[Nonviolenza] La nonviolenza contro il razzismo. 213
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- Date: Thu, 9 May 2019 13:04:30 +0200
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LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XX)
Numero 213 del 9 maggio 2019
In questo numero:
1. Ricorrendo l'anniversario dell'uccisione di Peppino Impastato
2. Alle elezioni amministrative ed europee non un voto ai partiti razzisti
3. Alfio Pannega e il diritto alla casa a Viterbo
4. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
5. Jean-Marie Muller: Momenti e metodi dell'azione nonviolenta (parte prima)
1. MEMORIA. RICORRENDO L'ANNIVERSARIO DELL'UCCISIONE DI PEPPINO IMPASTATO
Ricorre oggi, 9 maggio, l'anniversario dell'uccisione di Peppino Impastato.
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo lo ricorda ancora una volta "coraggioso militante antimafia, generoso compagno di lotte del movimento delle oppresse e degli oppressi per la liberazione dell'umanita' da ogni violenza e da ogni menzogna".
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Giuseppe Impastato, nato nel 1948, militante della nuova sinistra di Cinisi (Pa), straordinaria figura della lotta contro la mafia, di quel nitido e rigoroso impegno antimafia che Umberto Santino defini' "l'antimafia difficile"; fu assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Tra le raccolte di scritti di Peppino Impastato: Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2002, 2008. Tra le opere su Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio, Centro Impastato, Palermo 1998; Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano 1994; AA. VV., Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001, 2006 (pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi Vendola, Michele Figurelli, Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio Maruccia, Umberto Santino); Marco Tullio Giordana, Claudio Fava, Monica Zapelli, I cento passi, Feltrinelli, Milano 2001 (sceneggiatura del film omonimo); Umberto Santino (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato. Le sentenze di condanna dei mandanti del delitto Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2008; Giovanni Impastato e Franco Vassia, Resistere a mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato, Stampa Alternativa, Viterbo 2009.
Naturalmente sono fondamentali le molte altre ottime pubblicazioni del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"; per contatti: Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, sito: www.centroimpastato.it
Ugualmente fondamentale l'attivita' dell'"Associazione casa memoria Felicia e Peppino Impastato"; per contatti: corso Umberto I 220, 90045 Cinisi (Pa), sito: www.peppinoimpastato.com
Si vedano anche almeno i libri dedicati a Felicia Bartolotta Impastato, la madre di Giuseppe Impastato che lo ha sostenuto nella sua lotta, lotta che ha proseguito dopo l'uccisione del figlio; e' deceduta nel dicembre 2004. Opere di Felicia Bartolotta Impastato: La mafia in casa mia, intervista di Anna Puglisi e Umberto Santino, La Luna, Palermo 1987. Tra le opere su Felicia Bartolotta Impastato: Anna Puglisi e Umberto Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005; Cfr. anche il profilo scritto da Anna Puglisi per l'Enciclopedia delle donne e ripubblicato anche in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 311.
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Nel ricordo di Peppino Impastato ci opponiamo al governo italiano razzista e golpista che omette di soccorrere i naufraghi in fuga dalle guerre e dalla fame, dalle dittature e dai lager, dalla miseria e dalla schiavitu'.
Nel ricordo di Peppino Impastato ci opponiamo al governo italiano razzista e golpista che perseguita esseri umani innocenti, favoreggia la riduzione in schiavitu', impone in Italia un regime di apartheid con il cosiddetto "decreto sicurezza della razza".
Nel ricordo di Peppino Impastato ci opponiamo al governo italiano razzista e golpista che propaganda l'odio razzista ed attua una politica malvagia che nega i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Nel ricordo di Peppino Impastato sosteniamo l'appello "Una persona, un voto" per il riconoscimento del diritto di voto a tutte le persone residenti in Italia, e l'appello affinche' sia riconosciuto a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Nel ricordo di Peppino Impastato condividiamo gli appelli all'Unione Europea, al Consiglio d'Europa ed all'Onu affinche' intervengano nei confronti del governo italiano per farne cessare le criminali politiche razziste.
Nel ricordo di Peppino Impastato sosteniamo l'appello "Non un voto ai partiti razzisti".
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Nel ricordo di Peppino Impastato continui l'impegno di ogni persona di volonta' buona contro il potere mafioso e il regime della corruzione, contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni; in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di ogni essere umano, in difesa di quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita'.
2. REPETITA IUVANT. ALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE ED EUROPEE NON UN VOTO AI PARTITI RAZZISTI
Alle elezioni amministrative ed europee non un voto ai partiti razzisti.
Non un voto ai partiti del governo razzista e golpista.
Non un voto ai partiti del governo colpevole di omissione di soccorso nei confronti di naufraghi in pericolo di morte, e di sabotaggio dei soccorritori volontari che salvano vite umane nel Mediterraneo, negando loro approdo in porti sicuri in Italia.
Non un voto ai partiti del governo colpevole della conclamata volonta', espressa in piu' forme ed occasioni, di far si' che i naufraghi superstiti siano respinti in Libia, dove essi tornerebbero con tutta probabilita' ad essere vittime di segregazione in lager, schiavitu', torture e costante pericolo di morte.
Non un voto ai partiti del governo colpevole di persecuzione razzista ed effettuale favoreggiamento della riduzione in schiavitu' attraverso criminali e criminogene misure contenute nel cosiddetto "decreto sicurezza della razza".
Non un voto ai partiti del governo colpevole di sequestro di persona aggravato, reato per il quale i complici del governo che siedono in Senato hanno impedito alla magistratura italiana di procedere nei confronti del Ministro dell'Interno reo confesso, garantendo cosi' una scandalosa impunita' al ministro e al governo.
Non un voto ai partiti del governo colpevole di reiterata istigazione all'odio razzista e apologia del delitto di omissione di soccorso.
Non un voto ai partiti del governo colpevole di violazione di convenzioni internazionali, di leggi ordinarie, e della stessa Costituzione della Repubblica italiana, al fine di attuare una criminale politica razzista.
Non un voto ai partiti del governo razzista e golpista.
Alle elezioni amministrative ed europee non un voto ai partiti razzisti.
3. INCONTRI. ALFIO PANNEGA E IL DIRITTO ALLA CASA A VITERBO
[Dall'Associazione Inquilini e Assegnatari (As.I.A.-Usb) di Viterbo riceviamo e diffondiamo]
L'As.I.A.-Usb di Viterbo ha commemorato Alfio Pannega con un incontro di riflessione sulle lotte per il diritto alla casa a Viterbo.
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L'Associazione Inquilini e Assegnatari (As.I.A.) ha ricordato Alfio Pannega, poeta e figura storica della Viterbo popolare ed antifascista, in occasione del nono anniversario della scomparsa con un incontro di riflessione sulle lotte per il diritto alla casa a Viterbo alla sua memoria dedicato.
All'incontro, che si e' svolto il 30 aprile presso la sede dell'Unione sindacale di base (Usb) in via Garbini a Viterbo, hanno partecipato portando la loro testimonianza alcuni amici e compagni di lotte di Alfio Pannega.
La figura di Alfio Pannega e' stata rievocata nella preziosa molteplicita' e complessita' delle sue dimensioni, ricordandone le vicende esistenziali, l'attivita' lavorativa e la militanza politica nel movimento operaio, la riflessione morale e politica, la produzione poetica, gli affetti profondi e i generosi gesti.
Ed in particolare e' stato ricordato il suo impegno per il diritto di ogni persona ad avere una casa: e l'ultima lotta di Alfio Pannega, quella in cui era impegnato quando cesso' di vivere, fu appunto per il diritto di ogni essere umano ad avere un riparo, un luogo in cui sentirsi al sicuro, in cui poter vivere una vita libera e confortevole, in cui poter coltivare gli affetti piu' intimi, in cui riposare dalle fatiche ed incontrare le persone amiche, in un vivo legame con il mondo sociale e naturale senza dover soffrire e temere per la propria salute, per la propria incolumita', per la propria stessa esistenza.
Nel corso dell'incontro, muovendo dalle riflessioni e dalle esperienze cui anche Alfio Pannega prese parte da protagonista insieme a tante e tanti compagni di lotta, e' stata anche sommariamente ricostruita in alcuni suoi elementi salienti la storia sociale, economica, politica ed urbanistica della citta' negli ultimi decenni, e le lotte che le oppresse e gli oppressi hanno condotto per affermare il diritto di tutte e tutti a una vita degna.
Nell'impegno per il diritto all'abitare che l'As.I.A.-Usb sta conducendo da tempo a Viterbo e nel viterbese, un impegno che gia' ha portato a varie iniziative con la partecipazione sia di persone senza casa, sia di inquilini e di assegnatari, e ad incontri e confronti serrati con le amministrazioni pubbliche, con l'Ater e con la Regione Lazio, l'As.I.A.-Usb di Viterbo intende anche proseguire e sviluppare le riflessioni, le esperienze e le lotte di cui Alfio Pannega e' stato fino alla fine della sua vita uno dei testimoni piu' significativi a Viterbo.
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Aggiungiamo una breve notizia biografica su Alfio Pannega che ha gia' avuto ampia circolazione: Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti.
Molte fotografie di Alfio Pannega scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui e' deceduto alcuni anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nel suo immenso, prezioso archivio fotografico, che tuttora attende curatela e pubblicazione.
Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che anche lui di Alfio Pannega fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura.
Alcuni testi in memoria di Alfio Pannega sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico "La nonviolenza e' in cammino" e sono quindi disponibili nel web.
La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa.
4. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
[L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza]
Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, facebook: associazioneerinna1998
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
5. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: MOMENTI E METODI DELL'AZIONE NONVIOLENTA (PARTE PRIMA)
[Riproponiamo ancora una volta il testo di un opuscolo edito dal Movimento Nonviolento che a sua volta riproduceva anastaticamente un capitolo di una piu' ampia opera. L'opuscolo e': Jean-Marie Muller, Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, s. i. l. 1981; il libro e' Jean-Marie Muller, Strategia dell'azione nonviolenta, Marsilio, Venezia-Padova 1975 (il capitolo e' il settimo, alle pp. 73-99). Noi riproduciamo qui il testo di Muller senza le note dell'autore e senza la presentazione del traduttore Matteo Soccio (uno dei maggiori studiosi ed amici della nonviolenza in Italia), rinviando per la lettura del testo integrale all'acquisto dell'opuscolo, disponibile presso il Movimento nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005]
In questo capitolo vorremmo precisare quali sono i diversi momenti di una campagna di azione nonviolenta tipo, e quali sono le modalita' di ognuno di questi momenti. Anche se non abbiamo intenzione di dare delle ricette che basterebbe applicare alla lettera in ogni situazione per raggiungere il successo, non ci sembra inutile riunire gli insegnamenti tratti dalle azioni compiute in passato e classificarli secondo un ordine che risponde a una certa logica. Non si rende sterile l'immaginazione se le offriamo uno schema in cui essa, come ci ha dimostrato l'esperienza, abbia le maggiori possibilita' di esercitarsi utilmente. Se anche queste indicazioni non ci garantissero il successo dell'azione, esse almeno dovrebbero evitarci numerosi errori che ci assicurerebbero il fallimento.
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1. Analisi della situazione
E' essenziale che prima di decidere l'azione si abbia una conoscenza esatta della situazione in cui s'inserisce quell'ingiustizia che si vuole denunciare e combattere. Se i responsabili dell'azione dimostrassero di non essere sufficientemente a conoscenza dei fatti, cio' discrediterebbe gravemente il movimento. Inoltre, e' molto importante esprimere sui fatti un giudizio razionale e coerente che miri alla maggiore obiettivita' possibile. Sappiamo quanto grande sia la tentazione d'ingigantire i fatti e di esagerarne la gravita', nella presentazione che ne viene data, fino al punto di rendere ridicola la posizione dell'avversario. Credere pero' che questo stratagemma possa avere una qualche efficacia e' un'illusione. Al contrario, sara' allora facile all'avversario far valere, servendosi di argomenti convincenti, l'aspetto esagerato delle accuse mosse contro di lui, e dare cosi' l'apparenza di potersi giustificare totalmente. Invece la conoscenza rigorosa dei fatti e la loro esatta presentazione costituiscono una carta vincente per la posizione dei responsabili del movimento. La possibilita' di giustificare ogni volta, con prove alla mano, le affermazioni addotte e' un elemento di prim'ordine nel rapporto di forze che si va creando tra gli avversari.
Si tratta percio' di fare un'inchiesta e di preparare un dossier sui fatti per essere sicuri della fondatezza di tutte le informazioni ricevute sui motivi delle lamentele sollevate e tener conto solo di quelle che hanno potuto essere verificate. In questo lavoro, non e' sufficiente limitarsi ai fatti: e' importante capirli al fine di sapere come e perche' l'ingiustizia si e' manifestata e si e' mantenuta. Conviene in particolare conoscere quali sono le forze sociali, politiche ed economiche implicate nella situazione, quali sono gli atteggiamenti pratici delle parti in gioco e quali le giustificazioni teoriche che ne vengono date. E' importante analizzare la struttura di potere che predomina nelle relazioni tra le diverse parti allo scopo di individuare chi detiene il potere di decisione. Inoltre, e' opportuno sapere cosa dice la legge a proposito delle controversie che oppongono le parti in causa. A questo proposito non si potra' fare a meno di consultare un giurista competente.
Quest'analisi deve permetterci di fare con cognizione di causa una scelta politica con cui si potra' decidere quali saranno i nostri alleati e quali i nostri avversari nel conflitto in corso.
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2. Scelta dell'obiettivo
In base all'analisi della situazione, si dovra' scegliere l'obiettivo da raggiungere attraverso l'azione. La scelta dell'obiettivo e' essenziale poiche' da essa soltanto puo' dipendere la riuscita o l'insuccesso del movimento. Converra' scegliere un obiettivo preciso, limitato e possibile. Nella scelta di questo obiettivo bisognera' tenere conto dei diritti dell'avversario e fare in modo - per quanto e' possibile - che egli non debba perdere la faccia nell'accettare le rivendicazioni che gli sono state fatte. L'obiettivo deve essere determinato in modo tale da iscriversi in una prospettiva futura che permetta se non proprio una reale riconciliazione - questa, secondo ogni verosimiglianza, non potra' raggiungersi che piu' tardi -, per lo meno una coesistenza pacifica tra le due parti. L'obiettivo deve apparire allora come un contributo positivo per l'avvenire di tutta la comunita'.
Le rivendicazioni del movimento devono essere realistiche e suscettibili di essere accettate dall'avversario. Conviene percio' distinguere cio' che sarebbe auspicabile da cio' che e' possibile. Il successo di un'azione e' raggiunto solo quando si sia ottenuto cio' che si e' rivendicato; chiedere l'impossibile significa inevitabilmente andare incontro al fallimento. Una sola campagna di azioni non bastera' a sopprimere un'ingiustizia profondamente radicata nelle strutture e nelle mentalita'. Saranno necessarie in seguito altre campagne con obiettivi via via piu' ambiziosi. E' importante, nel momento iniziale, che la campagna d'azione non si trovi ridotta a una campagna di proteste a causa di un obiettivo sproporzionato rispetto ai mezzi di cui dispone il movimento. E' essenziale per questo movimento vincere il confronto, soprattutto per poter dare piena coscienza della loro forza e piena fiducia a quelli che fino a quel momento sono stati le vittime rassegnate dell'ingiustizia. E' opportuno quindi stabilire cio' che deve essere preteso in modo che non si debba fare alcuna concessione nel corso dei futuri negoziati. La strategia della nonviolenza non e' una strategia di mutue concessioni. Il piu' delle volte, si pretende piu' di quanto si vuole, per essere certi di raggiungere cio' che si vuole. In questo caso invece ci si sforza di fissare sin dall'inizio cio' che deve e puo' essere richiesto, e si resta fermi su questa posizione per tutta la durata della lotta, senza fare concessioni. Nella lotta nonviolenta, sottolinea Gandhi, "il minimo e' anche il massimo, e siccome e' un minimo irriducibile, non si puo' parlare di ritirata. Il solo movimento possibile e' un avanzamento". Qui pertanto, non si tratta di esigere l'impossibile per ottenere il possibile ma si tratta di esigere il possibile e di attenersi ad esso senza mai transigere, a meno che non si debbano riconoscere e soddisfare certe eventuali rivendicazioni dell'avversario che, durante il conflitto, fossero comprese come giuste.
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3. Primi negoziati
Conviene entrare al piu' presto possibile in contatto diretto con l'avversario, prima di portare la controversia sulla pubblica piazza, allo scopo di tentare tutto cio' che e' possibile per risolvere il conflitto senza dover ricorrere alla prova di forza. Si tratta allora di far conoscere ai rappresentanti della parte avversa le conclusioni a cui l'analisi della situazione ha condotto e di far valere le rivendicazioni del movimento precisando l'obiettivo che questo ha deciso di raggiungere. Sin da questo momento e' importante dar prova della piu' rigorosa cortesia nei confronti dell'avversario. In particolare e' opportuno evitare di far pesare sui propri interlocutori minacce destinate a "incutere paura". Conviene invece sforzarsi di far capire che il cambiamento della situazione cosi' com'e' ricercato e', tutto sommato, meno minaccioso per l'avversario del mantenimento dello status quo. Il clima che si istaurera' durante questi primi negoziati determinera' in buona parte il clima di tutto il conflitto. E' percio' essenziale impegnarsi a crearlo in modo tale che disponga l'avversario non ad inasprire gli antagonismi, ma a ridurli. Questi primi negoziati devono permettere alle due parti di conoscersi meglio. Conviene a questo proposito osservare attentamente le reazioni dei propri interlocutori e gli argomenti che adducono in risposta alle accuse mosse.
Nel momento stesso in cui si da' prova della piu' stretta cortesia e' importante anche dare prova della massima fermezza e della massima determinazione. Le manifestazioni di "comprensione", le assicurazioni "di studiare seriamente il dossier" e magari le promesse di fare "tutto cio' che e' possibile", che possono essere formulate dall'avversario nel corso di questi negoziati e' opportuno siano accolte senza processi alle intenzioni. Nessuna necessita' strategica obbliga a sospettare di malafede queste manifestazioni di "buona volonta'". La fermezza e il rifiuto di transigere non guadagnano affatto in forza puntando sulla sistematica diffidenza nei confronti dell'avversario. Ma deve essere chiaro che il movimento non si accontenta in nessun momento di promesse, ma che aspetta invece delle decisioni. Esso accettera' di sospendere la sua azione solo quando sara' raggiunto un accordo definitivo che metta fine al conflitto.
Cosi', nel corso dei negoziati tra i neri e i bianchi, durante il boicottaggio degli autobus di Montgomery, "alcuni membri del comitato bianco ci suggerirono di ritornare a servirci degli autobus e di rimandare la discussione per un possibile accordo a dopo le feste natalizie, assicurando che la comunita' avrebbe accolto con maggior simpatia le nostre richieste, se la protesta fosse stata intanto sospesa. La nostra risposta fu ancora una volta negativa. Tutti i nostri sforzi, infatti, sarebbero stati vani, se avessimo sospeso la protesta in seguito ad una vaga promessa di futuri accordi" (M. L. King).
E' raro che un accordo possa concludersi gia' con i primi negoziati. Questi, quando si trovano ad un punto morto, devono essere sospesi ma non rotti definitivamente, perche' e' proprio fine dell'azione diretta la ripresa dei negoziati. Conviene pertanto, nei limiti del possibile, mantenere continui contatti con l'avversario per tutta la durata dei conflitto.
Secondo un principio fondamentale della strategia, il tempo dei negoziati deve essere pure il tempo della preparazione alla prova di forza. I negoziati devono essere leali, e d'altronde e' interesse del movimento che essi riescano. Ma si tratta anche di prevedere l'avvenire e di prepararsi.
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4. Appello all'opinione pubblica
In seguito al fallimento dei primi negoziati, bisognera' sforzarsi di fare esplodere l'ingiustizia di fronte all'opinione pubblica con tutti i mezzi di informazione di cui puo' disporre il movimento. Si tratta di ricercare il massimo di "pubblicita'" nel senso tecnico della parola, e cioe' di raggiungere il pubblico per fargli conoscere le ragioni e gli obiettivi dei movimento. E' molto importante mantenere l'iniziativa dell'informazione e di vigilare affinche' il senso dell'azione non venga ne' deformato ne' falsificato. Certo la pubblicita' nasconde tranelli da cui bisognera' guardarsi, ma non per questo essa, in quanto strumento di comunicazione con il pubblico, e' meno indispensabile. Facciamo notare che si tratta di mettere l'opinione pubblica di fronte alle proprie responsabilita', ma non si tratta di colpevolizzare. Si tratta di farle prendere coscienza dell'ingiustizia e non invece di attribuirle cattiva coscienza di fronte ad essa. La cattiva coscienza paralizza piu' di quanto non mobiliti.
Bisognera' cercare di creare un "fatto di cronaca" e redigere a tal fine comunicati nei quali verranno esposte le ragioni e gli obiettivi dei movimento. Si trattera' quindi di informare i partiti, i movimenti, le organizzazioni e le personalita' suscettibili di dare il loro sostegno all'azione progettata. Si potra' organizzare una distribuzione di volantini e potra' essere molto efficace "far parlare i muri" per mezzo di scritte e di manifesti che espongono in poche parole i dati della situazione e le soluzioni previste per porvi rimedio.
Sara' opportuno, per dare forza a questa affermazione, organizzare delle manifestazioni che sono un confronto diretto con il pubblico, allo scopo di informarlo e di farlo reagire di fronte agli argomenti sostenuti dai manifestanti. Queste manifestazioni dovrebbero, inoltre, permettere a quelli che sono disposti a partecipare all'azione, di contarsi, di conoscersi e di organizzarsi. E' essenziale che quelli che sono vittime dirette dell'ingiustizia denunciata possano partecipare a queste manifestazioni. Questa dovrebbe essere per loro l'occasione di prendere coscienza della propria forza, di vincere la paura e di sviluppare la volonta' di resistenza.
Questo confronto del pubblico con le posizioni sostenute dal movimento deve permettere di correggere cio' che deve essere corretto e di individuare meglio gli argomenti sui quali e' piu' opportuno insistere. Percio' e' importante osservare attentamente e registrare le reazioni degli spettatori. Queste sono delle preziose indicazioni che devono permettere di capire meglio i rapporti di forza esistenti tra il movimento e la popolazione, e di orientare meglio l'evoluzione del conflitto.
Nel corso di tutte queste manifestazioni pubbliche, la scelta degli slogan deve essere compiuta anticipatamente dai responsabili del movimento. Gli slogan non devono essere numerosi. I partecipanti devono sottomettersi rigorosamente alla scelta che sara' stata effettuata e in nessun caso dovranno introdurre nella manifestazione altri slogan di loro scelta. Nella scelta degli slogan e' un'esigenza strategica quella di cercare la parola giusta che nomini e qualifichi le situazioni che si cerca di correggere. L'impatto della parola deriva dalla sua giustezza e non dalla sua violenza. A questo proposito Danilo Dolci rievoca un fatto tanto minuscolo quanto significativo. Con un gruppo eterogeneo di giovani, egli aveva promosso una marcia da Milano a Roma, per manifestare soprattutto la loro opposizione alla guerra nel Vietnam. Nel raccontare questa marcia, Dolci scrive: "Poiche' alcuni gruppetti di ragazzi a tratti scandiscono "Johnson torna alle tue vacche" molti contadini dei borghi che attraversiamo, soprattutto in Emilia, non sembrano affatto persuasi; sono come offesi: "le vacche non sono forse importanti?", mormorano. I ragazzi cominciano a comprendere chilometro dopo chilometro la distinzione tra sfogo rabbioso e capacita' di penetrare nelle popolazioni affinche' ciascuno si muova ad assumere una posizione cosciente ed esplicita di fronte alla guerra". Cosi', quando giungeranno a Roma, gli slogan scelti si riveleranno piu' incisivi e piu' efficaci.
Conviene sottolineare l'importanza, nel corso di queste manifestazioni pubbliche, dell'atteggiamento esteriore dei manifestanti che e' un mezzo essenziale di espressione e di comunicazione. "Al di la' delle parole scritte e pronunciate, il corpo umano e' impiegato per testimoniare in modo drammatico i fatti e le verita' legati al problema in questione" (Hildegard Gos-Mayr). Soltanto un atteggiamento calmo e disciplinato da parte dei manifestanti potra' dare alla manifestazione un carattere di nobilta' e di dignita' che le dara' una maggiore forza. Al contrario, un atteggiamento rilassato e disordinato dei manifestanti non potrebbe non incidere negativamente sugli spettatori.
Queste prime manifestazioni pubbliche devono essere innanzitutto strumenti di persuasione capaci di far valere la giustezza della causa sostenuta, ma esse costituiscono gia' dei mezzi di pressione che preparano la messa in opera dei mezzi di costrizione.
Senza pretendere di essere esaurienti, citiamo alcuni metodi di manifestazione pubblica:
- Comunicati. La presa di posizione pubblica di diverse personalita' attraverso un comunicato rilasciato alla stampa puo' fornire una preziosa garanzia a questa o a quella rivendicazione. Tuttavia un tale metodo e' efficace solo se il testo dei comunicato e' sufficientemente forte e preciso in modo che il fatto di sottoscriverlo sia gia' di per se stesso un impegno. Purtroppo cio' non e' il caso della maggior parte dei comunicati a cui siamo abituati, soprattutto in Francia. Troppi intellettuali e artisti "di sinistra" - in pratica sempre gli stessi - si accontentano di firmare regolarmente comunicati che protestano per principio contro questo o quell'attentato alla democrazia, senza che cio' abbia in genere la minima incidenza sul fatto in questione. Precisiamo tuttavia che non si deve rimproverare a questa elite di fare questo, ma le si deve rimproverare di far soltanto questo.
- Petizioni. Promuovere una petizione significa raccogliere il maggior numero di firme in fondo a un testo che denunci una certa ingiustizia e richieda una certa soluzione appropriata. Questo testo verra' successivamente spedito, o consegnato direttamente da una delegazione, a quelli che hanno il potere di decidere in merito al problema posto. Questa procedura puo' rivelarsi efficace nel caso in cui sia possibile raccogliere un numero rilevante di firme. Tuttavia la facilita' con cui si firma un testo rischia di ridurre la portata di una tale iniziativa.
Facciamo notare a questo punto che le due prime azioni politiche di Gandhi furono appunto la redazione e l'invio di due petizioni. Infatti, nel 1894 quando Gandhi, su proposta dei compatrioti residenti nel Sud-Africa, accetto' di rinviare il suo ritorno in India per condurre sul posto la lotta contro il razzismo che gravava sulla comunita' indiana, la prima decisione che egli prende e' di redigere una petizione, rivolta all'Assemblea legislativa del Natal, per chiedere di respingere il progetto di legge che privava gli indiani del diritto di voto. "I giornali - ricorda Gandhi nella sua autobiografia - la riportarono con commenti favorevoli, impressiono' anche l'assemblea, fu discussa alla Camera. (...) Pero' la legge fu approvata". Questa prima petizione fu dunque un insuccesso. Ma essa permise agli indiani, fino allora rassegnati e passivi, di mobilitarsi in difesa dei loro diritti. "Questa petizione - scrive Gandhi - fu la prima ad essere mai stata spedita dagli Indiani ai legislatori sudafricani. Era il primo tentativo da parte degli indiani di usare una tale procedura e un'ondata di entusiasmo attraverso' tutta la comunita'".
Allora Gandhi non si scoraggio' e decise di far giungere al governo inglese "una petizione fiume". Bisogna tuttavia sottolineare che Gandhi decise "di non accettare una sola firma se il firmatario non avesse prima capito a pieno il significato esatto della petizione". In quindici giorni furono raccolte diecimila firme: un successo considerevole. La petizione fu spedita a Lord Ripon, allora segretario di Stato alle Colonie. Inoltre, "ne erano state stampate un migliaio di copie per farle circolare e per distribuirle; era la prima volta che si informava la popolazione indiana di quali fossero le sue condizioni nel Natal. Inviai copie a tutti i pubblicisti di mia conoscenza. "The Times of India", in un articolo di fondo sulla petizione, difendeva a spada tratta le richieste indiane. Furono inviate copie anche ai periodici e pubblicisti di diversi partiti in Inghilterra: il "Times" di Londra si dichiaro' favorevole alle nostre rivendicazioni e cominciammo a sperare che alla legge fosse posto il veto". Infatti il governo di Londra, impressionato dalla campagna di Gandhi, oppose il veto al progetto di legge ritenendo che esso stabiliva una discriminazione razziale nei confronti di una minoranza dell'Impero. Gandhi otteneva cosi' il suo primo successo. Tuttavia questo non fu che parziale, perche', alla fine, i bianchi del Natal seppero aggirare l'ostacolo che Londra aveva messo sulla loro strada: essi formularono la loro legge in termini che non potevano piu' essere qualificati come razzisti. Questo progetto di legge, cosi' emendato, ma che portava agli stessi risultati pratici, fu approvato e votato. Gandhi doveva riprendere la lotta ma era sicuro, questa volta, di poter contare sulla determinazione dei suoi compatrioti che avevano preso coscienza della loro forza e vinto la loro paura.
- Sfilata. Si parla di sfilata quando i manifestanti formano un corteo e percorrono a piedi la citta' da un punto all'altro. Cartelli e slogans informano gli spettatori sulle ragioni obiettive della manifestazione. La sfilata e' il metodo piu' classico della manifestazione pubblica. Cosi', quando viene annunciato che il tal partito, il tal sindacato o il tale movimento invita la popolazione a partecipare ad una manifestazione, si tratta generalmente di una sfilata.
Facciamo solo presente che, dal punto di vista della strategia della nonviolenza, l'organizzazione di una sfilata deve soddisfare le esigenze caratteristiche dell'azione nonviolenta. Si puo' ragionevolmente pensare che queste esigenze non saranno soddisfatte se non sara' in precedenza deciso che debbano esserlo, e se non vengano prese precauzioni particolari perche' lo siano effettivamente. Pensiamo in particolare alla scelta degli slogan e all'atteggiamento dei manifestanti nei confronti delle forze di polizia.
- Marcia. Si parlera' di marcia quando i manifestanti percorrono a piedi lunghe distanze da una citta' all'altra attraverso uno o piu' paesi. Il fine e' di sensibilizzare la popolazione delle regioni attraversate sull'ingiustizia che si vuole denunciare. Cartelli e striscioni con qualche semplice scritta e volantini che diano maggiori spiegazioni devono permettere agli spettatori di essere informati sulle ragioni e sugli obiettivi della marcia. In ciascuna citta'-tappa si possono organizzare delle riunioni pubbliche per informare gli abitanti e per provocare un dibattito pubblico sul problema in questione. Sara' utile stabilire dei contatti con le personalita' e i movimenti capaci di prendere posizione in favore dei manifestanti e di promuovere a loro volta delle manifestazioni. Delegazioni possono chiedere di essere ricevute dalle autorita' locali per far valere nei loro confronti il punto di vista dei manifestanti.
La marcia puo' avere il fine preciso di richiamare l'attenzione dei pubblico su un'azione che avverra' al termine di essa. Un esempio particolare e' dato dalla famosa "marcia del sale" intrapresa da Gandhi allo scopo di preparare il popolo indiano a violare la legge con la quale il governo faceva pagare ad ogni indiano una forte tassa per ogni acquisto di sale. Dopo aver percorso a piedi 380 chilometri attraverso l'India prendendo la parola in ogni villaggio attraversato per invitare la popolazione alla resistenza contro la legge ingiusta, giunse in riva al mare e compi' il gesto simbolico di raccogliere un po' di sale. Da quel momento Gandhi diventava ribelle dell'impero britannico. Per effetto della marcia, tutta l'India aveva gli occhi puntati su di lui ed era pronta a ribellarsi.
Nel 1971 venne promossa, dal leader nonviolento spagnolo Gonzalo Arias e da numerosi suoi compatrioti, una "marcia sul carcere", da Ginevra a Madrid, allo scopo di esprimere la propria solidarieta' con l'obiettore Jose' Beunza detenuto allora a Valenzia, e di far pressione sul governo perche' venisse riconosciuto uno statuto legale a lui e agli altri obiettori. La marcia, a cui partecipavano pure manifestanti di diversi paesi, dovette interrompersi al posto di frontiera di Bourg-Madame dove gli spagnoli furono arrestati e gli altri marciatori respinti verso la Francia. Ma la stampa riferi' abbondantemente dell'avvenimento e il fine dell'azione, che era innanzitutto quello di informare l'opinione pubblica sulla situazione degli obiettori spagnoli, fu raggiunto.
- Sciopero della fame limitato. Quando lo sciopero della fame si iscrive nella strategia dell'azione nonviolenta ripugna chiamarlo con il suo nome: si preferisce allora parlare di digiuno. Ma pensiamo che cio' sia un errore. Ci sembra importante distinguere il digiuno intrapreso per motivi di ordine religioso o terapeutico dallo sciopero della fame intrapreso per motivi di ordine politico. Di conseguenza, il digiuno e' un'azione privata, mentre lo sciopero della fame e' un'azione pubblica.
Lo sciopero della fame limitato a qualche giorno, tra i 3 e i 20 giorni, mira a denunciare pubblicamente un'ingiustizia e ad informare l'opinione pubblica su di essa. Si tratta di un'azione di protesta che di per se stessa non potra' generalmente pretendere di sopprimere l'ingiustizia. Ma essa puo' avere un effetto considerevole sull'opinione pubblica e cio' in particolare se la personalita' di chi la compie e' importante. Facciamo pero' notare che il moltiplicarsi sconsiderato degli scioperi della fame rischia di stancare l'opinione pubblica e di screditare questo mezzo. Percio' e' opportuno ricorrervi con molta cautela.
Al termine di queste manifestazioni, converra' ripresentare all'avversario delle proposte precise in vista di un regolamento negoziato dei conflitto. E' possibile che la pressione esercitata dall'opinione pubblica sia abbastanza forte da costringere l'avversario a non portare avanti uno scontro di cui puo' temere che torni a suo svantaggio. In un regime democratico (certo, tutto e' relativo, e si potrebbe avanzare che nessun regime e' veramente democratico, ma diversi confronti che si impongono permettono di dire che certi lo sono e certi non lo sono affatto), la "forza dell'opinione pubblica" e' reale e puo' far maturare certi problemi fino a che le soluzioni desiderabili diventino possibili. Ci sembra pero' che molti liberali, a cui ripugna per temperamento il ricorso all'azione diretta, tendano a sopravvalutare questa forza. Quando si tratta di opporsi a una decisione del governo, non basta il piu' delle volte che l'opinione pubblica si esprima perche' la pressione esercitata su di esso sia abbastanza forte per costringerlo a cedere. Sara' allora necessario ricorrere all'azione diretta, o almeno lasciar capire chiaramente che si e' decisi a farlo.
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5. Invio di un ultimatum
Di fronte al fallimento degli ultimi tentativi di negoziato, diventa necessario fissare all'avversario un ultimo termine al di la' del quale saranno date disposizioni di ricorrere all'azione diretta. L'ultimatum, che ricorda le ragioni e gli obiettivi dei movimento, i tentativi precedenti di negoziare e i loro fallimenti, puo' essere considerato come l'ultimo passo in vista di un accordo negoziato. Effettivamente, la prova di forza incomincia con l'ultimatum. Questo in effetti e' piu' un mezzo di costrizione che un mezzo di persuasione. E' d'altronde verosimile che l'avversario si rifiuti di cedere di fronte a cio' che bisogna pur chiamare una minaccia e che egli considerera' un "inammissibile ricatto". Egli rifiutera' l'ultimatum sostenendo di non temere la prova di forza. Inoltre, l'ultimatum e' un appello all'opinione pubblica per invitarla a mobilitarsi in vista dell'azione. Conviene percio' rendere pubblico il testo dell'ultimatum e, a questo scopo, farlo pervenire alla stampa, ai movimenti e alle personalita' suscettibili di solidarizzare con quelli che sono decisi ad agire.
Nel racconto della lotta condotta nel Sudafrica, Gandhi spiega a lungo in quali condizioni, nel 1908, egli spedi' un ultimatum al generale Smuts. L'azione che stava conducendo allora era diretta contro l'Atto asiatico, detto anche l'"Atto Nero", che rendeva obbligatorio a tutti gli indiani di iscriversi nei registri del governo. Questa legge stabiliva che "quasi in ogni momento o luogo, gli indiani potevano essere invitati ad esibire il certificato di registrazione; gli esperti di polizia potevano entrare nelle case degli Indiani per esaminare i permessi". Gandhi giudico' questa legge contraria alla dignita' degli indiani e invito' i suoi compatrioti a combatterla fino a che non fosse abolita. Dopo una prima prova di forza, durante la quale gli indiani si erano rifiutati di farsi registrare, Gandhi accetto' il compromesso un po' paradossale propostogli dal generale Smuts a nome del governo. Questo permetteva di abolire l'Atto asiatico se gli indiani si fossero impegnati a iscriversi volontariamente. Gandhi ci tenne a iscriversi per primo e chiese ai suoi compatrioti di fare altrettanto in conformita' agli impegni presi. Gandhi aveva pero' commesso l'errore di accettare un accordo sospendendo l'azione diretta davanti ad una semplice promessa: infatti il generale Smuts non mantenne il suo impegno e rifiuto' ostinatamente di abolire l'"Atto Nero". A quel punto Gandhi si trovo' costretto a riprendere l'offensiva rilanciando l'azione diretta. Egli si decise allora a spedire un ultimatum al generale Smuts. "Infine - riferisce nel suo racconto - fu spedito un ultimatum al governo. Non adoperammo la parola "ultimatum", ma fu cosi' che il generale Smuts chiamo' la lettera che gli spedimmo in cui veniva espressa la determinazione della comunita'". Il testo dell'ultimatum ricordava l'accordo raggiunto precedentemente e precisava: "La comunita' ha spedito numerosi comunicati al generale Smuts e preso tutte le iniziative legali possibili per ottenere giustizia, ma esse finora non hanno portato ad alcun risultato. Siamo spiacenti di dover affermare che se l'Atto asiatico non verra' abolito in conformita' all'accordo, e se la decisione del governo a riguardo non sara' comunicata agli indiani entro una data stabilita (la data fu fissata per il 16 agosto), i certificati ritirati dagli indiani verranno bruciati e gli stessi ne sopporteranno le conseguenze umilmente ma con fierezza".
Gandhi e i suoi esitarono molto prima di spedire questo ultimatum: "Ci furono molte discussioni - egli racconta - quando fu spedito l'ultimatum. La richiesta di una risposta entro un termine stabilito non sarebbe stata considerata insolente? Non avrebbero avuto l'effetto di irrigidire il governo e di portarlo a respingere i nostri termini che altrimenti avrebbe potuto accettare?". Ma alla fine tutti gli indiani della comunita' africana decisero di spedire l'ultimatum: "Dovemmo - continua Gandhi - correre il rischio di essere accusati di mancanza di cortesia, e pure quello di vedere il governo rifiutare, per risentimento, cio' che altrimenti avrebbe potuto accordare. (...) Dovemmo adottare un atteggiamento diretto senza esitazione. (...) Il linguaggio dell'ultimatum si inseriva in una progressione naturale e appropriata".
Per il giorno in cui doveva scadere l'ultimatum, Gandhi organizzo' una manifestazione per bruciare i certificati nel caso in cui il governo si fosse ostinato a rinnegare l'impegno che aveva assunto. Smuts respinse l'ultimatum con disprezzo: "Quelli - egli disse allora - che hanno rivolto una simile minaccia al governo non si rendono conto della sua potenza. Mi dispiace che qualche agitatore stia tentando di eccitare dei poveri indiani, che si troveranno sul lastrico se soccomberanno ai loro incitamenti". Quando la manifestazione stava per incominciare, Gandhi ricevette un telegramma nel quale era detto che "il governo si doleva della decisione della comunita' indiana, ma non poteva cambiare la propria linea di condotta". La manifestazione incomincio' e Gandhi insistette sulle gravi conseguenze che potevano derivare dal fatto di bruciare il proprio certificato e chiese ai presenti di calcolare i rischi che stavano per assumersi. Ma i partecipanti furono unanimi nel decidere di passare ai fatti e piu' di duemila certificati furono bruciati. Infine, dopo molte altre peripezie, l'"Atto Nero" venne annullato.
(Parte prima - continua)
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LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XX)
Numero 213 del 9 maggio 2019
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