[Nonviolenza] Telegrammi. 2442



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2442 del 16 agosto 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Preparare fin d'ora la Giornata internazionale della nonviolenza e la marcia Perugia-Assisi

2. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia

3. Quando e' no e' no

4. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

5. Malvolio Straccani: Sotto i bastioni

6. Segnalazioni librarie

7. La "Carta" del Movimento Nonviolento

8. Per saperne di piu'

 

1. INIZIATIVE. PREPARARE FIN D'ORA LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA E LA MARCIA PERUGIA-ASSISI

 

Come ogni anno ricorre il 2 ottobre la Giornata internazionale della nonviolenza, indetta dall'Onu nell'anniversario della nascita di Gandhi.

E quest'anno il 9 ottobre si svolgera' la marcia della pace Perugia-Assisi, la piu' importante iniziativa di pace nel nostro paese ideata da Aldo Capitini, l'apostolo della nonviolenza in Italia.

Occorre che le istituzioni, le associazioni, i movimenti, le persone che vogliono contribuire a fermare l'orrore della "terza guerra mondiale a pezzi" in corso, che vogliono salvare le vite, che vogliono costruire la pace, si adoperino fin d'ora a preparare la partecipazione piu' ampia e piu' consapevole possibile a queste due iniziative.

Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo rinnova l'invito a tutte le persone di volonta' buona, a tutti i movimenti democratici, a tutte le istituzioni fedeli alla Costituzione repubblicana che ripudia la guerra, ad un impegno immediato e comune contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Facciamo del 2 e del 9 ottobre occasioni corali e persuase d'impegno comune per la salvezza dell'umanita'.

E fin d'ora adoperiamoci ovunque, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza, per la pace, il disarmo, la smilitarizzazione; per soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.

Vi e' una sola umanita'.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Sii tu il cambiamento che vorresti vedere nel mondo.

 

2. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

 

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.

Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

 

3. VERSO IL REFERENDUM. QUANDO E' NO E' NO

 

Noi diciamo no.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

Quando e' no e' no.

*

Al referendum sulla riforma costituzionale noi votiamo no.

Il governo vorrebbe imporci un senato part-time al servizio di sua maesta': e noi diciamo no.

Il governo vorrebbe imporci un parlamento dimezzato la cui unica funzione sarebbe all'incirca di votare si' ai decreti: e noi diciamo no.

Il governo vorrebbe imporci lo smantellamento dell'ordinamento democratico e dell'equilibrio dei poteri: e noi diciamo no.

Il governo vorrebbe imporci lo scardinamento della Costituzione repubblicana: e noi diciamo no.

Al referendum sulla riforma costituzionale noi votiamo no.

*

Noi diciamo no.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

Quando e' no e' no.

 

4. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

[L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza]

 

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it, facebook: associazioneerinna1998

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

5. RACCONTI PER L'ESTATE. MALVOLIO STRACCANI: SOTTO I BASTIONI

[Dall'amico Malvolio Straccani riceviamo e pubblichiamo questo nuovo racconto]

 

A quel tempo lavoravo fuori.

Dovevo farmi un paio d'ore di treno ad andare e altre due a tornare, ed ero sempre stanco morto. Partivo prima dell'alba, tornavo che era notte. La cosa buffa era che facevo un orario di lavoro spezzato: la mattina, poi da mezzogiorno alle cinque niente, poi ancora fino alle otto di sera, e alle nove prendevo l'ultimo treno.

Quelli che lavoravano con me erano di fuori anche loro, del paese dove lavoravamo non conoscevamo nessuno, e il capoccia meglio perderlo che trovarlo.

Al bar ci guardavano male, eravamo quelli di fuori che rubavano il lavoro ai paesani; noi non ci offendevamo, anche al mio paese era cosi'. Io non legavo neppure cogli altri operai, non avevo voglia di raccontare i fatti miei, e se incontravo qualcuno che mi conosceva potevo scommetterci tutta la mesata che dopo cinque minuti mi chiedeva come era stata la galera. Come volete che sia la galera. Non mi andava di parlare ne' della galera ne' del perche' ci ero finito. Preferivo stare per conto mio. E siccome fra il turno della mattina e quello della sera il tempo era tanto, e non e' che puoi stare cinque ore chiuso nel bar, avevo preso l'abitudine di fare delle camminate intorno al paese, e la camminata che mi piaceva di piu' era dalla parte sotto i bastioni.

Il paese stava tutto su uno sperone di roccia, a strapiombo. Aveva la forma di un pesce. Da un lato c'era solo il tufo nudo, dall'altro dei contrafforti. Era il lato in ombra, umido, puzzolente, non c'era una vera strada ma uno stretto viottolo sterrato, la strada vera era dall'altro lato del paese. Si capiva che sotto i bastioni avvenivano commerci innominabili, per terra c'erano siringhe e preservativi in quantita'. Ma nelle ore che ci camminavo io non ci vedevo mai nessuno, i convegni dovevano essere notturni. Sotto il viottolo lungo il costone c'era un secondo strapiombo. Se costeggiavi il paese fino alla fine quel viottolo stretto e ripido scendeva verso un canneto, e dopo qualche chilometro c'era una baracca, che pareva disabitata.

Io di solito arrivavo fino al canneto, nelle vicinanze della catapecchia, e poi tornavo indietro, ma mi accorgevo che mi restava ancora parecchio tempo prima di riattaccare col lavoro, cosi' cominciai a pensare di arrivarci a quella baracca e magari superarla, ma qualcosa me lo impediva, un presentimento indefinibile, che non era paura ma una specie di smarrimento, di stanchezza e di nausea. Chi lo sa.

*

Una volta dall'alto del muraglione guardai di sotto, saranno stati almeno cinquanta metri di strapiombo fino al livello del viottolo, e poi il secondo strapiombo soto il viottolo, che forse era pure piu' alto, ed io soffro anche di vertigini. Mi parve di vedere sul viottolo una giovane donna che si dirigeva verso la baracca, ma poi era sparita nel canneto; da lassu' la baracca s'intravedeva appena, immersa tra le canne.

*

Un giorno che facevo il solito tragitto mi sembro' di sentire alle mie spalle un rumore di passi, rallentai per farmi raggiungere, ma il rumore cesso', feci qualche decina di metri ancora, poi finsi di dovermi allacciare una scarpa e sbirciai intorno. Non vidi nessuno. Ma accorciai la passeggiata, non mi andava di avvicinarmi a quella casa. E mentre tornavo indietro mi accorsi che acuivo l'attenzione per sentire qualche rumore inusuale, ma non ce n'erano, anzi: mi pareva che vi fosse un silenzio innaturale, un silenzio eccessivo che non avevo mai notato. Vedi quale potere ha la suggestione.

*

Quando staccavo alle otto di sera avevo un'ora prima del treno, che oltretutto poiche' doveva attendere un altro treno con cui faceva coincidenza, spesso partiva un quarto d'ora, mezz'ora dopo, anche di piu'. Dal cantiere alla stazione col mio solito passo ci mettevo mezz'ora, poi restavo li' ad aspettare. C'era sempre poca gente, stanca, silenziosa, certe sere nessuno. La sala d'aspetto era chiusa, la biglietteria era chiusa, il bar era chiuso. Qualche volta facevo le parole incrociate, ma mi annoiavo subito, le barzellette non facevano ridere, finiva che dopo dieci minuti rimettevo la "Settimana enigmistica" nella saccoccia del giubbotto. Poi una volta la penna perse l'inchiostro e mi macchio' la tasca e tutto, e da allora smisi di portarmi da scrivere e poi compravo solo il "Corriere dello sport" il lunedi', che il martedi' lo lasciavo nello spogliatoio del cantiere e chi lo voleva se lo poteva prendere. Non mi piace piu' leggere, una volta mi piaceva, ma facevo un lavoro che mi stancava di meno, ed ero piu' giovane. A casa non ho la televisione perche' quando si e' rotta non l'ho piu' comprata. Arrivo tardi e quando ce l'avevo mi addormentavo davanti al primo programma che capitava. La domenica potrei andare al cinema, ma preferisco dormire. Dormo tutto il giorno.

*

Una volta era tutto diverso. Ma da quando successe il fatto e finii dentro sono cambiato io ed e' cambiato anche il mondo. Quando sono uscito non lo riconoscevo piu'. Quando mi guardo allo specchio per farmi la barba vedo una faccia che non mi piace. Il lavoro non e' troppo duro, e' quell'orario che non va. Ma il turno di sera mi serve perche' devo pagare un debito, e anzi ho pure cercato se trovavo da fare il guardiano notturno, cosi' lasciavo anche l'appartamento e risparmiavo l'affitto e magari dormivo il pomeriggio. Ho chiesto in giro ma non ho trovato niente. Con questa faccia, e sapendo che se si informavano su chi ero erano rogne, non ho neppure insistito tanto. Non cerco rogne, voglio stare tranquillo.

Qualche volta al bar sento che in televisione parlano di quando c'erano i comunisti. Faccio finta di niente. Non cerco altre rogne.

*

Mi sono finalmente deciso ad arrivare fino alla baracca.

Ci ho pensato parecchio, mi dicevo che non ci arrivavo perche' temevo che l'ultimo tratto del viottolo che s'inoltrava nel canneto fosse gia' proprieta' privata e non avevo nessuna voglia di dover affrontare il padrone che poteva essere un attaccabrighe, ed io non cerco guai. Poi mi dicevo che la catapecchia sembrava disabitata ma non si puo' mai sapere, e come niente dalla finestra ti tirano una schioppettata senza preavviso. Poi mi dicevo che se facevo dei brutti incontri mi sarei trovato solo come un cane, e disarmato, meglio non rischiare. Ma la verita' era che avevo paura perche' mi pareva un posto incantato.

Quel giorno che dall'alto della muraglia avevo guardato giu' e avevo visto la donna, subito mi ero convinto che fosse una fata. Ci sono due generi di fate, quelle buone e quelle cattive, ma i vecchi del mio paese dicevano che non e' vero, tute le fate sono sia buone che cattive a seconda di come gli gira, e cosi' magari una volta fanno l'amore con te e un'altra ti trasformano in porco o in scarafaggio. Sono bellissime, ma siccome conoscono la magia delle trasformazioni il loro aspetto non vuol dire niente, e' nei tuoi occhi che mettono le immagini, come sono veramente tu non lo puoi mai sapere.

Io sono comunista, sono stato in galera, ho letto Leopardi e Feuerbach, Marx e Engels, ho una visione del mondo materialistica e lo so che una coltellata mette a posto cento strolighi. Ma delle fate ho paura. Non mi vergogno di dirlo. Dicono che non esistono solo quelli che non le hanno mai incontrate, ma io le ho incontrate. La forza delle fate e' che ti mettono paura e insieme ti attirano, e piu' hai paura e meno riesci ad allontanarti, e se una fata decide di attirarti tu piu' senti che ti fara' male e piu' desideri che lo faccia. La gente e' strana. E' capitato pure a me. Al mio paese c'era pure una strega, che viveva in una grotta nella macchia che tutti si sapeva dov'era e capitava che mentre cercavi i funghi o davi una guardata alle bestie allevate allo stato brado, o giravi con un carbonaro o con uno della Forestale, la grotta la vedevi, e se invece la cercavi spariva. La strega sapeva i rimedi per un sacco di malanni, ma te li dava solo in cambio di qualcosa. Era vecchia e brutta, mentre le fate sono giovani e belle, ma c'e' chi dice che sono la stessa cosa, quando le infastidisci si fanno vedere come streghe, quando hanno voglia di giocare con la tua pelle o con la tua anima si fanno vedere come fate. Bevono il sangue delle persone.

*

Da quando sono uscito di galera non ho piu' voluto portarmi dietro un'arma. Se ce l'hai la usi, e io non volevo piu' trovarmici a tirare coltellate. Se si puo' risolvere a sganassoni bene, altrimenti finisca come deve finire. Non e' per fare le pose, e' che vivo una vita che non merita tanti patemi e tanti riguardi. Le cose sono andate come sono andate, da giovane era diverso, ma adesso.

Quando mi decisi ad arrivare fino alla baracca nel canneto cominciai a pensare a quello che avrei fatto a seconda di quello che mi sarei trovato davanti.

Se trovavo un padrone, me ne sarei tornato indietro senza una parola, che c'era da dire? Niente.

Se non trovavo nessuno magari facevo un giro torno torno alla casa e poi tornavo indietro; potevo ritornarci un'altra volta se volevo fare un'esplorazione piu' accurata. E comunqe non pensavo di andarci per rubare qualche cosa, io non rubo per principio.

Ma se ci trovavo una fata non avevo idea di come sarebbe andata a finire.

Feci passare qualche settimana, ormai la decisione l'avevo presa, non c'era motivo di avere fretta, il giorno che me la sentivo sarei entrato nel canneto.

I canneti presentano diversi problemi: intanto le canne sono piu' alte di una persona e quindi ci si vede poco e male; ci si cammina male e a fatica; come ti muovi fai un sacco di rumore; se poi c'e' vento il frastuono ti stordisce e siccome le canne si muovono ti sembra sempre di vedere con la coda dell'occhio qualcuno vicino a te che appena ti volti sparisce. E poi ci sono le canne spezzate e ad ogni passo rischi di finire su uno spuntone che ti trafigge come una lancia, e si inciampa come niente. Non mi e' mai piaciuto camminare nei canneti, pare di essere in una ragnatela, o nelle sabbie mobili.

*

Adesso preferivo stare sul muraglione a guardare di sotto, anziche' passeggiare alla base dei contrafforti. Credo che fosse come un appostamento nella speranza - e nel terrore - di rivedere la fata che andava la'. Ma non la vidi piu'. Invece la gente del paese vedeva me, che passavo le ore li' sopra a guardare di sotto e penso che avranno pensato che stavo ruminando se buttarmi o no. Se mi giravo di scatto verso le case alle mie spalle, sempre c'era qualcuno che si scostava dal riquadro delle finestre per non farsi vedere. Ma era meglio che non mi girassi di scatto, la cosa peggiore che puoi fare in un paese in cui sei forestiero e' muoverti a scatti e cercar di sorprendere la gente che ti guarda: cosi' li impaurisci, e alla prima occasione te la fanno pagare.

Tornai alle passeggiate, ma ogni volta mi avvicinavo un po' di piu' al canneto e alla baracca. Sapevo che ormai era questione di giorni.

*

Era un venerdi'. Staccai dal lavoro alla fine del turno di mattina e non mangiai neppure, presi solo un bicchierino e poi un caffe' corretto e comprai un pacchetto di caramelle (e' un trucchetto di noi gente di fatica: se ti senti debole e avvilito sgranocchi una caramella e subito ti torna la forza e il coraggio). Uscii dal paese, scesi le scalette, poi il greppo scosceso ed eccomi sul solito viottolo, con la solita puzza di piscio, le solite immondizie (la gente buttava direttamente nello strapiombo l'immondizia e spesso qualche lordura restava appesa sulle sporgenze dei contrafforti, era piuttosto disgustoso da vedersi, e c'era sempre il rischio che qualcuna di quelle schifezze ti cascasse in testa per un colpo di vento o perche' un corvo o una cornacchia ci si fermava sopra e cominciava a beccarla).

Non c'era nessuno, ed ero ormai nel punto in cui il viottolo entrava nel canneto. Per fortuna contrariamente a quanto mi aspettavo il viottolo continuava dritto e bello pulito e si poteva camminare bene, anche se le canne impedivano di vedere ai lati. Vista da lontano mi era sembrato che la casa fosse piu' vicina, invece c'era da camminare parecchio, e naturalmente dovevo calcolare che tanto tempo ci mettevo all'andata altrettanto ce ne avrei messo al ritorno e alle cinque dovevo essere al cantiere. Non ho l'orologio, e non ho mai avuto il telefonino. Quando lo dico nessuno ci crede ma e' proprio cosi'. Mi regolo un po' col sole e un po' con un senso del tempo interno, per esempio non sbaglio mai i tempi di cottura della pasta, e non leggo mai sulla scatola il tempo suggerito e neppure l'assaggio con la forchetta, quando mi pare che e' pronta senza neppure guardarla la scolo e non sbaglio mai. Non ho mai perso un treno e non arrivo mai in ritardo a un appuntamento. Deve essere un dono di natura.

*

Era un pomeriggio caldo, il sole bruciava, mi accorsi che stavo sudando, e di solito non sudo, non sudo mai. Pensai che dovevo aver accelerato il passo senza accorgermene. Oppure che ultimamente m'ero ingrassato.

Fu allora che la sentii alle mie spalle: la risata lieve, cristallina, tutta ricci e volute, fatta di nuvole e vento. Il riso della fata.

C'e' un segreto che deve sapere chiunque si avventuri in luoghi sconosciuti in cui ha ragione di temere qualcosa, ed e' di non voltarsi mai indietro. Mai, per nessun motivo. E' meglio prendersi una schioppettata o una coltellata, ma non girarsi mai.

Sapevo che era solo un'impressione, un'immaginazione della mia mente, e che se mi fossi voltato avrei anche visto la fata, ma questo non dimostrava niente, era solo la stessa allucinazione che come era entrata nelle orecchie sarebbe entrata pure negli occhi. Non c'era niente. O meglio: c'era solo il mio desiderio che la fata ci fosse, vivo da solo da cosi' tanto tempo, e in galera non e' che stai insieme con gli altri, anche se non sei solo nella cella sei solo lo stesso.

Non mi voltai, continuai a camminare dritto, solo rallentai l'andatura sperando che cosi' avrei smesso di sudare. Mi dava fastidio che la fata mi vedeva che sudavo, e magari pensava che avevo paura. E' naturale che avevo paura, ma non volevo che lei lo pensasse o almeno che vedesse che sudavo per la paura. Le fate lo sanno gia' come stai, ma volevo difendere - non so come dirlo meglio -, volevo difendere la mia dignita'.

Cosi' andai avanti senza girarmi, senza guardarla, ma pensavo sempre a lei e sapevo che era bellissima e mi dicevo ma guarda che imbecille che sei, perche' non ti giri, tanto che pensi di fare, non puoi lottare contro una fata, lo sai. Ma si vede che lei si voleva solo divertire e non mi costrinse a girarmi, e lo sapeva che bruciavo dal desiderio, dal desiderio di vederla, e dal desiderio di lei. Ecco, siamo fatti cosi'.

*

Nel canneto si soffocava, io cercavo di camminare dritto, lento, di non far sentire l'affanno nel respiro, di non asciugarmi il sudore ogni minuto. Avevo pure un sasso in una scarpa, ma mi sentivo ridicolo a fermarmi per levarmi la scarpa, e' vero che non c'era nessuno ma pensavo lo stesso che se qualcuno mi vedeva, e la fata mi vedeva, mi sarei sentito in imbarazzo, e peggio che in imbarazzo, come se mi avesse colto in una postura oscena, vile, indegna. E il piede mi faceva male e restavo zitto e mi sentivo sempre piu' avvilito. E m'infuriavo con me stesso per avere queste sensazioni, questi pensieri, quando avrei dovuto pensare ad altro, ed essere capace di infischiarmene di queste stupidaggini. E invece non ci riuscivo.

Mi parve di aver camminato fino all'inferno e di colpo mi trovai nell'aia davanti alla casa. Da lontano sembrava una baracca da niente, invece era una casa in muratura, ma cadente e rattoppata con tavole di legno, con pezzi di lamiera, con quelle bande di latta con le pubblicita' di una volta.

Dappertutto ragnatele e polvere e ruggine. E un silenzio assoluto.

Non c'era neppure un piccione, o una cornacchia.

La casa aveva un porticato ingombro di una congerie di arnesi. Staccata dalla casa, ad angolo, c'era una stalla e dentro nel buio si intravedevano altri attrezzi.

E a fare una specie di ferro di cavallo con la casa e la stalla un gallinaio, qualche conigliera. Ma non c'erano animali.

Dietro il gallinaio e le conigliere si vedevano altri ferri, divorati dalla ruggine pure quelli.

In mezzo all'aia c'era un pozzo.

E quando trovi un pozzo c'e' poco da fare, senti che devi guardarci dentro e insieme sai che non devi farlo. Se guardi in un pozzo in un posto dove non c'e' nessuno e' sicuro che quello che e' morto nel pozzo ti afferra e ti tira giu' e tu muori annegato, e allora diventi tu quello che e' morto nel pozzo e resti li' ad aspettare anche cent'anni, finche' un giorno non arriva un altro e non c'e' nessuno intorno e tu tiri giu' lui e finalmente vai nel paese dei morti che anche se nessuno sa come ci si sta e' sempre meglio che stare cent'anni in quel pozzo a nascondersi ogni volta che buttano giu' il secchio per non farti vedere e aspettare la volta buona che non c'e' nessuno oltre a quello che guarda giu' e allora come un leone lo artigli, e magari neppure vorresti farlo, ma non puoi non farlo. E' sempre cosi', il male, il male ci si presenta sempre come l'unica cosa da fare. E invece non e' vero, non e' mai l'unica cosa da fare, ma ti sfiniscono, ti macerano la volonta' finche cedi e cedi prima nella testa e poi nel cuore, ci credi davvero che non c'erano alternative e dopo che l'hai fatto alora di colpo ti accorgi che c'era sempre un'alternativa, se non altro la piu' semplice, la piu' facile, quella che c'e' sempre: l'alternativa di restare fermo, di non fare nulla invece di fare quello.

*

Bisognava tirar fuori una caramella. La scartai in fretta, la misi in bocca, rimisi in tasca le altre caramelle e anche l'incarto della caramella scartata, e coi molari lentamente cominciai a frantumarla e frantumarla e in un attimo gia' finiva. E subito le forze tornarono, la lucidita' riaffiorava, e fu allora che vidi il morto. Non nel pozzo, non guardai nel pozzo. Era sdraiato su una specie di pianale di ferro, davanti alla stalla che avevo proprio di fronte (la casa a sinstra, i recinti delle bestie a destra). Non lo avevo notato subito perche' avevo il sole di fronte e il pianale era nero di ruggine e anche il morto era tutto annerito e in piu' era in ombra, gli faceva ombra la stalla. Ma doveva essere morto da poco, non si era ancora decomposto, e non si sentiva la puzza. Sara' stato a venti metri da me, e guardando attentamente vidi che la faccia era sfigurata e sanguinolenta, nera e bruttata di sangue nero. Ma non c'erano animali a farne scempio, e non c'erano insetti. Ed anche questo era strano.

Dovevo avvicinarmi, ma per farlo dovevo attraversare l'aia e passare oltre il pozzo. Raccogliere una zappa, magari, o una roncola. Ma a che serviva? Superai il pozzo senza guardarci dentro. Il cadavere aveva la testa quasi spaccata in due.

Erano anneriti anche i vestiti, e non erano vestiti di uno che lavorava, erano vestiti da festa, da borghesi.

Mi veniva da vomitare ma sapevo che non dovevo vomitare, non dovevo toccare niente, non dovevo lasciare tracce, anzi dovevo strusciare i piedi per terra per confondere le impronte delle scarpe. La sentivo la fata che mi guardava, ed ero furioso che mi avesse giocato questo tiro maledetto, mi vergognavo di me, sapevo che dovevo andarmene senza toccare niente e insieme sapevo che lei sapeva che io pensavo che era un comportamento da vigliacco, e che se non fossi stato in galera allora avrei potuto chiamare gente, cercare intorno se c'erano tracce di chi lo aveva ammazzato, perche' di sicuro lo avevano ammazzato, in quel modo non si era certo potuto ammazzare da solo, insomma avrei potuto fare quello che andava fatto. Ma ero uno uscito di galera, dovevo svignarmela e stare zitto, e mi sentivo un verme, e la fata rideva di me e l'avrei strozzata, ma figuriamoci, lei avrebbe potuto con un cenno, con una parola, con uno sguardo solo trasformarmi in una statua di sale, o di sasso, o di cenere, o in topo, in lucertola, in scarafaggio. Ma non avevo paura di questo, avevo paura che lei che era cosi' bella mi trovasse ridicolo, sciocco, puerile, indegno anche solo di essere il suo schiavo - e se mi avesse voluto anche solo come schiavo avrei fatto qualunque cosa, anche segarmi la gola se me lo avesse ordinato.

E' strano come la vergogna e l'amore si assomiglino, e come l'amore e il terrore siano una cosa sola, e saremmo disposti a tutto anche solo per uno sguardo, neppure uno sguardo nostro alla bellezza, ma uno sguardo della bellezza a noi, e fosse pure la bellezza crudele, fosse pure lo sguardo di scherno, fosse pure l'atto che ci uccide.

Dovevo pensare, mi stavo intorpidendo, era come se stessi lentamente sprofondando nella trappola, nell'abisso. Dovevo tornare concentrato, non fantasticare, non pensare ad altro che alla situazione reale in cui mi trovavo. Analisi concreta della situazione concreta. Analisi concreta della situazione concreta. Prassi - teoria - prassi. Il miglior modo di dire e' fare. Non contemplare, ma trasformare il mondo. Forza.

*

Dovevo tornare indietro. Dovevo farlo subito, sentivo che se mi fossi fermato non sarei tornato piu'. Dovevo volgere le spalle al morto, al pozzo, alla casa stregata, a tutta quella polvere e quella ruggine, ai campi che adesso si stendevano intorno alla casa a perdita d'occhio, adesso che il canneto era sparito e tutto era vuoto, un'infinita pianura deserta. Dovevo tornare indietro subito, e fare la via del ritorno senza mai piu' girarmi per nessun motivo, qualunque cosa sentissi. Mi sentivo pesante come il piombo, pensai che mi stavo pietrificando, misi la mano in saccoccia e prima che mi si paralizzasse il braccio tirai fuori tutto il pacchetto delle caramelle, lo morsi e me ne trovai in bocca una manciata e cominciai a masticare senza neppure scartarle, mi mossi con la stessa fatica che ci sarebbe voluta a una montagna, mi girai e cominciai a camminare strascicando i piedi nella polvere, e tutto era deserto, un infinito giallo, e sopra il cielo era rosso cupo, bronzo e cenere, ma mentre masticavo e camminavo sapevo che a ogni passo sarei stato piu' leggero e dopo un po' ero di nuovo nel canneto e sentivo che se continuavo a camminare era fatta, ero salvo. Dovevo tenere gli occhi chiusi e camminare dritto, ma gli occhi chiusi non li potevo tenere perche' rischiavo di inciampare e di lato c'era lo strapiombo. Cosi' li tenevo chiusi, facevo due o tre passi, li aprivo, poi li chiudevo, facevo altri due o tre passi e li riaprivo, ed aprirli era una fatica ma ce la facevo, piu' andavo avanti e piu' ce la facevo. Mi parve che ci volle un giorno intero per arrivare sotto i contrafforti. Ce l'avevo fatta, ero ancora vivo. Ero in un lago di sudore, ma l'aria era cosi' calda che avrebbe asciugato i miei vestiti prima che arrivassi al cantiere. Mi fermai a respirare sulle scalette che portavano al paese, le salii aiutandomi con le mani, attaccandomi al corrimano e tirandomi su. Giunto sulla muraglia guardai di sotto e non c'era nessuno. Mi sedetti su una panchina e avevo sonno. Un sonno languido, come se sentissi una musica che ti dice che adesso ti devi riposare, che ti puoi riposare. Ma non potevo dormire, le fate ti catturano nei sogni, nei sogni sono ancora piu' pericolose, piu' forti, mentre tu sei ancora piu' debole e non puoi difenderti e non riesci neppure a parlare e a dire che ti sta bene qualunque cosa lei faccia di te, che ti sbrani pure, che non desideri altro. Non dovevo addormentarmi. Per fortuna li' vicino c'era una fontanella, ci misi la testa sotto e m'inzuppai i capelli fino alla radice. Poi bevvi, e bevvi, e bevvi. Poi alzai lentamente la testa e vidi che da due o tre finestre almeno c'erano delle donne che mi guardavano, cosi' dissi forte "buonasera". E una o due di loro risposero: "Buonasera".

*

Al cantiere tutti mi chiesero che mi era successo. Dvevo essere proprio stravolto. Anche quelli con cui non avevo mai detto una parola. Io facevo di no con la testa e non dicevo niente. E comunque c'era da lavorare fino alle otto, e lavorai, lavorai con una concentrazione, con una passione, come se fosse la cosa piu' importante del mondo. E gli altri mi guardavano e si facevano segno. Io di solito non m'affanno sul lavoro, faccio la parte mia e la faccio bene, non batto mai la fiacca. Ma non mi ci spolmono per arricchire i palazzinari. Lavoro il giusto e non oltre, non sono uno schiavo. Ma in quel momento sentivo il bisogno di muovermi, di esercitare la forza sulla materia, umanizzazione della natura e naturalizzazione dell'uomo, il lavoro che media tra natura e umanita', produzione e riproduzione sociale, cultura e civilta', unificazione del mondo, rapporti di proprieta', coscienza di classe e rovesciamento dei rapporti di produzione alienati. Lavora, lavora, e pensa, pensa, compagno. Dovra' finire questa violenza, l'umanita' uscira' da questa preistoria, dal regno della necessita' verso il regno della liberta'. Essere sociale e coscienza. Forza lavoro e umanita'. Dalla mercificazione alla liberazione, si'. Le otto vennero presto.

*

Finche' restai a lavorare al cantiere riuscii a tranquillizzarmi. E' ovvio che continuavo a pensarci, ma riuscivo a passare dal particolare all'universale, dall'astratto al concreto, dalla vicenda individuale ai rapporti sociali complessivi. Sono sempre un militante della classe operaia mi dissi, sono sempre un comunista. Ed erano anni che non me lo dicevo con tanta chiarezza, anni di solitudine amara come il fiele, come il veleno. E invece. Dovevo ricominciare. Dovevo riprendere i contatti con i vecchi compagni, o conoscere i nuovi, dovevo ricominciare a parlare dopo anni ed anni che ero stato zitto.

Invece quando il turno fini' e lasciai il cantiere per dirigermi alla stazione, allora mi venne la paura. E cercavo di ragionare su che paura fosse, e mi dicevo che dovevo resistere, perche' gia' sentivo che aveva cominciato a mangiarmi l'anima, e sapeva tutti i trucchi e il primo di tutti i trucchi e' farti vedere che tutti i tuoi ragionamenti, tutte le tue azioni, sono niente, niente di niente, e il mondo e' solo sofferenza e schifo e morte e qualunque cosa fai tu, fa il partito, fa la classe, fa l'umanita', qualunque cosa, subito diventa male, subito diventa schifo, subito diventa sofferenza e morte. E invece no, dovevo resistere. Leopardi e Marx, la Rosa rossa. Nulla al ver detraendo. Tutti fra se' confederati estima. Mentre camminavo stringevo i pugni nelle tasche. Era gia' buio, camminavo con un'andatura sostenuta. E sentii di nuovo il riso, quel riso, cosi' melodioso, cosi' soave, cosi' luminoso. L'amore, la vita. E io che avevo sprecato la mia esistenza ed ero diventato questa grottesca maschera di legno e di sasso, questo impiastro di fango e di ossessioni. E intanto camminavo, camminavo come se ad ogni falcata dovessi rompere il mare, un ghiacciaio, macigni. Sono ancora un militante comunista, non mi hanno spezzato. E gia' vedevo dietro l'ultima curva della strada le luci livide della stazione e ancora da lontano vedevo che non c'era nessuno e forse era meglio cosi'.

 

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Peppe Dell'Acqua, Fuori come va? Famiglie e persone con schizofrenia. Manuale per un uso ottimistico delle cure e dei servizi, Editori Riuniti, Roma 2003, 2005, Feltrinelli, Milano 2010.

 

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

8. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2442 del 16 agosto 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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