[Nonviolenza] Telegrammi. 3739
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- Date: Wed, 13 May 2020 20:05:03 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3739 del 14 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. La solitudine delle persone buone
2. Sosteniamo il Movimento Nonviolento
3. Proposta di una lettera da inviare al governo
4. Proposta di una lettera da inviare ai Comuni
5. Michele Di Sivo: Lorenzo Milani Comparetti (2010)
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. REPETITA IUVANT. LA SOLITUDINE DELLE PERSONE BUONE
I.
Sono sempre perplesse e indecise le persone buone
e hanno paura di tutto e piu' di tutto di se stesse
e non lo possono mai dire
perche' gli altri si aspettano che almeno loro
sappiano sempre quel che occorre fare
conoscano sempre la via che porta al bene
non abbiano mai perso una partita
e la cosa piu' difficile sia per loro uno scherzo
come quegli antichi cavalieri
che mozzano la testa al drago che sputa fiamme
come fosse soffiare su una candela
cosi' fingono di non avere esitazioni
fingono di sapere sempre tutto
lasciano intendere di essere la fortuna in persona
una persona buona non puo' deludere
chi gli chiede aiuto
Sono sempre stanche le persone buone
e non lo possono mai dire
per timore di svuotare di ogni forza
chi invece vogliono esortare a resistere
e allora costante devono dar prova
della buona salute del cuore oltre l'ostacolo
del fare tutto come bere un bicchier d'acqua
che l'avversario e' una tigre di carta
che ogni malattia si puo' vincere
che ogni essere umano e' immortale
che perde solo quello che non lotta
che un bel respiro e via l'ultimo tratto
che il bene vince sempre cinque a zero
Sono sempre oppresse le persone buone
e non lo possono mai dire
per paura di non dare il buon esempio
a chi e' gia' cosi' fragile e piagato
che basta una parola a farne pietra o cenere
e un solo sguardo a farne pianto e limo
cosi' sorridono sempre
fanno scintillare gli occhi di lampi
col braccio proteso e l'indice puntato
avvicinano e toccano quasi l'orizzonte e la luna
e danno la certezza della salvezza comune
Sono sempre sole le persone buone
e non lo possono mai dire
perche' sanno che tutti sono soli
e bramano la loro compagnia
e che sia compagnia di canti e di vittoria
sia compagnia di vino e imprese audaci
racconto di avventure inesauribili
sia la figura della patria da venire
del regno della liberta' presagio
e qui e adesso l'ingresso nel paese
della cuccagna della baldanza
Cosi' finisce che sempre rispondono
che stanno bene che la situazione
e' certo tragica ma molto si puo' fare
di saltare su di non mollare proprio adesso
che manca poco ormai che arriva il bello
e che appena avranno un po' di tempo
volentieri e piu' che volentieri
si fara' insieme una cena
si vedra' insieme la partita
e si giochera' a carte tutta la notte che domani e' festa
(ma domani non e' mai festa
sulla televisione c'e' un dito di polvere
e l'ultima cena con gli amici andavamo ancora a scuola
e come si gioca a quartiglio neppure te lo ricordi piu')
Cosi' finisce che sempre rispondono
che stanno bene e la lotta continua
che qui non si arrende nessuno
e chi li ascolta pensa che siano
nient'altro che palloni gonfiati
completi imbecilli incapaci
di vedere il mondo com'e'
di sentire il dolore degli altri
ma non dice niente perche' ha bisogno di aiuto
ma non dice nulla perche' non si sa mai
anche chi sembra buono e' un pozzo profondo di male
e sorride e ringrazia mentre un lupo gli divora il cuore
II.
Non chiedere nulla non desiderare nulla
non credere alle fole dei potenti
riconosci il dolore che vedi
del male prova scandalo e sdegno
contro tutte le ingiustizie e le violenze lotta
soccorri ogni persona che soffre
condividi il tuo pane e la tua tenda
tieni per te la tua sofferenza e la tua sentenza
ascolta la parola il grido il silenzio degli altri
riconosci ad ogni essere umano
la stessa dignita' e gli stessi diritti
insegna con l'esempio
suscita la resistenza
scegli la nonviolenza
serba memoria e gratitudine
meravigliati della bellezza del mondo
ama che le altre persone vivano
sia lieve il tuo passo sulla terra
salvare le vite e' il primo dovere.
2. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Occorre certo sostenere finanziariamente con donazioni tutti i servizi pubblici che stanno concretamente fronteggiando l'epidemia. Dovrebbe farlo lo stato, ma e' tuttora governato da coloro che obbedienti agli ordini di Mammona (di cui "Celochiedonoimercati" e' uno degli pseudonimi) hanno smantellato anno dopo anno la sanita' e l'assistenza pubblica facendo strame del diritto alla salute.
Ed occorre aiutare anche economicamente innanzitutto le persone in condizioni di estrema poverta', estremo sfruttamento, estrema emarginazione, estrema solitudine, estrema fragilita'. Dovrebbe farlo lo stato, ma chi governa sembra piu' interessato a garantire innanzitutto i privilegi dei piu' privilegiati.
Cosi' come occorre aiutare la resistenza alla barbarie: e quindi contrastare la guerra e tutte le uccisioni, il razzismo e tutte le persecuzioni, il maschilismo e tutte le oppressioni. Ovvero aiutare l'autocoscienza e l'autorganizzazione delle oppresse e degli oppressi in lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera. Ovvero promuovere l'universale democrazia e la legalita' che salva le vite, solidarieta', la responsabilita' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e conforta e sostiene, la condivisione del bene e dei beni.
In questa situazione occorre quindi anche e innanzitutto sostenere le pratiche nonviolente e le organizzazioni e le istituzioni che la nonviolenza promuovono ed inverano, poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
E tra le organizzazioni che la nonviolenza promuovono ed inverano in Italia il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e' per molte ragioni una esperienza fondamentale.
Chi puo', nella misura in cui puo', sostenga quindi il Movimento Nonviolento, anche con una donazione.
*
Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it
Per destinare il 5x1000 al Movimento Nonviolento: codice fiscale 93100500235
Per sostegno e donazioni al Movimento Nonviolento: Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455
3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO
Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.
4. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI
Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.
5. MAESTRI. MICHELE DI SIVO: LORENZO MILANI COMPARETTI (2010)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]
Lorenzo Milani Comparetti nacque a Firenze il 27 maggio 1923 da Albano Milani e da Alice Weiss. La sua era una famiglia di possidenti e intellettuali di forte impronta laica. Il padre, un chimico con grandi interessi letterari, dovette fondamentalmente occuparsi dei suoi molti poderi intorno a Montespertoli, con al centro la villa di Gigliola e il castello di Montegufoni.
A Firenze i Milani abitavano in una palazzina, accanto ad altre della famiglia, ricca di libri, opere d'arte e reperti archeologici del nonno paterno del M., Luigi Adriano, che di archeologia e numismatica era stato docente e che aveva sposato Laura Comparetti, morta nel 1913. Quella casa fu il luogo dove il M. crebbe e studio' con insegnanti di varie nazionalita' insieme con il fratello maggiore Adriano, che divenne medico, e con la sorella minore, Elena. Imprescindibile per il clima culturale nella famiglia fu il ruolo del bisnonno del M., il senatore Domenico Comparetti, grande filologo, grecista e latinista. Dopo la sua morte, nel 1927, la famiglia del M. ne acquisi' il cognome aggiungendolo al proprio. La moglie di Comparetti, Elena Raffalovich, ebrea ucraino-francese, fondo' in Italia i giardini d'infanzia froebeliani.
Il nonno materno del M., Emilio Weiss, veniva da una famiglia ebrea boema trasferitasi a Trieste, dove lavoro' come commerciante e coltivo' le sue passioni letterarie e l'amicizia con Italo Svevo (A. H. Schmitz). In quella citta' nacque e visse i suoi anni giovanili Alice, che li' fu allieva dell'amico di famiglia James Joyce e conobbe, tramite il cugino Edoardo Weiss, gli studi di S. Freud. Agnostici e anticlericali entrambi, i genitori del M. si erano sposati nel 1919 con il solo rito civile. La famiglia viveva tra Firenze, le sue tenute e la residenza di Castiglioncello, che non era solo un luogo di vacanza, ma pure di fitte relazioni con le famiglie Olschki, Valori, Pavolini, Castelnuovo Tedesco, Spadolini e dove il M. e gli altri bambini, con Bice Valori e Luca Pavolini, giocavano al teatro con testi scritti per loro da Sergio Tofano.
Nel 1930 le difficolta' della crisi economica condussero il padre a Milano, e il M. alterno' la sua presenza in quella citta' con periodi a Savona, ospite della famiglia Rigutini, a causa di problemi respiratori che a Milano gli rendevano difficile la vita. Piu' gravosa ancora era la vita, sua e dei fratelli, nella scuola milanese, dove nel 1933-34 il M. frequento' una faticosa quinta elementare, esacerbata dall'isolamento nel quale viveva a causa delle posizioni della famiglia sulla religione.
Tanto acuto fu il problema che – erano i mesi di consolidamento del regime nazista in Germania – i genitori del M. decisero di sposarsi con il rito religioso (29 giugno 1933) e di battezzare i loro figli a Gigliola. Il battesimo fu registrato come avvenuto nell'anno di nascita, e il pievano lo annoto' con il doppio cognome, che alla nascita nessuno di loro aveva ancora.
Proseguiti gli studi privatamente, il M. fece l'esame per entrare al ginnasio e poi al liceo milanese G. Berchet, che frequento' dopo un periodo trascorso nelle scuole dei barnabiti. I tempi del liceo furono caratterizzati dalla sua scarsa resa scolastica, dall'intrecciarsi di rapporti con compagni di classe come Oreste Del Buono, Saverio Tutino, Enrico Baj e dai dissidi con il padre, col quale sosteneva di non voler fare le scelte tradizionali della famiglia e di non volersi laureare. Spinto dalla necessita' di uscire dalla scuola il prima possibile, cerco' di anticipare anni scolastici senza riuscirci e concluse il liceo nel maggio del 1941. Mantenne la posizione espressa al padre e non si iscrisse all'universita', proponendosi al pittore Hans Joachim Staude, sensibile alla cultura orientale e al buddismo, come suo allievo a Firenze; con Staude resto' fino al settembre 1941 per poi iscriversi all'Accademia di Brera a Milano, dove tenne in affitto uno studio fino alla primavera del 1943. Quella che Staude definiva "la necessita' di cercare sempre l’essenziale, di eliminare i dettagli e di semplificare, di vedere le cose come un'unita' dove ogni parte dipende dall'altra" (cit. in Fallaci, pp. 51 s.) fu dal M. tradotta in ricerca del senso dei riti liturgici, che inizio' a studiare con l'occhio del pittore e che giunse a esaminare dal punto di vista filologico. I cartoni dei disegni e i manoscritti su quegli studi furono distrutti dal M. stesso contestualmente alla maturazione della sua scelta religiosa, compiuta subito dopo il ritorno della famiglia, nel 1943, a Firenze, dove i Milani Comparetti si trasferirono con l'idea che la citta' non sarebbe stata bombardata. Nel momento della crisi e della caduta del fascismo, quando molti degli amici del periodo milanese giungevano alla scelta dell'impegno antifascista – O. Del Buono era in un campo di concentramento, S. Tutino era entrato nel Partito comunista italiano (PCI) ed era capo partigiano in Val d'Aosta – la scelta del M. di convertirsi al cattolicesimo non fu compresa ne' da quegli amici, ne' dalla famiglia, che non partecipo' alla cerimonia della consacrazione. In poco tempo questo atteggiamento generalmente muto' e la madre, pur in una differenza di posizioni che permarra', gli restera' vicina sino alla fine.
Il 12 giugno 1943 il M. aveva ricevuto la cresima dall'arcivescovo di Firenze cardinale Elia Dalla Costa, che in quegli anni apriva alle istanze del cattolicesimo sociale di Giorgio La Pira e, il 9 novembre 1943, entro' nel seminario arcivescovile fiorentino di Cestello sancendo la sua scelta con un gesto netto: la rinuncia alla propria quota del patrimonio familiare.
Il primo, duro, periodo fu fortemente condizionato dagli avvenimenti successivi all'armistizio (8 settembre 1943), quando il M. si muoveva tra la sede del seminario e le residenze della sua famiglia, che riusci' a sfuggire ai pericoli del conflitto e alla persecuzione degli ebrei a Firenze. Ripreso il seminario, che qualche anno dopo definira' "una immensa frode" (lettera a Bruno Brandani in Fallaci, p. 86), il M. manifesto' da subito la sua indisponibilita' ad accogliere passivamente gli insegnamenti e la ritualita', da lui considerati non piu' proponibili: "si ha sempre l'impressione di essere in un manicomio [...] non c'e' piu' nessun indizio che possa far pensare in che secolo siamo, ne' in che paese. Difatti stiamo zitti in latino" (Lettere alla mamma..., 1973, n. 2).
Nelle discussioni con alcuni docenti – in particolare con Mario Tirapani, l'insegnante di Sacra Scrittura – il M. si lanciava nelle sue osservazioni critiche verso un metodo tutto volto alla ricerca delle attribuzioni piu' che all'analisi dei testi con gli strumenti della filologia; esprimeva inoltre la sua avversione verso una disciplina costruita su atti rituali esteriori e che gia' per il M. di quel periodo doveva essere invece tutta interiore. Subito dopo la conclusione del corso scriveva della necessita' "che ognuno pensi da se' a rettificare la sua intenzione e che se anche per caso si siede senza essersi fatto il segno della croce, puo' darsi che la croce che ha dentro sia piu' austera e piu' grande e piu' umiliante che quella che s'e' dimenticato di tracciare per l'aria" (ibid.).
Al Cestello il M. visse il passaggio al dopoguerra: in occasione del referendum del 1946, nonostante la posizione filomonarchica del cardinale Dalla Costa, esplicitamente si espresse a favore della Repubblica insieme con Raffaele Bensi, l'uomo che era stato la sua guida e che fu per il M. il diretto contatto con G. La Pira. Ordinato sacerdote il 13 luglio 1947, qualche mese dopo la morte del padre (2 marzo 1947), il M. fu inviato l'8 ottobre come cappellano nella parrocchia di S. Donato a Calenzano, abitata da circa 1200 persone in prevalenza di famiglie operaie o contadine, presso Prato.
Era un luogo tra montagna, campagna e citta' industriale, una societa' locale dove il M. scrutava gli effetti della crisi del mondo contadino, isolato dalla citta' o dalla citta' tentato, e le contraddizioni di comunita' dalla forte influenza comunista in anni di affermazione del modello sociale consumista. Il mutare dei comportamenti al momento dei riti e nella vita quotidiana erano oggetto della riflessione del M. e delle sue autonome scelte pastorali, sulle quali elaborava le analisi che vedranno la pubblicazione solo nel 1958.
Per il M. la religiosita' dei parrocchiani era azione artefatta, non cosciente, consuetudine necessaria prevalentemente per essere riconosciuti nella comunita'. L’abisso delle differenze sociali e la minorita' delle classi povere si potevano superare solo con quello che considerava lo strumento fondativo della dignita' dell'uomo: la potenza del linguaggio. In mano alle classi povere il linguaggio era per il M. un mezzo "per inchiodare il chiacchierone sulle parole che ha detto" (cit. in Fallaci, p. 125), condizione irrinunciabile per recuperare il difetto di istruzione civile, costruire le condizioni per un'eguaglianza altrimenti irraggiungibile e pero' presupposto della liberta', in primis della liberta' nella scelta religiosa: il percorso della fede per il M. aveva nella cultura un passaggio necessario.
A Calenzano questo progetto doveva trovare la sua forma nella scuola popolare; una scuola "di classe", aperta anche ai non praticanti purche' fossero operai o contadini. Costrui' da subito la scuola come alternativa al tradizionale proselitismo delle parrocchie e a quello, per lui corrispettivo, delle sezioni comuniste. Arma dell'educatore non era per il M. l'accoglienza, ma la provocazione come azione maieutica; per questo fu decisamente polemico verso le attivita' ricreative. "La scuola era il bene della classe operaia, la ricreazione era la rovina della classe operaia [...] mi perfezionai allora nell'arte di far scoprire ai giovani le gioie intrinseche della cultura e del pensiero e smisi di far la corte ai giovani che non venivano. Non perdevo anzi occasione di umiliarli e offenderli" (Esperienze pastorali, pp. 128 s.). Abbandono' il catechismo tradizionale, traducendolo in termini di storia con il Vangelo come fonte e strutturo', dal 1951, i corsi della scuola popolare serale focalizzandone l'oggetto sul linguaggio e coinvolgendo direttamente circa 130 persone. Il M. vedeva la scuola come la palestra per il risarcimento offerto agli ultimi e non luogo confessionale, nel quale dunque proprio i simboli piu' forti del cristianesimo, come il crocifisso, potevano non comparire. Gli allievi erano li' per imparare a confrontarsi da pari a pari con gli intellettuali e quei corsi confluivano settimanalmente in conferenze alle quali il M. invitava oratori – come i magistrati Gian Paolo Meucci e Marco Ramat, il direttore del Giornale del mattino Ettore Bernabei, lo storico Gaetano Arfe' – che venivano sottoposti al fuoco di fila delle domande e delle critiche. Tutti gli altri eventuali partecipanti dovevano essere solo uditori.
L'esperienza fiorentina catalizzava in quegli anni il conflitto aperto nel mondo cattolico sul rinnovamento della Chiesa e sul rapporto con la laicita' e il marxismo, dopo che, il primo luglio 1949, si era giunti al decreto del S. Uffizio con la scomunica dei comunisti.
Per le elezioni locali del 1951 e, soprattutto, per quelle politiche del 1953 la direttiva vaticana sul voto non contrario alla Chiesa fu dal M. tradotta come necessita' di distinguere tra cattolici e non credenti. Solo ai primi, secondo lui, si doveva riferire quella direttiva e a loro indico' di scegliere i candidati della Democrazia cristiana prima che il partito; i non credenti avrebbero dovuto agire inoltre con "criteri strettamente classisti" (Esperienze pastorali, p. 260). Nel 1951, l'anno in cui Giuseppe Dossetti abbandono' la politica, G. La Pira era divenuto sindaco di Firenze e nel 1953, sostenuto dall'arcivescovo E. Dalla Costa, appoggio' l'occupazione delle fabbriche del Pignone arrivando al dissidio con il ministro dell'Interno, suo amico personale, A. Fanfani sulla questione della legalita'.
Il M. si trovo' cosi' al centro del drammatico conflitto interno alla diocesi e alla comunita' di Calenzano, dove la passione verso di lui si traduceva in grande sostegno e in ostilita' di pari intensita' e politicamente trasversali (M. Tirapani lo accusava di fare il gioco della Sinistra e tra i comunisti gli si attribuiva la crescita dei voti democristiani nella zona).
Sull'episcopato fiorentino intervenne dunque il "partito romano", riferimento del tradizionalismo in Curia rappresentato dal cardinale segretario del S. Uffizio Alfredo Ottaviani: il 12 luglio 1954 Ermenegildo Florit fu nominato vescovo coadiutore e resto' per quattro anni al fianco di Dalla Costa, di fatto governando la diocesi al fine di esercitare un'azione frenante nei confronti di La Pira.
Al momento della morte, nel settembre del 1954, di Daniele Pugi, il parroco prevosto di S. Donato, si pose la questione del ruolo del M., al quale doveva essere affidata una parrocchia, nomina complicata anche dalle ostilita' di molti parroci verso il Milani. La decisione era nelle mani di Tirapani e fu sancita da Dalla Costa nel novembre: fu il trasferimento a Barbiana, una parrocchia in via di soppressione nei pressi di Vicchio nel Mugello, alle pendici del Monte Giovi, dove il M. giunse il 6 dicembre 1954.
Si trattava di qualche casolare "su una collina abitata soltanto dal vento" (Balducci, p. 75) e da circa 100 persone distribuite tra campi e boschi, senza strade ne' elettricita', da dove la residua popolazione tendeva a trasferirsi in pianura; fu un esilio che il M. accetto' con quella che piu' tardi definira' "ribellione obbedientissima" (cit. in Fallaci, p. 291) e che con il suo tipico, diretto, linguaggio scrisse di aver accolto "nonostante fosse palese a chiunque che vi ero confinato come finocchio e demagogo ereticheggiante e forse anche confesso visto che non avevo reagito" (Lettere alla mamma..., 1973, n. 84). Anche in questo caso il M. accompagno' la svolta con una forte decisione simbolica, presa il secondo giorno a Barbiana: l'acquisto della sua tomba in quella terra.
Non interruppe i rapporti con gli allievi di Calenzano, con i quali stava raccogliendo i dati delle loro ricerche sul territorio, e inizio' con gli abitanti di Barbiana a lavorare per la costruzione della strada, la canalizzazione dell'acqua, la formazione, anche li', della scuola popolare. Sul tema dell'acqua scrisse sul Giornale del mattino la sua Lettera dalla montagna, che Bernabei colloco' in prima pagina (15 dicembre 1955) e nella quale poneva il problema dei limiti della proprieta' privata. Diede vita in poco tempo a una scuola totale, che avrebbe impegnato i ragazzi per l'intera giornata e per tutto l'anno. Alcuni caratteri dell'esperienza calenzanese furono qui radicalizzati: la limitatezza del luogo, le difficolta' di movimento, il sempre piu' difficile stato di salute del M. favorirono la costruzione di un rapporto esclusivo con i ragazzi di Barbiana, ma contestualmente spinsero il M. ad ampliare i confini tanto di quella quanto della precedente esperienza: l'attivita' della scuola avrebbe dovuto integrare i materiali raccolti a Calenzano perche' fossero pubblici. Preparo' dunque un'opera scritta "esclusivamente per i preti" (lettera a G. Arfe', 5 maggio 1958, in Fallaci, p. 560) del cui carattere dirompente era conscio. Ne predispose dunque accuratamente la pubblicazione, sin dal 1955, cercando sostegni fuori dalla diocesi di E. Florit, ma appoggiandosi ancora a Dalla Costa, dal quale ottenne il nihil obstat. Per l'introduzione al libro, dato in lettura a La Pira, fu in primo luogo coinvolto, tramite Bensi, l'arcivescovo di Milano G. B. Montini, che declino' l'invito; la richiesta fu invece accolta dall'arcivescovo di Camerino Giuseppe D'Avack. Pubblicato dalla Libreria editrice fiorentina, Esperienze pastorali inizio' a circolare dopo le elezioni politiche del 25 maggio 1958 "perche' vogliamo trovare i preti un po' meno distratti e (quelli cattivi) un po' meno cattivi" (ibid.).
Si tratta dell'opera principale del M., di cui esprime compiutamente il pensiero e che chiaramente ne descrive l'azione.
Il M. partiva da studi statistici costruiti su dati raccolti con metodi induttivi giudicati innovativi da Luigi Einaudi nella lettera scritta a commento del libro nel marzo del 1959 (in Fallaci, pp. 511-517), come la descrizione dei letti nelle case utilizzata come indicatore dell'organizzazione delle famiglie.
Ne venne un'opera di amplissimo respiro, con il valore e il limite di trarre con rigore conclusioni generali dall'analisi di una situazione locale, cio' che la rende a tratti profetica e a tratti integralista. Radicalmente critico nei confronti della predicazione come rito, "il frutto della stupidita' del sei e settecento" (p. 84), il M. esamina il rapporto, sia dei fedeli sia dei non credenti, con la liturgia e la sua deformazione in termini di necessita' profane, spingendosi fino alla negazione del primato delle azioni umane sulla Grazia. La monetizzazione dei comportamenti sociali ("in pratica il regalo non e' che una forma di prestito a piu' o meno lunga scadenza", p. 67), innestata nell'assenza di cultura civica di base e nella privazione dello strumento del linguaggio nei piu' poveri, prepara secondo il M. una societa' in cui le diseguaglianze si inaspriranno ma saranno dissimulate. La diffusione della tecnologia – il M. analizza la velocita' nei trasporti, la comunicazione, l'aspirazione alla liberazione dai lavori domestici, la possibile futura crisi demografica – in una societa' diseguale allarga il divario tra ricchi e poveri sia per la sproporzione di tale espansione tra i ceti, tutta favorevole ai piu' ricchi, sia perche' "la poverta' dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale" e "la distinzione in classi sociali non si puo' dunque fare sull'imponibile catastale, ma su valori culturali" (p. 209). Secondo il M. si profilava un futuro di sviluppo ma non di progresso, idea chiave che piu' di un decennio dopo fu al centro della riflessione di Pier Paolo Pasolini. Tale stato di cose imponeva per il M. la necessita' di un'educazione finalizzata a trasmettere gli strumenti per decidere se sovvertire quel modello di valori, di fronte al quale i contadini e gli operai sono senza parole. La mera alfabetizzazione serve, secondo il M., a leggere giornali scritti con la "tecnica della bugia onesta", quella per cui "il lettore deve uscire dalla lettura del 'suo' giornale confortato, tranquillizato, evirato" (p. 215). I nuovi mezzi di comunicazione come la televisione hanno inoltre secondo il M. nuovi, intrinseci, vizi che per esser superati devono essere tenuti presenti. Il primo viene dalla loro dimensione economica: "Cinema e televisione dipendono ambedue per loro natura da organizzazioni molto costose. Era fatale dunque che dovessero cadere in mano a dirigenti la cui unica preoccupazione fosse quella di contentare gli spettatori. Ma e' appunto qui che si distingue il maestro dal commerciante. Dicesi commerciante colui che cerca di contentare i gusti dei suoi clienti. Dicesi maestro colui che cerca di contraddire e mutare i gusti dei suoi clienti" (pp. 137 s.); il secondo dalla loro velocita': "Lo spettatore e' sempre guidato per mano a velocita' vertiginosa, senza che abbia mai il tempo di prender respiro. S'abitua a intendere fulmineamente e si disabitua a riflettere" (p. 154). Per il M. era la strada verso la scristianizzazione: tra i ceti poveri avrebbe solo generato fratture nel linguaggio comune allontanando la possibilita' di scegliere se "essere santi o dannati" (p. 200).
Con Esperienze pastorali il M. si trovo' al centro di un accesissimo dibattito nazionale. Alle recensioni favorevoli (Arfe' in Il Ponte, 1958, n. 109), ai giudizi problematici ma solidali (I. Montanelli, in Bortone, p. 118; in Fallaci, p. 148), al sostegno diretto di La Pira e di Primo Mazzolari (in Bortone, pp. 114, 118), che dal 1949 aveva pubblicato articoli del M. sulla rivista Adesso (come Franco, perdonaci tutti, comunisti, industriali e preti, il 15 novembre 1949) si contrapposero interventi contrari della Settimana del clero (14 settembre) e soprattutto del periodico gesuita La Civilta' cattolica (20 settembre 1958), sul quale Angelo Perego analizzo' in termini radicalmente negativi l'opera del M., ritenuta carica di ossessioni e di contraddizioni. Nei giorni in cui moriva Pio XII (il 9 ottobre) e veniva eletto papa, il 28 ottobre, il cardinale A. Roncalli (Giovanni XXIII) questo articolo, al quale si aggiunsero le posizioni del sostituto presso la segreteria di Stato della S. Sede Angelo Dell'Acqua e di E. Florit, preparo' l'intervento della Congregazione del S. Uffizio, che il 10 dicembre 1958 ordino' il ritiro del libro e ne proibi' ristampe e traduzioni (L'Osservatore romano, 20 dicembre 1958).
D. M. Turoldo, che con il M. aveva discusso del libro in corso d'opera, fece in seguito riferimento alle questioni teologiche poste da Esperienze pastorali, sostenendo del M. che: "era di origine ebrea [...], sebbene fosse illuminato grazie alla grande cultura sua personale e della famiglia da cui proveniva [...] ma al fondo era un convertito con radici ancestrali ebraiche. Quel tanto di Nuovo Testamento che compare nel libro e' venuto fuori dalle nostre discussioni" (p. 53).
La decisione del S. Uffizio divenne un caso politico e porto' all'intervento del giornale del PCI L'Unita' (L. Pavolini, 21 dicembre 1958) e al consolidarsi di una fitta rete di relazioni intorno alla sua esperienza di Barbiana, alla quale in quegli anni si legarono, tra gli altri, A. Capitini, Elena Brambilla Pirelli, le famiglie Ichino e Gentiloni. Da allora il M. fu protagonista delle contrapposizioni in seno alla Chiesa e al cattolicesimo italiano e nel confronto con i partiti della Sinistra.
La censura non impedi' la circolazione di Esperienze pastorali nella cultura italiana: l'opera ebbe vasta risonanza, tra la borghesia cattolica, in chi vi vedeva l'indicazione verso un profondo rinnovamento della Chiesa e della societa'. Nonostante il primo giudizio critico di Roncalli, quando era ancora cardinale, molte delle riflessioni del M. sarebbero state inoltre del tutto compatibili con l'ispirazione del concilio Vaticano II. Tutto cio' favori' l'apertura e la partecipazione della scuola di Barbiana alla vita nazionale.
Il M. e i ragazzi di Barbiana analizzavano la stampa e si applicavano alla scrittura collettiva dei loro commenti: si preparavano cosi' al confronto serrato con personalita' politiche, sindacali, intellettuali che, come e piu' che a Calenzano, erano li' invitate alla maniera del M., ovvero intensamente sottoposte alla valutazione critica dei suoi allievi, cosa che generava adesioni e contrasti. I suoi ragazzi, per lui divenuti "l'ottavo sacramento", venivano stimolati ad affrontare quel contraddittorio e a scriverne. Il risultato di questo processo era cio' che portavano davanti agli insegnanti della scuola pubblica per superare gli esami, cosi' come i viaggi e il lavoro in Europa che il M. organizzava per loro avvalendosi dei suoi sostenitori.
Da quel tipo di lezioni venne uno degli episodi piu' significativi della vita del M., che lo porto' davanti a un tribunale penale.
G. La Pira, rieletto sindaco a Firenze nel 1961 a tre anni dalla caduta della sua precedente giunta, propose nel novembre di quell'anno una proiezione pubblica del film sull'obiezione di coscienza Non uccidere (Tu ne tueras point), di C. Autant-Lara, la cui visione era stata proibita. Il conflitto che ne derivo' fu acuito dal procedimento contro il primo obiettore italiano, G. Gozzini, e contro padre E. Balducci, accusato di apologia di reato per aver difeso Gozzini.
Il dibattito fu all'attenzione del M. da allora, ma il suo intervento arrivo' solo nel 1965, quando su La Nazione (12 febbraio) comparve l'Ordine del giorno dei cappellani militari nel quale l'obiezione di coscienza era considerata "un insulto alla Patria e ai suoi caduti" ed "espressione di vilta'". Il M. diffuse in diverse centinaia di copie la sua Risposta ai cappellani militari... che, inviata a vari giornali, fu pubblicata soltanto dal periodico comunista Rinascita, diretto da L. Pavolini (6 marzo 1965).
Il M. applicava all'obiezione al servizio di leva la sua idea di obbedienza verso la legge in rapporto alla coscienza, la relativita' del concetto di patria e il rispetto della Costituzione sia nell'articolo sul ripudio della guerra offensiva sia su quello relativo al sacro dovere della difesa della Patria, che dunque non puo' comportare per il M. la violazione di altre patrie. Il M. metteva in discussione che la difesa della patria potesse coincidere con la guerra, ma oltrepassava anche quei limiti: "io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri [...] e almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto" (L'obbedienza..., pp. 25 s.).
Dopo la denuncia per apologia di reato da parte di un gruppo di ex combattenti, il M. e Rinascita furono rinviati a giudizio e, a Roma, ebbe inizio il processo. Furono mesi di grande virulenza contro il M., durante i quali non mancarono anche minacce di morte. La sua natura intransigente, la durezza del suo operare, la nettezza del suo linguaggio fecero parlare di "violenza del non violento" (La Nazione, 2 aprile 1965); l'obiettiva convergenza, in questa battaglia, con un organo del PCI favori' inoltre la critica al M. come "prete rosso" (Lo Specchio, 21 marzo 1965) e, ancora, la polemica non pote' che peggiorare i rapporti con l'arcivescovo Florit – formalmente nominato alla diocesi fiorentina il 19 marzo 1962, dopo la morte di Dalla Costa – il quale intimo' al M. di abbandonare quella sua autonomia di azione, che lo avrebbe potuto condurre a una sospensione a divinis.
All'udienza, il 30 ottobre 1965, il M. non pote' essere presente per l'aggravarsi della leucemia, che s'era manifestata almeno dal 1960, ma in quei giorni aveva lavorato alla sua autodifesa, la Lettera ai giudici portata in tribunale dall'avvocato d'ufficio A. Gatti. E' il testo noto come L'obbedienza non e' piu' una virtu'.
Dopo una secca presa di distanza da Rinascita ("non meritava l'onore d'essere fatta bandiera di idee che non le si addicono come la liberta' di coscienza e la non violenza", p. 35), il M. focalizzo' la questione sul rapporto tra la legge e la giustizia ("la tragedia del vostro mestiere di giudici e' che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste", p. 39) e sul ruolo dell'educatore che forma le nuove generazioni allo scopo di portarle al miglioramento della legge "di cui si ha coscienza che e' cattiva" (p. 41). Il voto la puo' mutare, ma di una legge che impone all'individuo un'azione iniqua si deve pagare la sanzione disobbedendola. Da Socrate al processo di Norimberga, il M. legava la disobbedienza alla responsabilita' (che sintetizzava con il suo I care affisso nella scuola di Barbiana) e l'obbedienza verso la legge ingiusta alla "piu' subdola delle tentazioni" (p. 51).
Entrava inoltre nel dibattito sulla guerra atomica, segnalando l'inadeguatezza delle categorie come attacco e difesa su cui l'umanita' aveva sino ad allora parlato di guerra: "E' noto che l'unica 'difesa' possibile in una guerra di missili atomici sara' di sparare circa venti minuti prima dell''aggressore'. Ma in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa" (p. 58).
Dopo una richiesta di otto mesi di reclusione, in primo grado si giunse all'assoluzione con formula piena (15 febbraio 1966), ma l'appello muto' il verdetto, emesso il 28 ottobre 1967, dopo la morte del M.: Pavolini fu condannato a cinque mesi di reclusione.
Il M. continuava ad essere tormentato dalla malattia, ma fu in quegli ultimi mesi di vita che produsse l'opera sua piu' nota, la Lettera a una professoressa scritta dopo la bocciatura di due ragazzi di Barbiana all'esame di Stato. Quasi immobilizzato per la severita' della leucemia, il M. diresse otto dei suoi allievi nella scrittura del libro, che fu pubblicato a Firenze, ancora dalla Libreria editrice fiorentina, nel maggio del 1967.
I circa 460.000 studenti respinti annualmente dalla scuola dell'obbligo, nella quasi totalita' provenienti da famiglie operaie e contadine, erano il dato di partenza della Lettera; l'estensione, nel 1962, dell'obbligo scolastico a otto anni di corso e a quattordici di eta' e l'art. 3 della Costituzione erano il contesto normativo in cui quel dato era analizzato. Ne veniva la necessita' di affermare un orientamento radicalmente nuovo che tenesse conto della centralita' dello studente e delle profonde diseguaglianze di partenza, non trattabili con l’apparente neutralita' del sistema di valutazione; era dunque la diseguaglianza di giudizio che poteva equilibrare le possibilita' di ciascun allievo. L'obbligo scolastico doveva essere un lungo momento di preparazione all'eguaglianza, con educatori totalmente dedicati a superare una colpevole scuola, dalla Lettera considerata "un ospedale che cura i sani e respinge i malati" (p. 20). Con un tono molto duro, talvolta sprezzante, verso il corpo insegnante e, anche qui, con conclusioni di carattere integralista – come l'idea di un educatore celibe al fine di essere completamente dedicato alla sua opera –, la Lettera esprimeva tuttavia, con una forza senza precedenti, la strutturale incapacita' di applicare la Costituzione nella scuola italiana. Proprio la scuola dell'obbligo era invece – secondo la Lettera – il luogo nel quale si potevano rimuovere alla radice gli ostacoli al "pieno sviluppo della persona umana", e tra gli strumenti necessari a tal fine vi dovevano essere l'abolizione della bocciatura e il tempo pieno.
Nei giorni in cui usciva la Lettera, l'aggravamento della malattia costrinse il M. a trasferirsi, il 25 aprile 1967, presso la madre nella casa di Firenze, dove fece distruggere una parte dei suoi documenti e ordino' ai suoi allievi di chiudere la scuola.
Il M. mori' a Firenze il 26 giugno 1967; poco dopo fu sepolto a Barbiana.
Accolta come un'opera "piu' simile a una fucilata che ad un saggio" (Avvenire d'Italia, 11 giugno 1967), la Lettera a una professoressa ebbe grande diffusione negli anni in cui nella scuola superiore e nelle universita' iniziava la contestazione studentesca, di cui fu considerata un manifesto. La fortuna dell'opera, proseguita nei decenni successivi con la diffusione internazionale di piu' di venti milioni di copie, fu legata al grande impulso dato al rinnovamento della scuola, e porto' all'identificazione del M. con essa. In tempi recenti le posizioni critiche verso la Lettera si sono concentrate sulle presunte responsabilita', pure di natura politica, del M. stesso sulla crisi dell'istruzione in Italia (Berardi; S. Vassalli, Don Milani, che mascalzone, in La Repubblica, 30 giugno 1992). E' venuto invece da La Civilta' cattolica (6 ottobre 2007) il recupero della sua figura.
"Cattolico alla maniera dantesca", come lo defini' il suo amico Agostino Ammannati (in Fallaci, p. 277), per il M. la politica era in realta' una rigorosa prosecuzione della sua teologia e l'attivita' pastorale imperniata sull'identificazione del sacerdote con l'educatore, totalmente e dogmaticamente votato al primato degli ultimi fino al confine della dimensione tragica. Di se' scriveva: "io al mio popolo gli ho tolto la pace. Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti schieramenti di pensiero. Ho sempre affrontato le anime e le situazioni con la durezza che si addice al maestro. Non ho avuto ne' educazione, ne' riguardo, ne' tatto [...] avro' seminato zizzania, ma insegno anche a chi mi darebbe fuoco" (Esperienze pastorali, p. 146).
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Fonti e bibliografia: Nel Fondo Lorenzo Milani la madre del M. e M. Ranchetti raccolsero gran parte della documentazione del M., che nel 1974 fu affidata all'Istituto per le scienze religiose Giovanni XXIII, a Bologna; l'inventario del fondo e' a cura di G. Battelli (L'epistolario di Lorenzo Milani - Inventario e regesto, in Cristianesimo nella storia, 1980, vol. 1, pp. 495-530); a Vicchio di Mugello, nel Centro di Documentazione Don Milani, sono conservati articoli e tesi sul Milani. Un primo nucleo di lettere del M. fu pubblicato in Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di M. Gesualdi, Milano 1970 (ed. aggiornata Cinisello Balsamo 2007) e in Lettere alla mamma, a cura di A. Milani Comparetti, Milano 1973; lettere del M. e a lui dirette, insieme con alcuni articoli del M. stesso, sono pubblicati in appendice alla monografia di N. Fallaci, La vita del prete L. M. Dalla parte dell'ultimo, Milano 2005, pp. 511-593. L'edizione piu' accurata delle lettere alla madre e' in L. Milani, Alla mamma: lettere 1943-1967, edizione integrale annotata, a cura di G. Battelli, Genova 1990 (dello stesso curatore Lettere alla madre, Genova 1997). Altre lettere, scritti e lezioni del M. in Lettere in un'amicizia, a cura di G. C. Melli, Firenze 1977; Don L. M. e la scuola di Barbiana. Scritti linguistici, a cura di A. Bencivinni, Napoli 1978; Il catechismo di don L. M.: documenti e lezioni di catechismo secondo uno schema storico, a cura di M. Gesualdi, Firenze 1983; Il Vangelo come catechismo, Firenze 1997; L'obbedienza non e' piu' una virtu' e gli altri scritti pubblici, a cura di C. Galeotti, Roma 1998 (con la Risposta ai cappellani militari, la Lettera ai giudici e l'articolo postumo, Un muro di foglio e d'incenso, scritto nel 1958, non accolto dalla rivista Politica ma pubblicato da L'Espresso il 19 maggio 1968); G. Pecorini, Don M.! Chi era costui?, Milano 1996 (in particolare pp. 211-391); I care ancora. Lettere, progetti, appunti e carte varie inedite e/o restaurate, a cura di G. Pecorini, Bologna 2001; La parola fa eguali. Il segreto della scuola di Barbiana, a cura di M. Gesualdi, Firenze 2005; G. Scire', Il carteggio don Milani - Gozzini, in Rivista di storia del cristianesimo, 2005, n. 2, pp. 517-540; S. Tanzarella, Gli anni difficili. L. M., Tommaso Fiore e le "Esperienze pastorali", Trapani 2007 (con il carteggio tra il M. e Fiore); Un libro inopportuno, a cura degli allievi di San Donato, Firenze 2008, pp. 119-213 (con il carteggio tra il M. e Cesare Locatelli e gli articoli de La Civilta' cattolica). Ulteriori indicazioni sugli scritti del M. sono nel sito della Fondazione Don Lorenzo Milani (http://www.donlorenzomilani.it/). La notevolissima bibliografia sul M. puo' essere tracciata solo per alcuni riferimenti: numerosi sono i siti web – a partire da quello del Centro Formazione e ricerca Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana (http://www.barbiana.it/opere.html) – da cui e' possibile ricavare dati bibliografici e notizie sulle numerose traduzioni degli scritti del M. in varie lingue e sulle opere cinematografiche (di E. Lorenzini nel 1963, P. Tosini nel 1975, I. Angeli nel 1976, Andrea e Antonio Frazzi nel 1997) e documentaristiche dedicate al Milani, come il video-saggio Lorenzino - don Milani, di A. Melloni. Nell'edizione Lettera a una professoressa. Quarant'anni dopo, a cura di M. Gesualdi e della Fondazione Don Lorenzo Milani (Firenze 2007) sono pubblicati articoli e testimonianze sull'opera dal 1967 al 2007; indicazioni di articoli sul M. sono in M. Moraccini, Don L. M. nei mass-media. Catalogo bibliografico 1950-1997, Milano 1999 (http://www.moraccini.it/). Don L. Milani. Atti del Convegno... 1980, Firenze 1981; Don L. M. tra Chiesa, cultura e scuola. Atti del Convegno... 1983, Milano 1983; R. Berardi, Lettera a una professoressa. Un mito degli anni Sessanta, s.l. 1992; E. Balducci, L'insegnamento di don L. M., a cura di M. Gennari, Roma-Bari 1995; M. Lancisi, La scuola di don L. M., Firenze 1997; M. Ranchetti, Scritti diversi, II, Chiesa cattolica ed esperienza religiosa, Roma 1999, pp. 115-119, 135-150; D.M. Turoldo, Il mio amico don M., Bergamo 1997; G. Guzzo, Don L. Milani. Un rivoluzionario, un santo, un profeta o un uomo?, Soveria Mannelli 1998; M. Di Giacomo, Tra solitudine e Vangelo: 1923-1967, Roma 2001; A. Bencivinni, Don M.: esperienza educativa, lingua, cultura e politica, Roma 2004; N. Fallaci, La vita del prete L. M. ..., cit. (con postfazione di M. Gennari); E. Martinelli, Don L. M.: dal motivo occasionale al motivo profondo, Firenze 2007; A. Santoni Rugiu, Don Milani. Lezioni di utopia, Pisa 2007; S. Tanzarella, Gli anni difficili... cit.; M. Bortone, Tra parola e conflitto: la comunicazione in don L. M., Roma 2008; L'apocalisse di don M., introduzione e cura di M. Gennari, Milano 2008; Don M. fra storia e memoria. La sua eredita' quarant’anni dopo. Atti del Convegno, Firenze... 2007, a cura di C. Betti, Milano 2009; R. Perri, Presenze femminili nella vita di don L. M.: tra misoginia e femminismo ante litteram, Firenze 2009.
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Gian Mario Bravo, La Prima Internazionale. Storia documentaria, Editori Riuniti, Roma 1978, 2 voll. per pp. XII + 1286.
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Riedizioni
- Donatella Di Pietrantonio, L'Arminuta, Einaudi, Torino 2017, Mondadori, Milano 2020, pp. IV + 164, euro 7,90.
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Fantascienza
- Nancy Kress, Se ci sara' un domani, Mondadori, Milano 2020, pp. 286, euro 6,90.
*
Letteratura per ragazzi
- Luigi Garlando, L'estate che conobbi il Che, Rcs, Milano 2015, Il sole 24 ore, Milano 2020, pp. IV + 182, euro 10,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3739 del 14 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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