[Nonviolenza] Telegrammi. 3605



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3605 del primo gennaio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Anna Bravo intervistata da Luigi Monti (2014)
2. Raniero La Valle ed altri: Perche' la storia continui. Appello-proposta per una Costituzione della Terra
3. Mao Valpiana: Lettera alle amiche e agli amici del Movimento Nonviolento
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. ANNA BRAVO INTERVISTATA DA LUIGi MONTI (2014)
[Dal sito della rivista "Gli asini" riprendiamo la seguente intervista del 2014 ripubblicata il 9 dicembre 2019 con la seguente nota introduttiva: "Questa notte e' scomparsa la storica Anna Bravo, amica e collaboratrice della nostra rivista. La ricordiamo con l'intervista che le fece Luigi Monti in occasione dell'uscita del suo libro La conta dei salvati (Laterza)"]

Itinerario storiografico
C'e' un itinerario, non sempre consapevole, nella mia ricerca storica, che mi ha condotto dalla storiografia maggioritaria fondata sul "fatto compiuto" a quella purtroppo marginale, non solo in Italia, del "fatto evitato", una storiografia che si rifiuta di trovare il proprio fondamento epistemologico esclusivamente in cio' che puo' essere computato - come ad esempio guerre e morti - e per cio' imposto. Un approccio che forse ha una presa scientifica inferiore, ma una presa sulla verita' di gran lunga piu' profonda.
Questo itinerario parte, io credo, dagli studi giovanili sulla Resistenza nei quali non avevo la capacita' e la forza di riconoscere alcuni limiti che trovavo poi in alcuni amici partigiani. Un po' li intuivo, quei limiti, un po' non li volevo vedere, condizionata dal mio amore per la Resistenza e per i suoi attori. Alcuni amici partigiani mi raccontavano degli episodi sapendo di poter contare sul fatto che io non li avrei resi pubblici. E non l'ho fatto. Pero' avrei dovuto scandagliare piu' a fondo certi aspetti. Ma non ne ho avuto il coraggio, la lucidita', forse la maturita'.
Il tema della forza, della violenza, e' riemerso con prepotenza negli anni in cui "militavo" in Lotta continua. Anche in quel caso, fino ad un certo periodo non ho avuto la capacita', per timidezza o "spirito di corpo", di prendere una posizione pubblica. Poi pero', il coraggio l'ho trovato. Perche' ormai una cosa appariva indiscutibile: non si puo' andare avanti, anche quando si sia "dalla parte giusta", con l'inconsapevolezza delle conseguenze della violenza sulle persone; non solo su quelle che colpisci ma anche su te stesso e su chi e' intorno. La violenza diventa in quel caso un fattore deformante di tutta una collettivita'.
Mi colpi' moltissimo la lettura dei ricordi della guerra di Spagna di Simone Weil, che, avendola conosciuta da vicino, la definiva piu' o meno in questi termini: "fra gli uomini armati e la popolazione disarmata c'era un abisso in tutto simile a quello che separa i poveri dai ricchi. Gli armati erano arroganti e avevano l'aria di quelli che comandano; la gente senza armi era intimidita, sottomessa, a disagio". Lei stessa, arruolatasi per una causa che rimaneva giusta, verificava come le armi segnavano una frattura nella democrazia interna al Fronte Popolare.
Anche i servizi d'ordine, all'interno dei gruppi e dei movimenti politici di cui ho fatto parte, avevano effetti simili: espropriavano la parte non "militarizzata". A quel punto, mi e' venuto abbastanza naturale iniziare una ricerca, non solo accademica, sulla violenza.
Non e' stato semplice. L'accusa di "revisionismo" me l'hanno fatta, e non solo per In guerra senz'armi. E ovviamente non faceva piacere. Per non parlare del metodo, che era ancora da costruire, e lo e' anche adesso.
Tra gli storici c'e' un'implicita accettazione dell'idea che siano la violenza e la guerra che fanno la storia. In realta', come diceva Gandhi, se fosse stata egemone la guerra noi non saremmo vivi. Quindi, la domanda vera, anche da una prospettiva storiografica, e' chi abbia risparmiato il sangue nelle grandi vicende storiche e come abbia fatto.
Le storie di sangue risparmiato bisogna saperle riconoscere, bisogna saperle vedere. Anche per me non e' stato immediato. Oltre al fatto che una scuola o una tradizione storiografica a cui appoggiarsi sostanzialmente non esistevano, in Italia c'era anche poca ricerca: sulla protezione dei prigionieri alleati dopo l'8 settembre, il libro da cui ho tratto piu' notizie e richiami archivistici e' di uno storico britannico, e' uscito nel '91 ed e' stato tradotto in italiano solo due anni fa (Roger Absalom, L'alleanza inattesa. Mondo contadino e i prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945), Pendragon 2011).
Anche all'estero questo approccio non e' stato tematizzato con forza. E' stata la forza interna di certi episodi che mi fatto sentire la necessita' di cercare un quadro in cui ricomporli. Ho trovato parecchio sulla prima guerra mondiale nella storiografia americana, alcuni autori raccontano molto efficacemente le tregue autoorganizzate tra i soldati e la fraternizzazione fra le opposte trincee. In Italia gli studi che narrano queste vicende che a me entusiasmano le presentavano come parte di una "controstoria", con i militari in veste di vittime. E' un grande filone storiografico e letterario, ma i soldati non erano solo vittime, erano soggetti che agivano con coraggio, inventiva, discernimento, e gli episodi erano importanti in se'.
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Resistenza civile, nonviolenza, sangue risparmiato
L'impianto del libro e' percorso da un concetto che il femminismo ha usato molto fin dagli anni '70 e '80: il concetto di "genealogia". Al di la' del senso traslato dal suo significato "biologico", alcune intellettuali cercavano un'origine diversa del proprio patrimonio culturale, diversa da quella, tutta maschile, con cui la mia generazione e' stata allevata. Sul piano storiografico si traduceva ad esempio a un'attenzione anche al piano simbolico della storia, non solo quello "fattuale". Uno slittamento fondamentale. Poi forse non si e' abbastanza messo in evidenza il fatto che si trattava di una scelta del tutto soggettiva: la genealogia e' qualcosa che cambia, che si modifica, che e' possibile manipolare, per questo e' importante analizzare i modelli (reali o "inventati") cui ci si richiama e gli effetti che queste scelte hanno sull'autoimmagine, la memoria, la storia.
Genealogia e' un concetto operativamente ricco. Se non ci si sforza di rintracciare, attraverso gli strumenti della storia, degli esempi e delle continuita', il proprio pensiero e' piu' debole.
Ecco allora che guardare la storia sanguinosa del '900 in questi termini, alla ricerca non del sangue versato, ma di quello risparmiato, mi ha fatto scoprire non solo un "altro '900", forse minoritario ma non per questo meno essenziale per la storia (e forse per la sopravvivenza) dell'umanita', ma anche un ramo inedito della pratica nonviolenta capace, io credo, di rinnovarne la forza e la presa sul presente.
Sotto questo aspetto le categorie di "nonviolenza", "resistenza civile" (sulle quali ho lavorato in passato) e "sangue risparmiato" non sono identiche, ne' del tutto sovrapponibili. Sono parenti, appunto, ma la loro "genealogia" merita di essere dettagliata, mentre lo stesso movimento nonviolento non sempre ha saputo riconoscere nelle vicende della storia le proprie differenti genealogie.
La nonviolenza ha una marcatura teorica forte che viene da Tolstoj, Thoreau, Gandhi, per citare i pensatori nonviolenti piu' famosi, e ha nel tema della "trasformazione interiore" il suo tratto distintivo piu' importante. La nonviolenza e' una politica fattiva che pero' implica la presenza, se non di una ideologia, di una teoria e di una metodologia.
La resistenza civile e' una cosa diversa. E' stata tematizzata alla fine del secolo scorso, ma non ha un vero e proprio nocciolo "teorico". Per questo Jacques Semelin, lo storico francese che ha messo a fuoco il concetto, ne da' una definizione molto generale. La resistenza civile ha preso forma perche' la gente non possedeva le armi, o non ne aveva l'accesso. In molti dei casi che ho raccontato, se avessero avuto le armi, forse le avrebbero usate. Prendiamo il caso dell'Italia del '43: le donne non avevano accesso a fucili e granate. Magari non le avrebbero volute o sapute usare, ma non e' certo. In altri casi le persone decidono consapevolmente di limitare la violenza. Questo anche tra i resistenti. In Emilia Romagna alcuni "vecchi compagni" - quelli con una formazione socialista-umanitaria alla Prampolini - non volevano uccidere. "Non mancavano certamente di coraggio!" racconta un commissario politico, ma non volevano "sparare all'uomo". L'idea di sparare addosso a un essere vivente come loro... non ce la facevano. Luciano Casali, uno storico di Bologna, mi ha fatto conoscere la documentazione. Anche per questo, nei Gap, hanno cercato di mandare avanti i giovani, una scelta che ebbe una portata molto grande, e insieme il grande rischio dell'assuefazione alla violenza, di cui parla un opuscolo diffuso sulle Funzioni del commissario politico, che sempre Casali mi ha fatto conoscere.
In questo senso la resistenza civile e' una cosa in cui non sempre c'e' una esplicita presa di posizione nonviolenta. Spesso non c'e'. Qualcuno puo' essere, magari per ragioni religiose, alieno dalla violenza, ma non c'e' una teorizzazione della nonviolenza come mezzo per ottenere un obiettivo politico o impedirne altri.
Durante la risalita della penisola, i nazisti volevano avere davanti territori il piu' possibile vuoti, quindi costringevano le popolazioni ad abbandonare le citta'. A Carrara le donne - tra cui le donne dell'Udi - si sono opposte e sono riuscite a impedire che si sfollasse totalmente la citta'. Non so se si possano definire nonviolente. Semplicemente hanno usato cio' che avevano a disposizione: cioe' la forza d'urto di tanti corpi femminili tutti insieme. A cui si e' aggiunto il valore simbolico di una massa di donne in protesta: anche se la politica era quella del terrore, era difficile mitragliare delle donne inermi su una pubblica piazza. Che poi alcune di quelle donne fossero o no nonviolente e' difficile capirlo. Sicuramente erano "pacifiche".
Questo concetto del sangue risparmiato, infine, l'ho usato per sviluppare di piu' il tema dell'agire in modo consapevolmente "protettivo della vita" anche in situazioni di guerra guerreggiata e anche senza possedere una teoria di riferimento. Alcune delle persone che "salvano" non hanno minimamente idea della tradizione della nonviolenza. Ho scelto questa definizione per dare conto di una cura e una difesa che riguarda i corpi, le vite concrete, non dei simboli o dei valori o degli obiettivi generali. Anzi, non c'e' altro obiettivo che salvare. Mentre le pratiche di resistenza civile sono finalizzate a un risultato, qui l'obiettivo coincide con l'azione.
A volte si e' trattato di accadimenti cosi' rapidi, che non c'era tempo di elaborare un'etica dell'azione. Alcune "spiegazioni" delle donne che nel '43 hanno agito per risparmiare sangue sono molto interessanti, sono per lo piu' legate alla relazione e non ai principi. Non dicono: "L'ho nascosto perche' era giusto nasconderlo". Ma piuttosto: "Se non lo nascondevo io, cosa faceva?”. Si riferiscono piu' al bisogno dell'altro che a un imperativo categorico. E i loro comportamenti sono "eversivi" al di la' delle motivazioni, perche' trasgredivano alle leggi in vigore, che erano quelle fasciste di Salo': siamo di fronte a una divaricazione tra "legittimita'" - che e' legata a un concetto di cio' che e' giusto e ciò che e' ingiusto - e "la legalita'". Non dimentichiamoci che in quegli anni l'azione morale di aiuto ai perseguitati era illegale, l'azione criminale di perseguitarli era la legge. Solo l'illegalita', per certi versi, era morale. Loro prendono la decisione morale. Ma non in modo politico, o ideologico - alcune si', ma la maggioranza no. Loro prendono queste decisioni perche' non credono ai criteri di innocenza e colpa sanciti dal potere e si trovano di fronte persone che non sanno cosa fare o dove andare. Per molte conta la fede religiosa, ma non tutte le donne religiose scelgono di proteggere chi e' in pericolo, quindi bisogna accettare che non si puo' spiegare tutto. Mi ha sempre colpito Hannah Arendt, che collega i comportamenti morali all'attaccamento verso se stessi, al bisogno di potersi guardare allo specchio senza doversi vergognarsi delle proprie azioni.
Non si tratta esclusivamente di comportamenti femminili. Un contadino di cui ho letto nel libro di un inglese Eric Newby aveva speso quasi tutti i suoi soldi per mantenere dei prigionieri. E quando alla fine della guerra gli chiedevano perche', lui rispondeva: "Avevano bisogno. Cos'altro potevo fare?". E un altro dice: "Era impossibile mandare via qualcuno se aveva fame".
Si tratta di tre categorie - nonviolenza, resistenza civile e "sangue risparmiato" - che si costeggiano, a volte si sovrappongono. La nonviolenza e' come un fiume con diversi affluenti. Fra questi, resistenza civile e "sangue risparmiato" hanno un rapporto di contiguita'. La resistenza civile pero' e' spesso usata per indicare azioni di massa, di gruppi, azioni organizzate, insomma: mentre il sangue risparmiato puo' valorizzare un popolo ma anche la singola persona, che ha nascosto quel prigioniero, quel soldato, quell'ebreo. E' piu' centrato sull'individualita', sulla materialita' dei corpi, e su motivazioni anche molto semplici. Tante parole sprecano i complici e i carnefici per giustificare quello che hanno fatto, tanto poche ne usano questi attori del "sangue risparmiato". Forse perche' non avevano avuto bisogno di meditare a lungo, era bastata loro la consapevolezza che i crimini restavano crimini anche una volta legalizzati dal governo e tollerati dalla maggioranza.
E' successo addirittura che in alcuni casi "il sangue risparmiato" si sia elevato ad azione di massa. E' il caso, raccontato da Hannah Arendt con tanto trasporto ne La banalita' del male, e che anch'io ho ripreso nel mio libro, della Danimarca occupata e del salvataggio degli ebrei danesi ad opera della popolazione civile.
Arendt e' innamorata di quella vicenda, la idealizza perfino. Ma d'altra parte la ricerca era ancora piuttosto indietro e anzi si puo' dire che sia lei a dare respiro, con quello scritto che le creo' tante incomprensioni e dolori, alla ricerca intorno ai comportamenti in situazioni estreme.
Per questo idealizza la vicenda dei danesi che sembrano, nelle sue parole, un popolo compatto, monolitico nella loro capacita' di opporsi allo strapotere nazista. Non era evidentemente cosi': c'era una consistente minoranza attiva. Pero' intorno a questa minoranza l'enorme maggioranza e' stata al gioco, non si e' sognata di fare la spia, o di rifiutare di dare aiuto. Questo ha creato i presupposti, l'ambiente per cui quell'azione impensabile, diventasse possibile (e ripetibile, in altre circostanze e sotto altre dittature!). E poi c'era questa cifra di inventiva e creativita' che entusiasma e che era ammirevole: come l'immagine, che ho ripreso nel libro, degli ebrei danesi che sfuggono a una retata della gestapo su un corteo di taxi incolonnati al seguito di un finto funerale. E' ironico: persone destinate alla morte di massa, anonima, si salvano usando il rito tradizionale di accompagnamento alla morte.
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Crisi della nonviolenza
Penso che in parte, anche la difficolta' che da anni ormai vive il movimento nonviolento, non solo in Italia, non sia slegata dal mancato riconoscimento, fra le proprie genealogie, del "sangue risparmiato". Riconoscere quell'origine, aiuterebbe a riconoscere la positivita' disseminata anche nella vita quotidiana. Perche' come costrutto teorico-ideologico, fino alla caduta del muro la nonviolenza aveva un orizzonte storico che corrispondeva al proprio armamentario teorico. Il crollo dei regimi sovietici fra l'89 e il '91 avviene sull'onda di grandi manifestazioni popolari largamente spontanee e inermi; ma nel 2001, con l'attentato alle Twin Towers molto cambia. La guerra - in Afghanistan, in Iraq - torna a essere presentata, oltre che come l'unica opzione, come normale risposta all'altrui violenza. Una normalizzazione contagiosa: dieci anni dopo si decide in pochi giorni di "intervenire" in Libia e poi in Mali, da due decenni l'Europa e' in guerra dall'una o dall'altra parte del mondo.
Lo scenario cambia anche per la nonviolenza. Il terrorismo impone una totale o parziale clandestinita', non concepisce il negoziato, propaganda il culto della morte, compresa la propria, ricrea il nemico assoluto con cui non si deve scambiare parola. Dunque sfida gli strumenti elettivi della nonviolenza - l'esempio, l'educazione, la potenza simbolica dell'inermita', la costruzione della fiducia reciproca, che richiedono tutti una prossimita' fisica e mentale fra i contendenti.
Avere nel proprio Dna e nella propria genealogia anche esempi come quelli che ho cercato di raccogliere nel libro aiuterebbe a riportare molto di piu' i principi alla vita ordinaria. A mutuarli in forme di resistenza al male, coerenti ai tempi e alle dinamiche che stiamo vivendo. Penso ovviamente alla scuola, dove mi piacerebbe, per esempio, che si desse spazio a notizie che danno un'idea di questa resistenza: giorni fa ho letto su "Repubblica" la storia di un Navy Seal, unico sopravvissuto a uno scontro con i taleban, che si era salvato perche' era stato nascosto e curato da alcuni civili afghani, lui l'ha raccontato in un libro e ora ne stanno facendo un film: e' una smentita operativa all'idea che in guerra non si puo' fare niente di "vitale", e anche una smentita all'immagine di ferocia e di odio antioccidentale appiccicata agli islamici indistintamente. Pero' la notizia era nella pagina degli spettacoli, e dal titolo non era chiaro se si trattava di una storia vera. Io l'ho vista perche' a forza di cercare queste cose ho come un automatismo che me le fa "acchiappare".
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L'ironia del "sangue risparmiato"
Studiando gli episodi raccolti nel libro (e altri che nel libro non ho raccontato) mi sono presto resa conto che tanti di questi hanno il tratto caratteristico dell'ironia, della creativita', oppure di un vero e proprio buon umore. In un certo senso ironia e creativita' non rappresentano una caratteristica specifica delle azioni di "sangue risparmiato", pero' le accompagnano quasi sempre.
L'ironia degli oppressi e' una delle espressioni di autonomia piu' straordinarie e confortanti. Non dico niente di nuovo: nel pensiero filosofico ricorre l'idea della risata, esterna o interiore, come "sovrano distacco", come capacita' di prendere le distanze dal potere, il che significa preservare la "sovranita'" sul proprio giudizio. Da Kant a Hegel. Quando Hegel definiva il femminile "eterna ironia della comunita'", lo intendeva grosso modo cosi' (e lo temeva): la femminilita' sta all'interno della comunita', dove e' assoggettata al maschile, ma sta anche oltre, e da quell'oltre lo asseconda ma contemporaneamente trasgredisce alle norme con la sua ironia, se ne prende gioco. Hannah Arendt ha scritto che "bisogna poter ridere, anche se questo bisogno lo capiscono pochissime persone".
E poi c'e' una lunghissima tradizione popolare sul potente beffato e irriso dal contadino senza potere, ma astuto e ricco di inventiva.
Ho citato alcuni casi, quelli che mi avevano colpito di piu', perche' erano insieme i piu' simili e i piu' diversi: per esempio in Danimarca, nel '44, in piena occupazione militare, i nazisti collocano a scopo intimidatorio due panzer nella piazza del municipio di Copenaghen, e poco dopo su una fiancata compare il cartello "Vendesi"; allora li spostano in un'altra piazza, e una combriccola di ragazzini si presenta a chiedere dove si vendono i biglietti della lotteria per vincerli. L'arma del ridicolo era pubblicizzata all'epoca dai pacifisti della War Resisters' International come vera cifra dell'identita' danese. Ironia, umorismo e sfotto' scavalcano migliaia di chilometri, come nel racconto di una ragazzina italiana che dice che i tedeschi si precipitavano sul luogo dove era caduto un aereo, e restavano "con un palmo di naso", perche' il pilota era gia' stato messo in salvo. Nella Parigi occupata del '41-'42 c'erano gruppi di giovani che passeggiavano in abbigliamento e atteggiamento da dandy sotto il naso dei nazisti, in segno di irrisione alla loro retorica virilista. L'ironia scavalca anche i decenni. Penso all'ironia e agli scherzi di Gandhi, al buon umore del Dalai Lama, ai monaci tibetani dell'istituto di buddismo di Nechung, cui i cinesi distribuiscono fogli chiedendo di scrivere un'autocritica, e loro ne fanno aeroplanini che lanciano per la stanza. Penso alla resistenza "con un po' di humour" dei kosovari albanesi in lotta con la Serbia, che nei primi anni novanta praticano forme di resistenza che assomigliano a una presa in giro: per esempio quando Milosevic introduce il coprifuoco, spengono le luci e mettono candele alle finestre, oppure scendono in strada per cinque minuti e non un attimo di piu', cosi' quando arriva la polizia non trova nessuno; lo stesso Milosevic deve ammettere che in quelle condizioni il coprifuoco e' ridicolo.
Sono tutte azioni nonviolente. Forse il distacco dalle ideologie che permette l'umorismo aiuta la nonviolenza, forse la capacita' di padroneggiare le pulsioni estreme che caratterizza la nonviolenza aiuta l'umorismo. E comunque, l'ironia e' di per se' l'opposto delle armi, la parola o il gesto le sostituiscono e in un certo senso le oltrepassano, perche' danno forza ai piu' deboli e "smontano" il nemico. Con le armi non ci riusciresti.
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Disobbedienza civile
Se la resistenza civile fa riferimento a situazioni di guerra, la disobbedienza civile puo' avere attuazione anche nel contesto della vita ordinaria, in una situazione di pace. Noi usiamo spesso la definizione di "disobbedienza civile" con buone intenzioni pero' anche con altrettanta vaghezza d'intenti. Non vengono in mente molti esempi di disobbedienza civile "in atto". Ed e' anche molto difficile capire quali dei conflitti e dei nodi politico-sociali, sarebbe possibile tradurre in forme disobbedienza civile.
Eppure e' uno strumento perfetto anche in tempo di pace e in stati democratici. Da noi trova difficolta' intanto perche' la disobbedienza civile risente del clima che non e' favorevole alle lotte. Negli anni Settanta l'autoriduzione delle bollette suscitava molte simpatie, ora non sarebbe cosi', temo. E poi, credo, perche' in genere da noi (con l'eccezione dei radicali) non e' molto sviluppato l'aspetto di testimonianza, che e' decisivo, compresa la testimonianza rappresentata dal pagare le conseguenze della disobbedienza. Le campagne per i diritti civili degli anni Cinquanta e Sessanta guadagnavano solidarieta' negli Stati Uniti grazie al fatto che erano fatte "a viso scoperto", che avevano protagonisti riconoscibili e anche grazie all'uso abile dei processi. Detto con il linguaggio di oggi, bisogna "metterci la faccia" se si vuole convincere altri e allargare la lotta. Bisogna che il comportamento di chi disobbedisce diventi un "esempio", e l'esempio non possono diventarlo i fantasmi in passamontagna che nella valle di Susa forzano i recinti di un cantiere e poi spariscono, e se vengono processati non rivendicano la responsabilita' dell'azione. Non e' che debbano autoimmolarsi, ovvio, ma l'aspetto di testimonianza non c'e'. E poi agire a viso coperto espone al rischio degli infiltrati. La lotta contro quel tunnel mostruoso di 58 chilometri merita di piu', e per un po' l'ha avuto, con le grandi manifestazioni pacifiche durate per anni.

2. REPETITA IUVANT. RANIERO LA VALLE ED ALTRI: PERCHE' LA STORIA CONTINUI. APPELLO-PROPOSTA PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA
[Riceviamo e volentieri diffondiamo, invitando ad aderire e sostenere l'iniziativa]

Istituzione di una Scuola della Terra per suscitare il pensiero politico dell'unita' del popolo della Terra, disimparare l'arte della guerra e promuovere un costituzionalismo mondiale
Nel pieno della crisi globale, nel 72mo anniversario della promulgazione della Costituzione italiana, Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, Valerio Onida, Adolfo Perez Esquivel il vescovo Nogaro, Riccardo Petrella, Domenico Gallo e molti altri hanno lanciato il progetto politico di una Costituzione per la Terra e promosso una Scuola, "Costituente Terra", che ne elabori il pensiero e prefiguri una nuova soggettivita' politica del popolo della Terra, "perche' la storia continui". La proposta e' espressa in questo documento che porta la data del 27 dicembre 2019.
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L'Amazzonia brucia e anche l'Africa, e non solo di fuoco, la democrazia e' a pezzi, le armi crescono, il diritto e' rotto in tutto il mondo. "Terra! Terra!" e' il grido dei naufraghi all'avvistare la sponda, ma spesso la terra li respinge, dice loro: "i porti sono chiusi, avete voluto prendere il mare, fatene la vostra tomba, oppure tornate ai vostri inferni". Ma "Terra" e' anche la parola oggi piu' amata e perduta dai popoli che ne sono scacciati in forza di un possesso non condiviso; dai profughi in fuga per la temperatura che aumenta e il deserto che avanza; dalle citta' e dalle isole destinate ad essere sommerse al rompersi del chiavistello delle acque, quando la Groenlandia si scioglie, i mari son previsti salire di sette metri sull'asciutto, e a Venezia gia' lo fanno di un metro e ottantasette. "Che si salvi la Terra" dicono le donne e gli uomini tutti che assistono spaventati e impotenti alla morte annunciata dell'ambiente che da millenni ne ospita la vita.
Ci sono per fortuna pensieri e azioni alternative, si diffonde una coscienza ambientale, il venerdi' si manifesta per il futuro, donne coraggiose da Greta Thunberg a Carola Rackete fanno risuonare milioni di voci, anche le sardine prendono la parola, ma questo non basta. Se nei prossimi anni non ci sara' un'iniziativa politica di massa per cambiare il corso delle cose, se le si lascera' in balia del mercato della tecnologia o del destino, se in Italia, in Europa e nelle Case Bianche di tutti i continenti il fascismo occulto che vi serpeggia verra' alla luce e al potere, perderemo il controllo del clima e della societa' e si affacceranno scenari da fine del mondo, non quella raccontata nelle Apocalissi, ma quella prevista e monitorata dagli scienziati.
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Il cambiamento e' possibile
L'inversione del corso delle cose e' possibile. Essa ha un nome: Costituzione della terra. Il costituzionalismo statuale che ha dato una regola al potere, ha garantito i diritti, affermato l'eguaglianza e assicurato la vita degli Stati non basta piu', occorre passare a un costituzionalismo mondiale della stessa autorita' ed estensione dei poteri e del denaro che dominano la Terra.
La Costituzione del mondo non e' il governo del mondo, ma la regola d'ingaggio e la bussola di ogni governo per il buongoverno del mondo. Nasce dalla storia, ma deve essere prodotta dalla politica, ad opera di un soggetto politico che si faccia potere costituente. Il soggetto costituente di una Costituzione della Terra e' il popolo della Terra, non un nuovo Leviatano, ma l'unita' umana che giunga ad esistenza politica, stabilisca le forme e i limiti della sua sovranita' e la eserciti ai fini di far continuare la storia e salvare la Terra.
Salvare la Terra non vuol dire solo mantenere in vita "questa bella d'erbe famiglia e d'animali", cantata dai nostri poeti, ma anche rimuovere gli ostacoli che "di fatto" impediscono il pieno sviluppo di tutte le persone umane.
Il diritto internazionale e' gia' dotato di una Costituzione embrionale del mondo, prodotta in quella straordinaria stagione costituente che fece seguito alla notte della seconda guerra mondiale e alla liberazione dal fascismo e dal nazismo: la Carta dell'Onu del 1945, la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, i due Patti internazionali del 1966 e le tante Carte regionali dei diritti, che promettono pace, sicurezza, garanzia delle liberta' fondamentali e dei diritti sociali per tutti gli esseri umani. Ma non sono mai state introdotte le norme di attuazione di queste Carte, cioe' le garanzie internazionali dei diritti proclamati. Non e' stato affatto costituito il nuovo ordine mondiale da esse disegnato. E' come se un ordinamento statale fosse dotato della sola Costituzione e non anche di leggi attuative, cioe' di codici penali, di tribunali, di scuole e di ospedali che "di fatto" la realizzino. E' chiaro che in queste condizioni i diritti proclamati sono rimasti sulla carta, come promesse non mantenute. Riprendere oggi il processo politico per una Costituzione della Terra vuol dire tornare a prendere sul serio il progetto costituzionale formulato settant'anni fa e i diritti in esso stabiliti. E poiche' quei diritti appartengono al diritto internazionale vigente, la loro tutela e attuazione non e' soltanto un'urgente opzione politica, ma anche un obbligo giuridico in capo alla comunita' internazionale e a tutti noi che ne facciamo parte.
Qui c'e' un'obiezione formulata a partire dalla tesi di vecchi giuristi secondo la quale una Costituzione e' l'espressione dell'"unita' politica di un popolo"; niente popolo, niente Costituzione. E giustamente si dice che un popolo della Terra non c'e'; infatti non c'era ieri e fino ad ora non c'e'. La novita' e' che adesso puo' esserci, puo' essere istituito; lo reclama la scena del mondo, dove lo stato di natura delle sovranita' in lotta tra loro non solo toglie la "buona vita", ma non permette piu' neanche la nuda vita; lo reclama l'oceano di sofferenza in cui tutti siamo immersi; lo rende possibile oggi la vetta ermeneutica raggiunta da papa Francesco e da altre religioni con lui, grazie alla quale non puo' esserci pio' un dio a pretesto della divisione tra i popoli: "Dio non ha bisogno di essere difeso da nessuno" - hanno detto ad Abu Dhabi - non vuole essere causa di terrore per nessuno, mentre lo stesso "pluralismo e le diversita' di religione sono una sapiente volonta' divina con cui Dio ha creato gli esseri umani"; non c'e' piu' un Dio geloso e la Terra stessa non e' una sfera, ma un poliedro di differenze armoniose.
Per molti motivi percio' e' realistico oggi porsi l'obiettivo di mettere in campo una Costituente della Terra, prima ideale e poi anche reale, di cui tutte le persone del pianeta siano i Padri e le Madri costituenti.
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Una politica dalla parte della Terra
Di per se' l'istanza di una Costituzione della Terra dovrebbe essere perseguita da quello strumento privilegiato dell'azione politica che, almeno nelle democrazie, e' il partito - nazionale o transnazionale che sia - ossia un artefice collettivo che, pur sotto nomi diversi, agisca nella forma partito. Oggi questo nome e' in agonia perche' evoca non sempre felici ricordi, ma soprattutto perche' i grandi poteri che si arrogano il dominio del mondo non vogliono essere intralciati dal controllo e dalla critica dei popoli, e quindi cercano di disarmarli spingendoli a estirpare le radici della politica e dei partiti fin nel loro cuore. E' infatti per la disaffezione nei confronti della politica a cui l'intera societa' e' stata persuasa che si scende in piazza senza colori; ma la politica non si sospende, e cio' a cui comunque oggi siamo chiamati e' a prendere partito, a prendere partito non per una Nazione, non per una classe, non "prima per noi", ma a prendere partito per la Terra, dalla parte della Terra.
Ma ancor piu' che la riluttanza all'uso di strumenti gia' noti, cio' che impedisce l'avvio di questo processo costituente, e' la mancanza di un pensiero politico comune che ne faccia emergere l'esigenza e ne ispiri modalita' e contenuti.
Non manca certamente l'elaborazione teorica di un costituzionalismo globale che vada oltre il modello dello Stato nazionale, il solo nel quale finora e' stata concepita e attuata la democrazia, ne' mancano grandi maestri che lo propugnino; ma non e' diventato patrimonio comune, non e' entrato nelle vene del popolo un pensiero che pensi e promuova una Costituzione della Terra, una unita' politica dell'intera comunita' umana, il passaggio a una nuova e rassicurante fase della storia degli esseri umani sulla Terra.
Eppure le cose vanno cosi': il pensiero da' forma alla realta', ma e' la sfida della realta' che causa il pensiero. Una "politica interna del mondo" non puo' nascere senza una scuola di pensiero che la elabori, e un pensiero non puo' attivare una politica per il mondo senza darsi prima la politica e poi la scuola, ne' prima la scuola e poi la politica. Devono nascere insieme, percio' quello che proponiamo e' di dar vita a una Scuola che produca un nuovo pensiero della Terra e fermenti causando nuove soggettivita' politiche per un costituzionalismo della Terra. Percio' questa Scuola si chiamera' "Costituente Terra".
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"Costituente Terra": una Scuola per un nuovo pensiero
Certamente questa Scuola non puo' essere pensata al modo delle Accademie o dei consueti Istituti scolastici, ma come una Scuola disseminata e diffusa, telematica e stanziale, una rete di scuole con aule reali e virtuali. Se il suo scopo e' di indurre a una mentalita' nuova e a un nuovo senso comune, ogni casa dovrebbe diventare una scuola e ognuno in essa sarebbe docente e discente. Il suo fine potrebbe perfino spingersi oltre il traguardo indicato dai profeti che volevano cambiare le lance in falci e le spade in aratri e si aspettavano che i popoli non avrebbero piu' imparato l'arte della guerra. Cio' voleva dire che la guerra non era in natura: per farla, bisognava prima impararla. Senonche' noi l'abbiamo imparata cosi' bene che per prima cosa dovremmo disimpararla, e a questo la scuola dovrebbe addestrarci, a disimparare l'arte della guerra, per imparare invece l'arte di custodire il mondo e fare la pace.
Molte sarebbero in tale scuola le aree tematiche da perlustrare: 1) le nuove frontiere del diritto, il nuovo costituzionalismo e la rifondazione del potere; 2) il neo-liberismo e la crescente minaccia dell'anomia; 3) la critica delle culture ricevute e i nuovi nomi da dare a eventi e fasi della storia passata; 4) il lavoro e il Sabato, un lavoro non ridotto a merce, non oggetto di dominio e alienato dal tempo della vita; 5) la "Laudato si'" e l'ecologia integrale; 6) il principio femminile, come categoria rigeneratrice del diritto, dal mito di Antigone alla coesistenza dei volti di Levinas, al legame tra donna e natura fino alla metafora della madre-terra; 7) l'Intelligenza artificiale (il Fuehrer artificiale?) e l'ultimo uomo; 8) come passare dalle culture di dominio e di guerra alle culture della liberazione e della pace; 9) come uscire dalla dialettica degli opposti, dalla contraddizione servo-signore e amico-nemico per assumere invece la logica dell'et-et, della condivisione, dell'armonia delle differenze, dell'"essere per l'altro", dell'"essere l'altro"; 10) il congedo del cristianesimo dal regime costantiniano, nel suo arco "da Costantino ad Hitler", e la riapertura nella modernita' della questione di Dio; 11) il "caso Bergoglio", preannuncio di una nuova fase della storia religiosa e secolare del mondo.
Naturalmente molti altri temi potranno essere affrontati, nell'ottica di una cultura per la Terra alla quale nulla e' estraneo d'umano. Tutto cio' pero' come ricerca non impassibile e fuori del tempo, ma situata tra due "kairos", tra New Delhi ed Abu Dhabi, due opportunita', una non trattenuta e non colta, la proposta di Gorbaciov e Rajiv Gandhi del novembre 1986 per un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento, e l'altra che ora si presenta di una nuova fraternita' umana per la convivenza comune e la salvezza della Terra, preconizzata nel documento islamo-cristiano del 4 febbraio 2019 e nel successivo Comitato di attuazione integrato anche dagli Ebrei, entrato ora in rapporto con l'Onu per organizzare un Summit mondiale della Fratellanza umana e fare del 4 febbraio la "Giornata mondiale" che la celebri.
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Partecipare al processo costituente, iscriversi al Comitato promotore
Pertanto i firmatari di questo appello propongono di istituire una Scuola denominata "Costituente Terra" che prenda partito per la Terra, e a questo scopo hanno costituito un'associazione denominata "Comitato promotore partito della Terra". Si chiama cosi' perche' in via di principio non era stata esclusa all'inizio l'idea di un partito, e in futuro chissa'. Il compito e' oggi di dare inizio a una Scuola, "dalla parte della Terra", alle sue attivita' e ai suoi siti web, e insieme con la Scuola ad ogni azione utile al fine che "la storia continui"; e cio' senza dimenticare gli obiettivi piu' urgenti, il risanamento del territorio, la rifondazione del lavoro, l'abolizione del reato di immigrazione clandestina, la firma anche da parte dell'Italia del Trattato dell'Onu per l'interdizione delle armi nucleari e cosi' via.
I firmatari propongono che persone di buona volonta' e di non perdute speranze, che esponenti di associazioni, aggregazioni o istituzioni gia' impegnate per l'ecologia e i diritti, si uniscano a questa impresa e, se ne condividono in linea generale l'ispirazione, si iscrivano al Comitato promotore di tale iniziativa all'indirizzo progettopartitodellaterra at gmail.com versando la relativa quota sul conto BNL intestato a "Comitato promotore del partito della Terra", IBAN IT94X0100503206000000002788 (dall’estero BIC BNLIITRR).
La quota annua di iscrizione, al Comitato e alla Scuola stessa, e' libera, e sara' comunque gradita. Per i meno poveri, per quanti convengano di essere tra i promotori che contribuiscono a finanziare la Scuola, eventuali borse di studio e il processo costituente, la quota e' stata fissata dal Comitato stesso nella misura significativa di 100 euro, con l'intenzione di sottolineare che la politica, sia a pensarla che a farla, e' cosa tanto degna da meritare da chi vi si impegna che ne sostenga i costi, contro ogni tornaconto e corruzione, cio' che per molti del resto e' giunto fino all'offerta della vita. Naturalmente pero' si e' inteso che ognuno, a cominciare dai giovani, sia libero di pagare la quota che crede, minore o maggiore che sia, con modalita' diverse, secondo le possibilita' e le decisioni di ciascuno.
Nel caso che l'iniziativa non riuscisse, le risorse finanziarie mancassero e il processo avviato non andasse a buon fine, l'associazione sara' sciolta e i fondi eventualmente residui saranno devoluti alle Ong che si occupano dei salvataggi dei fuggiaschi e dei naufraghi nel Mediterraneo.
Un'assemblea degli iscritti al Comitato sara' convocata non appena sara' raggiunto un congruo numero di soci, per l'approvazione dello Statuto dell'associazione, la formazione ed elezione degli organi statutari e l'impostazione dei programmi e dell'attivita' della Scuola.
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Proponenti e primi iscritti: Raniero La Valle, giornalista (Roma), Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto (Roma), Valerio Onida, gia' presidente della Corte Costituzionale, Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la pace 1980, Raffaele Nogaro, ex vescovo di Caserta, Paolo Maddalena, gia' vicepresidente della Corte Costituzionale, Mariarosaria Guglielmi, segretaria generale di Magistratura Democratica, Riccardo Petrella, ecologo, promotore del Manifesto dell'acqua e dell'identita' di "Abitante della Terra", Domenico Gallo, magistrato,  Francesco Carchedi, sociologo (Roma), Francesco Di Matteo, Comitati Dossetti per la Costituzione, Anna Falcone, avvocata, Roma, Pippo Civati, politico, Piero Basso (Milano), Gianpietro Losapio, cooperatore sociale, direttore del Consorzio Nova, Giacomo Pollastri, studente in Legge (Roma), Francesco Comina, giornalista (Bolzano), Roberto Mancini, filosofo (Macerata), Francesca Landini, informatica (Roma), Giancarlo Piccinni e la Fondazione don Tonino Bello (Alessano), Grazia Tuzi, antropologa, autrice di "Quando si faceva la Costituzione. Storia e personaggi della comunita' del porcellino" (Roma), Guido Innocenzo Gargano osb cam., monaco (Roma), Felice Scalia, s. J. (Messina), Marina Graziosi, docente (Roma), Agata Cancelliere, insegnante, (Roma), Raul Mordenti, storico della critica letteraria, politico (Roma), Salvatore Maira, scrittore (Roma), Marco Malagola, francescano, missionario (Torino), Norma Lupi (Roma), Andrea Cantaluppi, sindacalista (Roma), Enrico Peyretti (Torino), Nino Mantineo, universita' di Catanzaro, Giacoma Cannizzo, gia' sindaca di Partinico, Filippo Grillo, artista (Palermo), Nicola Colaianni, gia' magistrato e docente all'Universita' di Bari, Stefania Limiti, giornalista (Roma), Domenico Basile (Merate, Lecco), Maria Chiara Zoffoli (Merate), Luigi Gallo (Bolzano), Antonio Vermigli, giornalista (Quarrata, Pistoia), Renata Finocchiaro, ingegnere (Catania), Liana D'Alessio (Roma), Lia Fava, ordinaria di letteratura (Roma), Paolo Pollastri, musicista (Roma), Fiorella Coppola, sociologa (Napoli), Dario Cimaglia, editore (Roma), Luigi Spina, insegnante, ricercatore (Biella), Marco Campedelli, Boris Ulianich, storico, Universita' Federico II, Napoli, Gustavo Gagliardi, Roma, Paolo Scandaletti, scrittore di storia, Roma, Pierluigi Sorti, economista, Roma, Vittorio Bellavite, coordinatore di "Noi siamo Chiesa", Agnes Deshormes, cooperatrice internazionale, Parigi, Anna Sabatini Scalmati, psicoterapeuta, Roma, Francesco Piva, Roma, Sergio Tanzarella, storico del cristianesimo, Tina Palmisano, Il Giardino Terapeutico sullo Stretto, Messina, Luisa Marchini, segretaria di "Salviamo la Costituzione", Bologna, Maurizio Chierici, giornalista. Angelo Cifatte, formatore, Genova, Marco Tiberi, sceneggiatore, Roma, Achille Rossi e l'altrapagina, Citta' di Castello, Antonio Pileggi, ex Provveditore agli studi e dir. gen. Invalsi, Giovanni Palombarini, magistrato, Vezio Ruggieri, psicofisiologo (Roma), Bernardetta Forcella, insegnante (Roma), Luigi Narducci, insegnante (Roma), Laura Nanni (Albano), Giuseppe Salme', magistrato, Giovanni Bianco, giurista (Roma), Giuseppe Deiana, docente (Milano), Lelio Demichelis, sociologo, universita' dell'Insubria, Vittorio Pissacroia, attore (Firenze), Ivano Alteri, consulente del lavoro, Giovanni Iudicone, Danilo Andriollo (Vicenza), Antonio Caputo, presidente Federazione circoli Giustizia e Liberta', Riccardo Damilano, insegnante (Roma), Luca Pouchain (Milano), Mauro Carlo Zanella, insegnante (Lanuvio), Walter Tocci, politico (Roma), Franco Calamida, Gaetano Sgarlata, Franca Fascetta, Carlo Cappellari, avvocato, Enrico Tonolo, avvocato (Venezia), Fabio Marcelli, giurista (Roma), Elisabetta Porro (Robecco sul Naviglio).
Roma, 27 dicembre 2019, 72mo anniversario della promulgazione della Costituzione italiana

3. REPETITA IUVANT. MAO VALPIANA: LETTERA ALLE AMICHE E AGLI AMICI DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal Movimento Nonviolento riceviamo e diffondiamo, invitando ad aderire alla proposta]

Natale 2019 – Capodanno 2020
Cara amica e caro amico,
inviamo questa mail a tutti coloro che nel corso dell'anno sono entrati in contatto con il Movimento Nonviolento. Vogliamo innanzitutto rinnovare la nostra amicizia e nell'occasione porgere gli auguri per le prossime festivita', il Natale e l'inizio d'anno nuovo.
Il Movimento Nonviolento vive solo grazie a chi decide di assumersi la responsabilita', iscrivendosi, di renderlo strumento utile alla crescita della nonviolenza organizzata.
Per questo ti proponiamo di fare una scelta, sottoscrivendo l'adesione al Movimento, con una quota che comprende anche l'abbonamento alla rivista Azione nonviolenta.
Sappiamo bene che sono crescenti le difficolta' economiche, ma non possiamo pensare che chiunque di noi non abbia la possibilita' di destinare al Movimento 0,15 centestimi al giorno (la quota annuale di 60 euro, divisa per 365 giorni), mentre sappiamo che ognuno di noi paga, per le spese militari, piu' di 1 euro al giorno (la cifra annuale di 25 miliardi, divisa per i cittadini italiani).
60 euro per la nonviolenza, contro 400 euro per le armi. Dobbiamo invertire la proporzione.
Le attivita' ordinarie del Movimento, pur considerando l'enorme impegno su base volontaria e gratuita, hanno dei costi fissi cui dobbiamo quotidianamente fare fronte: gestione della sede nazionale (tasse, bollette, telefono, ecc.), costo del lavoro di segreteria, mantenimento straordinario delle sedi di Ghilarza e Brescia, contributi al lavoro delle reti nazionali ed internazionali (Rete Pace, Rete Disarmo, Beoc, War Resisters International, ecc.), sostegno a campagne e iniziative, spese di viaggi per riunioni e lavori di segreteria, costi per la comunicazione, siti e social, e soprattutto le uscite per la redazione della rivista cartacea (spese tipografia, spedizioni, ecc.).
Contiamo quindi su uno sforzo straordinario di ciascuno, la collaborazione e il contributo di tutti, a partire dell'abbonamento/adesione per il 2020 a partire almeno da 60 euro, tramite il conto corrente postale 18745455 intestato al Movimento Nonviolento, oppure con bonifico bancario con Iban IT 35 U 07601 11700 000018745455 intestato al Movimento Nonviolento, che puo' essere utilizzato anche per liberi contributi (fiscalmente detraibili).
Ricordiamo anche l'importanza di destinare il 5x1000 al nostro Movimento, e di consigliarlo agli amici. Basta una firma e il nostro codice fiscale 93100500235.
Se desideri ricevere regolarmente le nostre comunicazioni, mandaci la tua mail per l'indirizzario informatico. Invia a: amministrazione at nonviolenti.org, con oggetto "per lista iscritti MN".
Grazie e auguri di pace per te e i tuoi cari.
Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento
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Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Christopher Frith & Eve Johnstone, Schizofrenia, Le scienze, Roma 2019, pp. 220, euro 7,90.
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Riletture
- Fabrizia Ramondino, Un giorno e mezzo, Einaudi, Torino 1988, 2001, pp. IV + 210.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3605 del primo gennaio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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