[Nonviolenza] Telegrammi. 3085



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3085 del 3 giugno 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Sommario di questo numero:
1. France Guwy intervista Emmanuel Levinas (1986)
2. La festa avvelenata
3. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
4. L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari
5. Piero Calamandrei: Discorso ai giovani sulla Costituzione (1955)
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MAESTRI. FRANCE GUWY INTERVISTA EMMANUEL LEVINAS (1986)
[Dal sito https://mondodomani.org/dialegesthai riprendiamo la seguente intervista realizzata da France Guwy per la televisione neerlandese nel 1986, apparsa in traduzione italiana col titolo "Emmanuel Levinas. L'asimmetria del volto. Un'intervista" in "Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia", anno 14, 2012]

- Emmanuel Levinas: Sono responsabile d'altri, rispondo d'altri. Il tema principale, la mia definizione fondamentale, e' che l'altro uomo, che di primo acchito fa parte di un insieme che tutto sommato mi e' dato, come gli altri oggetti, come l'insieme del mondo, come lo spettacolo del mondo, l'altro uomo emerge in un certo modo da tale insieme precisamente con la sua apparizione come volto. Il volto non e' semplicemente una forma plastica, ma e' subito un impegno per me, un appello a me, un ordine per me di trovarmi al suo servizio. Non solamente di quel volto, ma dell'altra persona che in quel volto mi appare contemporaneamente in tutta la sua nudita', senza mezzi, senza nulla che la protegga, nella sua semplicita', e nello stesso tempo come il luogo dove mi si ordina. Questa maniera di ordinare, e' cio' che chiamo la parola di Dio nel volto. [Gli scrittori russi] erano fondamentali, Puskin, Gogol, in seguito i grandi prosatori, Turgenev, Tolstoj, Dostoevskij... Vi si trova costantemente la messa in discussione dell'umano, del senso dell'umano. Cio' vi avvicina ai problemi che, a mio avviso, restano essenziali alla filosofia, e che sotto altre forme trovate nella letteratura specificamente filosofica, e in ogni caso li trovate anche in un'opera letteraria, il libro di tutti i libri, la Bibbia.
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- France Guwy: C'e', secondo lei, una contraddizione tra la Bibbia e la filosofia?
- Emmanuel Levinas: Non credo, non ho mai vissuto cio' come una contraddizione. In entrambi i casi, si tratta del senso, dell'apparizione del sensato: che sia sotto la forma che tra i greci si definisce ragione, o che sia sotto la forma della relazione con il prossimo nella Bibbia, per me, cio' che le unisce, prima di tutto, e' in entrambi i casi la questione della ricerca del senso.
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- France Guwy: E' in questa stessa Europa che lei ha vissuto l'esperienza degli anni '30 e della guerra del 1940-1945, un'esperienza e un'influenza che e' probabilmente molto importante per lei e per l'elaborazione del suo pensiero.
- Emmanuel Levinas: E' addirittura l'esperienza fondamentale della mia vita e del mio pensiero, il presentimento di questi anni tremendi, il ricordo indimenticabile di questi anni. Ma io non penso che l'uscita possa consistere in un cambio dei principi di questa civilta'. Penso che all'interno di questa civilta', ponendo in posizione centrale elementi che erano piu' marginali, c'e' forse un'uscita. Non ho dimenticato neppure che questa Europa si trova senza dirlo, senza ammetterlo, nell'angoscia della guerra nucleare. Cio' che si definisce spesso la modernita' mi pare porsi tra ricordi indelebili e un'attesa angosciata. Non so affatto se, rinunciando a cio', accettando delle forme che sono certamente umane, che possono umanizzarsi ancora di piu', si trovera' una risposta alle nostre angosce. Non mi aspetto molto dalle mie ricerche per cambiare questo, ma in ogni caso queste sono determinate da cio' che ritengo essere uno squilibrio all'interno di questa civilta' tra i temi fondamentali del sapere e quelli della relazione con altri.
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- France Guwy: Si potrebbe dire che questa esperienza abbia anche influenzato il suo modo di considerare la filosofia occidentale, la sua critica di tale filosofia?
- Emmanuel Levinas: "Critica della filosofia occidentale", e' troppo ambizioso. Ci permettiamo espressioni eccessive. E' un po' come se si contestasse l'altezza dell'Himalaya. Questo insegnamento filosofico e' cosi' importante, cosi' essenziale. Esige cosi' tanto di essere attraversato prima di iniziare diversamente.
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- France Guwy: Ciononostante, lei ha scritto che la storia della filosofia occidentale e' stata una distruzione della trascendenza.
- Emmanuel Levinas: La trascendenza e' altra cosa, essa ha un senso molto preciso. L'ideale verso il quale andava la filosofia europea consisteva nel credere nella possibilita' per il pensiero umano di abbracciare tutto cio' che sembra opporvisi e, in tal senso, di rendere interiore cio' che e' esteriore, cio' che e' trascendente. La filosofia occidentale non voleva piu' considerare la trascendenza divina, qualcosa che oltrepassa il limite dell'abbracciabile, del carpibile, come se lo spirito consistesse nel cogliere ogni cosa.
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- France Guwy: Se posso esprimerlo un po' piu' semplicemente, credo che lei voglia dire che e' una filosofia dove l'io regna con pieni poteri e dove la conoscenza va piu' presa che compresa.
- Emmanuel Levinas: Si', l'io, attraverso il sapere, riconosce come il Medesimo, come riducibile al Medesimo, cio' che di primo acchito sembrava Altro. Sono responsabile d'altri, io rispondo d'altri, prima d'aver fatto qualcosa. Il tema principale, la mia definizione fondamentale, e' che l'altro uomo, che innanzitutto, fa parte di un insieme, che sostanzialmente mi e' dato come gli altri oggetti, come l'insieme del mondo, come lo spettacolo del mondo, l'altro uomo emerge in qualche modo da tale insieme precisamente con la sua comparsa come volto, che non e' semplicemente una forma plastica, ma e' immediatamente un impegno per me, un appello a me, un ordine per me di trovarmi al servizio di questo volto, non solamente questo volto, servire l'altra persona che in questo volto mi appare contemporaneamente nella sua nudita', senza mezzi, senza protezioni, nella sua semplicita', e al tempo stesso come il luogo dove mi si comanda. Questa maniera di comandare, e' cio' che chiamo la parola di Dio nel volto.
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- France Guwy: E questo comandamento e': "non uccidere".
- Emmanuel Levinas: Prima di tutto e' questo, con diverse sfumature. Nei miei primi scritti, ne parlavo in modo assolutamente diretto: il volto significa "non uccidere", non mi devi uccidere. E' la sua umilta', il suo essere senza mezzi, la sua sobrieta', ma al tempo stesso, precisamente, il comandamento "non uccidere". E' cio' che si presta all'omicidio e cio' che resiste all'omicidio. Ecco l'essenza di tale relazione "non uccidere" che e' tutto un programma, che vuol dire "tu mi farai vivere". Ci sono mille modi di uccidere altri, non solo con una pistola; si uccide altri restandogli indifferenti, non occupandosene, abbandonandolo. Di conseguenza, "non uccidere" e' la cosa principale, e' l'ordine principale nel quale l'altro uomo e' riconosciuto come cio' che si impone a me.
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- France Guwy: Questo viso dell'altro fa appello alla mia responsabilita', e lei si spinge molto in la' in questa responsabilita', va fino a dire che si deve anche espiare per l'altro.
- Emmanuel Levinas: Cio' che chiamo essere per l'altro, la parola "responsabilita'" non e' che un modo di esprimere questo: io sono responsabile d'altri, rispondo d'altri, e sostanzialmente rispondo prima d'aver fatto qualcosa. Il paradosso della responsabilita', e' che essa non e' il risultato di un atto qualsiasi da me commesso. E' come se fossi responsabile prima d'aver commesso qualsiasi cosa, come se fosse un a priori e, di conseguenza, come se non fossi libero di scrollarmi da tale responsabilita', come se fossi responsabile senza aver votato, come se espiassi, come se mi comportassi come un ostaggio.
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- France Guwy: Che significa allora la liberta' e l'autonomia dell'essere umano quando, prima di ogni conoscenza e quindi di ogni liberta' di scelta, e' l'altro che mette in dubbio la mia liberta' e esige la mia responsabilita'?
- Emmanuel Levinas: Pongo la domanda: come definisce lei la liberta'? Evidentemente, quando c'e' costrizione, non c'e' liberta'. Ma quando non c'e' costrizione, c'e' necessariamente liberta'? La liberta' deve essere definita in modo puramente negativo, come assenza di costrizione, o al contrario, la liberta' significa la possibilita' per una persona, l'appello rivolto ad una persona a fare qualcosa che nessun altro puo' fare al posto suo? In tale bonta' precedente ad ogni scelta che e' la mia responsabilita', sono come eletto, non intercambiabile, il solo a poter fare cio' che faccio nei confronti di altri.
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- France Guwy: Di fatto, questa e' una risposta a Sartre quando dice che siamo condannati ad essere liberi.
- Emmanuel Levinas: Quando si e' votati a qualcosa, a qualcosa dove non c'e' semplicemente una cieca necessita' ma dove c'e' un appello a me in quanto unico a poter compiere cio' che compio, l'etica, la responsabilita' etica e' sempre questo. Il significato stesso del mio obbligo etico, e' il fatto che nessun altro poteva fare cio' che faccio, come se fossi eletto. E' questa nozione di liberta', d'elezione che sostituisco a quella liberta' puramente negativa. Cio' che ci colpisce nella non-liberta', e' che siamo chiunque. Nella mia responsabilita' per altri, sono sempre chiamato come se fossi il solo a poterlo fare... Farsi sostituire per un atto morale, vuol dire rinunciare ad un atto morale.
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- France Guwy: E' ciò che dice Sartre quindi?
- Emmanuel Levinas: Non so se Sartre dica questo. Dico anche, ed e' sicuramente una formulazione terribile, che la bonta' non e' un atto volontario. Con cio' voglio intendere che non c'e', nel movimento di liberta', l'atto in particolare di una volonta' che interviene. Non si decide di essere buoni, si e' buoni prima di ogni decisione. C'e', nel mio concetto, l'affermazione di una bonta' iniziale della natura umana.
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- France Guwy: Ma lei ha anche detto che non si e' buoni volontariamente. E' dunque contro natura?
- Emmanuel Levinas: Non e' a seguito di un atto volontario, e' la rottura con l'ordine della natura. E quando dico rottura dell'ordine della natura, lo penso con molta forza, come se la comparsa stessa dell'umano nell'ordine regolare della natura - dove ogni cosa tende a restare immutata, dove ogni essere umano pensa a se' stesso, persiste nel suo essere, cio' che Spinoza chiamava l'atto supremo di Dio che consiste per l'essere nel persistere nel suo essere - con la responsabilita' per altri, questo ordine e' rotto, puo' essere rotto, anche se non sempre lo e'. Io non dico affatto che cio' trionfi sempre, ma con l'umano, c'e' la possibilita' per l'uomo di pensare, di impegnarsi, di occuparsi dell'altro prima di perseguire la persistenza nel suo proprio essere.
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- France Guwy: E' la sua vocazione?
- Emmanuel Levinas: Certamente, nel senso fortissimo del termine: c'e' qualcuno che chiama, qualcuno che nel volto d'altri chiama, obbliga senza forza. L'autorita' non e' affatto possesso della forza. E' un obbligo senza forza. Purtroppo, il XX secolo ci ha abituati a questa idea che non si abbia il diritto di predicare, ma che si possa dire a se stessi che Dio ha rinunciato alla violenza, che comanda senza violenza. E' anche una predicazione, e non si ha il diritto di predicare (lo si puo' dire a se stessi) perche', quando lo si predica, sembra si voglia giustificare Auschwitz. Dopo Auschwitz, Dio non ha piu' giustificazioni. Se c'e' ancora fede, e' una fede senza teodicea.
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- France Guwy: Intende dire senza speranza?
- Emmanuel Levinas: No, senza teodicea, senza che si possa giustificare Dio. Dicendo questo, non invento una possibilita' fondamentale dell'umano. In realta', quando non ci lasciamo essere in modo puro e semplice, quando abbiamo compreso l'alterita' dell'altro, non abbiamo mai finito di comprenderla. Non si e' mai affrancati da altri. E' una moralita' assolutamente borghese che dice: "In dati momenti, posso chiudere la porta".
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- France Guwy: In questo contesto, lei cita piu' volte Dostoevskij che dice: "Noi siamo tutti colpevoli di tutto e di tutti davanti a tutti, e io piu' di tutti gli altri" [I Fratelli Karamazov].
- Emmanuel Levinas: Torneremo a breve, se me lo permette, sul fatto che non sia probabilmente cosi' tutti i giorni. Ma, se si e' in questo incontro d'altri che provo a descrivere, non si e' mai colui che comprende la sua relazione ad altri come reciproca. Se si dice: "Sono responsabile per lui, ma anche lui e' responsabile nei miei riguardi", in tal caso, si trasforma la propria responsabilita' iniziale in commercio, in scambio, in uguaglianza, si e' gia' mal interpretato tale frase di Dostoevskij, che e' un'esperienza fondamentale dell'umano.
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- France Guwy: E che illustra cio' che lei intende per "asimmetria".
- Emmanuel Levinas: L'asimmetria, e' in primo luogo il fatto che la mia relazione nei confronti di me stesso e le mie obbligazioni come io stesso le intendo non sono immediatamente in un rapporto tra due pari, dove altri e' sempre supposto essere io stesso. Io stesso, sono prima di tutto l'obbligato, e lui, e' prima di tutto colui nei confronti del quale sono obbligato. Non e' affatto uno smarrimento, e' la modalita' essenziale dell'incontro con altri. Come dicevo poc'anzi, io non posso predicare la religione ad altri, anche se in me stesso posso accettare alcune cose che, proposte agli altri, paiono avere la facilita' della chiacchierata teologica. Io posso accettare una teologia per me, assumere per me una teologia, ma non ho il diritto di proporla agli altri. E' la vocazione dell'asimmetria.
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- France Guwy: Ci si puo' chiedere se sia possibile vivere con un perpetuo senso di colpa. Come vivere con questo problema contro natura?
- Emmanuel Levinas: Tutto cio' che tento di presentare e' un'umanita' contro natura. Come una rottura dell'ordine regolare dell'essere preoccupato di se' stesso, preoccupato del proprio sostentamento, perseverante nell'essere, stimando perfino che, quando si tratta del mio essere, tutte le altre questioni cadano. E' contro cio' che tento di scoprire nell'umanita' una vera rottura d'un essere costretto ad essere, preoccupato d'essere.
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- France Guwy: Ma non sarebbe una morale quasi masochista?
- Emmanuel Levinas: Il masochismo e' una caratteristica di una malattia dell'essere ben portante. Io non credo che l'essere umano sia ben portante, nel senso banale del termine: e' una rottura di questa salute facile, che e' soprattutto la mia salute, e' una preoccupazione. Non tutte le malattie sono da curare. Masochismo? Io non temo questa parola. Che cos'e' l'umano? E' li' dove l'altro e' l'indesiderato per eccellenza, dove l'altro e' il disturbatore, cio' che mi limita. Nulla puo' limitarmi maggiormente che un altro uomo. Per questa umanita'-natura, per questa umanità vegetale, per questa umanita'-essere, l'altro e' l'indesiderabile per eccellenza. Ma e' contro di lui e verso di lui che vi guida, nel volto dell'uomo, l'appello di Dio. E' drammatico. E' un termine tratto dal mio articolo "Dieu et la philosophie" (e' uno degli articoli ai quali tengo maggiormente) dove la risposta di Dio non consiste nel rispondervi, ma nel rinviarvi verso l'altro.
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- France Guwy: La relazione con Dio, con l'infinito, e' il rapporto all'umano, all'altro.
- Emmanuel Levinas: Cio' che ammiro di piu' nel Vangelo - io non sono cristiano, lo sapete, ma trovo nel Vangelo molte cose che mi sono prossime e le cui basi mi paiono assolutamente bibliche -, e' il capitolo 25 di Matteo sul giudizio finale, dove il Cristo dice: "Voi mi avete cacciato, mi avete perseguito. Quando ti abbiamo perseguito? Quando ti abbiamo cacciato? Quando avete cacciato il povero". Bisogna considerare cio', non in senso metaforico, ma in senso eucaristico. E' veramente nel povero che c'e' la presenza di Dio, nel senso concreto. Ho sempre letto in questo senso il capitolo 58 di Isaia, dove pure ci sono persone che dicono di cercare Dio, e questi dice che, per trovarlo, si devono liberare gli schiavi, vestire gli ignudi, nutrire gli affamati, far entrare in casa i senzatetto. E' piu' difficile perche' i senzatetto sporcano i tappeti.
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- France Guwy: Nella sua opera Totalita' e infinito, lei dice: "L'uomo e' naturalmente ateo, ed e' una grande gloria per il Creatore l'aver dato vita ad un essere capace di essere ateo. L'ateismo condiziona una relazione vera con un vero Dio". Vuole liberare l'uomo da Dio?
- Emmanuel Levinas: Il fatto che l'uomo possa giungere a partire dalla sua bonta' verso Dio invece di andare verso la bonta' a partire da Dio, ecco cosa mi pare estremamente importante. Il fatto che, senza pronunciare la parola Dio, io sia nella bonta' e' piu' importante di una bonta' che venga semplicemente a posizionarsi tra le raccomandazioni di un dogma. E' estremamente importante indicare un procedimento a partire dalla bonta' e non a partire dalla creazione del mondo. La creazione del mondo stessa deve prendere il suo significato a partire dalla bonta'. E' una vecchia credenza rabbinica, ma si pretende che sia tratta dalla Bibbia, che il mondo sussista, sia stato creato dall'etica, dalla Torah; che nell'espressione, "in principio Dio creo'", la parola reshit (principio) significhi l'etica o, se volete, la Torah. Puo' darsi che la spiritualita' alla quale si giunge attraverso l'etica non sia completa. Puo' darsi che infatti, gli altri, vadano aiutati ancora diversamente. Io non affermo che cio' sia falso, ma non e' questa la via che mi pare corrispondere allo spirito, che definisce lo spirito.
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- France Guwy: Lei ha illustrato cio' attraverso la storia del romano che chiede al rabbino: "Perche' il vostro Dio, che e' il Dio dei poveri, non nutre i poveri?". La risposta del rabbino e': "Per salvare l'umanita' dalla dannazione".
- Emmanuel Levinas: No, questa e' un'altra cosa. Questo vuol dire che e' assolutamente scandaloso, e' un peccato mortale che gli uomini non aiutino gli altri uomini. Se fosse Dio ad incaricarsene, non gli resterebbe piu' che lasciare gli uomini al loro peccato.
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- France Guwy: Lo si potrebbe rimproverare alle Chiese...
- Emmanuel Levinas: Io non condanno le Chiese, hanno molto da fare, hanno altri problemi ma per me non e' l'inizio della spiritualita'. Ci sono tanti libri che le Chiese commentano e diffondono, ma e' cio' che e' contenuto in questi libri, prima di questa organizzazione, che e' importante. Il Messia, ovvero l'obbligo di occuparsi d'altri, e' il mio compito. Nella mia individualita', nella mia unicita', c'e' questo: sono un potenziale Messia.
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- France Guwy: Non e' l'effetto della grazia.
- Emmanuel Levinas: Assolutamente no, al contrario, e' la condizione dell'io come la descrivo sin dall'inizio: il soggetto non e' assolutamente colui che prende, ma colui che e' responsabile. L'universo pesa su di me, sono ostaggio, espiazione, sono scelto per questo. La mia unita', la mia unicita', e' cio' che chiamo Messia. Vengo per salvare il mondo, ma lo dimentico. Tuttavia, nell'io, ovvero in questa soggettivita' - che non concepisco affatto come sostanza, come potere, ma che descrivo con questa bonta' iniziale, gratuita - con questa responsabilita', diversa, di qualunque grado sia, anche nella condotta, mi interessa, mi riguarda. Mi riguarda non nel senso sartriano, condannandomi, ma nel senso nel quale si dice in francese: "I vostri fatti mi riguardano" o "I vostri fatti non mi riguardano". E' cio' che chiamo il momento messianico nell'io umano. Non dico che trionfi - il Messia non viene - ma questa vocazione, lui l'ha sentita, e' tramite questa vocazione che e' unico e uno, li' si trova la sua individuazione. Non ho filosofia della storia che possa consolare da tutti gli abusi, anche dalla relazione ad un volto. Cio' che mi e' importato, e' di scoprire nella pesantezza dell'essere che si occupa di se' stesso, questa possibilita' di tenere conto, di sviluppare una bonta' per un altro essere, di occuparsi della sua morte prima di occuparsi della propria. Questo scoraggiamento non ha consolazione, ma ho spesso pensato che si debba insistere nelle analisi sul disinteresse della relazione interumana, della parola che si ha con altri, e che non e' impossibile - ma questo e' al di la' della filosofia - che coloro che non contano su nessuna ricompensa siano degni di una ricompensa.

2. REPETITA IUVANT. LA FESTA AVVELENATA

E' questo un triste 2 giugno.
Poiche' ieri il governo della repubblica democratica ed antifascista e' caduto nelle grinfie dell'estrema destra razzista e golpista.
Ed al dolore per queste misfatto si somma il dolore per come e' avvenuto: ovvero senza che vi sia stata quasi alcuna resistenza, quasi alcuna opposizione; nell'indifferenza di molti, nella servile complicita' di alcuni, nella narcosi di altri.
Questo foglio per settimane si e' fatto portavoce di cio' che andava detto e che ancora oggi si ripete: che nei piani dell'estrema destra razzista e golpista vi e' l'esecuzione di criminali ed infami persecuzioni razziste, delitto previsto e punito dalle leggi vigenti. E che pertanto era assolutamente illegale consegnare il governo del paese nelle mani di rei confessi del delitto di razzismo, crimine contro l'umanita'.
Questo foglio per settimane ha chiamato ad aprire gli occhi, ma troppe persone hanno preferito restare in letargo.
Ora che l'estrema destra razzista e golpista si e' impossessata del governo dello stato sara' assai piu' difficile la necessaria lotta nonviolenta in difesa della legalita' costituzionale, in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Ora che l'estrema destra razzista e golpista si e' impossessata del governo dello stato sara' assai piu' difficile la necessaria lotta nonviolenta contro le persecuzioni razziste.
Ma questa lotta nonviolenta dobbiamo comunque continuare a condurre: per difendere la vita, la dignita' e i diritti di tante donne e tanti uomini in pericolo; per difendere la nostra stessa dignita' di esseri umani; per difendere la repubblica democratica ed antifascista dal ritorno di quel male assoluto che trascino' l'umanita' intera sull'orlo del baratro.
No al razzismo.
No a tutte le persecuzioni.
No al governo dell'estrema destra razzista e golpista.
Difendiamo la Costituzione repubblicana, difendiamo lo stato di diritto, difendiamo la democrazia, difendiamo la civilta', difendiamo l'umanita'.
Con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza, con la legalita' che salva le vite, col riconoscimento dell'umanita' di ogni essere umano.

3. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

4. REPETITA IUVANT. L'ITALIA SOTTOSCRIVA E RATIFICHI IL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017.
Salvare le vite e' il primo dovere.

5. MAESTRI. PIERO CALAMANDREI: DISCORSO AI GIOVANI SULLA COSTITUZIONE (1955)
[Testo del discorso pronunciato da Piero Calamandrei a Milano nel Salone degli affreschi della Societa' Umanitaria il 26 gennaio 1955 in occasione dell'inaugurazione di un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana organizzato da un gruppo di studenti universitari e medi.
Piero Calamandrei, nato a Firenze il 21 aprile 1889 ed ivi deceduto il 27 settembre 1956, avvocato, giurista, docente universitario, antifascista limpido ed intransigente, dopo la Liberazione fu costituente e parlamentare, fondatore ed animatore della rivista "Il Ponte", impegnato nelle grandi lotte civili. Dal sito dell'Anpi di Roma (www.romacivica.net/anpiroma) riprendiamo la seguente notizia biografica su Piero Calamandrei: "Nato a Firenze nel 1889. Si laureo' in legge a Pisa nel 1912; nel 1915 fu nominato per concorso professore di procedura civile all'Universita' di Messina; nel 1918 fu chiamato all'Universita' di Modena, nel 1920 a quella di Siena e nel 1924 alla nuova Facolta' giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile. Partecipo' alla Grande Guerra come ufficiale volontario combattente nel 218mo reggimento di fanteria; ne usci' col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello. Subito dopo l'avvento del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell'"Unione Nazionale" fondata da Giovanni Amendola. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochi professori che non ebbe ne' chiese la tessera continuando sempre a far parte di movimenti clandestini. Collaboro' al "Non mollare", nel 1941 aderi' a "Giustizia e Liberta'" e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'Azione. Assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico Redenti fu uno dei principali ispiratori dei Codice di procedura civile del 1940, dove trovarono formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli veniva richiesta dal Rettore del tempo. Nominato Rettore dell'Universita' di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicche' esercito' effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioe' dalla liberazione di Firenze, all'ottobre 1947. Presidente del Consiglio nazionale forense dal 1946 alla morte, fece parte della Consulta Nazionale e della Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipo' attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sugli accordi lateranensi, sulla indissolubilita' del matrimonio, sul potere giudiziario. Nel 1948 fu deputato per "Unita' socialista". Nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di "Unita' popolare" assieme a Ferruccio Parri, Tristano Codignola e altri. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Universita' di Firenze, direttore con Carnelutti della "Rivista di diritto processuale", con Finzi, Lessona e Paoli della rivista "Il Foro toscano" e con Alessandro Levi del "Commentario sistematico della Costituzione italiana", nell'aprile del 1945 fondo' la rivista politico-letteraria "Il Ponte". Mori' a Firenze nel 1956". Tra le opere di Piero Calamandrei segnaliamo particolarmente Uomini e citta' della Resistenza, edito nel 1955 e successivamente ristampato da Laterza, Roma-Bari 1977, poi riproposto da Linea d'ombra, Milano 1994, e nuovamente ripubblicato da Laterza nel 2006]

L'art. 34 dice: "I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi piu' alti degli studi". Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra Costituzione c'e' un articolo che e' il piu' importante di tutta la Costituzione, il piu' impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l'avvenire davanti a voi. Dice cosi':
"E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
E' compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignita' di uomo. Soltanto quando questo sara' raggiunto, si potra' veramente dire che la formula contenuta nell'art. primo - "L'Italia e' una Repubblica democratica fondata sul lavoro" - corrispondera' alla realta'. Perche' fino a che non c'e' questa possibilita' per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potra' chiamare fondata sul lavoro, ma non si potra' chiamare neanche democratica perche' una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, e' una democrazia puramente formale, non e' una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della societa', di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la societa'.
E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione e' in parte una realta', ma soltanto in parte e' una realta'. In parte e' ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!
E' stato detto giustamente che le costituzioni sono anche delle polemiche, che negli articoli delle costituzioni c'e' sempre anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica, di solito e' una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui e' venuto fuori il nuovo regime.
Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili politici, ai diritti di liberta', voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste liberta', che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute. Quindi, polemica nella parte dei diritti dell'uomo e del cittadino contro il passato.
Ma c'e' una parte della nostra Costituzione che e' una polemica contro il presente, contro la societa' presente. Perche' quando l'art. 3 vi dice: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana" riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Da' un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l'ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalita', di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Ma non e' una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, e' una Costituzione che apre le vie verso l'avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perche' per rivoluzione nel linguaggio comune s'intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma e' una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa societa' in cui puo' accadere che, anche quando ci sono, le liberta' giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche, dalla impossibilita' per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c'e' una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della societa'. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto e' in noi per trasformare questa situazione presente.
Pero', vedete, la Costituzione non e' una macchina che una volta messa in moto va avanti da se'. La Costituzione e' un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perche' si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l'impegno, lo spirito, la volonta' di mantenere queste promesse, la propria responsabilita'. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione e' l'indifferenza alla politica, l'indifferentismo politico che e' - non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani - una malattia dei giovani.
"La politica e' una brutta cosa", "che me ne importa della politica": quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscera', d quei due emigranti, due contadini, che traversavano l'oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l'altro stava sul ponte e si accorgeva che c'era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava: E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: "Ma siamo in pericolo?", e questo dice: "Se continua questo mare, il bastimento fra mezz'ora affonda". Allora lui corre nella stiva svegliare il compagno e dice: "Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz'ora affonda!". Quello dice: "Che me ne importa, non e' mica mio!". Questo e' l'indifferentismo alla politica.
E' cosi' bello, e' cosi' comodo: la liberta' c'e'. Si vive in regime di liberta', c'e' altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch'io! Il mondo e' cosi' bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non e' una piacevole cosa. Pero' la liberta' e' come l'aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent'anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perche' questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla liberta' bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
La Costituzione, vedete, e' l'affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma e' l'affermazione solenne della solidarieta' sociale, della solidarieta' umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E' la carta della propria liberta', la carta per ciascuno di noi della propria dignita' di uomo.
Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946, questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le liberta' civili e politiche, la prima volta che ando' a votare dopo un periodo di orrori - il caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo - io ero a Firenze, lo stesso e' capitato qui - queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perche' avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignita', questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunita', questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi, voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventu', farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto - questa e' una delle gioie della vita - rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non e' solo, che siamo in piu', che siamo parte di un tutto, nei limiti dell'Italia e nel mondo.
Ora vedete - io ho poco altro da dirvi -, in questa Costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c'e' dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane.
Quando io leggo, nell'art. 2, "l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale", o quando leggo, nell'art. 11, "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli", la patria italiana in mezzo alle altre patrie, dico: ma questo e' Mazzini; o quando io leggo, nell'art. 8, "tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge", ma questo e' Cavour; quando io leggo, nell'art. 5, "la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali", ma questo e' Cattaneo; o quando, nell'art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate, "l'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica" esercito di popolo, ma questo e' Garibaldi; e quando leggo, all'art. 27, "non e' ammessa la pena di morte", ma questo, o studenti milanesi, e' Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani.
Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perche' la liberta' e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa e' una carta morta, no, non e' una carta morta, questo e' un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove e' nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque e' morto un italiano per riscattare la liberta' e la dignita', andate li', o giovani, col pensiero perche' li' e' nata la nostra Costituzione.

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- AA. VV., Potere vaticano, volume monografico di "MicroMega", n. 4, Roma 2018, Gedi, Roma 2018, pp. 208, euro 15.
- Tiziana Noce, Benedetto XV, Rcs, Milano 2018, pp. 192, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Riletture
- John Dos Passos, Tempi migliori, Sugarco, Milano 1991, pp. 296.
- Philip Roth, Operazione Shylock, Einaudi, Torino 1998, 2006, pp. IV + 466.
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Riedizioni
- Gajto Gazdanov, Strade di notte, Fazi, Roma 2017, Gedi, Roma 2018, pp. 208, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica" e al settimanale "L'Espresso").
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Gialli
- Tessa Harris, La maledizione di Lazzaro, Mondadori, Milano 2018, pp. 264, euro 5,90.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3085 del 3 giugno 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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