[Nonviolenza] Telegrammi. 2185



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2185 del 3 dicembre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Fermare la guerra

2. Contro tutti i terrorismi, contro tutte le guerre

3. Hic et nunc, quid agendum

4. Enrico Piovesana: Il Kosovo "dimenticato dalla Nato" diventa il primo centro di reclutamento dell'Isis

5. Fulvio Scaglione: Francia. Almeno smettiamola con le chiacchiere

6. Etienne Balibar ed altri: Contro la guerra non si puo' restare in silenzio

7. Francesco Gesualdi: Il dominio del consumo

8. Marco Revelli: Luciano Gallino, intellettuale di fabbrica

9. Segnalazioni librarie

10. La "Carta" del Movimento Nonviolento

11. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. FERMARE LA GUERRA

 

Fermare la guerra e le stragi e' il primo compito dell'umanita'.

Pace, disarmo, smilitarizzazione.

Aiuti umanitari, autentici interventi di polizia internazionale guidati dall'Onu contro i poteri criminali transnazionali, costruzione della pace con mezzi di pace.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

2. REPETITA IUVANT. CONTRO TUTTI I TERRORISMI, CONTRO TUTTE LE GUERRE

 

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni uccisione e' un crimine.

Non si puo' contrastare una strage commettendo un'altra strage.

Non si puo' contrastare il terrorismo con atti di terrorismo.

A tutti i terrorismi occorre opporsi.

Salvare le vite e' il primo dovere.

*

La guerra e' il terrorismo portato all'estremo.

Ogni guerra consiste di innumerevoli uccisioni.

La guerra e' un crimine contro l'umanita'.

Con la guerra gli stati divengono organizzazioni terroriste.

Con la guerra gli stati fanno nascere e crescere le organizzazioni terroriste.

A tutte le guerre occorre opporsi.

Salvare le vite e' il primo dovere.

*

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Un'organizzazione criminale va contrastata con un'azione di polizia da parte di ordinamenti giuridici legittimi.

La guerra impedisce l'azione di polizia necessaria.

Occorre dunque avviare un immediato processo di pace nel Vicino e nel Medio Oriente che consenta la realizzazione di ordinamenti giuridici legittimi, costituzionali, democratici, rispettosi dei diritti umani.

Occorre dunque che l'Europa dismetta ogni politica di guerra, di imperialismo, di colonialismo, di rapina, di razzismo, di negazione della dignita' umana di innumerevoli persone e di interi popoli.

Occorre dunque una politica europea di soccorso umanitario, di pace con mezzi di pace: la politica della nonviolenza che sola riconosce e promuove e difende i diritti umani di tutti gli esseri umani.

Salvare le vite e' il primo dovere.

*

La violenza assassina si contrasta salvando le vite.

La pace si costruisce abolendo la guerra.

La politica della nonviolenza richiede il disarmo e la smilitarizzazione.

La politica nonviolenta richiede la difesa civile non armata e nonviolenta, i corpi civili di pace, l'azione umanitaria, la cooperazione internazionale.

Salvare le vite e' il primo dovere.

*

Si coalizzino tutti gli stati democratici contro il terrorismo proprio ed altrui, contro il terrorismo delle organizzazioni criminali e degli stati.

Si coalizzino tutti gli stati democratici per la pace, il disarmo, la smilitarizzazione dei conflitti.

Si coalizzino tutti gli stati democratici per l'indispensabile aiuto umanitario a tutte le persone ed i popoli che ne hanno urgente bisogno.

Si coalizzino tutti gli stati democratici per contrastare le organizzazioni criminali con azioni di polizia adeguate, mirate a salvare le vite e alla sicurezza comune.

Si coalizzino tutti gli stati democratici per la civile convivenza di tutti i popoli e di tutti gli esseri umani.

Salvare le vite e' il primo dovere.

*

Cominci l'Italia.

Cominci l'Italia soccorrendo, accogliendo e assistendo tutte le persone in fuga dalla fame e dall'orrore, dalle dittature e dalla guerra.

Cominci l'Italia cessando di partecipare alle guerre.

Cominci l'Italia uscendo da alleanze militari terroriste e stragiste come la Nato.

Cominci l'Italia cessando di produrre  armi e di rifornirne regimi e poteri dittatoriali e belligeranti.

Cominci l'Italia abrogando tutte le infami misure razziste ancora vigenti nel nostro paese.

Cominci l'Italia con un'azione diplomatica, politica ed economica, e con aiuti umanitari adeguati a promuovere la costruzione di ordinamenti giuridici legittimi, costituzionali e democratici dalla Libia alla Siria.

Cominci l'Italia destinando a interventi di pace con mezzi di pace, ad azioni umanitarie nonviolente, i 72 milioni di euro del bilancio dello stato che attualmente ogni giorno sciaguratamente, scelleratamente destina all'apparato militare, alle armi, alla guerra.

Cominci l'Italia a promuovere una politica della sicurezza comune e del bene comune centrata sulla difesa popolare nonviolenta, sui corpi civili di pace, sulla legalita' che salva le vite.

Salvare le vite e' il primo dovere.

*

Ogni vittima ha il voto di Abele.

Alla barbarie occorre opporre la civilta'.

Alla violenza occorre opporre il diritto.

Alla distruzione occorre opporre la convivenza.

Al male occorre opporre il bene.

Contro tutti i terrorismi, contro tutte le guerre.

Salvare le vite e' il primo dovere.

 

3. REPETITA IUVANT. HIC ET NUNC, QUID AGENDUM

 

Occorre soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in fuga dalla fame e dalle guerre.

Occorre riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in modo legale e sicuro nel nostro paese.

Occorre andare a soccorrere e prelevare con mezzi di trasporto pubblici e gratuiti tutti i migranti lungo gli itinerari della fuga, sottraendoli agli artigli dei trafficanti.

Occorre un immediato ponte aereo di soccorso internazionale che prelevi i profughi direttamente nei loro paesi d'origine e nei campi collocati nei paesi limitrofi e li porti in salvo qui in Europa.

Occorre cessare di fare, fomentare, favoreggiare, finanziare le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani.

Occorre proibire la produzione e il commercio delle armi.

Occorre promuovere la pace con mezzi di pace.

Occorre cessare di rapinare interi popoli, interi continenti.

In Italia occorre abolire i campi di concentramento, le deportazioni, e le altre misure e pratiche razziste e schiaviste, criminali e criminogene, che flagrantemente confliggono con la Costituzione, con lo stato di diritto, con la democrazia, con la civilta'.

In Italia occorre riconoscere immediatamente il diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti.

In Italia occorre contrastare i poteri criminali, razzisti, schiavisti e assassini.

L'Italia realizzi una politica della pace e dei diritti umani, del disarmo e della smilitarizzazione, della legalita' che salva le vite, della democrazia che salva le vite, della civilta' che salva le vite.

L'Italia avvii una politica nonviolenta: contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Salvare le vite e' il primo dovere.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

4. DOCUMENTAZIONE. ENRICO PIOVESANA: IL KOSOVO "DIMENTICATO DALLA NATO" DIVENTA IL PRIMO CENTRO DI RECLUTAMENTO DELL'ISIS

[Da "Il Fatto Quotidiano" del primo dicembre 2015.

Enrico Piovesana e' giornalista e reporter da aree di conflitto]

 

L'operazione dell'Antiterrorismo e della Digos di Brescia, che ha portato all'arresto di quattro sospetti terroristi kosovari legati all'Isis, e' un campanello d'allarme che riaccende l'attenzione su fenomeno pericolosamente sottovalutato e per certi versi incomprensibile. Il protettorato euro-atlantico del Kosovo e' diventato il principale vivaio dell'Isis in Europa, nonostante sul suo piccolo territorio siano presenti 5000 soldati della missione Nato Kfor a guida italiana e 1.500 agenti della missione di polizia europea Eulex.

Secondo i dati del Ministero degli Interni di Pristina, sono almeno trecento i kosovari che sono andati in Siria a combattere con il Califfato e che fanno regolarmente avanti e indietro via Turchia e Macedonia, trasformando il Kosovo in una una pericolosa rampa di lancio per azioni terroristiche in Europa. Questo dato fa del Kosovo, che ha solo un milione e 800.000 abitanti, il principale serbatoio europeo pro-capite di foreign fighter dello Stato Islamico.

Referente dei quattro kosovari arrestati dalla polizia italiana e' il comandante della 'brigata balcanica' dell'Isis formata da kosovari, bosniaci, albanesi, macedoni e montenegrini: il sanguinario jihadista kosovaro Lavdrim Muhaxheri (nome di battaglia, Abu Abdullah al Kosova), originario di Kacanik, ex roccaforte dell'Uck divenuta oggi principale centro di reclutamento dell'Isis in Kosovo - come racconta un recente servizio delle "Iene".

Non solo Kacanik si trova a pochi chilometri dalla mega-base militare americana di Camp Bondsteel, ma Muhaxheri in quella base ci aveva anche lavorato fino al 2010 - come altri futuri jihadisti kosovari, tra cui il giovane kamikaze Blerim Heta - per poi continuare a lavorare per la Nato in Afghanistan fino al 2012, subito prima di partire per la Siria. Com'e' possibile che tutto questo accada sotto gli occhi dell'apparato militare e di intelligence Nato e Ue che opera in Kosovo? "Kacanik e la storia di Muhaxheri sono solo la punta dell'iceberg - spiega a ilfattoquotidiano.it il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo - perche' tutto il territorio kosovaro, penso alla vale di Drenica, pullula da anni di imam radicali che predicano la guerra santa e operano come reclutatori nelle centinaia di moschee finanziate dalle monarchie arabe. Questa situazione e' potuta maturare nonostante le missioni internazionali presenti sul territorio, perche' da tempo l'Europa e la Nato si disinteressano al Kosovo, e ai Balcani in generale, nonostante questa evoluzione fosse chiara da anni".

L'allarme, in effetti, lo aveva gia' lanciato in modo molto chiaro nel 2009 Antonio Evangelista, ex comandante de missione Unmik in Kosovo e tra i massimi esperti europei di antiterrorismo. Nel suo libro Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa spiegava come gli orfani delle guerre balcaniche fossero preda, in Kosovo come in Bosnia, di una rete di caritatevoli predicatori wahabiti finanziata da organizzazioni pseudo-umanitarie di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait Qatar e Turchia, che li sottoponevano a un lavaggio del cervello trasformandoli in futuri martiri della jihad. Oggi quei ragazzi sono diventati grandi, pronti a combattere per l'Isis in Siria ma anche a casa loro, in Europa.

 

5. DOCUMENTAZIONE. FULVIO SCAGLIONE: FRANCIA. ALMENO SMETTIAMOLA CON LE CHIACCHIERE

[Dal sito di "Famiglia Cristiana" riprendiamo questo intervento del 15 novembre 2015.

Fulvio Scaglione e' vicedirettore di "Famiglia cristiana" e responsabile dell'edizione on line del setimanale. Opere di Fulvio Scaglione: Bye bye Baghdad, Frilli, Genova 2003; La Russia e' tornata, Boroli, 2005; I cristiani e il Medio Oriente, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2008]

 

E' inevitabile, ma non per questo meno insopportabile, che dopo tragedie come quella di Parigi si sollevi una nuvola di facili sentenze destinate, in genere, a essere smentite dopo pochi giorni, se non ore, e utili soprattutto a confondere le idee ai lettori. E' la nebbia di cui approfittano i politicanti da quattro soldi, i loro fiancheggiatori nei giornali, gli sciocchi che intasano i social network. Con i corpi dei morti ancora caldi, tutti sanno gia' tutto: anche se gli stessi inquirenti francesi ancora non si pronunciano, visto che l'unico dei terroristi finora identificato, Omar Ismail Mostefai, 29 anni, francese, e' stato "riconosciuto" dall'impronta presa da un dito, l'unica parte del corpo rimasta intatta dopo l'esplosione della cintura da kamikaze che indossava.

Ancor meno sopportabile e' il balbettamento ideologico sui colpevoli, i provvedimenti da prendere, il dovere di reagire. Non a caso risuscitano in queste ore le pagliacciate ideologiche della Fallaci, grande sostenitrice (come tutti quelli che ora la recuperano) delle guerre di George W. Bush, ormai riconosciute anche dagli americani per quello che in realta' furono: un cumulo di menzogne e di inefficienze che servi' da innesco a molti degli attuali orrori del Medio Oriente.

Mentre gli intellettuali balbettano sui giornali e in tv, la realta' fa il suo corso. Dell'Isis e delle sue efferatezze sappiamo tutto da anni, non c'e' nulla da scoprire. E' un movimento terroristico che ha sfruttato le repressioni del dittatore siriano Bashar al Assad per presentarsi sulla scena: armato, finanziato e organizzato dalle monarchie del Golfo (prima fra tutte l'Arabia Saudita) con la compiacenza degli Stati Uniti e la colpevole indifferenza dell'Europa.

Quando l'Isis si e' allargato troppo, i suoi mallevadori l'hanno richiamato all'ordine e hanno organizzato la coalizione americano-saudita che, con i bombardamenti, gli ha messo dei paletti: non piu' in la' di tanto in Iraq, mano libera in Siria per far cadere Assad. Il tutto mentre da ogni parte, in Medio Oriente, si levava la richiesta di combatterlo seriamente, di eliminarlo, anche mandando truppe sul terreno. Innumerevoli in questo senso gli appelli dei vescovi e dei patriarchi cristiani, ormai chiamati a confrontarsi con la possibile estinzione delle loro comunita'.

Abbiamo fatto qualcosa di tutto questo? No. La Nato, ovvero l'alleanza militare che rappresenta l'Occidente, si e' mossa? Si', ma al contrario. Ha assistito senza fiatare alle complicita' con l'Isis della Turchia di Erdogan, ma si e' indignata quando la Russia e' intervenuta a bombardare i ribelli islamisti di Al Nusra e delle altre formazioni.

Nel frattempo l'Isis, grazie a Putin finalmente in difficolta' sul terreno, ha esportato il suo terrore. Ha abbattuto sul Sinai un aereo di turisti russi (224 morti, molti piu' di quelli di Parigi) ma a noi (che adesso diciamo che quelli di Parigi sono attacchi "contro l'umanita'") e' importato poco. Ha rivendicato una strage in un mercato di Beirut, in Libano, e ce n'e' importato ancor meno. E poi si e' rivolto contro la Francia.

Abbiamo fatto qualcosa? No. Abbiamo provato a tagliare qualche canale tra l'Isis e i suoi padrini? No. Abbiamo provato a svuotare il Medio Oriente di un po' di armi? No, al contrario l'abbiamo riempito, con l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell'importazione di armi, vendute (a loro e ad altri) dai cinque Paesi che siedono nel Consiglio di Sicurezza (sicurezza?) dell'Onu: Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia.

Solo l'altro giorno, il nostro premier Renzi (che come tutti ora parla di attacco all'umanita') era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico piu' integralista, piu' legato all'Isis e piu' dedito al sostegno di tutte le forme di estremismo islamico del mondo. E nessuno, degli odierni balbettatori, ha speso una parola per ricordare (a Renzi come a tutti gli altri) che il denaro, a dispetto dei proverbi, qualche volta puzza.

Perche' la verita' e' questa: se vogliamo eliminare l'Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi. Facciamoci piuttosto la domanda: vogliamo davvero eliminare l'Isis? E' la nostra priorita'? Poi guardiamoci intorno e diamoci una risposta. Ma che sia sincera, per favore. Di chiacchiere e bugie non se ne puo' piu'.

 

6. DOCUMENTAZIONE. ETIENNE BALIBAR ED ALTRI: CONTRO LA GUERRA NON S PUO' RESTARE IN SILENZIO

[Dal quotidiano "il manifesto" del 27 novembre 2015.

Etienne Balibar, pensatore francese, nato nel 1942, docente di filosofia alla Sorbona, collaboratore di Althusser, ha fatto parte del Pcf uscendone nel 1981 in opposizione alla politica del partito comunista francese iniqua verso gli immigrati; impegnato contro il razzismo, e' uno degli intellettuali critici piu' lucidi nella denuncia delle nuove e pervasive forme di oppressione e sfruttamento. Tra le opere di Etienne Balibar: (con Louis Althusser et alii), Leggere il Capitale, Feltrinelli, Milano 1971; Sulla dittatura del proletariato, Feltrinelli, Milano 1978; Per Althusser, Manifestolibri, Roma 1991, 2001; Le frontiere della democrazia, Manifestolibri, Roma 1993, 1999; La filosofia di Marx, Manifestolibri, Roma 1994, 2005; Spinoza e la politica, Manifestolibri, Roma 1995; (con Immanuel Wallerstein), Razza, nazione e classe, Edizioni Associate, Roma 1996; La paura delle masse. Politica e filosofia prima e dopo Marx, Mimesis, Milano 2001; Spinoza, il transindividuale, Ghibli, 2002; L'Europa, l'America, la guerra, Manifestolibri, Roma 2003; Noi, cittadini d'Europa? Le frontiere, lo stato, il popolo, Manifestolibri, 2004; Europa cittadinanza confini. Dialogando con Etienne Balibar, Pensa Multimedia, 2006; Europa, paese di frontiere, Pensa MultiMedia, Lecce 2006; Cittadinanza, Bollati Boringhieri, Torino 2012]

 

Nessuna interpretazione monolitica, nessuna spiegazione meccanicistica puo' far luce sugli attentati. Ma possiamo forse rimanere in silenzio? Molte persone - e le comprendiamo - ritengono che davanti all'orrore di questi fatti, l'unico atto decente sia il raccoglimento. Eppure non possiamo tacere, quando altri parlano e agiscono in nostro nome: quando altri ci trascinano nella loro guerra. Dovremmo forse lasciarli fare, in nome dell'unita' nazionale e dell'intimazione a pensare in sintonia con il governo?

Si dice che adesso siamo in guerra. E prima no? E in guerra perche'? In nome dei diritti umani e della civilta'? La spirale in cui ci trascina lo Stato pompiere piromane e' infernale. La Francia e' continuamente in guerra. Esce da una guerra in Afghanistan, lorda di civili assassinati. I diritti delle donne continuano a essere negati, e i talebani guadagnano terreno ogni giorno di piu'. Esce da una guerra alla Libia che lascia il paese in rovine e saccheggiato, con migliaia di morti, e montagne di armi sul mercato, per rifornire ogni sorta di jihadisti. Esce da una guerra in Mali, e la' i gruppi jihadisti di al Qaeda continuano ad avanzare e perpetrare massacri. A Bamako, la Francia protegge un regime corrotto fino al midollo, cosi' come in Niger e in Gabon. E qualcuno pensa che gli oleodotti del Medioriente, l'uranio sfruttato in condizioni mostruose da Areva, gli interessi di Total e Bollore' non abbiano nulla a che vedere con questi interventi molto selettivi, che si lasciano dietro paesi distrutti? In Libia, in Centrafrica, in Mali, la Francia non ha varato alcun piano per aiutare le popolazioni a uscire dal caos. Eppure non basta somministrare lezioni di pretesa morale (occidentale). Quale speranza di futuro possono avere intere popolazioni condannate a vegetare in campi profughi o a sopravvivere nelle rovine?

La Francia vuole distruggere Daesh? Bombardando, moltiplica i jihadisti. I "Rafale" uccidono civili altrettanto innocenti di quelli del Bataclan. E, come avvenne in Iraq, alcuni civili finiranno per solidarizzare con i jihadisti: questi bombardamenti sono bombe a scoppio ritardato.

Daesh e' uno dei nostri peggiori nemici: massacra, decapita, stupra, opprime le donne e indottrina i bambini, distrugge patrimoni dell'umanita'. Al tempo stesso, la Francia vende al regime saudita, notoriamente sostenitore delle reti jihadiste, elicotteri da combattimento, navi da pattugliamento, centrali nucleari; l'Arabia Saudita ha appena ordinato alla Francia tre miliardi di dollari di armamenti; ha pagato la fattura di due navi Mistral, vendute all'Egitto del maresciallo al Sisi che reprime i democratici della primavera araba. In Arabia Saudita, non si decapita forse? Non si tagliano le mani? Le donne non vivono in semischiavitu'? L'aviazione saudita, impegnata in Yemen a fianco del regime, bombarda le popolazioni civili, distruggendo anche tesori dell'architettura. Bombarderemo l'Arabia Saudita? Oppure l'indignazione varia a seconda delle alleanze economiche?

La guerra alla jihad, si dice con tono marziale, si combatte anche in Francia. Ma come evitare che vi cadano dei giovani, soprattutto quelli provenienti da ceti non abbienti, se non cessano le discriminazioni nei loro confronti, a scuola, rispetto al lavoro, all'accesso all'abitazione, alla loro religione? Se finiscono continuamente in prigione, ancor piu' stigmatizzati? E se non si aprono per loro altre condizioni di vita? Se si continua a negare la dignita' che rivendicano?

Ecco: l'unico modo per combattere concretamente, qui, i nostri nemici, in questo paese che e' diventato il secondo venditore di armi a livello mondiale, e' rifiutare un sistema che in nome di un miope profitto produce ovunque ingiustizia. Perche' la violenza di un mondo che Bush junior ci prometteva, 14 anni fa, riconciliato, riappacificato, ordinato, non e' nata dal cervello di Bin Laden o di Daesh. Nasce e prospera sulla miseria e sulle diseguaglianze che crescono di anno in anno, fra i paesi del Nord e quelli del Sud, e all'interno degli stessi paesi ricchi, come indicano i rapporti dell'Onu. L'opulenza degli uni ha come contropartita lo sfruttamento e l'oppressione degli altri. Non si fara' indietreggiare la violenza senza affrontarne le radici. Non ci sono scorciatoie magiche: le bombe non lo sono.

Quando furono scatenate le guerre dell'Afghanistan e dell'Iraq, le manifestazioni di protesta furono imponenti. Sostenevamo che questi interventi militari avrebbero seminato, alla cieca, caos e morte. Avevamo torto? La guerra di Hollande avra' le stesse conseguenze. Dobbiamo unirci con urgenza contro i bombardamenti francesi che accrescono le minacce, e contro le derive liberticide che non risolvono nulla, anzi evitano e negano le cause del disastro. Questa guerra non sara' in nostro nome.

Primi firmatari: Etienne Balibar (filosofo), Ludivine Bantigny (storica), Emmanuel Barot (filosofo), Jacques Bidet (filosofo), Deborah Cohen (storica), Francois Cusset (storico delle idee), Laurence De Cock (storica), Christine Delphy (sociologa), Cedric Durand (economista), Fanny Gallot (storica), Eric Hazan (editore), Sabina Issehnane (economista), Razmig Keucheyan (sociologo), Marius Loris (storico e poeta), Marwan Mohammed (sociologo), Olivier Neveux (storico dell'arte), Willy Pelletier (sociologo), Irene Pereira (sociologa), Julien Thery-Astruc (storico), Remy Toulouse (editore), Enzo Traverso (storico)

 

7. RIFLESSIONE. FRANCESCO GESUALDI: IL DOMINIO DEL CONSUMO

[Dal sito comune-info.net riprendiamo il seguente intervento del 5 novembre 2015.

Francuccio Gesualdi e' stato allievo di don Lorenzo Milani nell'esperienza della scuola di Barbiana, e' animatore dell'esperienza del "Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano, insieme a padre Alex Zanotelli ha promosso la nascita della "Rete di Lilliput", e' da sempre impegnato in molte iniziative concrete di solidarieta' e di difesa dei diritti umani e dell'ambiente, ha contribuito in misura decisiva a far nascere e crescere in Italia la consapevolezza, l'azione e le reti del consumo critico ed etico, del commercio equo e solidale, degli stili di vita sobri e responsabili, della solidarieta' dei consumatori del Nord del mondo con i lavoratori del Sud contro la violenza sfruttatrice delle multinazionali, dell'impegno contro la trappola del debito che dopo averli rapinati affama e strozza i popoli, dell'azione per garantire a tutta l'umanita' il diritto al cibo, all'acqua, a un ambiente vivibile, alla dignita'. Tra le opere di Francuccio Gesualdi e del "Centro nuovo modello di sviluppo": Franco Gesualdi, Signorno', Guaraldi, Rimini-Firenze 1972; Franco Gesualdi, Economia: conoscere per scegliere, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1982; Franco Gesualdi e Pierangelo Tambellini del Centro nuovo modello di sviluppo (Vecchiano - Pi), Energia nucleare. Cos'e' e i rischi a cui ci espone, Movimento Nonviolento, Perugia 1987; Centro nuovo modello di sviluppo, Lettera ad un consumatore del Nord, Emi, Bologna 1990, 1994; Centro nuovo modello di sviluppo, Boycott! Scelte di consumo scelte di giustizia. Manuale del consumatore etico, Macro/edizioni, San Martino di Sarsina (Fo) 1992; Francuccio Gesualdi, Jose' Luis Corzo Toral, Don Milani nella scrittura collettiva, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1992; Centro nuovo modello di sviluppo, Sulla pelle dei bambini, Emi, Bologna 1994, 1995; Centro nuovo modello di sviluppo, Nord/Sud. Predatori, predati e opportunisti. Guida alla comprensione e al superamento dei meccanismi che impoveriscono il Sud del mondo, Emi, Bologna 1993, 1996; Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al consumo critico. Informazioni sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole, Emi, Bologna 1996; Centro nuovo modello di sviluppo, Sud-Nord. Nuove alleanze per la dignita' del lavoro, Emi, Bologna 1996, 1997; Centro nuovo modello di sviluppo, Geografia del supermercato mondiale. Produzione e condizioni di lavoro nel mondo delle multinazionali, Emi, Bologna 1996; Centro nuovo modello di sviluppo, Ai figli del pianeta. Scelte per un futuro vivibile, Emi, Bologna 1998; Francesco Gesualdi del Centro nuovo modello di sviluppo, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio equo e solidale, Feltrinelli, Milano 1999; Francesco Gesualdi, Giamila Gesualdi, Paola Costanzo, Te', infusi e tisane dal mondo, Sonda, Torino-Milano 2001; Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al risparmio responsabile. Informazioni sui comportamenti delle banche per scelte consapevoli, Emi, Bologna 2002; Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al telefono critico. Il mondo della telefonia messo a nudo, Terre di mezzo, Milano 2002; Willy Mutunga, Francesco Gesualdi, Stephen Ouma, Consumatori del nord lavoratori del sud. Il successo di una campagna della societa' civile contro la Del Monte in Kenya, Emi, Bologna 2003; Francesco Gesualdi, Acquisti trasparenti, Emi, Bologna 2005; Francesco Gesualdi, Giamila Gesualdi, Tutti i tipi di te', Sonda, Torino-Milano 2005; Francesco Gesualdi, John Pilger, Comprare con giustizia, Emi, Bologna 2005; Francesco Gesualdi, Centro nuovo modello di sviluppo, Sobrieta'. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Feltrinelli, Milano 2005; Centro nuovo modello di sviluppo, Ai giovani figli del pianeta. Scegliamo insieme un futuro per tutti, Emi, Bologna 2005; Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al vestire critico, Emi, Bologna 2006; Francesco Gesualdi, Acqua con giustizia e sobrieta', Emi, Bologna 2007; Francesco Gesualdi, Il mercante d'acqua, Feltrinelli Milano 2007; Francesco Gesualdi, Lorenzo Guadagnucci, Dalla parte sbagliata del mondo. Da Barbiana al consumo critico: storia e opinioni di un militante, Terre di mezzo, Milano 2008; Francesco Gesualdi, Vito Sammarco, Consumattori. Per un nuovo stile di vita, La Scuola, Brescia 2009; Francesco Gesualdi, L'altra via. Dalla crescita al benvivere, programma per un'economia della sazieta', Terre di Mezzo, Milano 2009; Francesco Gesualdi, Dario Bossi, Il prezzo del ferro. Come si arricchisce la piu' grande multinazionale del ferro e come resistono le vittime a livello mondiale, Emi, Bologna 2010; Francesco Gesualdi, Cercatori del regno. Cammino missionario verso la Pasqua 2011. Una Quaresima per crescere nella spiritualita' dei nuovi stili di vita, Emi, Bologna 2011; Francesco Gesualdi, I fuorilega del nordest, Dissensi, 2011; Centro nuovo modello di sviluppo, I mercanti della notizia. Guida al controllo dell'informazione in Italia, Emi, Bologna 2011; Francesco Gesualdi, Facciamo da soli. Per uscire dalla crisi, oltre il mito della crescita: ripartiamo dal lavoro e riprendiamoci l'economia, Altreconomia, Milano 2012; Francesco Gesualdi, Le catene del debito. E come possiamo spezzarle, Feltrinelli, Milano 2013; Francesco Gesualdi, L'economia del bene comune, Feltrinelli, Milano 2013; Francesco Gesualdi, Cambiare il sistema. La storia e il pensiero del padre del consumo critico, fondatore del "Centro nuovo modello di sviluppo", Altreconomia, Milano 2014; Francesco Gesualdi, Risorsa umana. L'economia della pietra scartata, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2015. Ovviamente cfr. inoltre anche almeno: Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967; AA. VV., La Rete di Lilliput. Alleanze, obiettivi, strategie, Emi, Bologna 2001]

 

Siamo abituati a fare la spesa in maniera narcisistica: l'attenzione puntata tutta su noi stessi, badiamo solo al prezzo e alla qualita' tecnica dei prodotti. Mai un pensiero, un interrogativo, sulla provenienza e il destino dei prodotti, quasi approdassero sugli scaffali del supermercato piovuti dal cielo. In realta' ogni prodotto ha una sua storia ambientale, una sua storia sociale, addirittura una sua storia politica e a seconda della storia rischiamo di renderci complici di gravi misfatti.

Potremmo parlare del caffe': in Italia ne consumiamo ogni anno 5 chili a testa. Ogni mattino cominciamo la nostra giornata preparandoci una tazzina di caffe' e, senza saperlo, la prima persona con cui entriamo in contatto è un contadino dell'Africa o un bracciante dell'America del Sud.

Fra contadini e braccianti, le persone che coltivano caffe' sono 25 milioni. Contando anche i loro familiari, fanno 125 milioni di persone che vivono su questo prodotto. La loro condizione di vita dipende da un solo elemento: il prezzo che si forma a livello internazionale. Al supermercato, il caffe' noi lo paghiamo fra i due e i tre euro a pacchetto, ma ai produttori arrivano solo le briciole. Una situazione simile a cio' che succede nell'ambito dei pomodori e delle arance in Italia un settore affollato da migranti costretti a lavorare dieci ore al giorno per 25 euro su cui gravano i taglieggiamenti da parte dei caporali.

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23 aprile 2013

Con l'estendersi della globalizzazione lo sfruttamento del lavoro non si limita alle paghe da fame, ma compromette la vita stessa, come mostra il crollo del Rana Plaza, un edificio di Dacca che su quattro piani abusivi ospitava oltre 2.000 operaie che cucivano camicette per le piu' grandi marche mondiali. Quel palazzo non resse all'eccesso di peso e il 23 aprile 2013 crollo' seppellendo 1.500 persone.Potremmo parlare dell'acqua in bottiglia di cui gli italiani sono i piu' grandi bevitori del mondo con un consumo pro-capite annuo di 190 litri. Complessivamente nel 2014 ne abbiamo bevuta 10 miliardi di litri. Nel nostro paese il giro d'affari dell'acqua in bottiglia e' di 2,2 miliardi di euro, suddiviso fra 180 imprese. L'acqua in bottiglia costa mediamente mille volte di piu' dell'acqua del rubinetto e i risultati si vedono: i profitti del settore ammontano a 110 milioni di euro. Gli enti locali danno il loro contributo rilasciando concessioni a prezzi ridicoli. L'acqua viene regalata alle imprese anche dove non ce n'e'. Nel 2007 a Santo Stefano Quisquinna, una localita' in provincia di Agrigento, Sanpellegrino/Nestle' ha ricevuto in concessione due pozzi. Ci estrae acqua che rivende col marchio "Vera Santa Rosalia". Un'autorizzazione per 36.000 litri l'ora che fa sognare l'amministratore delegato di Sanpellegrino: "E' buona come l'acqua Vera. Contiamo di coprire il 50 per cento dei consumi dell'isola".

Intanto ad Agrigento, quaranta chilometri piu' in la', i rubinetti sono a secco vari giorni la settimana, talvolta anche per quarantotto ore di fila.

Togliere acqua alle popolazioni locali per permettere alle imprese di guadagnare su un vezzo, e' uno scandalo degno soltanto del regno dell'imperatore Bokassa. Ma lo scandalo ancora piu' grave e' che per vendere un litro di acqua se ne sprecano dodici, perche' questa e' la quantita' di acqua che serve per produrre i 40 grammi di plastica che formano la bottiglia. Per non parlare del petrolio utilizzato non solo come materia prima, ma anche come carburante per fare viaggiare l'acqua su e giu' per l'Italia. La liberta' di mercato esige che i veneziani bevano l'acqua Lete prodotta a Caserta e i casertani l'acqua San Benedetto prodotta a Venezia. In conclusione chi beve un litro d'acqua che ha fatto 1000 chilometri e' come se bevesse tre quartini di petrolio di cui mezzo litro per trasporto e 160 centilitri per la plastica.

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Acqua e petrolio

Spreco di acqua e spreco di petrolio sono solo una parte del problema ambientale scaricato sulla collettivita'. In Italia si bevono 11 miliardi di litri di acqua in bottiglia che richiedono 320/350mila tonnellate di plastica Pet (polietilene tereftato). Per ogni chilo di Pet ci vogliono 4 chili di petrolio, 300 litri di acqua, 3.700 litri di aria come coadiuvante dei processi chimici e di combustione. Dall'altra si rilasciano 5 kg di gas serra, un peso indefinito di inquinanti tossici (benzene, arsenio, cadmio) e 180 g di scorie solide. Non e' ancora arrivata nelle nostre case e l'acqua in bottiglia ha gia' prodotto un sacco di spazzatura, finche' la bottiglia non diventa essa stessa rifiuto.

I sette o otto miliardi di bottiglie di plastica messe ogni anno in circolazione non sono biodegradabili e se gettate in discarica formano una grande montagna che ci mette qualche centinaio di anni per disintegrarsi. Se incenerite possono produrre sostanze dannose come furani e diossine. Ma noi issiamo la bandiera del riciclaggio e pensiamo di salvarci. Illusione: i rifiuti creano problemi, sempre e comunque. Per cominciare va detto che in Italia si recupera solo il 60 per cento della plastica consumata e quella effettivamente riciclata non supera il 29 per cento. Morale della favola una buona meta' del differenziato finisce nell'inceneritore. Un vero schiaffo al buonsenso, all'impegno degli italiani e agli alti costi di recupero.

Come consumatori ci troviamo nella parte finale della filiera e siamo molto sensibili al tema dei rifiuti nella forma di prodotti consumati. Ma la maggior parte di essi si producono mentre gli oggetti sono ancora in fase di costruzione, ben lontani dal consumo. Uno dei fattori d'inquinamento e' il trasporto dei prodotti alimentari da un capo all'altro del mondo e proprio per attirare l'attenzione sull'inquinamento e lo spreco d'energia che si cela dietro ai chilometri percorsi dal nostro cibo, nel 1992 il ricercatore inglese Tim Lang ha coniato l'espressione Foodmiles.

Nel mercato globalizzato il cibo non conosce piu' confini. Viaggia da un punto all'altro del pianeta come se fosse su una giostra in perenne movimento. Nei supermercati ci sono le fragole del Sudafrica, anche quando i campi sono coperti di neve, i fagiolini dal Burkina Faso anche quando la nostra terra e' indurita dal gelo, le pesche del Cile anche quando i nostri peschi sono ancora in fiore. Il supermercato si fa mondiale: i fiori dal Kenya, i fagiolini dal Burkina Faso, le magliette dal Bangladesh, le ciabatte dall'Indonesia. E con le distanze si moltiplicano le tonnellate di cherosene e le tonnellate di Co2. Ad ogni chilo di pere fatto arrivare dall'Argentina via aerea, corrisponde un consumo di 2,6 litri di cherosene e una produzione di 6,5 kg di anidride carbonica. Un vero assurdo non solo da un punto di vista ambientale ma anche energetico: si bruciano 53 calorie fossili per disporre di una caloria vegetale. Per non parlare dei trasporti interni: e' stato calcolato che in Inghilterra i camion dei supermercati percorrono complessivamente 408 milioni di miglia, il corrispettivo di 854 viaggi andata e ritorno sulla luna. Ogni anno 600.000 tonnellate di anidride carbonica immesse in atmosfera.

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Consumo critico

Un modo per privilegiare gli acquisti locali e' la costituzione dei Gruppi di Acquisto Solidale che consistono in gruppi di famiglie organizzate fra loro per effettuare gli acquisti direttamente dai piccoli produttori locali con lo scopo di potenziare il consumo locale e di sperimentare nuove relazioni economiche. Attualmente i gruppi di acquisto esistenti sono 1500. Benche' ognuno abbia le sue particolarita', tutti sono animati dallo stesso spirito e sono organizzati sullo stesso modello. Ad esempio i compiti sono svolti a rotazione dai soci. C'e' chi cerca i produttori, chi raccoglie gli ordini, chi ritira la merce, chi distribuisce i prodotti. Tutto in forma rigorosamente gratuita. Per questo il gruppo e' definito solidale.

Se e' fondamentale porre attenzione alla storia sociale e ambientale dei prodotti, e' altrettanto importante concentrarsi sul comportamento di chi ce li offre. Di qui l'importanza del consumo critico. Talvolta, puo' esserci niente da ridire sul prodotto come tale, ma molto da obiettare sull'impresa produttrice. Prendiamo come esempio l'olio a marchio Bertolli. In origine era espressione di una piccola azienda toscana, ma oggi questo marchio fa parte dell'impero Unilever che è la seconda multinazionale piu' grande del mondo del settore alimentare. Unilever possiede piantagioni di te' in Africa e India, e' uno dei piu' grandi acquirenti di olio di palma e di cacao. Tutti settori estremamente critici caratterizzati da salari al limite della sopravvivenza, da problemi ambientali di ogni tipo e perfino dalla presenza di lavoro minorile talvolta in schiavitu'. Unilever e' anche un fornitore importante di prodotti alimentari all'esercito statunitense mentre in vari paesi del mondo e' denunciata per atteggiamento antisindacale. Le critiche potrebbero continuare e non si limitano solo a materie correlate con la produzione, ma sfondano anche nel politico e nel sociale. Potremmo citare come esempio il coinvolgimento col commercio di armi, l'invasione della politica, l'elusione fiscale, la segretezza.

L'esperienza dimostra che dove i consumatori si fanno sentire, le imprese sono disposte a cambiare, non perche' si convertono all'ambiente o alla giustizia, ma perche' non vogliono perdere quote di mercato. Dunque ogni volta che andiamo a fare la spesa ricordiamoci che siamo potenti e che le imprese sono in una posizione di profonda dipendenza dal nostro comportamento di consumatori. Consumando in maniera critica e' come se andassimo a votare ogni volta che facciamo la spesa. Votiamo sul comportamento delle imprese, premiando quelle che si comportano bene e punendo le altre. Alla lunga le imprese capiscono quali sono i comportamenti graditi dai consumatori e vi si adeguano instaurando fra loro una nuova forma di concorrenza, non piu' basata sulle caratteristiche estetiche ed economiche dei prodotti, ma sulle scelte sociali ed ambientali.

 

8. MAESTRI. MARCO REVELLI: LUCIANO GALLINO, INTELLETTUALE DI FABBRICA

[Dal quotidiano "il manifesto" del 10 novembre 2015.

Marco Revelli, storico e saggista, figlio di Nuto Revelli, e' docente di scienza della politica all'Universita' del Piemonte Orientale. Tra le opere di Marco Revelli: Lavorare in Fiat, Garzanti, Milano 1989; (con Giovanni De Luna), Fascismo/antifascismo, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1995; Le due destre, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La sinistra sociale, Bollati Boringhieri, Torino 1997; Fuori luogo, Bollati Boringhieri, Torino 1999; Oltre il Novecento, Einaudi, Torino 2001; La politica perduta, Einaudi, Torino 2003; (con Fausto Bertinotti e Lidia Menapace), Nonviolenza. Le ragioni del pacifismo, Fazi, Roma 2004; Carta d'identita', Intra Moenia - Carta, Napoli-Roma 2005; (con Simona Forti, a cura di), Paranoia e politica, Bollati Boringhieri, Torino 2007; Sinistra destra. L'identita' smarrita, Laterza, Roma-Bari 2007; Controcanto, Chiarelettere, Milano 2010; Poveri, noi, Einaudi, Torino 2010; I demoni del potere, Laterza, Roma-Bari 2012; (con Livio Pepino), Non solo un treno... la democrazia alla prova della Val Susa, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2012; Finale di partito, Einaudi, Torino 2013; Post-sinistra, Laterza, Roma-Bari 2014; La lotta di classe esiste e l'hanno vinta i ricchi. Vero!, Laterza, Roma-Bari 2014. Ha anche curato l'edizione italiana del libro di T. Ohno, Lo spirito Toyota, Einaudi, Torino 1993; un suo importante saggio e' in Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995.

Luciano Gallino (Torino, 15 maggio 1927 - 8 novembre 2015) e' stato un illustre sociologo di forte impegno civile; tra le sue opere: Aspetti del progresso tecnologico negli stabilimenti Olivetti, a cura di, Milano, Giuffre', 1960; Progresso tecnologico ed evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti, 1946-1959. Ricerca sui fattori interni di espansione di un'impresa, Milano, Giuffré, 1960; Indagini di sociologia economica, Milano, Edizioni di Comunita', 1962; L'industria e i sociologi, a cura di, Milano, Edizioni di Comunita', 1962; Questioni di sociologia, Milano, Edizioni di Comunita', 1962, 1969; Personalita' ed educazione nel processo di industrializzazione, Torino, Tirrenia, 1966; La teoria del sistema sociale di Talcott Parsons, Torino, Tirrenia, 1966; Personalita' e industrializzazione, Torino, Loescher, 1968; Indagini di sociologia economica e industriale, Milano, Edizioni di Comunita', 1972; Dizionario di sociologia, Torino, Utet, 1978, 2004; La societa'. Perche' cambia, come funziona. Un'introduzione sistemica alla sociologia, Torino, Paravia, 1980; Occupati e bioccupati. Il doppio lavoro nell'area torinese, a cura di, Bologna, il Mulino, 1982; Informatica e qualita' del lavoro, Torino, Einaudi, 1983; Mente, comportamento e intelligenza artificiale, Milano, Edizioni di Comunita', 1984; Il lavoro e il suo doppio. Seconda occupazione e politiche del lavoro in Italia, a cura di, Bologna, il Mulino, 1985; Della ingovernabilita'. La societa' italiana tra premoderno e neo-industriale, Milano, Edizioni di Comunita', 1987; Lavoro e spiegazione sociologica, in Lavoro e non-lavoro. Condizione sociale e spiegazione della societa', Milano, F. Angeli, 1987; L'attore sociale. Biologia, cultura e intelligenza artificiale, Torino, Einaudi, 1987; Sociologia della politica, Torino, Utet Libreria, 1989; Sociologia dell'economia e del lavoro. Tecnologia, organizzazioni complesse e classi sociali, Torino, Utet Libreria, 1989; La sociologia. Indirizzi, specializzazioni, rapporti con altre scienze, Torino, Utet Libreria, 1989; La sociologia. Concetti fondamentali, Torino, Utet Libreria, 1989; Strani anelli. La societa' dei moderni, Torino, La Stampa, 1990; Informatica e scienze umane. Lo stato dell'arte, Milano, Franco Angeli, 1991; Percorsi della sociologia italiana, a cura di, Milano, Franco Angeli, 1992; Teoria dell'attore e processi decisionali. Modelli intelligenti per la valutazione dell'impatto socio-ambientale, a cura di, Milano, Franco Angeli, 1992; L'incerta alleanza. Modelli di relazioni tra scienze umane e scienze della natura, Torino, Einaudi, 1992; Disuguaglianze ed equita' in Europa, a cura di, Roma-Bari, Laterza, 1993; Le classi sociali tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta. Un tentativo di quantificazione e comparazione, in Il regime fascista. Storia e storiografia, Roma-Bari, Laterza, 1995; Se tre milioni vi sembran pochi. Sui modi per combattere la disoccupazione, Torino, Einaudi, 1998; Globalizzazione e disuguaglianze, Roma-Bari, Laterza, 2000; Il costo umano della flessibilita', Roma-Bari, Laterza, 2001; L'impresa responsabile. Un'intervista su Adriano Olivetti, Torino, Edizioni di Comunita', 2001; La societa' italiana. Cinquant'anni di mutamenti visti dai "Quaderni di sociologia", a cura di e con Paolo Ceri, Torino, Rosenberg & Sellier, 2002; La scomparsa dell'Italia industriale, Torino, Einaudi, 2003; Per una politica industriale. Istruzione, scelte tecnologiche, strutture istituzionali, distribuzione del reddito, in Sergio Ferrari e Roberto Romano, Europa e Italia. Divergenze economiche, politiche e sociali, Milano, F. Angeli, 2004; L'impresa irresponsabile, Torino, Einaudi, 2005; Italia in frantumi, Roma-Bari, Laterza, 2006, 2007; Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Torino, Einaudi, 2007; Il lavoro non e' una merce. Contro la flessibilita', Roma-Bari, Laterza, 2007; Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l'economia, Torino, Einaudi, 2009; Finanzcapitalismo. La civilta' del denaro in crisi, Torino, Einaudi, 2011; La lotta di classe dopo la lotta di classe, intervista a cura di Paola Borgna, Roma-Bari, Laterza, 2012; Il colpo di stato di banche e governi. L'attacco alla democrazia in Europa, Torino, Einaudi, 2013; Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti, Torino, Einaudi, 2015]

 

Luciano Gallino ha scritto fino all'ultimo, fino a pochi giorni fa, quando le forze sono venute meno.

Perche' sentiva l'importanza - forse anche l'angoscia - di cio' che aveva da dire. E cioè che il mondo non e' "come ce lo raccontano". Che il meccanismo che le oligarchie finanziarie e politiche dominanti stanno costruendo e difendendo con ogni mezzo - quello che in un suo celebre libro ha definito il  Finanz-capitalismo - e' una follia, "insostenibile" dal punto di vista economico e da quello sociale. Che l'Europa stessa - l'Unione Europea, con la sua architettura arrogantemente imposta - e' segnata da un'insostenibilita' strutturale. E che il dovere di chi sa e vede - e lui sapeva e vedeva, per il culto dei dati e dell'analisi dei fatti e dei numeri che l'ha sempre caratterizzato -, e' di dirlo. A tutti, ma in particolare ai giovani. A quelli che di quella rovina pagheranno il prezzo piu' amaro.

Non per niente il suo ultimo volume (Il denaro, il debito e la doppia crisi) e' dedicato "ai nostri nipoti". E reca come exergo una frase di Rosa Luxemburg: "Dire cio' che e' rimane l'atto piu' rivoluzionario".

Eppure Gallino non era stato, nella sua lunga vita di studio e di impegno, un rivoluzionario. E neppure quello che gramscianamente si potrebbe definire un "intellettuale organico".

La sua formazione primaria era avvenuta in quella Camelot moderna che era l'Ivrea di Adriano Olivetti, all'insegna di un "umanesimo industriale" che ovunque avrebbe costituito un ossimoro tranne che li', dove in una finestra temporale eccezionale dovuta agli enormi vantaggi competitivi di quel prodotto e di quel modello produttivo, fu possibile sperimentare una sorta di "fordismo smart", intelligente e comunitario, in cui si provo' a coniugare industria e cultura, produzione e arte, con l'obiettivo, neppur tanto utopico, di suturare la frattura tra persona e lavoro. E in cui poteva capitare che il capo del personale fosse il Paolo Volponi che poi scrivera' Le mosche del capitale, e che alla pubblicita' lavorasse uno come Franco Fortini, mentre a pensare la "citta' dell'uomo" c'erano uomini come Gallino, appunto, e Pizzorno, Rozzi, Novara... il fior fiore di una sociologia critica e di una psicologia del lavoro dal volto umano.

Intellettuale di fabbrica, dunque. E poi grande sociologo, uno dei "padri" della nostra sociologia, a cui si deve, fra l'altro, il fondamentale Dizionario di sociologia Utet. Straordinario studioso della societa' italiana, nella sua parabola dall'esplosione industrialista fino al declino attuale. E infine intellettuale impegnato - potremmo dire "intellettuale militante" - quando il degrado dei tempi l'ha costretto a un ruolo piu' diretto, e piu' esposto.

Gallino in realta', negli ultimi decenni, ci ha camminato costantemente accanto, anzi davanti, anticipando di volta in volta, con i suoi libri, quello che poi avremmo dovuto constatare. E' lui che ci ha ricordato, alla fine degli anni '90, quando ancora frizzavano nell'aria le bollicine della Milano da bere, il dramma della disoccupazione con Se tre milioni vi sembran pochi, segnalandolo come la vera emergenza nazionale; e poco dopo, nel 2003 - cinque anni prima dell'esplodere della crisi! - ci ha aperto gli occhi sulla dissoluzione del nostro tessuto produttivo, con La scomparsa dell'Italia industriale, quando ancora si celebravano le magnifiche sorti e progressive della new economy e del "piccolo e' bello".

E' toccato ancora a lui, con un libro folgorante, ammonirci che Il lavoro non e' una merce, per il semplice fatto che non e' separabile dal corpo e dalla vita degli uomini e delle donne che lavorano, proprio mentre tra gli ex cultori delle teorie marxiane dell'alienazione faceva a gara per mettere a punto quelle riforme del mercato del lavoro che poi sarebbero sboccate nell'orrore del Jobs act, vero e proprio trionfo della mercificazione del lavoro.

Poi, la grande trilogia - Con i soldi degli altri, Finanzcapitalismo, Il colpo di Stato di banche e governi -, in cui Gallino ci ha spiegato, praticamente in tempo reale, con la sua argomentazione razionale e lineare, le ragioni e le dimensioni della crisi attuale: la doppia voragine della crisi economica e della crisi ecologica che affondano entrambi le radici nella smisurata dilatazione della ricchezza finanziaria da parte di banche e di privati, al di fuori di ogni limite o controllo, senza riguardo per le condizioni del lavoro, anzi "a prescindere" dal lavoro: produzione di denaro per mezzo di denaro, incuranti del paradosso che l'esigenza di crescita illimitata dei consumi da parte di questo capitalismo predatorio urta contro la riduzione del potere d'acquisto delle masse lavoratrici, mentre la spogliazione del pianeta da parte di una massa di capitale alla perenne ricerca d'impiego distrugge l'ambiente e le condizioni stesse della sopravvivenza.

E intanto, nelle stanze del potere, si mettono a punto "terapie" che sono veleno per le societa' malate, cancellando anche la traccia di quelle ricette che permisero l'uscita dalla Grande crisi del '29.

E' per questo che l'ultimo Gallino, quello del suo libro piu' recente, aggiunge ai caratteri piu' noti della crisi, anche un altro aspetto, persino piu' profondo, e "finale".

Rivolgendosi ai nipoti, accennando alla storia che vorrebbe "provare a raccontarvi", parla di una sconfitta, personale e collettiva. Una sconfitta - cosi' scrive - "politica, sociale, morale". E aggiunge, poco oltre, che la misura di quella sconfitta sta nella scomparsa di due "idee" - e relative "pratiche" - che "ritenevamo fondamentali: l'idea di uguaglianza e quella di pensiero critico".

Con un'ultima parola, in piu'. Imprevista: "Stupidita'". La denuncia della "vittoria della stupidita'" - scrive proprio cosi' - delle attuali classi dominanti.

Credo che sia questo scenario di estrema inquietudine scientifica e umana, il fattore nuovo che ha spinto Luciano Gallino a quella forma di militanza intellettuale (e anche politica) che ha segnato i suoi ultimi anni.

Lo ricordiamo come il piu' autorevole dei "garanti" della lista L'Altra Europa con Tsipras, presente agli appuntamenti piu' importanti, sempre rigoroso e insieme intransigente, darci lezione di fermezza e combattivita'. E ancora a luglio, e poi a settembre, continuammo a discutere - e lui a scrivere un testo - per un seminario, da tenere in autunno, o in inverno, sull'Europa e le sue contraddizioni, per dare battaglia. E non arrendersi a un esistente insostenibile...

 

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Carlos Fernandez Liria, Gramsci e Althusser. Il marxismo oggi. L'eredita' di Gramsci e Althusser, Hachette, Milano 2015, pp. 140, euro 9,99.

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Riletture

- al-Buhari, Detti e fatti del profeta dell'Islam, Utet, Torino 1982, 2009, pp. X + 738.

- Muhammad Ibn Garir al-Tabari, Vita di Maometto, Rcs, Milano 1985, 1992, pp. XXIV + 410.

- Michael Lecker (a cura di), Vite antiche di Maometto, Mondadori, Milano 2007, pp. XLVI + 410.

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Riedizioni

- Gianni Rodari, La Freccia Azzurra, Rcs, Milano 2015, pp. 160, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

 

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

11. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2185 del 3 dicembre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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