha prodotto la shoah e il totalitarismo e la bomba atomica: "Siamo contemporanei fin dove arriva la nostra comprensione. Se vogliamo sentirci a casa in questo mondo, anche al prezzo di sentirci a casa in questo secolo, dobbiamo cercare di partecipare al dialogo interminabile con l'essenza del totalitarismo" (8).
Tale sforzo di conciliazione che non ha nulla del venire a patti con la realta' cosi' com'e', ne' rinuncia all'idea dell'imperdonabilita' del male, ci parla piuttosto della responsabilita' di ciascuno a ricominciare, a sottrarsi agli incubi e agli eccessi, una responsabilita' nutrita dalla gratitudine e dall'amore per il mondo.
Nell'introduzione all'ultima sua opera, rimasta incompiuta, La vita della mente (9), Hannah Arendt richiama proprio la figura di Eichmann e la sua incapacita' di pensare, che non era affatto dovuta a un'"ottusita'" frutto di mancanza di cultura o di intelligenza, bensi' all'incapacita' di distinguere il bene dal male. La coscienza di Eichmann era una coscienza implosa, si potrebbe dire, una coscienza in cui dominava il disordine delle emozioni, da un lato, dall'altro, l'obbedienza alla norma e all'autorita'. Eichmann, come molti criminali nazisti, poteva essere tenero con i suoi bambini o apprezzare la musica di Beethoven e obbedire all'ordine di organizzare nella maniera piu' efficiente l'eliminazione di vittime innocenti. Una coscienza di questo tipo, in cui emozioni e ragione non hanno piu' rapporto con la realta' dell'altro, con la sua esistenza e la sua sofferenza, completamente sostituita dalle regole burocratiche e persino da cliches linguistici, non e' piu' in grado di chiedersi se cio' che si e' fatto e' giusto o sbagliato. Appare evidente come un'attivita' di pensiero di questo tipo si proietti verso una responsabilita' politico-morale, o anche verso un esercizio del pensiero come critica di tutto quanto e' norma o pregiudizio o abitudine consolidata e ricerca del senso delle proprie azioni.
C'e' certamente un orientamento morale in queste ultime riflessioni arendtiane e il loro valore sta nel rivolgersi a tutti gli esseri umani – uomini e donne – che in quanto tali sono titolari della capacita' di pensare. In particolare, questa concezione del pensare e' particolarmente innovativa perche' fa del pensiero un vero e proprio strumento per la circolazione del senso in ogni ambito della nostra esistenza. Esercitare l'attivita' del pensiero vuol dire mettere ordine nella vita emotiva, cosi' come cercare di sottrarre l'agire alla sua imprevedibilita'. In questo modo, diventa possibile instaurare un legame tra i diversi ambiti dell'esperienza e prepararsi a stare sulla scena del mondo, manifestando chi si e' veramente.
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Note
1. Cfr. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, a cura di A. dal Lago, Milano, Bompiani 1989, pp. 155-6.
2. H. Arendt, M. Heidegger, Lettere 1925-1975 e altri documenti, a cura di M. Bonola, Torino, Edizioni di Comunita' 2001, p. 9 (lettera da Todnauberg del 21/3/1925).
3. Cfr. H. Arendt, K. Jaspers, Carteggio 1926-1969, a cura di A. Dal Lago, Milano, Feltrinelli 1989, p. 205 (lettera del 22/10/1963). L'espressione di Jaspers, "caparbiamente recalcitrante", e' citata da E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975. Per amore del mondo, Torino, Bollati Boringhieri 1990, p. 12.
4. M. McCarthy, Addio a Hannah, in Vivere con le cose belle, Bologna, Il Mulino 1990, p. 153.
5. H. Arendt, Ebraismo e modernita', a cura di G. Bettini, Milano, Unicopli 1896, pp. 221-2, p. 226 (lettera a Gershom Scholem del 24/7/1963).
6. H. Arendt, M. McCarthy, Tra amiche. Corrispondenza 1949-1975, a cura di C. Brightman, Palermo, Sellerio 1990, p. 383.
7. Cfr. H. Arendt, Prefazione alla prima edizione (estate 1950), in Le origini del totalitarismo, a cura di A. Martinelli, Torino, Edizioni di Comunita' 1999, pp. LXXIX-LXXXII. Cfr. anche H. Arendt, Che cosa resta? Resta la lingua. Una conversazione con Guenter Gaus, in Archivio Arendt 1. 1930-1948, a cura di S. Forti, Milano, Feltrinelli 2001, p. 37.
8. Cfr. H. Arendt, Comprensione e politica (Le difficolta' del comprendere) (1954), in Archivio Arendt 2. 1950-1954, a cura di S. Forti, Milano, Feltrinelli 2003, p. 98.
9. Cfr. H. Arendt, La vita della mente, a cura di A. Dal Lago, Bologna, Il Mulino 1987, pp. 84-5.

6. MAESTRI E MAESTRE. GIORGIO NEBBIA: MARIA TELKES
[Dal sito dell'Enciclopedia delle donne (www.enciclopediadelledonne.it) riprendiamo la seguente voce. Ci e' grata l'occasione per ricordare Giorgio Nebbia, un amico e un maestro indimenticabile, scomparso il 4 luglio 2019]

Maria Telkes (1900 - 1995)
Maria Telkes ha dato un contributo decisivo alle ricerche sull'energia solare, tanto da meritarsi l'appellativo di "Regina del Sole", "Sun Queen". Maria Telkes era nata in Ungheria e si era laureata in chimica nell'Universita' di Budapest. Dopo il dottorato, nel 1925 si trasferi' negli Stati Uniti dove venne assunta dapprima presso la Cleveland Clinical Foundation, poi, nel 1937, dalla Westinghouse Electric.
Nel 1939 passo' al Massachusetts Institute of Technology (MIT) dove ebbe l'incarico di collaborare alla costruzione di una abitazione "solare", la Dover House, per la quale progetto' il sistema di accumulo del calore solare. Per conservare il calore solare raccolto di giorno e nei mesi caldi e per renderlo disponibile di notte e nelle stagioni fredde, la Telkes propose un ingegnoso sistema consistente nel far circolare l'aria calda, raccolta nei pannelli solari, attraverso serbatoi, isolati termicamente, pieni di solfato di sodio decaidrato. Questo sale ha la proprieta' di passare allo stato liquido a temperature superiori a 32 gradi C, assorbendo calore, e di tornare allo stato cristallino quando la temperatura si abbassa, restituendo la stessa quantita' di calore. La casa solare fu completata nel 1948. L'idea di accumulare il calore mediante sali fusi desto' enorme interesse e molti altri studiosi successivamente hanno battuto la strada proposta dalla Telkes. Era soltanto l'inizio del suo impegno nel campo solare.
Durante la seconda guerra mondiale il governo americano le chiese di progettare un sistema per trasformare l'acqua marina in acqua potabile con un sistema che fosse utilizzabile dagli aviatori e marinai naufraghi che si fossero trovati su una zattera in mezzo dall'oceano. La Telkes invento' un distillatore solare costituito da una specie di pallone di plastica gonfiabile trasparente; all'interno del pallone era sospeso uno strato di tessuto spugnoso. Il naufrago riempiva di acqua marina il pallone poi lo gonfiava col fiato e lo faceva galleggiare; il calore solare, passando attraverso l'involucro trasparente del pallone, faceva evaporare l'acqua trattenuta dalla spugna e il vapore condensava, sotto forma di acqua priva di sali, nella parte inferiore del pallone, raffreddata dall'acqua del mare. Si formava ogni giorno circa un litro di acqua potabile, sufficiente ad assicurare la sopravvivenza del naufrago, un ingegnoso sistema che salvo' molte vite umane.
Un celebre e citatissimo articolo di Maria Telkes, pubblicato nel fascicolo del maggio 1953 della rivista americana "Industrial and Engineering Chemistry", espose anche la teoria del funzionamento dei distillatori solari. Personalmente le sono debitore perche', dopo aver letto questo articolo, iniziai anch'io la costruzione di molti distillatori solari nelle Universita' di Bologna e di Bari. Le ricerche della Telkes stimolarono innumerevoli ricerche destinate ad assicurare piccole, ma indispensabili quantita' di acqua a piccole comunita' isolate. In questa, come in molte altre ricerche successive, i suoi studi ed esperimenti furono sempre orientati a risolvere problemi umani.
Negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento Maria Telkes continuo' le ricerche sull'energia solare con la sperimentazione di dispositivi basati sull'utilizzazione dell'effetto termoelettrico: immaginate un filo del metallo A saldato alle due estremita' con due fili di un metallo B. Se una delle due saldature e' scaldata e l'altra e' tenuta al freddo, una corrente elettrica scorre attraverso il filo da B ad A a B. Questo effetto termoelettrico era stato scoperto nel 1821 dal fisico Thomas Seebeck (1770-1831) e l'italiano Antonio Pacinotti (1841-1912) aveva proposto di ottenere elettricita' scaldando una delle due saldature con il calore solare. La quantita' di elettricita' aumenta se le coppie di saldature sono numerose e se la temperatura delle saldature "calde" e' elevata, come si ha, per esempio, concentrando il calore solare con uno specchio. Maria si dedico' alla ricerca di coppie di metalli adatte per celle termoelettriche ad alto rendimento utilizzabili come fonte di elettricita', specialmente adatte per lampade portatili.
La Telkes progetto' e brevetto' anche dei frigoriferi basati sull'effetto termoelettrico contrario, scoperto dal francese Jean Peltier (1785-1845): facendo passare una corrente elettrica attraverso una cella termoelettrica e' possibile raffreddare un materiale o uno spazio, spostando il calore da una delle due saldature all'altra, senza parti in movimento.
Il lavoro della Telkes sull'energia solare e' continuato, sempre ispirato all'idea di migliorare la vita delle persone; a lei si deve, per esempio, la progettazione di fornelli solari, molto semplici, costituiti da quattro pezzi di lamiera inclinati in modo da riflettere la radiazione solare su una pentola, posta nel "fuoco" di questo semplice collettore. I fornelli solari erano pensati per i paesi poverissimi, in cui le donne dei villaggi potessero cuocere il cibo evitando di bruciare legno o carbonella in fornelli fumosi, e sono utilizzabili senza pericolo anche dai bambini.
Dagli anni Settanta in avanti ha continuato a svolgere il lavoro di consulente per imprese che avviavano ricerche sull'energia solare.
Maria Telkes e' sempre stata sostenitrice e anzi ambasciatrice delle soluzioni semplici, per mettere il Sole al servizio delle necessita' umane essenziali: acqua potabile, calore, elettricita', luce, soprattutto nei paesi arretrati, con dispositivi realizzabili sul posto. Ha avuto vari premi internazionali, come donna inventore; nel 1952 ebbe il riconoscimento di prima donna ingegnere e inventore e ha un posto nella National Inventors Hall of Fame, la "casa" degli inventori famosi con sede a Washinghton.
La Telkes e' morta a 95 anni di eta' in Ungheria, il paese natale che era tornata a visitare per la prima volta dopo l'emigrazione negli Stati Uniti.

7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: LA SPECIALIZZAZIONE

T'hai da specializza', diceva sempre il sor Breccaccio. T'hai da specializza', senno' resti muratoretto pure a sessant'anni, e a sessant'anni non ci si arriva se resti sempre muratoretto, che si sa, c'e' sempre la volta che l'impalcatura cede.
Noi bardascetti ci ridevamo sempre tutte le volte che lo diceva. Pure il giorno del funerale ci veniva da ridere, perche' dall'impalcatura era finito per cascarci lui. Dall'ottavo piano. Almeno s'era risparmiato l'agonia.
Pero' poi uno e' fatto cosi', che certe cose ci ripensi dopo. E io ci ho ripensato parecchio proprio il giorno dopo che era morto, ed ero arrivato alla conclusione che ci aveva proprio ragione che se resti muratore per tutta la vita poi la vita finisce male e tu non te la sei goduta mai. Ua volta la gente non ce lo sapeva, e allora s'accontentava di fare lo schiavo e zitto. Pero' poi e' arrivata la televisione e alla televisione uno lo vedeva che c'era una fila di gente che non finiva piu' che invece di faticare faceva faticare gli altri e se ne fregava se quelli tribolavano e loro se la godevano la vita, ci avevano la mercedes, bevevano il liquore di marca col nome straniero, erano pieni di femmine pittate a tutte l'ore, e ci avevano certe case che in confronto la villa dell'Avvocatone pareva una stalla senza neppure la vacca e il somaro.
Cosi' fu il giorno dopo la morte del sor Breccaccio che presi la decisione. Pero' non ce lo sapevo che specializzazione mi sarebbe piaciuta. Magari il calciatore, ma toccava correre, fare gli allenamenti, insomma era una fatica pure quello e stavi comunque sotto padrone. Il cantante mi pareva un mestiere da femmine, che i cantanti a quel tempo ci avevano tutti i capelli lunghi, e poi cantavano le canzoni in straniero che chissa' che dicevano, e bisognava pure saper ballare che io non ho mai imparato che pure quelle sono cose da femmine: non era roba per me. Magari il presentatore di Sanremo, pero' quello era un lavoro che si lavorava tre sere all'anno, e tutti gli altri giorni che in un anno ce ne saranno mille o duemila? Tutti gli altri giorni che fai? Fai la fame, ecco che fai. Insomma non sapevo scegliere, cosi' lo dissi a Ciampicone.
Lo presi da una parte e gli dissi: "Ciampico', me so stufato de fa' 'l muratore e me vorrebbe da specializza'". E lui: "Bravo. E in che te vorresti da specializza'?". E io: "E' che nu' lo so, magari tu me potresti da' 'na dritta". E lui: "Magari pure si'". E io: "E allora dammela". E lui: "Prima dimme 'na cosa: te va de diventa' ricco?". "E io: "E' que' la specializzazione?". E lui: "No, ma ci sono specializzazioni che servono per diventare ricchi e specializzazioni che servono a resta' micragnosi". E io allora: "A me me va una de quelle che se diventa ricco". E lui: "Bravo. Allora fatte trova' qui al bar a mezzanotte che c'e' 'n lavoretto callo callo". Era cosi' Ciampicone, sempre pronto a aiuta' la gente.
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Mo' quanto tempo sara' passato? Cinquant'anni?
Ricco, so' diventato ricco. E ho capito 'na cosa. Che chi nun se specializza, prima fatica come 'n cane e soffre le pene dell'inferno, e alla fine more come 'na bestia. Io me so' specializzato.
Specializzatevi pure voi, ragazzi. Io cerco sempre personale svelto e fidato. E l'attrezzatura ve la passo io.

8. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: ELOGIO DELLA CULTURA

Siccome non e' che ero ricco di famiglia, da giovane mi era toccato arrangiarmi per vivere al livello che ritenevo mi si confacesse.
Fu bello, ma duro' poco. Poi fui ospite dello stato. E li' siccome non e' che ci fosse chissacche' da fare mi misi a leggere. Quello che c'era, vent'anni sono lunghi.
Fu mentre ero li' che leggevo, che capii che avevo commesso un errore d'ingenuita'. Dovevo curare di piu' l'aspetto. I ricchi curano l'aspetto, ecco l'errore  che avevo fatto. E perche' l'avevo fatto? Perche' ero un ignorante e non ce lo sapevo. Pero' a forza di leggere lo capii. Imparai pure un bel po' di trucchi che prima non li sapevo. E' proprio vero che l'ignoranza non ha mai fatto bene a nessuno. Per esempio: lo sapete quanto tempo uno puo' stare senza respirare? Sembra un'informazione inutile, invece e' scienza, e la scienza e' sempre utile. Come funziona precisamente una serratura lo sapete? Questa e' tecnologia, ed e' utile pure la tecnologia. Parlevvu' franze'? Questo e' francese, e pure questo serve. Ho imparato un sacco di cose. Per dirne una adesso saprei costruirmi una pistola da solo, conosco un campionario di veleni che levatevi, so con precisione dove e quanto affondare una lama per ottenere l'effetto che voglio. Tutte cose che servono, perche' la cultura serve. Quelli che dicono che non serve a niente lo dicono per farvi restare ignoranti cosi' vi sfruttano meglio. Ho letto pure Marx. E Arsenio Lupe'.
Adesso sono piu' di dieci anni che sono uscito, vivo al mio livello, ho l'aspetto giusto e nessuno mi dice pio. E non passa notte che non fo piagne qualcheduno.
La cultura e' la piu' bella cosa. Pure i soldi, eh.

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Luigi Bettazzi, Esseri ed Essere, Pazzini, Villa Verucchio (Rn) 2004, pp. 136.
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Riletture
- Karol Wojtyla, Persona e atto, Rusconi, Sant'Arcangelo di Romagna (Rn) 1999, pp. 768.
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Riedizioni
- Edoardo Scala, Storia delle fanterie italiane. Volume V. Le fanterie nella prima guerra mondiale - 1, Il giornale, Milano 2020, pp. XX + 390, euro 12.
- Edoardo Scala, Storia delle fanterie italiane. Volume VI. Le fanterie nella prima guerra mondiale - 2, Il giornale, Milano 2020, pp. IV + 371-726, euro 12.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3745 del 20 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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