[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 821
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- Date: Wed, 13 Jul 2016 08:49:27 +0200 (CEST)
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)
Numero 821 del 13 luglio 2016
In questo numero:
1. Le armi, le armi assassine
2. Malvolio Straccani: Un'avventura di Nino Crivellacci
3. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
4. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
1. SCORCIATOIE. LE ARMI, LE ARMI ASSASSINE
Le armi, le armi assassine, che uccidono sempre gli esseri umani.
E' il disarmo la politica prima, la politica prima che salva le vite.
Abolire le armi, abolire gli eserciti, disarmare il mondo, riconoscere che vi e' una sola umanita' in un unico mondo casa comune dell'umanita' intera, riconoscere che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Cessare di fare le guerre, cessare di uccidere.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
2. RACCONTI PER L'ESTATE. MALVOLIO STRACCANI: UN'AVVENTURA DI NINO CRIVELLACCI
[Ancora una storia dal nostro vecchio amico Malvolio Straccani]
Durante la mia infanzia mi vennero raccontate molte storie sulla Paura. La Paura era un essere mostruoso, un luogo incantato e pericoloso, un potere malefico. Ancora adesso che ne scrivo sento un'eco del turbamento di allora, e sono un vecchio dalla zucca pelata col naso e le orecchie pieni di peli bianchi.
Nella mia famiglia si raccontava che un mio zio una volta l'avesse incontrata, e fosse sopravvissuto grazie a una disperata fuga prima di averne fissato il volto (se ne vedevi il volto eri preso per sempre); si raccontava anche di un luogo, che era in fondo al nostro uliveto, ed era meglio non andarci da solo se volevi tornare (ma io da bambino ci andai da solo apposta, per mettermi alla prova, e devo essere pur tornato); si raccontava anche un'altra vicenda che qui non riferiro'. E poi si raccontavano altre storie piu' generiche e banali di visioni e tormenti, ambientate in grotte, catapecchie e cimiteri, e di notti di fuochi fatui, di anime in pena eccetera, storie i cui protagonisti - perlopiu' giovani miscredenti e arroganti - pagavano la loro temerarieta' con la morte e la dannazione. Versioni popolari del Faust e del Don Giovanni, o forse discendenze da comuni archetipi.
Oltre alla Paura c'era anche, ma questa era cosa di gran lunga piu' ordinaria sebbene non meno malvagia e inesorabile, il malocchio. E una mia zia sapeva dirti se ne eri stato colpito ponendo in un piatto pochi ingredienti: dell'olio e qualche frammento corporeo - forse capelli, forse ritagli di unghie -; ricordo con certezza che tutte le persone per cui si faceva l'oleosa prova avevano il malocchio (io stesso, sempre); era frequentissimo a quei tempi al mio paese essere colpiti dal malocchio data l'estrema facilita' della maledizione: bastava che qualcuno ti guardasse storto con cattiva intenzione, e non ricordo se occorresse qualche altro specifico ingrediente ma credo di no. Si aveva il malocchio quando le cose ti andavano male (e alla povera gente andavano male sempre), o se avevi continui problemi di salute.
Tutti credevano al malocchio, e piu' di tutti il segretario della sezione del partito comunista, che poi ero io.
*
In sezione avevamo una bella biblioteca, con Jack London, Marx e Engels, Tolstoj, Lenin e Stalin, la storia della rivoluzione francese, gli opuscoli del partito con i discorsi dei dirigenti, il Breve corso, un vocabolario che fa sempre comodo. E c'era un giovane iscritto che studiava all'universita' e che speravamo di portarlo in consiglio comunale.
Una volta all'anno facevamo la riunione del tesseramento, quando c'erano le elezioni si lavorava sodo, per i congressi veniva il compagno della federazione.
Quando Baccajone si ammalo', pareva una cosa da niente. Invece si aggravo' sempre di piu'. E i dottori non capivano che accidenti avesse. Qui devo dire che Baccajone era uno dei nostri migliori compagni, quando si faceva la diffusione del giornale era quello che distribuiva piu' copie e senza regalarle, per la campagna del teseramento ogni anno era quello che faceva piu' tessere di tutti (erano quasi tutti rinnovi, si', ma bisognava comunque fare il giro per ritirare le quote e lasciare i bollini, e certe volte occorreva passare cinque volte a casa dei compagni e discuterci per ore), e l'anno che facemmo la Festa dell'Unita' fu lui che mise in piedi la lotteria, e che insieme a me si fece le nottate tra venerdi' e domenica per sorvegliare il palco, la tenda con la cucina, i tavolini con le sedie, la bancarella della stampa del partito e la mostra sulla Resistenza e quella sulle conquiste del socialismo (e tutti ricordano quello che successe la notte del sabato quando gli sgherri avvinazzati delle forze della reazione tentarono di assalire il presidio del popolo e li respingemmo a bastonate e sia io che Baccajone oltre ai denti che non abbiamo piu' - ma alla vile squadraccia fascista ando' assai peggio - ci facemmo pure sei mesi in gattabuja. Baccajone era quello che allora dicevamo un compagno di provata fede bolscevica, e a trincare non lo batteva nessuno, e sapeva pure suonare la fisarmonica. E quando si scrivevano i manifesti gli venivano certe idee che poi la gente diceva: quella l'ha pensata Baccajone.
*
Ma intanto peggiorava e pure il professore che lo visito' quando lo portarono a Roma non ci capiva niente. Qui c'era qualcosa che puzzava.
Noi siamo un partito responsabile, la via nazionale al socialismo richiede grossi sacrifici e grande prudenza, e poi non possiamo permetterci di farci querelare dai democristiani, che hanno gli avvocati e che sono pappa e ciccia coi carabinieri, col prete a cui le donne dicono tutto in confessione e che poi ridice tutto al maresciallo e al sindaco, e figuriamoci coi giudici corrotti dello stato borghese che e' sempre pronto al fascismo quando gli sfruttatori vedono minacciati i loro sporchi interessi.
Ma quello che succedeva a Baccajone, insomma, era un tentato omicidio. Non dico che lo avessero avvelenato, no, perche' non c'era la prova scientifica, e su questo piano materialismo storico e scienza moderna nella loro alleanza d'acciaio non li frega nessuno; ma qualche cosa dovevano pure avergli fatto. Non dico quel ladro del sindaco, non ne ho le prove, ma qualcuno della banda dei forchettoni era stato di sicuro. Pero' non si poteva far niente sul piano legale (ne parlammo anche con i compagni della federazione che ci dissero che non c'erano i presupposti per una denuncia, e che il partito era contrario alle investigazioni private). L'unica cosa che si poteva fare era cercar di salvare la vita a Baccajone. Riunii il direttivo in seduta segreta. Ed esposi il mio piano.
La relazione che presentai partiva dal presupposto che occorreva fare un'analisi leninista della situazione: analisi concreta della situazione concreta. Il compagno Anselmo Pizzicarelli, detto Baccajone (dovevamo sempre scrivere "detto Baccajone" anche sui manifesti per le elezioni comunali, altrimenti non lo capiva nessuno che quel candidato era lui) era vittima di un grave malanno dinanzi a cui la scienza moderna aveva sancito l'assenza di cause organiche, era quindi vittima di una malattia derivante da fenomeni non fisico-biologici ma ideologico-sociali, che erano prodotto storico dell'attivita' umana e quindi riconducibili con assoluta certezza ai rapporti di produzione e di proprieta' e dunque alla lotta di classe. Tutti sapevamo che Baccajone aveva consacrato la sua vita alla classe operaia per il trionfo mondiale del socialismo, e quindi la bieca borghesia vedeva in lui un avversario che non poteva ne' corrompere, ne' demoralizzare, ne' sconfiggere, e che non solo apparteneva al proletariato - esercitando il lavoro manuale di barbiere, dopo essere stato a garzone nel settore zootecnico e muratore attaccacalce nel settore edilizio fino all'incidente che lo aveva mezzo azzoppato - ma anche alla sua avanguardia cosciente e organizzata: il partito. Eseguita correttamente un'analisi marxista-leninista della situazione concreta tutto era chiaro: i rappresentanti locali della dittatura borghese avevano trovato un mezzo occulto per assassinare il nostro compagno Baccajone. Ma la borghesia fa male i suoi conti se spera che il partito della classe operaia ha gli occhi chiusi ed e' inerte. Il partito della classe operaia e' vigile e attivo. Prassi-teoria-prassi. Inutile dire che noi sappiamo bene chi sono i mandanti e i sicari di questo vile tentativo di omicidio. Ma sappiamo anche che nel momento attuale dello sviluppo storico non abbiamo gli strumenti legali per perseguirli poiche' la giustizia borghese, che meglio potremmo chiamare ingiustizia borghese, copre i crimini dei padroni e dei loro lacche' e aguzzini. E noi rispettiamo le leggi, anche se sono imperfette, ed anche se chi le rappresenta e le amministra ne e' indegno, perche' noi siamo per la legalita' repubblicana e per la democrazia costituzionale di cui il nostro partito e' il primo, anzi l'unico pilastro, come ha dimostrato negli anni della lotta per il riscatto del nostro paese dalla dittatura fascista. Quindi, compagni, non resta per ora che una cosa da fare: far guarire Baccajone.
La scienza moderna sa che il mondo e' regolato dalla dialettica: tutte le cose sono collegate, e ogni effetto ha una causa; ebbene, compagni, noi sappiamo l'effetto: la malattia di Baccajone; la causa puo' essere una sola: il malocchio.
A qesto punto il giovane studente alzo' la mano per chiedere la parola alla fine della relazione del segretario; gli feci un cenno di assenso.
Proseguii: metto all'ordine del giorno, primo, la ricerca di una cura rapida ed efficace, chi ne conosce una la dica; secondo, chiedo poi che il direttivo dia mandato alla segreteria - a me, al compagno Sornaconi Augusto e alla compagna Fedeli Assuntina vedova Mengoccia - allargata al nostro giovane compagno universitario Cavallaroni Girolamo detto Gino, i cui studi ci saranno senz'altro di estrema utilita', di fare ogni sforzo per salvare la vita del compagno Baccajone.
Prima che il nostro giovane studente potesse prendere la parola meta' del direttivo si alzo' in piedi vista l'ora tarda e a nome di tutti Magnacane disse che erano d'accordo all'unanimita' con la proposta del compagno segretario, e se ne tornarono a casa. Restammo in quattro, la segreteria e il giovane compagno Gino. Il giovane compagno Gino volle comunque fare il suo discorso contro l'oscurantismo infiltratosi per l'azione degli agenti della reazione nelle tradizioni popolari, sulle vetuste superstizioni che gia' il capitalismo nella sua fase concorrenziale ed espansiva spazzo' via come spiegavano Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, geniale strumento di lotta del proletariato internazionale, e aggiunse un po' di altre cose, anche in francese. Bravo compagno, dovevamo proprio riuscire a mandarlo in Comune, gli avrebbe fatto vedere i sorci verdi a quel ladrone del sindaco.
Purtroppo tutti i compagni che avevano lasciato la riunione del direttivo a causa dell'ora tarda si erano dimenticati di dire se conoscevano qualche rimedio per il malocchio. Cosi' decidemmo di riconvocare in seduta straordinaria ed urgente la segreteria allargata per la sera successiva, con l'impegno che ognuno di noi avrebbe cercato di sapere in giro - ma con la massima discrezione, naturalmente - cosa occorresse fare per guarire dal malocchio.
La sera dopo ne sapevano quanto la sera prima perche' nessuno di noi aveva avuto il tempo di chiedere niente a nessuno. Ci riconvocammo per il sabato successivo, e diedi incarico al compagno studente di cercare qualcosa sui libri della biblioteca pubblica nella citta' piu' vicina (che era a un'ora di treno); alla compagna Fedeli vedova Mengoccia di sentire cautamente e informalmente la sora Cesira, la zi' Filomena, la zi' Angelina e la signora Albizzieri maestra elementare in pensione; il compagno Agostino avrebbe parlato col zi' Giggetto detto Rosicallossi che aveva fama di saper guarire le bestie toccandole e parlandoci, e che con le mani sapeva aggiustare le ossa slogate e i nervi accavallati. Io avrei sentito la strega (in paese la chiamavano tutti cosi'), che poi era mia zia Petronia e al contrario delle perfide e pusillanimi dicerie si trattava di una persona buona come il pane, solo dalla lingua troppo sciolta, dalla voce troppo alta, e con la vocazione ai giudizi taglienti, agli insulti diciamo plebei, e con la propensione nel confronto democratico (a quei tempi si diceva anche: la battaglia delle idee) a passare alle vie di fatto, e non aggiungo altro. Quando dissi che avrei sentito mia zia tutti tirarono un sospiro di sollievo, sorrisero e mi diedero abbracci e pacche sulle spalle. Nei loro sguardi lessi come un titolo a tutta pagina sull'Unita': Baccajone e' salvo, grande vittoria del partito della classe operaia e dell'unita' nazionale.
*
Invece non fu una cosa facile. Alla riunione successiva emersero i seguenti dati.
Primo: che si era diffusa la notizia tra il popolo, che era arrivata alle orecchie del nemico di classe e che i vili assassini borghesi stavano gia' tramando infami contromosse.
Secondo: che dalla relazione del compagno studente (relazione eccellente, di alto profilo culturale, che citava testi di Cicerone e Virgilio, di Dante Alighieri, Ariosto e Tasso, fino al compagno prof. Ernesto De Martino, oltre naturalmente a Marx, Lenin, Gramsci e il compagno segretario del partito e capo della classe operaia nel nostro paese on. Palmiro Togliatti) si ricavavano poche e confuse indicazioni pratiche, di complicata e incerta realizzazione, e su cui il compagno riteneva che fosse necessaria un'autorizzazione della federazione, se non addirittura della segreteria nazionale. Tra l'altro erano cose costose e illegali. All'unanimita' deliberammo la loro irrealizzabilita', e con un solo voto contrario decidemmo la distruzione li' per li', attraverso incenerimento del manoscritto, della parte conclusiva della relazione (e per prudenza - che non e' mai troppa - della relazione intera) dopo aver messo a verbale una nota di merito per il compagno che l'aveva redatta, e che nonostante la giovane eta' avremmo proposto per l'ingresso in segreteria alla prossima riunione del direttivo.
Terzo: le vecchie comari invece di darci il benche' minimo aiuto a salvare una vita umana avevano spifferato al prete ogni cosa, e quello nella funzione del pomeriggio aveva fatto una predica contro il comunismo sinagoga di satana e una serie di altri improperi, e pur senza mai nominarmi ma parlando di un fantomatico fabbro che nella citta' infernale abitava in via della Repubblica Bolscevica (ed io faccio il fabbro, e ho la bottega in via della Repubblica gia' via Umberto I) dedito a pratiche magiche e sacrileghe come tutto il parentado, mi aveva suppergiu' indicato quale novello Nerone e anticristo e rovinafamiglie (e questa offesa gratuita proprio non la posso mandar giu', mia moglie puo' testimoniare che come ogni vero comunista la mia fedelta' coniugale e' senza macchie).
Quarto: quel mascalzone e gran ciarlatano di Rosicallossi voleva essere pagato anticipato prima di spiccicare una sola parola, e aveva detto al compagno Augusto, anzi glielo aveva fatto imparare a memoria affinche' ce lo riferisse per filo e per segno, che se non lo pagavamo subito avremmo avuto sulla coscienza il povero Baccajone, che lo poteva salvare solo lui che conosceva "tutti gli scongiuri minori e maggiori contro il malocchio, egiziani, caldei e latini, calabresi, abruzzesi e napolitani, con piaghe visibili e invisibili, con stecchi di spine e sputi di sangue".
Quinto: l'unica buona notizia ce l'avevo io. Mia zia mi aveva insegnato quello che chiamava "mistero grande e arte di governo", rimedio rischioso, rischiosissimo, ma infallibile. Che qui non posso rivelare nei dettagli.
*
Ando' cosi': che Baccajone peggiorava a vista d'occhio e gia' non parlava piu'. Il giorno dopo andammo a casa sua in delegazione tutta la segreteria (solo la segreteria, lo studente era troppo giovane per una cosa del genere) e dalla moglie - che non disse una parola - ci facemmo consegnare un cuscino col sudore del marito e due altre cose che non posso dire. La notte a mezzanotte andammo tutti e tre nella radura piu' alta del bosco che ci separa dal lago, mi ero fatto spiegare la strada da mio fratello che sta nella Forestale e che insistette per accompagnarci ma gli dissi che non era possibile e che piuttosto mi giurasse che si sarebbe preso cura di mia moglie se qualcosa andava male.
Accendemmo uno stentato focherello di sterpi con un po' di cartone e di stracci inzuppati di benzina; poi imbevemmo di alcool il cuscino (tre litri d'alcool, mica uno scherzo), sul cuscino mettemmo quelle altre schifezze, e lo buttammo nel fuoco. Dovevamo dire tre avemmarie, ma il cuscino bruciava lentamente e fini' che ne dicemmo almeno una dozzina - a dire il vero le disse solo la compagna Tina, che io e il compagno Augusto non ce le ricordavamo e ci limitavamo a una specie di mormorio ripetendo qua e la' le poche parole della compagna Assuntina che riuscivamo a capire, cioe' avemmaria e ssantamaria - ma quelle due parole le ripetevamo bello forte, che pareva di sentire il rimborbo.
Mia zia mi aveva detto che se la cosa andava bene, avremmo visto formarsi degli occhi sul cuscino, che si aprivano, si chiudevano e sparivano, e avremmo dovuto sentire dei fischi, dei lamenti e dei fruscii. Noi non vedemmo niente, ma almeno i fruscii li sentimmo - eravamo in mezzo al bosco.
Quando il cuscino si era tutto consumato e il fuoco si spense accendemmo di nuovo le lampadine tascabili, calpestammo e disperdemmo a calci la cenere e i residui anneriti qua e la', mettemmo le bottiglie di plastica dell'alcool in una busta della spesa e ce le portammo via per non sporcare. Un militante del partito comunista rispetta la natura e il paesaggio.
Un mezzo chilometro piu' giu' c'era mio fratello con un altro della Forestale che ci aspettavano. Tutto bene? chiesero. Tutto bene, dicemmo. E gli occhi dal cuscino sono usciti? chiesero. Si', parecchi, dissi, e gli altri assentirono. Qualche centinaio di metri piu' giu', nello spiazzo dove si fa ogni anno la festa dell'albero, c'erano almeno almeno due o trecento persone, e pure il prete. Come e' andata? chiese la moglie di Augusto. Bene, bene, disse lui. Deo gratias, disse il prete.
Quando arrivammo al limite tra il bosco e il paese c'erano tutti gli altri, sindaco, farmacista e comandante dei carabinieri in testa. E allora, fece quel baron fottuto del sindaco. Tutto bene, dissi io a voce e testa bassa. Come? disse il farmacista, che era un po' sordo. Bene, ripetei a voce piu' alta. E gia' la parola passava da persona a persona, qualche donna comincio' a piangere, e parti' un applauso cui subito si unirono tutti quanti. Fu una bella cosa.
A casa poi mia moglie mi chiese che sarebbe accaduto se qualcosa fosse andata storta. Non ne parliamo, dissi.
La mattina dopo Baccajone ricomincio' a parlare, anzi a bestemmiare. Guari' in una settimana. Alle elezioni successive entrarono in consiglio comunale lui, il compagno studente e altri due compagni; avevamo triplicato i voti, la piu' grande vittoria del partito di tutti i tempi. A festeggiare venne il segretario della federazione con un compagno della direzione nazionale che era stato in carcere con il compagno Antonio Gramsci.
Una grande vittoria della classe operaia.
3. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA
Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.
4. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
[L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza]
Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it, facebook: associazioneerinna1998
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 821 del 13 luglio 2016
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