[Nonviolenza] Nonviolenza. Femminile plurale. 712



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
Numero 712 del primo marzo 2018

In questo numero:
1. Mao Valpiana: No al nucleare, Europa federale, benessere animale
2. Rino Nardo Gezzi: Una dichiarazione di voto a sostegno di Mao Valpiana
3. "Non una di meno": L'8 marzo la marea femminista torna nelle strade: noi scioperiamo!
4. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
5. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
6. L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari
7. Pasquale Pugliese ricorda Ekkehart Krippendorff
8. Il futuro e' nel dialogo
9. Sylvia Plath: Tulipani
10. Sylvia Plath: Papa'
11. Sylvia Plath: Circo a tre piste

1. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: NO AL NUCLEARE, EUROPA FEDERALE, BENESSERE ANIMALE
[Ringraziamo di cuore Mao Valpiana per questo intervento.
Mao (Massimo) Valpiana e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come giornalista. E' presidente nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa per la nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo  Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha  partecipato nel 1972 alla campagna per il riconoscimento  dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di  coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima  guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare  un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato  assolto); e' inoltre membro del comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International di Londra e dell'Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza di Bruxelles. E' stato Consigliere regionale del Veneto e consigliere comunale di Verona. Nel 2014 e'  stato tra i promotori dell'evento nazionale "Arena di pace e disarmo" che ha riunito 15.000 persone nell'anfiteatro veronese. Oltre ad innumerevoli scritti, pubblicati negli anni in molte riviste e in vari libri, ha curato due volumi dedicati ad Alexander Langer: "Fare la pace" (Cierre Edizioni, 2005, riedizione aggiornata nel 2017), e "Una buona politica per riparare il mondo" (Edizioni Legambiente, Biblioteca del Cigno, 2016). E' attualmente candidato dei Verdi nella lista "Insieme" per il Senato. Cura un blog personale: https://maovalpiana.wordpress.com/ e un blog su Huffington Post: http://www.huffingtonpost.it/author/mao-valpiana/ , per contatti:  Movimento Nonviolento, via Spagna  8, 37123 Verona, tel. 0458009803]

Ho aderito formalmente a tre richieste elettorali che giungono dalla societa' civile.
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Campagna #TiVotoSoloSe promossa dal Coordinamento di cittadini, associazioni, enti e istituzioni locali contro l'atomica, tutte le guerre e i terrorismi:
- Mi sono impegnato perche' l'Italia firmi il Trattato Onu per il bando delle armi nucleari.
https://www.facebook.com/hashtag/tivotosolose
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Campagna "Per un'Europa federale - Le responsabilita' dell'Italia" del Movimento Federalista Europeo:
- Mi sono impegnato a perseguire l'obiettivo politico di dotare le istituzioni europee di poteri di natura federale in grado di dar vita ad un'Europa sovrana, unita, democratica.
http://www.mfe.it/site/index.php/2018-elezioni/per-un-europa-federale-le-responsabilita-dell-italia
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Campagna #votaancheperloro promossa da Oipa, organizzazione internazionale protezione animali:
- Mi sono impegnato a sostenere politiche che tengano "pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti".
http://www.oipa.org/italia/elezioni2018-votancheperloro/

2. L'ORA. RINO NARDO GEZZI: UNA DICHIARAZIONE DI VOTO A SOSTEGNO DI MAO VALPIANA
[Riceviamo e diffondiamo]

Votero' contro il fascismo, per la democrazia.
Votero' contro la guerra, per la pace e la liberazione dei popoli, per i diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera.
Un voto socialista e libertario, ecologista e nonviolento, contro il militarismo, il razzismo e il maschilismo.
Un voto a sostegno di Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, candidato nella lista "Insieme" della coalizione democratica ed antifascista.

3. APPELLI. "NON UNA DI MENO": L'8 MARZO LA MAREA FEMMINISTA TORNA NELLE STRADE: NOI SCIOPERIAMO!
[Dal sito di "Non una di meno" (https://nonunadimeno.wordpress.com) riprendiamo e diffondiamo il seguente intervento]

Il prossimo 8 marzo la marea femminista tornera' nelle strade di tutto il mondo con lo sciopero globale delle donne.
Il rifiuto della violenza maschile in tutte le sue forme e la rabbia di chi non vuole esserne vittima si trasformeranno in un grido comune: da #metoo a #wetoogether.
Sara' sciopero femminista perche' pretendiamo una trasformazione radicale della societa': scioperiamo contro la violenza economica, la precarieta' e le discriminazioni. Sovvertiamo le gerarchie sessuali, le norme di genere, i ruoli sociali imposti, i rapporti di potere che generano molestie e violenze. Rivendichiamo un reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale, garantito e accessibile. Vogliamo autonomia e liberta' di scelta sui nostri corpi e sulle nostre vite, vogliamo essere libere di muoverci e di restare contro la violenza del razzismo istituzionale e dei confini.
Sappiamo che scioperare e' sempre una grandissima sfida, perche' ci scontriamo con il ricatto di un lavoro precario o di un permesso di soggiorno. Sappiamo quanto e' difficile interrompere il lavoro informale, invisibile e non pagato che svolgiamo ogni giorno nel chiuso delle case, nei servizi pubblici e privati, per le strade. Sappiamo che scioperare puo' sembrare impossibile quando siamo isolate e divise. Sappiamo che il diritto di sciopero subisce quotidiane restrizioni.
Lo sciopero dell'8 marzo in Italia dovra' affrontare anche le limitazioni imposte dalle franchigie elettorali, che impediscono ad alcune categorie di incrociare le braccia nei 5 giorni che seguono il voto del 4 marzo.
Sappiamo anche, pero', che lo scorso anno siamo riuscite a vincere questa sfida, dando vita a un imponente sciopero sociale, sostenuto da alcuni sindacati e agito con forme e pratiche molteplici che ne hanno esteso i confini.
Quest'anno, alcuni sindacati hanno gia' dichiarato lo sciopero. Molti mancano ancora all'appello. Di fronte alla piu' grande insorgenza globale delle donne contro la violenza patriarcale e neoliberista, noi crediamo che i sindacati debbano cogliere quest'occasione unica, prendendo parte a un processo che combatte la violenza maschile e di genere come condizione fondamentale della precarizzazione del lavoro.
Lo sciopero femminista coinvolgera' il lavoro produttivo e riproduttivo, andra' oltre il corporativismo delle categorie e i confini nazionali, unira' le molteplici figure del mondo del lavoro e del non lavoro.
In questi mesi di campagna elettorale, non c'e' lista o partito che non citi nel suo programma la violenza contro le donne senza pero' riconoscere il carattere sistemico della violenza e senza mai porre realmente in questione i rapporti di potere vigenti. Contro ogni strumentalizzazione, contro il razzismo fascista e quello istituzionale, che usano i nostri corpi per giustificare la violenza piu' brutale contro le migranti e i migranti e ulteriori restrizioni alla loro liberta' di movimento, rivendichiamo la nostra autonomia e ribadiamo la necessita'/volonta' di autodeterminarci. Il piano su cui ci interessa esprimerci e' il Piano Femminista contro la violenza maschile e di genere, il nostro terreno di lotta e rivendicazione comune, scritto da migliaia di mani in un anno di lotte.
Grideremo a tutto il mondo che non siamo il campo di battaglia ne' il programma elettorale di nessuno. Abbiamo il Piano femminista per riprenderci cio' che vogliamo. Occuperemo lo spazio pubblico per riaffermare la nostra autonomia e forza politica.
Il nostro movimento eccede l'esistente, attraversa frontiere, lingue, identita' e scale sociali per costruire nuove geografie.
Al grido di #WeToogether il prossimo 8 marzo questo movimento mostrera' ancora una volta la sua forza globale.
Noi scioperiamo!

4. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
[L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza]

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, facebook: associazioneerinna1998
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

5. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

6. REPETITA IUVANT. L'ITALIA SOTTOSCRIVA E RATIFICHI IL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017.
Salvare le vite e' il primo dovere.

7. MEMORIA. PASQUALE PUGLIESE RICORDA EKKEHART KRIPPENDORFF
[Dal sito di "Azione nonviolenta" riprendiamo e diffondiamo]

Apprendo della morte di Ekkehart Krippendorff, il grande politologo tedesco, pacifista, che ho conosciuto nei seminari del Movimento Nonviolento su "Politica e Nonviolenza". Nel 2003, appena uscita in italiano, avevo letto la sua raccolta di saggi L'arte di non essere governati. Politica etica da Socrate a Mozart e successivamente l'edizione italiana (meritoriamente pubblicata da Gandhi Edizioni nel 2008) del suo fondamentale testo degli anni Ottanta del '900 - ormai un classico della critica politica - Lo Stato e la guerra. L'insensatezza delle politiche di potenza. Per ricordarlo, o farlo conoscere, ripubblico qui, ancora una volta, un mio articolo del 2011 che riassume, riprendendone alcuni passaggi, il suo saggio serio ed efficace Critica dell'istituzione militare. Le cui tesi sono valide oggi piu' che mai.
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Perche', pur in un momento di crisi e di ossessiva invocazione del rigore nel bilancio dello Stato, non si tagliano le spese militari? Perche', nonostante i drammatici tagli alla spesa pubblica imposti dal governo, solo flebili voci - per lo piu' extraparlamentari e marginali - chiedono una stretta a queste folli spese di morte che pre/vedono dei costi abnormi? Perche', per la stragrande maggioranza di forze politiche, sindacali, mediatiche non e' assurda la crescita di questo unico capitolo di spesa pubblica, ma e' assurda la richiesta che venga tagliato? Talmente assurda che non si pongono neanche il problema?
Ho trovato le risposte piu' convincenti a queste insistenti domande rileggendo alcune pagine del politologo tedesco Ekkehart Krippendorff ne "L'arte di non essere governati" (del 1999, ma pubblicato in italiano nel 2003), in particolare il capitolo "Critica dell'istituzione militare".
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Riportiamone qualche brano:
"L'unica istituzione comune a tutti gli Stati e' quella degli esperti in uniforme, accasermati, equipaggiati con le armi di volta in volta piu' moderne e conseguentemente addestrati all'applicazione della violenza fisica: i militari. Esistono Stati con o senza partiti, parlamenti, costituzioni scritte, tribunali indipendenti, con o senza presidenti, banche centrali, chiese di Stato, moneta propria, lingue nazionali e cosi' via, ma tutti hanno le forze armate.
Globalmente considerati, tutti gli Stati spendono per le forze armate piu' che per l'educazione e la salute dei loro cittadini. Le forze armate sono il maggiore datore di lavoro in assoluto; i danni ambientali direttamente e indirettamente provocati dalle forze armate sono superiori a quelli provocati da ciascuna singola industria. Nel ventesimo secolo il numero di rovesciamenti violenti di singoli governi dovuti all'intervento delle forze armate supera quello causato da ribellioni politiche o rivoluzioni. Sono le forze armate ad aver scritto, come afferma Eric Hobsbawm nel suo bilancio del secolo passato - il capitolo più nero nella storia occidentale delle torture e del controterrore.
Dall'altro lato, proprio questa istituzione con le sue guerre, di cui soltanto nell'ultimo secolo sono cadute vittime milioni e milioni di persone, per tacere del numero molto piu' grande delle persone cacciate dalla loro terra e di quelle ridotte alla fame dalla conseguenze della guerra, riceve da parte delle scienze sociali un'attenzione relativamente modesta, e nella stampa e nell'opinione pubblica l'istituzione militare viene trattata solo come uno dei tanti temi.
L'istituzione militare non viene pero' vista come uno dei tanti organi dello Stato, bensi' come quello addirittura piu' ovvio tra di essi. La maggior parte delle persone, quasi indipendentemente dalla loro provenienza culturale, sono in grado di immaginarsi tanto poco uno Stato senza forze armate quanto uno Stato senza bandiera o sedi del governo. Proprio per questo, pare, le forze armate sono cosi' di rado oggetto di dibattito scientifico o pubblico. Si noti bene: l'istituzione e non le rispettive forze armate in concreto, che finiscono continuamente sulla "linea del fuoco" delle controversie politiche in quanto fattore di potere, sia come voce del bilancio pubblico, o ancora sotto l'aspetto dell'ottemperamento o meno dei loro compiti istituzionali".
In realta', in Italia, sono sottratte al dibattito pubblico le forze armate tout court, sia come istituzione che come esercito "concreto". Non sono mai al centro di "controversie politiche", neanche in riferimento al bilancio dello Stato. Il confronto politico si e' aperto perfino rispetto alla Chiesa cattolica e alle tasse non pagate per gli immobili, ma si evita accuratamente di occuparsi di spese per esercito e armamenti. Dunque il radicamento dell'ovvieta' delle forze armate, nel nostro Paese, risiede ancora piu' nel profondo.
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Proseguiamo la lettura:
"Ma gia' a questo punto si affollano le domande poste cosi' di rado e a cui ancor piu' raramente viene data una chiara risposta: qual e' la funzione dei militari? E' possibile coglierne e spiegarne l'essenza ricorrendo alla loro "funzione"? (...)
Per capire perche' l'istituzione militare sembri costituire una componente cosi' ovvia dello Stato, quasi come un inno nazionale, un apparato fiscale o la polizia, perche' l'idea pura e semplice di uno Stato senza portatori di uniforme sia per la classe politica di qualsiasi colore tanto insopportabile e impensabile quanto, ad esempio, quella di un papa che dubiti della paternita' divina di Gesu' Cristo o dell'Immacolata concezione; perche' i rappresentanti politici senza le loro forze armate si sentano, per cosi' dire, come se fossero nudi; insomma per cogliere la dimensione profonda di questo bisogno di sicurezza, e' sufficiente, per cominciare, elencare i rituali militari mediante i quali gli Stati manifestano e testimoniano il loro reciproco rispetto: compagnie d'onore, sciabole guizzanti, bande militari, che fanno della piu' civile delle melodie una marcia ritmata e marziale, fucili con baionette lucide e appuntite, in basso punte di stivali allineate con il righello e in alto volti irrigiditi, addestrati a non mostrare nessuno stato d'animo, nessun sentimento umano, in modo che non possano distinguersi da macchine ubbidienti a qualsivoglia comando, occasionalmente lo sparo di salve di saluto e la parata al passo dell'oca".
Si badi che Krippendorff non parla di rituali antichi e dimenticati, ma delle rinnovate parate militari che, in Italia, per esempio, oltre a "festeggiare" il 4 novembre - giornata che dovrebbe essere piuttosto di lutto a memoria, non retorica, delle vittime di tutte le guerre - si sono espanse anche al 2 giugno, Festa della Repubblica, che viene celebrata al passo dell'oca e con lo sfoggio di tutti gli osceni strumenti di morte, come se solo le forze armate rappresentassero degnamente la Patria.
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Ancora:
"Questi rituali sono i resti reali e simbolici di quella prassi, caratteristica dell'epoca dell'assolutismo, mediante cui i dominatori facevano sfilare davanti ai loro ospiti i propri giocattoli da guerra allo scopo di mettere chiaramente in vista la potenza e le proprie capacita', che si trattasse di dissuasione o di intimidazione. In quella societa' di lupi dei giochi dinastici a somma nulla ognuno doveva aver paura di ogni altro ed essere in grado di minacciarlo per poter sopravvivere, oppure per restare (politicamente) in vita. Le parate e le dimostrazioni militari erano - e sono ancora! - espressione del timore di perdere i propri privilegi, la propria posizione, il trono. Esse lanciavano, e lanciano, pero', anche un messaggio diretto verso la base: Io sono il tuo Stato, il tuo signore, tu mi dovresti temere e amare e non avere alcun altro signore oltre a me, e se sei disubbidiente, vedi allora quale potente macchina, che sta ai miei comandi, e' in grado di sopraffarti. Infine i dominatori con le loro parate fanno coraggio a se stessi, per loro il passo di marcia di disciplinati soldati, il silenzio alla luce delle fiaccole, le marcette e gli uomini in uniforme rappresentano orgasmi sia acustici che visivi del potere".
Questi rituali militari, "orgasmi del potere", risalgono all'epoca dell'assolutismo degli Stati moderni. Eppure, spiega Krippendorff, non e' li' che si trova l'origine della simbiosi tra Stato ed esercito, essa si forma ancora prima nel tempo, nel momento di passaggio tra il feudalesimo e l'epoca moderna. Gli stessi Stati moderni vennero creati da dinastie che avevano bisogno di fornire una "sistemazione durevole e sicura ai loro eserciti, ai quali soltanto dovevano il loro potere". In quella fase fondativa non e' "la guerra la continuazione della politica con altri mezzi", secondo la definizione fornitane da Clausewitz, ma, al contrario avviene la fondazione della politica moderna come "continuazione della guerra con altri mezzi". Non a caso Niccolo' Macchiavelli, padre della scienza politica moderna, fu anche uno stratega militare che guido' i fiorentini all'assedio di Pisa.
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Seguiamo il ragionamento di Krippendorff:
"La politica come continuazione della guerra con altri mezzi, il suo ruolo in quanto sguattera dell'autoconsapevolezza militare dei nuovi Stati, le cui strutture erano state sviluppate e finalizzate a soddisfare le necessita' degli eserciti permanenti: dalla fortificazione delle citta' attraverso la costruzione di strade fino al sistema fiscale, dall'organizzazione cameralistico-mercantilistica della produzione nelle manifatture per i fabbisogni dell'esercito fino al censimento amministrativo della popolazione a scopo di reclutamento, dalle dottrine della virtu' politica e dai codici militari fino all'edificazione strategica di castelli e palazzi posti nel centro delle libere citta', dalla simbologia consistente nel fatto che il re indossava la stessa uniforme dei suoi ufficiali e soldati - essi infatti personificavano lo Stato, erano lo Stato - fino alle bandiere e agli emblemi del dominio (per lo piu' aquile e leoni), nei confronti dei quali ora il cittadino si doveva mostrare reverente e attraverso i quali poteva definirsi un senso statale e nazionale. Da tutti questi elementi, trasformatisi piu' volte, adattatisi alle mutate condizioni sociali, attraverso un processo di socializzazione, in parte a mezzo di indottrinamento sistematico (scuola, servizio militare obbligatorio), in parte mediante mutuo esercizio, le forze armate in quanto istituzione e la dimensione militare quale forma di pensiero divennero parte integrante della cultura e della statalita' europea (...).
[l'istituzione e la dimensione militare] Sono parte integrante della nostra cultura, dalla musica all'architettura fino alla letteratura, costituendo quindi anche lo sfondo, per lo piu' del tutto inconsapevole, del nostro modo di immaginare l'ordine e la sicurezza. Ogni critica elementare di questa istituzione va quindi a cozzare contro strati profondi, consapevolmente coltivati dalla tradizione e cresciuti attraverso secoli di statualita' moderna, che si sottraggono ad argomentazioni razionali, funzionali, o che sono difficilmente raggiungibili dalla critica stessa".
Per cui, continua Krippendorff, "uniformazione, accasermamento e legittimazione a scopo strategico di dominio dell'istituzione militare costituiscono la spina dorsale e le raison d'etre della statalita' moderna". (...) L'istituzione militare si e' trasformata nel cancro di tutte le societa', assorbe risorse materiali e intellettuali a discapito del bilancio statale per la salute, l'istruzione e la cultura, si nutre e si riproduce a spese della societa' civile che deve poi assumersi anche i costi dei anni provocati ogniqualvolta l'istituzione militare entra in azione uscendo dal suo stato di quiescienza".
La societa' civile paga dunque due volte, la prima quando - in tempi ordinari - alimenta le voraci casse di eserciti e armamenti, sottraendo risorse a tutti gli altri settori pubblici; la seconda nella ricostruzione del tessuto civile dopo che - nei tempi speciali - l'esercito e' entrato in azione. Cio' riguarda sia l'azione che si rivolge verso l'esterno, con le guerre, quanto quella che si rivolge verso l'interno dello Stato con, appunto, i "colpi di stato". Oggi, in Italia, il tempo ordinaro e il tempo speciale sono intrecciati e sovrapposti, con vent'anni di partecipazione consecutiva a guerre in giro per il mondo, che legittimano ancora di piu' la necessita' di risorse economiche e di costosi armamenti, e la percezione di pace e "sicurezza" diffusa retoricamente all'interno del Paese.
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Che fare per liberarsi di questo cancro?
Poiche' il problema ha radici profonde, culturalmente stratificate, la risposta, secondo Krippendorff, deve svolgersi allo stesso livello di profondita' e dunque proprio sul piano culturale, nelle sue differenti declinazioni: storica, di genere, scientifica e, infine, politica.
Storica: "il primo passo in direzione di un capovolgimento dei valori da parte della critica dell'istituzione militare consiste nello scrivere e leggere la storia, e sopratutto quella dell'epoca moderna, sotto l'aspetto del ruolo in essa giocato dalla violenza organizzata dallo Stato e dai suoi risultati sia socio-politici che cultural-ideologici. E' la storia di una malattia sociale, la storia di una patologia".
Di genere: "Sono uomini quelli che si sono organizzati in strutture militari, che difendono i loro privilegi nella forma di valori e orizzonti di senso militari e cercano di legittimare il loro potere attraverso la guerra. La critica dell'istituzione militare trapassa in critica del patriarcato".
Scientifica: "E' una via abbastanza diretta quella che collega la scienza naturale dei primordi dell'eta' moderna disposta alla violenza e l'istituzione militare quale asse portante dello Stato moderno. Alla base di ambedue queste manifestazioni della modernita' sta la violenza come metodo; la scienza moderna e l'istituzione militare sono due delle sue forme di manifestazione, ed entrambe hanno provocato effetti catastrofici. Esemplare al riguardo e' la collaborazione tra di esse nello sviluppo della prima bomba atomica".
Politica: "In quanto le forze armate, a partire dal diciassettesimo secolo, hanno pervaso la societa' politica, plasmandola e orientandola nel proprio senso, esse hanno segnato il discorso sulla politica ormai "statalizzata", sulle dottrine della virtu' politica e sugli ideali di possibili atteggiamenti sociali (...). La famosa definizione di Clausewitz, secondo cui la guerra sarebbe la continuazione della politica con altri mezzi, non fa che tirare le conseguenze implicite nella tradizione machiavellica, le conseguenze dell'aver definito la politica come la prosecuzione della guerra con altri mezzi diversi rispetto a quelli militari, cioe' di aver pensato sempre politica e dimensione militare come un tutt'uno".
Su tutti questi piani deve oggi svolgersi il "compito secolare" indirizzato in primo luogo all'opinione pubblica, da promuovere in maniera scientifica: "caratterizzare le forze armate per quello che esse sono oggettivamente e di fatto: l'istituzione piu' pericolosa e piu' avversa alla vita, e a un tempo la piu' dispendiosa, che sia mai stata inventata".
Dunque, mi pare che sia tempo di non disperdere le energie e di mettersi al lavoro per promuovere un significativo e necessario disarmo culturale se vorremo ottenere, in un tempo ragionevole, ma misurabile sul piano della storia, un significativo e necessario disarmo militare, che pre/veda anche il taglio delle spese militari.

8. APPELLI. IL FUTURO E' NEL DIALOGO

Il futuro e' nel dialogo
Appello per una rinnovata stagione di dialogo fra le religioni
Gli uomini e le donne di tutti i tempi sono stati interpellati dagli eventi della storia ad assumere decisioni per dare un futuro all'umanita'.
Anche noi, oggi, siamo interpellati dalla devastante guerra mondiale a pezzi, che va avanti dall'11 settembre del 2001, con conseguenze gravissime per milioni e milioni di persone uccise, ridotte alla fame o costrette a fuggire dai propri paesi.
E' una guerra che si nutre di bugie e trova origine nella voracita' delle grandi potenze che cercano nuovi mercati, materie prime e supremazia globale e che sta aggravando ancora di piu' i gia' precari equilibri ambientali con l'avanzare di profondi cambiamenti climatici.
I movimenti migratori, in cui sono coinvolti a livello mondiale un centinaio di milioni di persone, e' figlio prevalentemente della guerra nella quale e' coinvolto anche il nostro paese.
La guerra e' follia. Occorre uscirne al piu' presto, fermando la produzione di armamenti che la sostiene e bloccando la diffusione di notizie false che la genera; cosi' come occorre bloccare ogni xenofobia e ogni forma di razzismo.
Non dobbiamo dimenticare cio' che e' successo durante la seconda guerra mondiale. Anche allora, per sostenere la guerra, si scateno' un feroce razzismo contro gli ebrei, l'antisemitismo, che porto' all'orrore dei campi di concentramento e alla Shoà. Anche allora si usarono la religione e la guerra tra poveri come carburante per la guerra.
Oggi ci risiamo. La guerra tra poveri che si vuole scatenare contro i migranti non serve ai popoli, perche' lascia intatti i privilegi e le ricchezze di quanti sono i responsabili della guerra, e non risolve i problemi sociali che ogni guerra si porta dietro, con l'aumento a dismisura delle spese militari da un lato e dall'altro la riduzione drastica di tutte le spese per i servizi e il benessere sociale, a cominciare dalla tutela ambientale e dalla difesa della popolazione e del territorio dai disastri naturali.
Come persone, uomini e donne, credenti e non credenti, appartenenti all'unica razza umana, operanti da anni nel difficile cammino del dialogo, alla ricerca di cio' che ci unisce e della nostra comune umanita', siamo interpellati a promuovere il dialogo e l'incontro tra le religioni e a opporci a qualsiasi forma di razzismo, di xenofobia, di odio religioso e a sostenere senza tentennamenti la libertà religiosa.
Memori della storia del xx secolo appena passato, ci impegniamo percio':
a valorizzare il dialogo fra le religioni a ogni livello possibile, nelle nostre istituzioni culturali, nella scuola, nell'associazionismo, nelle nostre comunita' religiose;
- a sostenere in particolare il dialogo fra le tre grandi religioni monoteiste: l'ebraica, la cristiana, la islamica, tutte figlie del patriarca Abramo;
- a opporci a qualsiasi tentativo di cristallizzare il razzismo e trasformarlo in un fenomeno organizzato come ha tentato di fare il fascismo in Italia nel 1938;
- a negare ogni giustificazione religiosa a chiunque promuova la guerra o pratichi il razzismo e la xenofobia, soffiando sul fuoco delle differenze che esistono fra le religioni, e compia atti di violenza razziale;
- a promuovere un'informazione veritiera sul fatto religioso, priva di istigazioni all'odio razziale, come previsto tra l'altro dallo stesso codice deontologico dei giornalisti italiani;
- a opporci a qualsiasi iniziativa di guerra e a promuovere una vera educazione alla pace e alla nonviolenza come base della convivenza civile, e a sostenere ogni iniziativa dello Stato che promuova la via diplomatica e non lo scontro;
- a rifiutare qualsivoglia ingerenza statale o di partito politico all'interno di singole organizzazioni religiose che devono essere libere di vivere la propria fede secondo quanto sancito dalla nostra Costituzione.
Ci impegniamo inoltre a promuovere tutte le iniziative di dialogo esistenti fra le religioni e all'interno di esse, fra cui:
- la Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre;
- la Giornata del dialogo ebraico-cristiano del 17 gennaio;
- la Settimana di preghiera per l'unita' dei cristiani dal 18 al 25 gennaio;
- la Giornata della liberta' religiosa del 17 febbraio;
- il Tempo per il Creato dal primo settembre al 4 ottobre;
- esperienze quali i Consigli cittadini delle chiese cristiane e i Tavoli interreligiosi cittadini;
- tutte le altre giornate e/o iniziative che promuovano l'incontro tra le religioni e che ci aiutino a riconoscerci figli e figlie della stessa umanità.
Consapevoli che ogni essere umano sara' giudicato e ricordato per cio' che ha fatto di buono per l'umanità, chiamiamo gli uomini e le donne di pace di questo nostro paese a un impegno personale e costante su questi temi perché questa è l'unica via che abbiamo per dare un futuro alla nostra umanità.
Roma, 28 febbraio 2018
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Primi firmatari in ordine alfabetico
Adel Jabbar, sociologo
Adista, Roma
Agnese Ginocchio, cantautrice per la pace e la nonviolenza
Alessandro Paolantoni, comunita' islamica Roma
Amina Salina, comunita' islamica Roma
Augusto Cavadi, filosofo
Brunetto Salvarani, teologo
Cipax, Centro Interconfessionale per la Pace, Roma
Confronti, mensile di religioni - politica - societa', Roma
Cristina Mattiello, insegnante, Roma
Don Ettore Cannavera, Comunita' La Collina Serdiana (Ca)
Don Massimo Biancalani, parroco di Vicofaro, Pistoia
Enrico Peyretti, pubblicista, Torino
Farid Adly, direttore dell'agenzia-stampa "Anbamed. Notizie dal Mediterraneo"
Gianni Novelli, pensionato
Giorgio Ghezzi, sacramentino
Giovanni Ferro', giornalista
Giovanni Sarubbi, direttore www.ildialogo.org
Hamza Piccardo, Costituente Islamica
Izzedin Elzir, presidente Ucoii
Jawed Khan, membro Assemblea Generale del Centro Islamico Culturale d'Italia (Grande Moschea di Roma)
Karima Angiolina Campanelli, regista, autrice, pittrice
Laura Caffagnini, giornalista, Parma
Mauro Matteucci, Centro di documentazione e di progetto "don Lorenzo Milani" di Pistoia
Mohammed Ben Mohammed, presidente Associazione culturale islamica Moschea di Al Huda
Mosaico di Pace, rivista di Pax Christi Italia, Bari
Nizar Ramadan, editore
Noi Siamo Chiesa, Roma
Pax Christi Italia, Firenze
Peppe Sini, responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo
Pierpaolo Loi, Comunita' La Collina Serdiana (Ca)
Radio Voce della Speranza di Firenze
Redazione Pressenza Italia
Rocco Altieri, direttore Centro Gandhi Pisa
Salameh Ashour, portavoce comunita' palestinese
Tempi di Fraternita', Torino
Tonio Dell'Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi
*
Per aderire all'appello: www.ildialogo.org, redazione at ildialogo.org

9. MAESTRE. SYLVIA PLATH: TULIPANI
[Riproponiamo questa lirica da Sylvia Plath, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2013, pp. 463-467. Traduzione di Anna Ravano]

I tulipani sono troppo eccitabili, qui e' inverno.
Guarda com'e' tutto bianco, quieto, coperto di neve.
Sto imparando la pace, distesa quietamente, sola,
come la luce posa su queste pareti bianche, questo letto, queste mani.
Non sono nessuno; non ho nulla a che fare con le esplosioni.
Ho consegnato il mio nome e i miei vestiti alle infermiere,
la mia storia all'anestesista e il mio corpo ai chirurghi.

Mi hanno sistemato la testa fra il cuscino e il risvolto del lenzuolo
come un occhio fra due palpebre bianche che non vogliono chiudersi.
Stupida pupilla, deve assorbire tutto.
Le infermiere passano e ripassano, non danno disturbo,
passano come gabbiani diretti nell'interno, in cuffia bianca,
le mani affaccendate, ciascuna identica all'altra,
sicche' e' impossibile dire quante sono.

Il mio corpo e' un ciottolo per loro, lo accudiscono come l'acqua
accudisce i ciottoli su cui deve scorrere, lisciandoli piano.
Mi portano il torpore nei loro aghi lucenti, mi portano il sonno.
Ora che ho perso me stessa, sono stanca di bagagli -
la mia ventiquattrore di vernice come un portapillole nero,
mio marito e mia figlia che sorridono dalla foto di famiglia;
i loro sorrisi mi si agganciano alla pelle, ami sorridenti.

Ho lasciato scivolar via le cose, cargo di trent'anni
ostinatamente aggrappata al mio nome e al mio indirizzo.
Con l'ovatta mi hanno ripulito dei miei legami affettivi.
Impaurita e nuda sulla barella col cuscino di plastica verde
ho visto il mio servizio da te', i cassettoni della biancheria, i miei libri
affondare e sparire, e l'acqua mi ha sommerso.
Sono una suora, adesso, non sono mai stata cosi' pura.

Io non volevo fiori, volevo solamente
giacere con le palme arrovesciate ed essere vuota, vuota.
Come si e' liberi, non ti immagini quanto -
E' una pace cosi' grande che ti stordisce,
e non chiede nulla, una targhetta col nome, poche cose.
E' a questo che si accostano i morti alla fine; li immagino
chiudervi sopra la bocca come un'ostia della Comunione.

Sono troppo rossi anzitutto, questi tulipani, mi fanno male.
Li sentivo respirare gia' attraverso la carta, un respiro
sommesso, attraverso le fasce bianche, come un neonato spaventoso.
II loro rosso parla alla mia ferita, vi corrisponde.
Sono subdoli: sembrano galleggiare, e invece sono un peso,
mi agitano con le loro lingue improvvise e il loro colore,
dodici rossi piombi intorno al collo.

Nessuno mi osservava prima, ora sono osservata.
I tulipani si volgono a me, e dietro a me alla finestra,
dove una volta al giorno la luce si allarga lenta e lenta si assottiglia,
e io mi vedo, piatta, ridicola, un'ombra di carta ritagliata
tra l'occhio del sole e gli occhi dei tulipani,
e non ho volto, ho voluto cancellarmi.
I vividi tulipani mangiano il mio ossigeno.

Prima del loro arrivo l'aria era calma,
andava e veniva, un respiro dopo l'altro, senza dar fastidio.
Poi i tulipani l'hanno riempita come un frastuono.
Ora s'impiglia e vortica intorno a loro cosi' come un fiume
s'impiglia e vortica intorno a un motore affondato rosso di ruggine.
Concentrano la mia attenzione, che era felice
di vagare e riposare senza farsi coinvolgere.

Anche le pareti sembrano riscaldarsi.
I tulipani dovrebbero essere in gabbia come animali pericolosi,
si aprono come la bocca di un grande felino africano,
e io mi accorgo del mio cuore, che apre e chiude
la sua coppa di fiori rossi per l'amore che mi porta.
L'acqua che sento sulla lingua e' calda e salata, come il mare,
e viene da un Paese lontano quanto la salute.

18 marzo 1961

10. MAESTRE. SYLVIA PLATH: PAPA'
[Riproponiamo questa lirica da Sylvia Plath, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2013, pp. 649-653. Traduzione di Anna Ravano]

Non mi vai piu', no,
non mi vai piu', scarpa nera,
in cui per trent'anni ho vissuto
come un piede, povera e bianca,
senza osare respiro o starnuto.

Ho dovuto ucciderti, papa'.
Sei morto prima che avessi il tempo -
Pesante come marmo, otre pieno di Dio,
orrida statua con un alluce grigio,
grosso come una foca di Frisco

e la testa nell'Atlantico bizzarro
dove fiotta verde oliva sul blu
nelle acque della bella Nauset.
Pregavo per riaverti, un tempo.
Ach, du.

In lingua tedesca, nel paese polacco
spianato dal rullo compressore
di guerre, guerre, guerre.
Ma il nome del paese e' comune.
Il mio amico polacco dice

che ce n'e' dozzine.
E cosi' non ho mai saputo
dove piantasti il piede, la radice,
e di parlarti non mi e' mai riuscito.
La lingua mi si attaccava al palato,
presa in trappola dal filo spinato.
Ich, ich, ich, ich,
e sempre mi bloccavo li'.
Ogni tedesco mi sembrava te
e la lingua era oscena,

una locomotiva, un treno
che mi portava via ciuff ciuff come un ebreo.
Un ebreo ad Auschwitz, Belsen, Dachau.
Ho cominciato a parlare da ebrea.
Potrei anche esserlo, ebrea.

Le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna
non sono cosi' genuine e pure.
Con l'ava zingara e la mia strana sorte
e il mio mazzo di tarocchi, le mie carte,
un po' ebrea lo sono forse.

Mi hai sempre fatto paura, tu,
con la tua Luftwaffe, il tuo ostrogoto,
il tuo baffetto ben curato,
l'occhio ariano, cosi' blu.
Uomo-panzer, uomo-panzer, ah tu -

Non Dio, una svastica piuttosto,
cosi' nera che il cielo si arresta.
Tutte le donne amano il fascista,
lo stivale in faccia, il brutale
cuore brutale di un bruto par tuo.

Nella foto che ho di te, papa',
sei ritto davanti alla lavagna.
Invece del piede hai il mento fesso,
ma sei un diavolo lo stesso,
sei sempre l'uomo nero che

azzanno' e squarcio' in due Il mio cuore rosso.
Ti seppellirono che avevo dieci anni.
A venti cercai di morire
e tornare, tornare, tornare da te.
Anche le ossa potevano bastare.

Ma mi tirarono fuori dal sacco,
e mi rincollarono pezzo su pezzo.
E allora capii cosa fare.
Mi fabbricai un modello di te,
un uomo in nero con un'aria da Meinkampf,

un amante del bastone e del torchio.
E pronunciai il mio si', il mio si'.
Eccomi dunque alla fine, papa'.
Il telefono nero e' strappato,
sradicato, le voci non ci strisciano piu'.

Se ho ucciso un uomo, ho fatto il bis -
Il vampiro che si spaccio' per te
e mi succhio' il sangue per un anno,
per sette, se proprio vuoi saperlo, va'!
Torna pure nella fossa, papa'.

C'e' un palo nel tuo cuoraccio nero
e a quelli del paese non sei mai piaciuto.
Adesso ballano e ti pestano coi piedi.
Che eri tu l'hanno sempre saputo.
Papa', papa', bastardo, e' finita.

12 ottobre 1962

11. MAESTRE. SYLVIA PLATH: CIRCO A TRE PISTE
[Riproponiamo questa lirica da Sylvia Plath, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2013, p. 835. Traduzione di Anna Ravano]

Sotto la tenda da circo di un uragano
progettato da un dio ubriaco
il mio prodigo cuore esplode ancora
in una furia di pioggia color champagne
e i frammenti prillano come una banderuola
tra gli applausi delle angeliche schiere.

Ardita come la morte e disinvolta
invado la mia tana del leone;
una rosa di rischio mi fiammeggia nella chioma,
ma schiocco la frusta con mortale bravura
e difendo con una sedia le mie ferite perigliose
mentre hanno inizio i morsi d'amore.

Come Mefistofele beffardo,
celato nelle vesti di un illusionista,
il mio demone fatale volteggia su un trapezio,
tra un turbinio di coniglietti alati,
per poi sparire con diabolica scioltezza
in un fumo che mi brucia la vista.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, centropacevt at gmail.com
Numero 712 del primo marzo 2018

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