[Nonviolenza] Telegrammi. 3019



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3019 del 29 marzo 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

Sommario di questo numero:
1. Blessing Okoedion e papa Francesco: Una domanda e una risposta
2. Marica Tolomelli: Danilo Dolci
3. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
4. L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. HIC ET NUNC. BLESSING OKOEDION E PAPA FRANCESCO: UNA DOMANDA E UNA RISPOSTA
[Dall'incontro di papa Francesco con i giovani al Pontificio Collegio Internazionale "Maria Mater Ecclesiae" del 19 marzo 2018 riprendiamo il seguente dialogo]

- Blessing Okoedion (giovane vittima di tratta, ha raccontato la sua storia nel libro "Il coraggio della liberta'", Ed. Paoline): Mi chiamo Blessing Okoedion e sono nigeriana. Quattro anni fa sono arrivata in Italia coinvolta con inganno nella tratta degli esseri umani. Un'esperienza drammatica, di totale annullamento delle mia dignita'. Ma con la fede in un "Dio che non dorme" ho trovato il coraggio di denunciare e di uscire da quell'inferno. In una comunita' di suore, ho ritrovato la mia resurrezione. Ma e' proprio per questa liberta' conquistata che sento forte e faccio mio il grido di aiuto e di liberazione di tante giovani donne mie sorelle, ancora oggi umiliate e schiavizzate sulle nostre strade e mi chiedo: come aiutare i giovani a prendere consapevolezza di questo "crimine contro l'umanita'", come Tu Papa Francesco l'hai definito? Come aiutarli a restare umani e contrastare e vincere una mentalita' malata che riduce la donna a schiava, a proprieta' dell'uomo, a merce o per profitto o per proprio piacere egoistico? Caro Papa Francesco, quello che piu' mi inquieta e' proprio la domanda, i troppi clienti e molti di questi, come e' stato detto, sono cattolici. Mi chiedo e ti chiedo, ma la Chiesa, ancora troppo maschilista, e' in grado di interrogarsi con verita' su questa alta domanda dei clienti? Puo' essere credibile nel proporre ai giovani cammini di relazione tra uomo e donna libere e liberanti?
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- Papa Francesco: La domanda e' senza anestesia, ma e' la realta', e' la realta'. Sono stato l'anno scorso a visitare una delle case delle ragazze che sono state liberate da questa schiavitu': e' da non credere. Una e' stata rapita in Moldavia e portata in macchina, dietro, dove vanno i bagagli, legata, tutta una notte, fino a Roma, minacciata, se fosse scappata, di uccidere i genitori. Poi, quelli che resistono - lo abbiamo sentito nel primo intervento sull'Africa - ci sono i giorni di ammorbidimento - in spagnolo diciamo el ablande: ti picchiano, torturano, e alla fine vincono. Poi - questo mi raccontavano le ragazze - poi incominciano il lavoro e in quel momento, per difendersi, fanno quello che io chiamo - non so se scientificamente sia cosi', ma io lo chiamo - una schizofrenia difensiva: isolano il cuore, isolano la mente e soltanto dicono: "Questo e' il mio lavoro", ma non si coinvolgono, per salvare quello che possono della loro dignita' interna, ma la dignita' esterna e sociale e' a terra. E cosi' si difendono. Ma senza alcuna speranza. Alcune sono riuscite a fuggire, ma la mafia di questa gente, le cordate tra loro, le perseguitano; le trovano e alcune volte si vendicano. Quelle che vengono, per esempio, dall'Africa e da un Paese dell'Europa - almeno questo e' quello che so - vengono ingannate per un lavoro, non solo rapite, ma alcune ingannate: [promettono] un lavoro di hostess o di aiutante in aerei, e qui subito sono infilate in questa vita. Ma quando si liberano, non hanno il coraggio di tornare a casa, perche' c'e' la dignita' della famiglia, e non hanno il coraggio di dire la verita', non possono. Ma non perche' siano codarde, perche' amano tanto la famiglia che questo impedisce che i loro genitori, i loro fratelli e sorelle siano sporcati da questa storia. E non possono tornare. E rimangono girando come possono, trovando un altro lavoro... Una delle ragazze ha detto che quando due volte non ha portato la somma che doveva portare quel giorno, le hanno tagliato l'orecchio; altri rompono loro le dita, e queste cose, torture, se non fanno questo. Questa e' una schiavitu' di oggi. E credo che qui in Italia, parlando dei clienti, credo - faccio un calcolo senza fondamento, ma credo che sia verosimile - il 90% sono battezzati cioe', come diceva lei, cattolici. Io penso allo schifo che devono sentire queste ragazze quando questi uomini fanno fare loro queste cose... Ricordo una volta, c'e' stato un incidente a Buenos Aires, in un discoteca, sono morte 200 persone; io sono andato a trovare i feriti in ospedale e in una terapia intensiva c'erano due anziani: avevano perso i sensi, avevano avuto un ictus. Mi hanno detto: "Questi due sono stati portati qui dal postribolo". Anziani, giovani... queste ragazze sopportano tutto... Ho parlato con loro - una bella riunione - in una delle case di don Benzi, un sacerdote che ha fatto tutto un lavoro per riscattare queste ragazze; loro hanno un metodo. Le ragazze sono sorvegliate; si avvicina uno di loro e incomincia a parlare, apparentemente per mettersi d'accordo sul prezzo, ma invece di dirle: "Quanto costi?", si domanda: "Quanto soffri?". La ragazza ascolta, lui le parla brevemente, le da' un biglietto: "Noi ti porteremo via, nessuno ti trovera'", con un numero di telefono. E l'80% delle ragazze chiama. "Va benissimo, stai tranquilla: quale giorno e' il piu' sicuro per te?" - "Tale" - "In quell'angolo a tale ora", passa con la macchina... e la portano fuori Roma. Hanno le case, e li' incomincia la terapia. E' una bella terapia che fanno. E poi l'inserimento. E' una delle opere che si fa qui a Roma, che io conosco, che mi ha coinvolto; ma se ne fanno tante. Poi parlo del fenomeno, ma ho voluto incominciare con questo [aspetto] positivo. E' interessante: in quella riunione c'erano il cappellano e due volontari. Quando una ragazza ha raccontato la storia, il volontario che era accanto, uno di quelli che l'aveva aiutata a riprendersi... era il marito! Si erano innamorati, si erano sposati. E l'altro era il fidanzato dell'altra. Ho visto un reinserimento bellissimo. Ma ritorno qui a quello che lei ha detto: è un crimine contro l'umanita', e' un delitto contro l'umanita' e nasce da una mentalita' malata: la donna va sfruttata. E al giorno d'oggi non c'e' femminismo che sia riuscito a togliere questo dalla coscienza, dall'inconscio piu' profondo o dall'immaginario collettivo, diciamo cosi'. La donna va sfruttata, in un modo o nell'altro. E cosi' si spiega questa... malattia dell'umanita', e' una malattia di un modo di pensare sociale, e' un crimine contro l'umanita'.
Ho parlato dei metodi [per aiutarle]. Quelle che sono capaci di aiutare meglio queste ragazze, sono le donne, le suore. Ma ci sono anche donne che le vendono! Ho saputo la storia di una dell'Africa, una ragazza che aveva finito una parte dell'universita' e voleva lavorare; e una signora, non ricordo se era una consacrata di una parrocchia o una signora dell'Azione Cattolica di quella parrocchia, si e' interessata: "Io ti faccio il collegamento, tutto il collegamento...", e l'aspettavano in aeroporto e dall'aeroporto a lavorare. E' stata ingannata. Poi e' stata riscattata da uno di questi gruppi e l'hanno portata in una casa per riprendersi. E' uscita la superiora: "No!", ha gridato [quella ragazza]; ha visto una suora e ha detto "No!", perche' era stata venduta. Non so se da una suora, forse... lei diceva una signora, una laica, una cattolica, ma della parrocchia. E alla fine e' rimasta li' e ha aiutato tanto. Ma anche gente che si dice cattolica... ma forse una minoranza di questi... e' una malattia: la donna va sfruttata! Io mi rallegro che i giovani lottino per questa causa. Questa e' una delle lotte che io chiedo a voi giovani di fare: per la dignita' della donna. Per la dignita', che e' di piu' del fatto che la donna possa fare questo o non possa fare quest'altro, che possa diventare questo o quell'altro, no: e' degna, e' figlia di Dio. Di piu': nel racconto della Creazione e' quella che ha stupito l'uomo: ah, la bellezza, la bellezza della donna! E poi, si finisce cosi'. Alcuni governi cercano di fare pagare multe ai clienti, ma non funzione tanto questo, per i dati che ho. Il problema che tu hai detto r' un problema grave, grave, grave, e io vorrei che voi lottaste per questo. I giovani. E per favore, se un giovane ha questa abitudine, la tagli! E' un criminale. Chi fa questo e' un criminale. "Ma Padre, non si puo' fare l'amore?". No, no, questo non e' fare l'amore. Questo e' torturare una donna. Non confondiamo i termini. Questo e' criminale. Mentalita' malata. E io voglio approfittare di questo momento, perche' tu hai parlato di battezzati, di cristiani, per chiedere perdono a voi e alla societa', per tutti i cattolici che fanno questo atto criminale.

2. MAESTRI. MARICA TOLOMELLI: DANILO DOLCI
[Dal sito www.treccani.it rirpendiamo la seguente voce estratta dal Dizionario Biografico degli Italiani (2017)]

Danilo Dolci, poeta e intellettuale-attivista, impegnato su diversi fronti, nacque a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924. Da alcune biografie (Capitini, 1958; Fontanelli, 1976; Barone, 2000) si ricava l'immagine di un'infanzia e una gioventu' sostanzialmente ordinarie per un ragazzo di estrazione sociale medio-borghese, nato sul confine orientale da una madre slovena, Meli Kondely, donna relativamente colta, amante della musica e animata da una profonda fede religiosa, e un padre italiano (Enrico, per la verita' italo-tedesco), ferroviere. Ebbe una sorella minore, Miriam Lippolis, scrittrice, impegnata ancora in tempi recenti a mantenere viva la memoria del fratello (Bisconti, 2013). A causa del lavoro del padre la famiglia dovette presto trasferirsi in Lombardia, dove Danilo frequento' la scuola fino al conseguimento del diploma tecnico (geometra) a Pavia e poi della maturita' artistica a Milano.
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Gli anni della formazione
Tra gli spostamenti lavorativi del padre occorre ricordare quello, breve ma decisivo, a Trappeto, in provincia di Palermo, nei primi anni Quaranta. Per il ragazzo le visite al seguito del padre furono occasione di un primo incontro con mondi molto lontani da quello in cui viveva, compresa una poverta' a lui sconosciuta.
Le esperienze maggiormente incisive per la biografia del giovane furono due: il rifiuto di arruolarsi nell'esercito della Repubblica sociale italiana (RSI), ragione per cui nel 1943 fuggi' in Abruzzo maturando una profonda avversione per la violenza e il militarismo; l'incontro con la comunita' cattolica di Nomadelfia (presso l'ex campo di concentramento di Fossoli, vicino Modena) e il suo animatore, don Zeno Saltini. Quest'ultimo avvenimento segno' una svolta nella vita di Dolci: nel 1950, all'eta' di 26 anni, abbandono' gli studi in architettura quasi completati a Milano, la fidanzata e il lavoro come insegnante presso una scuola serale di Sesto S. Giovanni (dove aveva conosciuto Franco Alasia, suo futuro strettissimo collaboratore) per prendere parte alla vita comunitaria di Nomadelfia. L'esperienza fu profondamente formativa, Dolci visse con grande fervore quel periodo e partecipo' anche alla fondazione di un secondo centro comunitario nella provincia di Grosseto. Li' si era "come ripulito ed essenzializzato", poi pero' se ne distacco', sentiva il bisogno di uscire da una comunita' che era "come un'isola, un nido caldo", per entrare in contatto con "il resto del mondo" (Dolci, 1968, p. 15). Trappeto, "il paese piu' misero che ave[esse] mai visto", gli parve pertanto la destinazione ideale.
Nonostante la centralita' del rapporto con don Saltini, questo passaggio segno' una ormai definitiva presa di distanza dalle forme di dedizione umanitaria e sociale tipiche dell'impegno cattolico, per approdare a una prassi piu' apertamente laica e dettata dalla necessita' di intervenire su realta' inaccettabili per modificarle. Questo atteggiamento avvicinava Dolci ad altre figure animate da una profonda spiritualita' 'metaconfessionale', mentre lo allontanava, necessariamente, dal cattolicesimo istituzionale.
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La Sicilia, punto di incontro tra Nord e Sud e "il bisogno di collaborare alla vita"
L'arrivo in Sicilia, nel gennaio 1952, segno' la fase piu' intensa della sua vita. Nei primi anni Cinquanta la Sicilia era una sorta di metafora della condizione di indigenza, arretratezza e noncuranza che ampi strati di popolazione dell'ex Regno delle due Sicilie erano ancora costretti a sopportare senza che le classi dirigenti italiane - in sostanziale continuita' tra il periodo liberale, quello fascista e quello repubblicano - fossero riuscite o si fossero preoccupate di affrontare in maniera risolutiva. Trappeto e Partinico erano luoghi al contempo concreti, caratterizzati da una miseria indicibile e da un bisogno improrogabile di intervento, ma anche simboli del malessere profondo che attraversava diffusamente l'intero Mezzogiorno. L'esistenza di gravissime condizioni di arretratezza e deprivazione - connesse al problema della squilibrata distribuzione fondiaria - non era ignota alla classe dirigente italiana. Nello stesso periodo in cui Dolci decise di recarsi presso i piu' poveri e di denunciare, attraverso la pubblicazione dei suoi studi - tra i primi e più noti Fare presto (e bene) perche' si muore (Torino 1954); Banditi a Partinico (Bari 1955); Inchiesta a Palermo (Torino 1956) -, una Commissione parlamentare incaricata di condurre un'inchiesta "sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla", condusse le proprie ricerche, tra il maggio 1952 e il giugno 1953, mettendo in luce una realta' di arretratezza che strideva dolorosamente con l'orizzonte di sviluppo e benessere che si stava preannunciando (Braghin, 1978; Fiocco, 2004).
Il fatto che la questione della poverta' fosse oggetto di iniziative politiche, nonche' di una certa attenzione pubblica, contribui' probabilmente ad amplificare la risonanza del dramma di Trappeto, dove nell'ottobre 1952 un bambino poco piu' che neonato mori' di stenti. La vicenda avrebbe potuto essere letta semplicemente come una triste conferma della gravita' del problema della miseria, ma assunse un significato ben piu' ampio nel momento in cui il giovane Danilo Dolci, da poco arrivato, intraprese uno sciopero della fame per esprimere pubblicamente la sua indignazione e necessita' di ribellione. Come avrebbe piu' tardi spiegato, la sua iniziativa non si baso' su presupposti teorici, essa fu piuttosto una istintiva, umana reazione di fronte a una realta' inaccettabile: "Allora cominciai a digiunare. Non c'era un ragionamento preciso, non avevo letto Gandhi, sapevo solo che non potevo accettare che esistesse un paese senza fognature, senza strade. Anzi le fognature erano le strade stesse. Volevo manifestare istintivamente la mia solidarieta'. Avevo la vaga intuizione [...] che nella zona le cose potessero cambiare" (Intervista, Tarozzi, 1995).
La sua intuizione che "le cose potessero cambiare" nascondeva la determinazione, costante nella sua vita, a intervenire sulla realta' per infrangere forme di dominio 'naturalizzate'. Si trattava di un'ambizione niente affatto infondata: quando si trasferi' in Sicilia le regioni meridionali della neonata Repubblica italiana avevano gia' alle spalle una intensa stagione di lotte per la riforma agraria. Dai decreti Gullo del 1944 al lodo De Gasperi del 1946, passando per gli eccidi di Portella delle Ginestre (1947), di Melissa, di Montescaglioso e di Torremaggiore (1949), le terre del Sud erano state oggetto di una conflittualita' sociale e politica asperrima, in cui la posta in gioco piu' immediata risiedeva nella riforma della proprieta' fondiaria, quella a piu' lunga scadenza nell'emancipazione sostanziale della maggior parte della popolazione meridionale.
La Sicilia era in quegli anni parte importante dell'orizzonte spaziale, sociale e politico in cui si adoperavano le sinistre italiane per cercare di intercettare, sostenere e guidare il riscatto sociale cui aspirava la popolazione contadina (Rochefort, 2005). Figure come Girolamo Li Causi (primo segretario regionale del Partito comunista), Raniero Panzieri (dal 1949 in Sicilia, dal 1951 segretario regionale del Partito socialista), per non parlare di Giuseppe Di Vittorio e della sua CGIL, ma anche di intellettuali e attivisti come Carlo Levi o Rocco Scotellaro, furono tra i protagonisti piu' impegnati nello spirito di emancipazione e rinnovamento che animo' profondamente le popolazioni meridionali negli anni della ricostruzione - economica, ma anche e soprattutto politica, nel senso di costruzione della democrazia.
Dolci non era dunque solo nel suo anelito a cambiare le cose - in Italia, nel Mezzogiorno, in Sicilia - ma lo espresse, anzi lo agi', in maniera diversa dalla sinistra istituzionale, non solo in merito alla pronunciata connotazione spirituale (ma mai confessionale) che caratterizzo' soprattutto i primi anni della sua esperienza, ma anche rispetto al metodo. Dopo i primi mesi a Trappeto si impegno' nella realizzazione di un progetto comunitario ed educativo, il Borgo di Dio. Si trattava di una forma di intervento di ispirazione umanitaria-religiosa che rifletteva, ma solo in parte, l'esperienza di Nomadelfia. Anche il Borgo, come Nomadelfia, fu creato per accogliere in primo luogo bambini abbandonati a se stessi e destinati a un futuro sventurato. A differenza del progetto di don Saltini, aspirante a una comunita' esemplare, quello di Dolci mirava tuttavia a innescare sinergie virtuose tra le risorse, le energie e i valori gia' presenti all'interno della comunita'. Il suo intento era infatti quello di "collaborare alla vita", non guidarla - cosi' come il suo amico Aldo Capitini ricordava, citando le stesse parole di Dolci, nella biografia che gli dedico' gia' pochi anni dopo averlo conosciuto (Capitini, 1958, p. 33).
Il suo originale modo di porsi dalla parte degli e con gli oppressi esercito' una straordinaria attrazione su alcuni ambienti sia della sinistra che del cristianesimo sociale. Numerosi giovani intellettuali inseriti in contesti culturali e politici agli antipodi di Trappeto o Partinico furono talmente incuriositi da cio' che stava accadendo nella lontana Sicilia, che vi si recarono di persona, trattenendosi per un certo periodo. Scrive Gabriele Corsani: "In particolare intorno alla Trappeto di Dolci ruotano numerosi gruppi di persone, di Milano, Genova, Bologna, Firenze, Siena e Roma [...]; attraverso loro sono collegati i mondi [...] di Ernesto Bonaiuti, Zeno Saltini, Aldo Capitini, Lamberto Borghi, David Maria Turoldo" (Corsani, 2012, p. 168). Accanto a questi luoghi e a questi nomi occorre ricordare anche una vivace rete di giovani donne, soprattutto insegnanti, pedagogiste e scrittrici che si sentirono fortemente attratte dagli innovativi progetti pedagogici prima di Borgo di Dio e poi, dal 1975, del Centro educativo di Mirto. Tra queste ricordiamo Grazia Fresco, Maria Fermi Sacchetti, Margherita Pieracci, Cristina Vittoria Guerrini (poi nota col nome di Cristina Campo), Maria Chiappelli, Anna Bonetti, Ida Sacchetti (Pieracci Harwell, 2012). E, ancora, la pedagogista svedese Elena Norman, futura seconda moglie di Dolci (con cui ebbe i figli Sereno ed En) dopo la rottura del ventennale matrimonio con Vincenzina Mangano, colei che di fatto medio' l'integrazione di Dolci a Trappeto accogliendolo nella sua famiglia - era vedova con cinque figli - per ampliarla e aggiungervi gli altri cinque avuti con lui (Libera, Amico, Cielo, Chiara, Daniela). Occorre inoltre ricordare anche i legami con Torino, da dove presero le mosse giovani sociologi e intellettuali come Vittorio Rieser e Giovanni Mottura e, per altre ragioni, Goffredo Fofi, per andare a conoscere da vicino l'esperienza dolciana. Nonostante la relativa breve durata del loro soggiorno e alcune rilevanti divergenze, politiche e personali - la collaborazione con una personalita' cosi' forte come Dolci non fu sempre facile - questa esperienza fu fondamentale per coloro che, come Raniero Panzieri che aveva seguito da vicino l'attivita' di Dolci (Rizzo, 2001), pochi anni piu' tardi avrebbero dato vita all'esperienza dei Quaderni Rossi, divenendo un nucleo estremamente fecondo della sinistra eterodossa italiana.
Ecco perche' si ritiene che la Sicilia, la Sicilia di Danilo Dolci in particolare, fu uno snodo cruciale per lo formazione politica di un certo ambiente intellettuale su scala nazionale. Alla meta' degli anni Cinquanta le idee della democrazia di base, dell'intervento non al di sopra ma all'interno delle e con le masse, idee che avrebbero caratterizzato profondamente la 'nuova sinistra' transnazionale negli anni a venire, avevano gia' trovato una prima significativa esperienza nel particolare ambiente politico, culturale e umano da lui creato. In particolare la pratica della 'autoanalisi popolare' - un laborioso processo preliminare alla presa di decisioni collettive cosi' come alla costruzione di volonta' politiche condivise - e 'l'inchiesta', volta a trasformare l'oggetto dell'intervento conoscitivo in soggetto consapevole della propria condizione e artefice del cambiamento, furono esperienze cruciali che avrebbero segnato in maniera determinante il lavoro politico del futuro gruppo torinese, il metodo della 'conricerca' (Rieser, 2008; Mottura, 2014) e nuove inchieste sociali, come quella sugli immigrati meridionali a Torino (Fofi, 1964). L'esperienza con Dolci fu sotto questo punto di vista uno snodo cruciale per la circolazione di idee e pratiche di 'vita associata democratica', che per vie e reti relazionali multidirezionali attraversarono l'intero Paese.
L'interesse e il riconoscimento della particolare rilevanza dell'impegno dolciano esorbito' inoltre dai confini nazionali: ne sono prova non solo le numerose traduzioni dei suoi scritti in diverse lingue, ma anche l'attribuzione di una serie di importanti premi e titoli onorari. Tra questi ricordiamo il premio Lenin per la pace (1958), grazie al quale fondo' il Centro studi e iniziative per la piena occupazione a Partinico, e il premio Sonning per il contributo alla civilizzazione europea (1971), ma l'elenco e' ben piu' ricco - ne riporta dettagliate informazioni la nota biografica di Ragone (Ragone, 2011, pp. 13-50) - e comprende anche prestigiosi premi letterari, come il premio internazionale Viareggio per la raccolta di poesie Creatura di creature (Milano 1979).
Cosa contraddistingueva l'impegno di Dolci al punto di farne una figura di riferimento cosi' significativa e influente in Italia come all'estero? Due ci paiono i tratti piu' essenziali della sua ricca biografia.
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La centralita' del lavoro, premessa di liberta' e democrazia
Scriveva Aldo Capitini nel 1958: "Chi puo' negare che ci sia una linea dal Danilo Dolci che nel gennaio 1952 arrivo' a Trappeto per aiutare quelli 'che non ce la facevano' a vivere, al Danilo Dolci di oggi, tutto impegnato a stimolare tutti a fare dell'Italia una Repubblica veramente fondata sul lavoro?" (Capitini, 1958, p. 29). Dolci colse il senso del lavoro come dimensione cruciale per il riscatto sociale e il superamento di rapporti di prevaricazione sin dai primi mesi del suo arrivo a Trappeto e su tale consapevolezza continuo' a lungo a orientare gran parte del suo impegno. Nel particolare tessuto politico e sociale siciliano il lavoro si caricava infatti di un valore particolare di liberazione da un dominio di matrice feudale che continuava a condannare vasti strati di popolazione all'indigenza, all'ignoranza e alla subordinazione passiva su basi di violenza intimidatrice. Tutto cio' era in buona parte riconducibile al fenomeno mafioso, un problema enorme di fronte al quale Dolci, in stretta collaborazione con Franco Alasia, non si sottrasse, intraprendendo inchieste in grado di rendere noti nomi e modalita' di un sistema che lui defini' clientelare-mafioso (Dolci, 1966; Id., 1968), e che gli costo', come pure ad Alasia, un processo per diffamazione e una condanna poi condonata.
Tornando alla questione del lavoro, emerge quanto le azioni di Dolci fossero in sintonia, nonostante le diverse modalita', con le lotte portate avanti dalla sinistra italiana in quello stesso periodo. Negli anni Cinquanta la questione del lavoro riguardava infatti l'intero Paese, basti ricordare la mobilitazione della CGIL di Di Vittorio, che con il suo Piano del lavoro (1949-50) aveva contribuito non poco a caricare di istanze concrete l'art. 1 della neonata Repubblica italiana (Loreto - Musso, 2014). Un raccordo particolarmente significativo tra l'intervento di Dolci in Sicilia e l'impegno civile e politico della sinistra italiana si ebbe in occasione dello 'sciopero a rovescia', organizzato da Dolci nei primi mesi del 1956 per richiamare l'attenzione sull'assenza di infrastrutture elementari, come le strade, e le effettive possibilita' occupazionali nella provincia palermitana. Non si trattava di una forma di lotta inedita nell'Italia di quel periodo, inedita fu tuttavia la rete di solidarieta' nazionale che si sviluppo' a seguito dell'arresto di Dolci e di quattro sindacalisti coinvolti nello sciopero (Schirripa, 2010, p. 73 sgg.). Il processo a Dolci fu tramutato dal suo illustre difensore Piero Calamandrei in un atto d'accusa contro una classe dirigente che non si premurava di onorare il diritto costituzionale al lavoro sancito dall'art. 4. Grazie alla vasta solidarieta' sviluppatasi numerosi intellettuali, politici, e scrittori si presentarono al processo per deporre in favore degli accusati, testimonianze che l'editore Einaudi pubblico' prontamente nel volume Processo all'art. 4 (Torino 1956) e che a distanza di sessant'anni testimoniano della centralita' ascritta a una certa concezione del lavoro per la costruzione della democrazia nell'Italia postfascista (Fofi, 2006). Una concezione che Dolci e i suoi compagni di lotta espressero come segue in una lettera indirizzata alle piu' alte cariche istituzionali per spiegare le ragioni dello 'sciopero a rovescia' e il relativo digiuno intrapreso: "Non per disperazione oggi digiuniamo, ma nella speranza di contribuire perche' l'Italia diventi un paese civile. Sappiamo che lavorando generosamente siamo la vita. Chi ci impedisce e' assassino: non paghiamo le tasse perche' il nostro paese [...] sia una mala galera in mano ai prepotenti. Firmato: mille cittadini che credono nell'articolo 4 della Costituzione" (Dolci in Spagnoletti, 1977, p. 83).
Il lavoro espressione di vita: questa l'idea che avrebbe guidato lunghe e difficili lotte, ma coronate dal successo, per interventi sul territorio atti a favorire l'occupazione e una vita dignitosa alla popolazione. Dolci alterno' progetti concreti, come la realizzazione delle dighe dello Jato e di Roccamena (Barbera, 1964), a iniziative di ricerca, approfondimento e raccolta di fondi per promuovere il lavoro. Rientravano tra queste sia l'organizzazione di importanti convegni che con la partecipazione di studiosi autorevoli contribuirono a fare della piena occupazione una istanza di respiro nazionale, sia la realizzazione di centri permanenti di studio, come il Centro studi e iniziative per la piena occupazione nel 1958 (poi Centro per lo sviluppo creativo) e il Centro di formazione per la pianificazione organica, dal 1968, volto alla formazione di quadri competenti per l'intervento sul territorio a partire da un confronto costante con la popolazione locale.
Tutti i diversi ambiti di azione erano di pari importanza nell'approccio dolciano alla questione del lavoro. Sul piano economico-produttivo egli mirava a promuovere lo sviluppo di un'agricoltura svincolata dal controllo mafioso e capace di garantire il benessere della popolazione; su quello politico e pedagogico si adoperava invece affinche' gli obiettivi perseguiti si realizzassero attraverso pratiche politiche autenticamente democratiche e nonviolente, contribuendo di conseguenza ad alimentare costantemente la cultura politica della partecipazione.
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La nonviolenza e la partecipazione come pratiche di democrazia
La nonviolenza e' stata a lungo, e giustamente, identificata come la cifra peculiare dell'agire dolciano. Per Dolci stesso la nonviolenza costituiva un valore imprescindibile, su di essa scrisse e fu spesso chiamato a esprimersi esplicitamente. Praticare la nonviolenza significava per lui aprirsi al mondo e lottare per il suo cambiamento con mezzi tali da prevenire il riprodursi della violenza. Il rifiuto di uccidere, l'importanza di sottrarsi a schieramenti ideologici e chiusure pregiudiziali, credere nella possibilita' di infrangere consolidate forme di dominio e sopruso furono i principi cardine che orientarono con estrema coerenza la sua vita e le sue numerosissime iniziative. Il digiuno - a partire da quello dell'ottobre 1952 - divenne con lui una pratica originale ed efficace nel panorama politico degli anni Cinquanta, segnato soprattutto da scioperi e proteste di piazza, oltre che repressioni da parte delle forze dell'ordine, troppo spesso degenerate in omicidi di manifestanti.
Come gia' ricordato, il suo primo sciopero della fame non si rifaceva a presupposti teorici di alcun tipo. La notizia dell'atipica protesta dolciana colpi' invece immediatamente l'attenzione di un precursore della nonviolenza nell'Italia repubblicana, il filosofo Aldo Capitini, il quale da Perugia gli fece pervenire parole di piena approvazione e sostegno. Questa presa di contatto fu non solo il primo passo di una nuova e importante amicizia; l'intenso confronto con Capitini, durato fino alla morte di questi (1968), rappresento' anche l'occasione per avviare l'approfondimento teorico dei presupposti della nonviolenza. Sotto questo profilo Capitini fu un vero e proprio maestro per Dolci e questi, dal canto suo, fu indubbiamente uno dei migliori 'allievi' del filosofo. Come emerge dalla corrispondenza tra i due (Barone - Mazzi, 2008), Capitini vedeva nell'agire di Dolci la migliore concretizzazione dei suoi ideali e della sua concezione di azione nonviolenta. La nonviolenza fu per certi versi la base piu' solida di convergenza tra i due, il nucleo valoriale a cui entrambi attinsero nell'alimentare la loro crescente stima reciproca e profonda amicizia.
Ci pare tuttavia che se si sposta il punto di osservazione dall'iniziale afflato spirituale alle attitudini mostrate nei decenni successivi, e' possibile sostituire progressivamente la cifra della nonviolenza con quella di una radicale consapevolezza democratica. Che si considerino la pratica dell'autoanalisi popolare, le sperimentazioni in ambito educativo, la concezione del metodo maieutico, o ancora, la trasformazione del Centro studi sull'occupazione in Centro per lo sviluppo creativo, si puo' constatare la costante presenza di un elemento profondamente qualificante il suo agire: la ricerca, la promozione, l'alimentazione della partecipazione, del coinvolgimento attivo e della presa della parola da parte di tutti i cittadini - non "paesani", come scriveva nella raccolta Il limone lunare (Bari 1970) - di una comunita'. In questo suo procedere Dolci alimentava circuiti comunicativi circolari e processi decisionali il piu' possibile condivisi, e promuoveva di fatto la cultura della democrazia diretta o democrazia di base, quella stessa che in altri contesti ma nello stesso periodo veniva teorizzata in termini di partecipatory democracy.
In questo aspetto, piu' ancora che nella nonviolenza, si distinse dalle pratiche degli altri attori impegnati in progetti di emancipazione di soggetti subalterni, tra cui, in primis, la sinistra istituzionale. Anche questa, nonostante un rapporto difficile con il tema della violenza rivoluzionaria, mai si fece promotrice di pratiche esaltanti la violenza. Se tra i digiuni di Dolci e le manifestazioni sindacali di piazza vi era insomma una sostanziale condivisione di pratiche nonviolente, la differenza risiedeva invece nell'importanza che egli attribuiva alla partecipazione di base. In questo Dolci si distanziava profondamente dalle modalita' verticistiche tipiche dei partiti dell'Italia repubblicana, necessariamente ancorati ai principi della democrazia rappresentativa, cui pero' spesso aggiungevano un di piu' di centralismo che certamente non stimolava la cultura della partecipazione democratica.
Sotto questo profilo Dolci puo' essere piu' adeguatamente collocato vicino all'orientamento della nuova sinistra, pur se egli mai vi si riconobbe esplicitamente. La sua sensibilita' per la democrazia sostanziale, per la cultura politica della partecipazione e della condivisione, cosi' come emerge anche nello scritto indirizzato Ai piu' giovani (Milano 1967), sempre piu' insofferenti all'ordine sociale esistente, attestano una implicita affinita' con l'orizzonte politico e culturale che nel corso degli anni Sessanta ando' strutturandosi attorno al pensiero della nuova sinistra transnazionale. Una certa affinita' puo' essere riscontrata non solo sul piano astratto dell'orizzonte valoriale, ma anche, e forse in misura ancora maggiore, rispetto alle pratiche della politica dolciana. Pratiche definite significativamente 'antiautoritarie' dal gruppo tedesco di solidarieta' terzomondista Brot fur die Welt (Ragone, 2012, p. 41), implicando un nesso, seppur indiretto, con l'antiautoritarismo caro alla nuova sinistra tedesca. L'antiautoritarismo dolciano si esprimeva particolarmente nell'importanza che egli attribuiva alla comunicazione, intesa come processo necessariamente creativo ed educativo, perche' fondato sullo scambio, confronto e sviluppo continuo di idee e saperi (Dolci, 1985). La crescente attenzione sui molteplici potenziali della comunicazione lo porto' peraltro a farsi involontariamente pioniere dell'uso democratico di un mezzo convenzionale quale la radio. Con la creazione di Radio libera Partinico nella primavera del 1970, per denunciare le condizioni in cui ancora viveva la popolazione colpita dal terremoto del Belice due anni prima, si inaugurava un impiego di questo mezzo come strumento di comunicazione dal basso e multidirezionale, in contrapposizione all'uso monodirezionale e controllato dai poteri pubblici fino ad allora praticato (Lorrai, 2015). Sotto questo profilo Dolci ci appare perfettamente in sintonia con le istanze su cui si sviluppo' la nuova sinistra, nonche' un anticipatore di alcune pratiche che l'avrebbero caratterizzata.
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La parabola di un percorso dedicato alla vita (civile)
Tra il Dolci che nel 1952 abbandono' il "caldo nido" di Nomadelfia per aprirsi al "resto del mondo" a quello dedito, negli anni Settanta, al Centro educativo di Mirto - su cui in piu' occasioni fece convenire i piu' competenti pedagogisti di fama internazionale -, al Dolci che nel 1985 trasformo' il Centro studi per la piena occupazione in Centro per lo sviluppo creativo, si puo' riconoscere il percorso di una vita condotta con estrema coerenza. La volonta' di partecipare alla vita per contribuire a cambiarne le condizioni piu' inaccettabili rappresentano un punto fermo nella biografia di Dolci, anche dopo gli anni Cinquanta, il periodo di maggior incisivita' della sua azione. La motivazione che lo porto' a intraprendere il suo primo digiuno fu la stessa che lo porto' a concentrarsi sui metodi educativi negli ultimi decenni della sua vita. Partendo da problemi concreti e circoscritti - l'indigenza, il dominio mafioso, il governo delle acque e l'organizzazione del territorio - focalizzo' progressivamente il suo intervento sull'educazione, intravedendovi le premesse fondamentali da cui partire per infrangere i meccanismi di riproduzione di ignoranza, dominio, violenza. Anche in questo ambito - incentrato sul concetto a lui caro di maieutica (Dolci, 1996; Ragone, 2011, pp. 177-82; Mangano, 1992) - egli non opero' individualmente, bensi' coinvolse pedagogisti, centri di ricerca, scuole, insegnanti, giovani, istituzioni nazionali e internazionali (gia' nel 1980 fu invitato a prendere parte a un simposio sull'educazione organizzato dall'UNESCO). La laurea honoris causa in scienze dell'educazione conferitagli dall'Universita' di Bologna nel 1996 attesta il riconoscimento istituzionale di cui fu coronato questo percorso.
L'evoluzione di Dolci non rifletteva tuttavia unicamente la sua maturazione interiore. Nel frattempo anche la Sicilia era cambiata, numerosi problemi erano rimasti, ma l'indigenza non era piu' causa di morte, la popolazione si era urbanizzata e integrata, soprattutto emigrando al Nord, nei circuiti dell'economia fordista e dei consumi di massa. I 'banditi' di Partinico si erano in qualche modo emancipati, altri erano forse diventati potenti mafiosi, ma la rudezza del tessuto sociale si era indubbiamente mitigata in virtu' di un processo di mobilita' sociale che aveva attraversato anche la Sicilia. Inoltre, le idee della democrazia di base avevano trovato una potente cassa di risonanza nelle culture giovanili, benche' caricate di connotazioni politiche diverse da quelle dolciane.
Va aggiunto, per concludere, che Dolci non coincise mai pienamente coi ruoli che ricopri' nelle diverse fasi della sua vita. La sua figura presentava punti di incontro e convergenza con mondi tra loro molto distanti - la spiritualita' cristiana, la sinistra marxista ortodossa ed eterodossa, il mondo della cultura e della scienza, la povera gente - senza mai aderire, tuttavia, esclusivamente ad alcuno di questi, all'insegna di una soggettivita' eccezionalmente ricca, che rifiutava appartenenze entro rigidi confini identitari. Ancora alla fine degli anni Novanta, quando lo si poteva ormai identificare come un pedagogista, benche' non smise mai di scrivere poesie, il suo impegno debordante si sposto' sulle attivita' della NATO in Sardegna, mettendone in discussione sia la legalita', sia il grave impatto ambientale. Il Dolci pedagogista si ricongiungeva cosi', secondo un moto circolare in continua espansione, col Dolci antimilitarista e pacifista gia' emerso in gioventu'.
La sua vita fu in effetti un moto intenso e continuo che si concluse nella sua amata Partinico il 30 dicembre 1997.
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Opere
Tra i testi selezionati per la stesura di questa voce biografica si vedano Chi gioca solo, Torino 1966; Ai piu' giovani, Milano 1967; Inventare il futuro, Bari 1968; Palpitare di nessi. Ricerca di educare creativo a un mondo nonviolento, Roma 1985; La struttura maieutica e l'evolverci, Scandicci 1996.
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Fonti e bibliografia
A. Capitini, D. D., Manduria 1958; L. Barbera, La diga di Roccamena, Bari 1964 (nuova ed. Porretta - Bologna 2016); G. Fofi, L'immigrazione meridionale a Torino, Milano 1964; Conversazioni con D. D., a cura di G. Spagnoletti, Milano 1977; Inchiesta sulla miseria in Italia, a cura di P. Braghin, Torino 1978; G. Fontanelli, D. D., Firenze 1984; A. Mangano, D. D. educatore. Un nuovo modo di pensare e di essere nell'era atomica, Fiesole 1992; Intervista di M. Tarozzi a D.D., Come l'ape che si posa su un fiore, in DuemilaUno, X (1995), 49, http://www.centrostudialeph.it/archivio/dolci/web_site/dda/tarozzi.html (6 sett. 2016); G. Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo biografico di D. D., Napoli 2000; D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia (1949-1955), Soveria Mannelli 2001; Raccontare D. D. L'immaginazione sociologica, il sottosviluppo, la costruzione della societa' civile, a cura di S. Costantino, Roma 2003; G. Fiocco, L'Italia prima del miracolo economico: l'inchiesta parlamentare sulla miseria, 1951-1954, Manduria 2004; G. Fofi, L'inchiesta sociale in Italia e le sue diramazioni, in Lo straniero, 2005, n. 62-63, pp. 46-50; R. Rochefort, Sicilia anni Cinquanta. Lavoro cultura societa', Palermo 2005 [Paris 1961]; Perche' l'Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a D. D., a cura di G. Fofi, Napoli 2006; Aldo Capitini - Danilo Dolci. Lettere 1952-1968, a cura di G. Barone - S. Mazzi, Roma 2008; V. Rieser, L'inchiesta nella fabbrica e nella societa', in L'inchiesta sociale in Italia, a cura di E. Pugliese, Roma 2008, pp. 55-59; V. Schirripa, Borgo di Dio. La Sicilia di D. D. (1952-1956), Milano 2010; M. Ragone, Le parole di D. D.. Anatomia lessicale-concettuale, Foggia 2011; Verso la citta' territorio. L'esperienza di D. D., a cura di G. Corsani - L. Guidi - G. Pizziolo, Firenze 2012 (in partic. G. Corsani, La nascita del Borgo di Dio. Presentazione dell'opuscolo, pp. 167-70; M. Pieracci Harwell, D. D. nei primi anni '50, pp. 123-37); P. Bisconti, Il ricordo di D. D. attraverso le parole della sorella, 2013, http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2013/02/10/il-ricordo-di-danilo-dolci-attraverso-le-parole-della-sorella-miriam/14496/ (15 agosto 2016); Il Piano del Lavoro del 1949: contesto storico internazionale e problemi interpretativi, a cura di F. Loreto - S. Musso, Roma 2014; G. Mottura, Vittorio Rieser e l'inchiesta, in Inchiesta, 2014, n. 184, pp. 19-20; M. Lorrai, La breve primavera della radio locale, in L'Italia e le sue regioni, a cura di M. Salvati - L. Sciolla, vol. 4, Societa', Roma 2015, pp. 425-42.
Principale sito di riferimento e' quello del Centro sviluppo creativo Danilo Dolci: http://danilodolci.org/

3. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

4. REPETITA IUVANT. L'ITALIA SOTTOSCRIVA E RATIFICHI IL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017.
Salvare le vite e' il primo dovere.

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Zygmunt Bauman, L'ultima lezione, Laterza, Roma-Bari 2018, pp. 42, euro 9.
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Riletture
- Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Laterza, Roma-Bari 1990, 1992, 2005, Il sole 24 ore, Milano 2010, pp. VIII + 344.
- Michele Ciliberto, Introduzione a Bruno, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. VI + 216.
- Michele Ciliberto (a cura di), Bruno, Rcs, Milano 2014, pp. 168.
- Anna Foa, Giordano Bruno, Il Mulino, Bologna 1998, 2015, pp. 108.
- Eugenio Garin, Bruno, Cei, Roma-Milano 1966, pp. 78 (nel volume doppio che contiene anche Paolo Rossi, Galilei, ibidem, pp. 80).
- Giovanni Antonio Locanto, La stessa fiamma. L'idea d'eroicita' in Bruno e Vico, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2001, pp. 112.
- Salvatore Prinzi, Giordano Bruno. Una filosofia eroica, Hachette, Milano 2016, pp. 144.
- Ingrid D. Rowland, Un fuoco sulla terra. Vita di Giordano Bruno, Laterza, Roma-Bari 2011, Gruner+Jahr/Mondadori, Milano 2011, pp. VI + 360.
- Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Giordano Bruno, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971, pp. 176.
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Riedizioni
- John Derbyshire, L'ossessiore dei numeri primi. Bernhard Riemann e il principale problema irrisolto della matematica, Bollati Boringhieri, Torino 2006, Rcs, Milano 2018, pp. 400, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3019 del 29 marzo 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

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