[Nonviolenza] Telegrammi. 2030
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- Date: Mon, 29 Jun 2015 22:57:39 +0200 (CEST)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2030 del 30 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Opporsi
2. Paolo Arena presenta "Madre notte" di Kurt Vonnegut
3. Anna Bravo presenta "In viaggio con Alex" di Fabio Levi (2007)
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. OPPORSI
Opporsi alla guerra e a tutte le uccisioni.
Opporsi al razzismo e a tutte le persecuzioni.
Opporsi al maschilismo e a tutte le oppressioni.
Salvare le vite. Le vite umane. Il mondo vivente.
E' il primo dovere.
2. LIBRI. PAOLO ARENA PRESENTA "MADRE NOTTE" DI KURT VONNEGUT
[Ringraziamo Paolo Arena per questo articolo.
Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato tre cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta.
Kurt Vonnegut (Indianapolis, 1922 - New York, 2007) e' uno dei maggiori scrittori del Novecento; nel 1944 prigioniero di guerra in Germania assistette alla distruzione di Dresda. Per tutta la vita ha lottato contro la guerra e contro ogni fascismo con le armi della poesia. Opere di Kurt Vonnegut: romanzi: Player Piano,1952; The Sirens of Titan, 1959; Mother Night; 1961; Cat's Cradle, 1963; God Bless You, Mr. Rosewater or Pearls Before Swine, 1965; Slaughterhouse-Five or the Children's Crusade, 1969; Breakfast of the Champions or Goodbye Blue Monday!, 1973; Slapstick or Lonesome No More, 1976; Jailbird, 1979; Deadeye Dick, 1982; Galapagos, 1985; Bluebeard, 1987; Hocus Pocus, 1990; Fates worse than death, 1991; Timequake, 1997; God Bless You, Dr. Kevorkian, 1999; raccolte di racconti: Welcome to the Monkey House, 1968; raccolte di saggi: Wampeters, Foma & Granfalloons, 1974; Palm Sunday: An Autobiographical Collage, 1981; A Man without a Country, 2005; opere di Kurt Vonnegut in traduzione italiana: Mattatoio n. 5 o la crociata dei bambini, Mondadori, 1970, Feltrinelli, 2003; La colazione dei campioni. Ovvero addio triste lunedi', Rizzoli, 1974, Eleuthera, 1992, 1999, Feltrinelli 2005; Le sirene di Titano, Nord, 1981, Eleuthera, 1993, Feltrinelli, 2006; Un pezzo da galera, Rizzoli, 1981, Feltrinelli 2004; Madre notte, Rizzoli, 1984, Bompiani 2000, Feltrinelli 2007; Il grande tiratore, Bompiani, 1984, 1999; Ghiaccio nove, Rizzoli, 1986, Feltrinelli, 2003; Comica finale. Ovvero non piu' soli, Eleuthera, 1990, 1998; Galapagos, Bompiani, 1990, 2000; Perle ai porci. Ovvero Dio la benedica Mr. Rosewater, Eleuthera, 1991, 1998, poi col titolo Dio la benedica, Mr Rosewater o perle ai porci, Feltrinelli, 2005; Benvenuta nella gabbia delle scimmie, SE, 1991; Hocus pocus, Bompiani, 1991, 2001; Il potere, il denaro, il sesso secondo Vonnegut, Eleuthera, 1992; Barbablu', Bompiani, 1992; Piano meccanico, Mondadori, 1994, SE, Feltrinelli, 2004; Catastrofi di universale follia, Mondadori, 1994; Buon compleanno Wanda June, Eleuthera, 1995; Cronosisma, Bompiani, 1998; Dio la benedica dott. Kevorkian, Eleuthera, 2000; Divina idiozia. Come guardare al mondo contemporaneo, E/O, 2002; Destini peggiori della morte. Un collage autobiografico, Bompiani, 2003; Un uomo senza patria, Minimum Fax, 2006. Nel nostro notiziario cfr. anche "Minime" n. 64, 570 e 585, "La domenica della nonviolenza" n. 108, "Voci e volti della nonviolenza" n. 58; "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 2008 e 2016]
Kurt Vonnegut, Madre notte (Mother Night, 1961).
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Le trame in breve
La storia e' raccontata nell'opera in maniera retrospettiva partendo dalle memorie di Howard Campbell che si trova prigioniero in Israele in attesa di processo per i crimini commessi lavorando per il regime nazista.
Howard W. Campbell Jr. e' uno scrittore, drammaturgo, poeta e speaker radiofonico di origini americane ma naturalizzato tedesco durante l'infanzia. Con l'ascesa al potere dei nazisti egli si trova a lavorare per il ministero della propaganda, diventandone l'operatore piu' apprezzato e trasmesso fino a ricoprire un ruolo di primo piano nella macchina politica nazista: produrra' sagaci satire antisemite, retoriche belliche, esortazioni nazionaliste e altro materiale efficacissimo e persino di qualita', seppure al servizio del Reich.
Era pero' stato avvicinato un giorno da uno strano individuo, Frank Wirtanen, ben informato su di lui; Wirtanen lavora per il governo americano e vuole che Campbell diventi una spia, che trasmetta messaggi all'interno dei suoi programmi radiofonici all'insaputa di tutti, persino della propria moglie.
Campbell pur riluttante accetta e non certo per patriottismo. La guerra degenera e lui vi si trova coinvolto in pieno: gli apprezzamenti da parte del Reich, l'orgoglio della moglie Helga, l'amore della cognata Resi, il rispetto del suocero.
Sul finire della guerra viene catturato dagli alleati ma fatto fuggire per via del suo status di agente doppiogiochista: cio' che ha fatto non puo' essere reso pubblico, non diventera' un eroe americano, ma Wirtanen puo' almeno salvarlo dai processi che rischia e dall'odio. La moglie invece e' scomparsa presumibilmente in Russia.
Rifugiatosi a New York, l'unica citta' cosi' affollata e folle da potergli concedere una assoluta invisibilita', si trasferisce a Greenwich Village (il quartiere gia' casa di spiantati, artistoidi, uomini ai margini della societa'). Qui fa amicizia col suo vicino pittore George Kraft (in realta' Iona Potapov, spia russa) e vive una vita ai minimi termini, dosando con attenzione i suoi risparmi (in realta' godrebbe di certe rendite ereditarie, anche se i genitori morirono credendolo un traditore) e trascinandosi di giorno in giorno senza riuscire a ritrovare se stesso, a riconoscersi.
Nel giro di poco tempo viene rintracciato da diversi personaggi.
C'e' un ideologo dell'ultradestra americana, odontoiatra, teologo autoproclamato ed editore di pamphlet filonazisti ed anticomunisti; il suo strano entourage, tra cui il curioso Fuhrer di Harlem, un afroamericano che era stato collaborazionista dei giapponesi.
C'e' Helga, che sembra ritornata dopo un burrascoso periodo di prigionia in Russia ed e' intenzionata a ricongiungersi col suo grande amore, al quale tra l'altro ha portato tutta la raccolta delle sue opere salvatasi dalla Berlino in fiamme (opere che Campbell non e' affatto felice di aver ritrovato).
C'e' Bernhard o'Hare, ex militare che aveva arrestato Campbell in Germania, la cui vita va un po' a rotoli e di questo accusa Campbell, che secondo lui non ha espiato le proprie colpe: egli e' un veterano amareggiato dall'essere rimasto escluso dal benessere americano postbellico cui era sicuro di avere diritto.
Ci stanno anche gli Epstein, madre e figlio, sopravvissuti di Auschwitz e vicini di Campbell: lei e' una combattiva signora decisa a ricordare e battersi ancora, lui un medico desideroso di dimenticare tutto e di avventurarsi nel futuro che l'America promette, pur essendone ancora rimasto ai margini; forse desidera solo l'oblio.
Fa anche alcune apparizioni Wirtanen, sempre ammantato nell'irrintracciabilita', che gli da' alcune informazioni fondamentali sui piani che gli altri personaggi avrebbero su di lui.
Infatti Helga in realta' e' sua sorella Resi, che lo ama sin da bambina e che e' un agente russo d'accordo con Potapov/Kraft: i due vogliono portare Campbell in Messico e da li' in Russia, per montare un caso sui rapporti ambigui tra governo americano, ex-nazisti e lotta al comunismo; in realta' neanche questo piano sembrerebbe vero perche' essi vorrebbero semplicemente disertare da tutto e fuggire.
Nel frattempo il neonazista Jones e la sua strana corte dei miracoli vogliono fare di Campbell un eroe e per questo l'editore pubblica il suo indirizzo e lo rende rintracciabile ad O'Hare; inoltre essi sono manipolati dai servizi segreti americani, perche' Helga/Resi e' giunta presso Campbell grazie a questa strana combriccola di "white supremacists" del tutto ignari dei doppi e tripli giochi alle spalle della faccenda. Essi portano Campbell ad una delle loro riunioni per motivare le loro "schiere" di bravi americani bianchi pronti a lottare contro il comunismo, in realta' un manipolo di ragazzi un po' mammoni e del tutto imbelli (ma non apparivano cosi' anche i ragazzi che in certe birrerie tedesche mischiavano politica e goliardia?).
Resosi consapevole dell'impossibilita' ad essere se stesso, dilaniato tra le molte identita' che gli sono state imposte Campbell decide di mettere nel sacco tutti e di consegnarsi spontaneamente per essere processato in Israele: trovera' un sionista newyorchese desideroso di fare la sua parte e di consegnarlo. In Israele il cerchio si chiude, giusto in tempo per incontrare Eichmann in carcere: il nazista gli chiede dei consigli in merito alla scrittura (ad esempio se sia veramente necessario avere un agente).
Wirtanen fara' la sua ultima comparsa per salvarlo dalla condanna rivelandosi finalmente come agente del governo ed ammettendo che Campbell era effettivamente un agente americano.
L'uomo dopo aver avuto la vita rovinata e dopo aver avuto un triste assaggio di ognuna delle ideologie dominanti del pianeta si propone di fare un drammatico uso della liberta' rimastagli.
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Stile e tono
Vonnegut maturo, leggera serieta' e seria leggerezza per il tema dei temi, per il Mostro filosofico e politico novecentesco per eccellenza: il totalitarismo (nazista). Come raccontarlo? Come cercare di rappresentare le azioni delle molte tipologie di persone coinvolte in quel fatidico pugno di anni che hanno cambiato irrimediabilmente l'umanita'?
Lo scrittore adotta uno stile di memoriale di cui si propone come curatore, simulando i resoconti scritti da Campbell gia' in carcere ma non per questo risparmiando ai lettori la possibilita' di godere di sorprese, fertili sfumature, passi di notevole intensita', ironia dissacrante, musicalita', metanarrative e altro.
Lo stile e' costruito a micro-capitoli incentrati su un tema od un personaggio, a volte collegati col successivo, mai troppo descrittivi e sempre titolati in maniera allusiva al proprio contenuto, seppure a volte occorra un po' di tempo per arrivare al nesso. La prima persona dello stile memorialistico rende il lettore partecipe dei dubbi e delle angosce del personaggio (e dello scrittore) e non risparmia i generosi tentativi dell'autore di ascoltare qualunque voce, persino, appunto, quella dei cattivi per eccellenza del secolo breve.
Non e' il Vonnegut "di fantascienza" in cui la penna viaggia sfrenata dipingendo liberamente col tratto che piu' gli aggrada, assecondando la fantasia senza freni pur tenendo saldo all'amo l'argomento in questione; qui c'e' un progetto preciso ed un genere che ammesso esista necessita di un saldo legame con la "nostra" realta': fantastoria, alternative history, chiamiamola come piu' ci aggrada; e' un romanzo storico, nel senso che prende spunto da fatti realmente accaduti ed usa persino persone reali come personaggi (marginali, certo) per raccontare una storia possibile, probabile persino; ogni schieramento novecentesco ha avuto i suoi agenti ben inseriti nelle societa' avversarie: propagandisti, informatori, cospiratori, agitatori, doppiogiochisti; quanti agenti senza nome saranno comparsi ad impartire ordini a persone qualunque chiamandole in causa in battaglie che solo in apparenza si combattevano in nome della liberta'? Quanti episodi di manipolazione dell'esistente (senza scomodare incubi alla "Manchurian Candidate")?
Il tono e' spesso ironico ed impietoso con la stupidita' delle strane ideologie a cui certe volte si dedica l'uomo, al male cui decide di dedicarsi nonostante la storia abbia ormai parlato chiaro; i personaggi hanno spesso i loro "a solo" che altrettanto spesso proseguono nel ridicolo delle loro vicende o dei loro ideali, in realta' coerentissimi con certe realta' davvero presenti negli Stati Uniti e non solo, negli anni Sessanta e non solo.
Per questo il protagonista di Madre Notte attraversa tutte queste vicende ed e' l'unico che sembra mantenere una certa lucidita', proprio perche' si e' trovato doppiamente dalla parte del torto: spia e traditore, certo, ma dei "cattivi" e dalla parte dei "meno cattivi" che combattevano contro i "cattivissimi": chi e' chi? Vonnegut non ce lo dice: usa l'ingarbugliarsi dei doppi giochi e dei tradimenti per svelare l'inutile ambiguita' ideologica degli assolutismi politici e morali che si ripetono nonostante le conseguenze siano ben note, fino ad ammonire l'America sua contemporanea sul fatto che tutta questa liberta' sia pericolosa se non si sa cosa farsene e soprattutto che si tratta persino di liberta' di essere stupidi.
Un tono mai sconfitto, allegro nella malinconica consapevolezza che rischiamo di farci molto male se non la smettiamo di farci male l'un l'altro; una scanzonata derisione degli imbrogli dell'ideologia, della caparbia imbecillita' umana; un triste serio e leggero omaggio alle vittime dell'immane tritacarne del ventesimo secolo - e con questo stile particolare riesce ad avere rispetto di tutte le vittime di tutti gli schieramenti, pur senza astenersi dal puntare il dito per indicare chi ha fatto cosa, ma neanche astenendosi dal dire chiaramente chi lo stia facendo ora.
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Temi
I temi di Madre Notte sono forse i piu' seri e meno universalisti dell'opera di Vonnegut: sono specifici e chiaramente esposti, radicati nella storia recente e proiettati nella contemporaneita'.
Non bisogna relegare il libro al filone del "vincere facile" prendendosela coi nazisti; la "reductio ad hitlerum" per cui ad un certo punto qualcuno da' del nazista ad un altro e si va in stallo perche' tutti sono contro i nazisti (persino quelli che oggi fanno il nazismo del ventunesimo secolo e cagionano ancora la morte a milioni di untermenschen, nei mari, nei deserti africani, nei ghetti del nord del mondo, nello splendido medio oriente dove la nostra civilta' e' nata).
Vonnegut non e' uno sfruttatore del filone: egli e' un testimone diretto della barbarie, sopravvissuto alla prigionia nazista ed ai bombardamenti inglesi, ma anche forse un sopravvissuto alla societa' del consumo avanzato americana, che aveva cercato di intrappolarlo (fu pubblicitario, lavoro' per la General Electric, abito' sia la metropoli che la profonda provincia americana).
Da persona informata e da uomo civile egli riesce a dare una voce coerente a tutti, persino ai personaggi piu' strani che si aggirano nei sotterranei della strana societa' in cui vive.
Madre Notte parla dell'umanita' durante e dopo i decenni dei totalitarismi e della guerra mondiale: di come sia cambiata, di come rischi di ripetere gli stessi errori (ma errore e' qualcosa che si compie involontariamente, qui invece parliamo di atti di male deliberato, per quanto dovuto ad una temporanea stupidita' di cui Vonnegut parla spesso usando con abbondanza espressioni alla "cosi' e' la vita" che cercano di recuperare l'umanita' e quindi la naturale fallibilita' di ogni atto, pensando piu' alla ricostruzione ed al superamento che alla semplice e sterile accusa).
Prende onestamente in giro una certa innegabile fascinazione americana per il nazismo, una possibilita' di deriva soggiacente e congenita in una societa' gia' fondata sullo sterminio, sul genocidio; e ricorderemo che il nazismo si interesso' della "soluzione indiana" statunitense, e nell'opera Goebbels usa ed apprezza il "discorso di Gettysburg" di Abramo Lincoln, e poi il pensiero ci va naturalmente ai "nazisti dell'Illinois" del film "Blues Brothers"; passando pero' per gli inquietanti "Diari di Turner" cosi' popolari negli ambienti dell'ultradestra suprematista bianca americana (alla ribalta proprio in questi giorni del 2015 con fatti sanguinosi), opera tra le ispirazioni dei fatti di Oklahoma City e dei precedenti di Waco in Texas; un fatto cosi' americano questa fascinazione che Vonnegut la incolla persino al Fuhrer di Harlem, afroamericano e filonazista in paradossale equilibrio.
L'opera e' anche una riflessione sui conti aperti della storia: in senso lato ed universale e poi personale, di chi questa storia la porta ancora attaccata addosso senza riuscire ad andare avanti e spesso diviso in due: Campbell il doppio e triplo: americano convertito al nazismo riconvertito alla causa americana - che chiama il suo rapporto con la moglie "uno stato a due"; Kraft/Potapov la spia russa in procinto di tradire; Resi la doppiamente sopravvissuta (e doppiamente doppia: sorella, finta moglie, agente russa manovrata dagli americani ma in procinto di tradire anche la causa sovietica); l'America paladina della democrazia pero' armata, i cui cittadini sono liberi ma solo di obbedire, la cui democrazia si misura anche dalla possibilita' di accogliere nel proprio seno la stessa negazione della democrazia, paese in cui l'ultradestra "libertarian" si dice contro il fascismo; la Russia che nasce dalla rivoluzione del popolo e si fa totalitaria; tutto doppio e doppiamente doppio, ambiguo, mai definito, perche' l'uomo e' fallibile, imperfetto, meravigliosamente incompleto.
I conti aperti della storia: Israele impegnato a scriverla (giustamente per impedire che si dimentichi, ma anche per ritagliarvisi finalmente un ruolo ed iniziare cosi' ad esistere ufficialmente); gli ebrei americani divisi tra coloro desiderosi di tirare finalmente i remi in barca e coloro che vogliono ancora lottare, affermarsi, battersi per il proprio retaggio; i cittadini medi americani ritrovatisi senza accorgersene piu' a destra di coloro che hanno combattuto pochi anni prima.
Campbell e' un uomo sballottato qua e la' dalle mareggiate della storia, a volte sulla cresta dell'onda ma irrimediabilmente travolto come tutti, anzi in modo piu' grave avendo potuto sbirciare gli ingranaggi di questa macchina stritolatrice senza potersene liberare. Egli e' desideroso di trovare la pace e pensa infine che l'unico modo possibile sia farsi volontariamente tassello di questo mosaico eternamente incompleto, di mettersi al posto che egli crede che gli spetti quando non spera piu' che il governo americano per cui ha lavorato voglia restituirgli la vita di cui si e' servito senza scrupoli.
Campbell ha vissuto trionfando nel paese sconfitto e da perdente nel paese vincitore; stritolato da entrambe le ideologie in un gioco di specchi che riflettono nient'altro che specchi, di ideologie simmetriche, forse di quelli che tempo dopo si chiameranno estremismi opposti; perche' in fondo se in un totalitarismo nulla e' permesso mentre in America lo e' tutto, si tratta di una moneta truccata con due facce uguali.
Un'opera delicata, seria, triste ma non arresa; sorride dell'orrore degli orrori.
*
La banalita' del male, il "metodo Spielberg" ed altre cose
Chiamo "il metodo Spielberg" (dalla saga cinematografica di Indiana Jones) l'artificio retorico di vestire da nazisti gli antagonisti dell'eroe, cosi' da giustificare ogni atto di spericolata violenza dell'opera senza ricevere penalizzazioni di "Audience Rating", quasi che mostrare cinematograficamente atti di violenza contro i nazisti non conti poiche' essi non sono umani; tutti odiano i nazisti e quindi non c'e' il rischio di accuse di compiacimento a mostrarli uccisi in fantasiosa abbondanza (fino al tarantinismo pop-storico tipicamente americano di "Inglorious Bastards").
In rete si definisce "reductio ad Hitlerum" la possibilita' che durante una conversazione telematica il dibattito degeneri in litigio fino al punto in cui qualcuno accusi qualcun altro di essere un nazista: nessuno e' peggio dei nazisti.
Lo stallo logico-politico della contemporaneita' e' ancora un tema controverso per molti, come se fosse ancora necessario dibatterne e non fosse chiaro cosa sia successo (e cosa stia succedendo levianamente ancora, seppur travestito da altro: ci sono campi di concentramento, si viene uccisi a causa della propria etnia, l'uomo sfrutta l'uomo).
Eppure Vonnegut da' la parola a tutti, contestualizza dove sia il male ed il bene senza dogmi e senza assolutismi, da vero pensatore libertario, da vero sopravvissuto a quella fatidica pioggia di bombe che certo colpiva i nazisti, ma e' difficile riconoscere il credo politico di una persona dopo che il suo corpo e' stato ridotto in cenere. Chi e' il buono? Chi il cattivo? Vonnegut non lo sa, non lo afferma come verita' assoluta ma lo scrive, lascia che sia il lettore a pensare per proprio conto: uomini che lanciano tonnellate di bombe su una splendida citta' piena di gente innocente (ma poi anche se fosse colpevole?) - chi e' il buono e chi e' il cattivo? Un cinico e spietato speaker di propaganda nazista che ha ispirato a compiere atti sempre piu' abominevoli, ma che contemporaneamente lavora per "i buoni", gli alleati: alleati di chi e in nome di cosa? Dipende a chi lo chiediamo: ad un reduce dello sbarco, ad un caduto "sulla strada gelata" di Stalingrado, a Winston Churchill, ad un fantaccino italiano sballottato qua e la' dal duce e dal re, ad un partigiano; diffidiamo di chi e' troppo ansioso di darci la sua risposta netta.
Vonnegut scrive negli anni caldi dei due decenni dopo la guerra in cui l'America riscriveva parte della storia in chiave anticomunista; ma non gli Americani, molti dei quali quella guerra l'avevano vissuta, sfuggita in Europa, subita. Vonnegut affonda la penna nel ventre caldo della storia e della contemporaneita' e ne trae un affresco di un'umanita' smarrita come sempre, violenta come sempre, stupida come sempre, meravigliosa come sempre; scrive negli anni dei "Dottor Stranamore" arruolati con disinvoltura dagli Stati Uniti per progredire nella lotta antisovietica, scrive forse in uno degli anni piu' caldi del ventesimo secolo. Vonnegut e' sempre nell'attualita'.
Guardate che anno il 1961: in Algeria i francesi di De Gaulle (altro protagonista della seconda guerra mondiale) sono in ritirata, Kennedy giura ("E dunque cari americani: non chiedete cosa..."), i russi (e poi gli americani) vanno nello spazio, la Baia dei Porci, Giovanni XXIII indice il Concilio Vaticano Secondo, Kennedy incontra Kruscev sulla questione nucleare e berlinese, muore Hemingway, nasce Obama, Berlino e' divisa, nascono i Beatles, nasce Amnesty International, la prima storica marcia Perugia-Assisi, inizia l'intervento Usa in Vietnam; a dicembre viene pronunciata la sentenza del processo Eichmann, arrestato l'anno prima e giustiziato l'anno dopo.
Quest'ultimo fatto e' importante per collegare il romanzo di Vonnegut ad un'opera fondamentale del ventesimo secolo: "La banalita' del male" di Hannah Arendt (1963). La filosofa aveva seguito il processo e scritto (per il "New Yorker") prima che poi ne nascesse il libro, per certi aspetti controverso ma assolutamente cardinale per la comprensione di certe questioni prima fraintese riguardo il nazismo e le modalita' che portano degli uomini a farlo succedere. Nel libro di Vonnegut (e nell'opera di Vonnegut) troviamo espressa una concezione molto simile a quella che la Arendt estrapola dal comportamento di Eichmann e che per certi versi capovolge la concezione del nazismo fino ad allora diffusa: non piu' demoni assetati di sangue, folli e sanguinari nicciani alla conquista del mondo ma persone qualunque, che hanno delegato la propria responsabilita' di agire e pensare fino all'annullamento, all'assoluta meccanicita' delle loro azioni senza alcuna considerazione dei rapporti di causa ed effetto. Per Vonnegut: l'assoluta rinuncia alla propria personale intelligenza, l'abbandono alla stupidita'. L'espressione coniata dal titolo della Arendt e' gia' nell'opera di Vonnegut dall'inizio in assoluta sintonia: per il nostro autore la banalita' e' il male, lo e' la negazione dell'intelligenza umana.
Campbell nell'opera incontra Eichmann nel carcere israeliano: Eichmann lo riconosce e gli chiede consigli di scrittura (occorre scrivere ad un orario regolare?) e questioni puramente amministrative (e' veramente necessario un agente letterario?) quasi si preparasse a fare parte di questo nuovo mondo postbellico americanizzato, quasi non pensasse neanche di poter essere condannato perche' non ha commesso alcun crimine; mentre Campbell e' smarrito, straziato, fatto a brani dai molti poteri che lo hanno sfruttato e che vogliono ancora sfruttarlo. Quella di Eichmann e' una comparsa fugace, eppure ne percepiamo la piccola umanita', non l'incapacita' ma il non interesse a riconoscersi come parte dell'ingranaggio sterminatore nazista, come un quadro che passi da un incarico all'altro con naturalezza; mentre Campbell fin da subito aveva ben chiari i fatti e dimostra (come la storia ed i documenti provano) che tutti sapevano tutto, ma forse negavano interesse ai fatti o sublimavano nella paura ogni sensazione di ingiustizia di cui potessero sentirsi parte. Parte consenso, parte paura la ricetta del totalitarismo come ce l'hanno insegnata.
Madre Notte e' un'opera di finzione, per di piu' appartenente grosso modo alla cosiddetta letteratura di genere eppure non credo abbia dignita' inferiore al grande lavoro della Arendt; e' accessibile, lieve ma profondo, americano senza alcun riguardo per una societa' che sta continuando a sbocciare in quegli anni inquieti ed in cui chi e' disposto a mettere da parte gli scrupoli puo' ancora fare fortuna. Vi si mostra la sensibilita' dell'autore a certi temi non solo perche' tutto sommato l'indotto del ventennio nazista rappresenti una dispensa inesauribile di trame e possibilita' per uno scrittore: Spinrad, Dick, ma quanti altri? E solo per parlare delle opere di fantasia che non aspirino a rappresentare fedelmente il reale; quanto cinema di guerra, quanta televisione, letteratura? - dispensa a cui Vonnegut pero' attinge sobriamente, con un fine preciso e non per sfruttare e spettacolarizzare o per fare facile terrorismo sociologico ("guardate come staremmo ora se avessero vinto i nazisti!" potrebbe chiedere al pubblico un lettore di fantascienza di consumo). Un esempio: nel 1962 esce il film "Il giorno piu' lungo", sorta di manifesto definitivo dell'americanismo bellico e postbellico, spettacolare opera con le piu' grandi star mondiali, le migliori maestranze, la piu' evoluta tecnologia che pero' non lascia nessuno spazio d'ombra su cui si possa riflettere, su cui si possano avere dubbi.
Vonnegut insomma racconta una storia di uomini comuni travolti dalle mareggiate della storia e proprio perche' comuni vulnerabili alla stupidita' ed al male che irrompe nel quotidiano ed in qualunque epoca, anche nella ricca e progredita America bianca del 1961, in cui ci si sente proiettati verso il futuro anche se quel futuro rischia di essere ben peggiore delle peggiori distopie; ed infatti e' di quegli anni la nascita dell'utopia disneyana di Epcot, ed e' ormai cosa documentata come la pensasse Disney su certi fatti del mondo.
Vonnegut lo diceva da anni: il mondo e' un posto bello e pieno di gente interessante a cui accadono i fatti piu' strani; il problema e' che occasionalmente l'uomo ceda alla stupidita' ed al male e uccida altri uomini; presto l'uomo andra' nello spazio e anche li' trovera' il modo per cacciarsi nei guai; non sarebbe meglio riflettere un po' prima di agire?
Il messaggio dello scrittore non e' mai contorto, astruso, intellettuale. Egli non ha mai fatto parte di conventicole di intellettuali, movimenti, gruppi di potere: si informa, condivide la propria esperienza, esprime la propria opinione; e' un narratore di favole, che come ben sappiamo sempre parlano di fatti veri, hanno una morale onestamente esposta senza didascalismi malamente travestiti, sono scritte da uomini e rivolte agli uomini (e spesso, ma Vonnegut ci avverte di questo, tendono a diventare religioni; e questo bisogno di ri-legatura tra gli uomini lo troviamo nella lettura di Vonnegut che spesso ne racconta il degenerare); quella voglia di volgersi verso chi ci sta accanto, un essere umano come noi, e dirgli: "ciao, sai cosa ho letto di bello oggi?" e una candela ne accende un'altra.
3. LIBRI. ANNA BRAVO PRESENTA "IN VIAGGIO CON ALEX" DI FABIO LEVI (2007)
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 18 agosto 2007 col titolo "L'insondabile mistero di Langer".
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Tra le opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008; (con Federico Cereja), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, Torino 2011; La conta dei salvati, Laterza, Roma-Bari 2013; Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014.
Fabio Levi, storico, insegna storia contemporanea all'Universita' di Torino ed e' direttore del Centro internazionale di studi Primo Levi; ha lavorato a lungo sulla storia degli ebrei dall'emancipazione fino allo sterminio e piu' in generale sulle vicende della societa' italiana nel Novecento. Il suo interesse per i risvolti sociopsicologici delle differenze fra gli individui lo ha anche portato a occuparsi della storia della condizione dei ciechi e lo ha reso particolarmente sensibile ai temi della convivenza e delle relazioni fra gruppi e culture diverse. Tra le opere di Fabio Levi: (con Paride Rugafiori e Salvatore Vento), Il triangolo industriale tra ricostruzione e lotta di classe (1945-'48), Feltrinel1i, Milano 1974; (con Bruno Bongiovanni), L'Universita' di Torino sotto il fascismo, Giappichelli, Torino 1976; L'idea del buon padre. Il lento declino di un'industria familiare, Rosemberg & Sellier, Torino 1984; Un mondo a parte. Cecita' e conoscenza in un istituto di educazione, Il Mulino, Bologna 1990; L'ebreo in oggetto. L'applicazione della normativa antiebraica a Torino (1938-1943), Zamorani, Torino 1991; L'identita' imposta. Un padre ebreo di fronte alle leggi razziali di Mussolini, Zamorani, Torino 1996; "Gli ebrei nella vita economica italiana dell'Ottocento", in C. Vivanti (a cura di), Gli ebrei in Italia, Annali XI, tomo II, Storia d'Italia, Einaudi, Torino 1997; Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nelle carte dell'Egeli (1938-1945), Archivio storico della Compagnia di San Paolo, Torino 1998; 'Torino: da capitale restaurata a capitale spodestata (1814-1864). L'economia', in U. Levra (a cura di), La citta' nel Risorgimento, VoI VI della Storia di Torino, Einaudi, Torino 2000; "Da un vecchio a un nuovo modello di sviluppo economico", in U. Levra (a cura di), Da capitale politica a capitale industriale (1864-1914), Vol. VII della Storia di Torino, Einaudi, Torino; (a cura di, con Bruno Maida), La citta' e lo sviluppo. Crescita e disordine a Torino (1945-1970), Franco Angeli, Milano 2002; (a cura di, con Sonia Brunetti), C'era una volta la guerra, Zamorani, Torino 2002; (con Maria Bacchi), Auschwitz, il presente e il possibile, Giuntina, Firenze 2004; In viaggio con Alex, Feltrinelli, Milano 2007; (con Rocco Rolli), La Mole. Storia e architettura, Zamorani, Torino 2008; La persecuzione antiebraica. Dal fascismo al dopoguerra, Zamorani, Torino 2009; L'accessibilita' alla cultura per i disabili visivi. Storia e orientamenti, Zamorani, Torino 2015.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992. Dopo la sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005; Alexander Langer, Was gut war Ein Alexander-Langer-ABC; inoltre la Fondazione Langer ha terminato la catalogazione di una prima raccolta degli scritti e degli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa), i materiali raccolti e ordinati sono consultabili su appuntamento presso la Fondazione. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana, Molfetta 2000; AA. VV. Una vita piu' semplice, Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005; Fabio Levi, In viaggio con Alex, la vita e gli incontri di Alexander Langer (1946-1996), Feltrinelli, Milano 2007. Si vedano inoltre almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione della Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2000, 2004; il volume monografico di "Testimonianze" n. 442 dedicato al decennale della morte di Alex. Inoltre la Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (esaurito). Videografia su Alexander Langer: Alexander Langer: 1947-1995: "Macht weiter was gut war", Rai Sender Bozen, 1997; Alexander Langer. Impronte di un viaggiatore, Rai Regionale Bolzano, 2000; Dietmar Hoess, Uno di noi, Blue Star Film, 2007. Un indirizzo utile: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Bottai 5 Bindergasse, 9100 Bolzano-Bozen, tel. e fax: 0471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org]
E' uscito da poco In viaggio con Alex di Fabio Levi (Feltrinelli, pp. 237, euro 14), una biografia di Alexander Langer: sudtirolese nato a Vipiteno da padre ebreo e madre cattolica, vicino ai cattolici del dissenso e a don Milani nella Firenze fine anni '60, poi leader di Lotta continua, in seguito fondatore dei verdi in Italia e parlamentare europeo, pacifista, o meglio pacifico.
Libro bellissimo, e credo difficile da scrivere. Perche' Langer e' stato importante per moltissimi, fra cui l'autore, e la sua vita si e' chiusa con il suicidio sulle colline di Firenze il 3 luglio 1995. Ma anche perche' il ricco dibattito su biografia e autobiografia non aiuta a raccontare una persona conosciuta e amata che ha deciso di morire. Giustamente: il suicidio non e' la ricapitolazione di una vita, non offre di per se' una chiave di lettura superiore. Pero' resta un segnale, una ferita che bisogna decidere se sfiorare o riaprire. Di recente, vari politici di Bolzano hanno respinto la proposta di dedicargli una via: onorare un suicida sarebbe stato diseducativo. Diseducative, dunque, anche le intitolazioni a Primo Levi, Virginia Woolf, Jean Amery, Hemingway e simili cattivi maestri? Ma a volte persino dagli argomenti piu' irragionevoli si possono ricavare domande sensate, in questo caso sul rapporto fra chi non c'e' piu' e il biografo che vorrebbe farlo rivivere. E' un tema cruciale della scrittura biografica e di questo libro, in cui si puo' vedere in controluce un compendio dei limiti e delle potenzialità del genere.
Ricordo che di fronte alla morte di Primo Levi, il dolore e lo stordimento per la perdita di un padre simbolico (di un santo laico, dicevano alcuni) si mischiavano alla sensazione di essere stati doppiamente abbandonati. Per la sua fine, come se i santi non avessero diritto di morire. Per il modo, come se il suicidio gettasse retrospettivamente un'ombra sulla vita. Nell'opinione comune, Levi era l'uomo che aveva vinto Auschwitz - definizione infelice per una persona cosi' libera dal vizio della belligeranza; l' uomo straordinario che grazie al suo lavoro di memoria aveva dimostrato di meritare la salvezza. Una visione distorta in cui la sopravvivenza non si deve al caso, come avveniva quasi sempre, ma all'eccezionalita' del prigioniero; in cui, implicitamente, si lascia intendere che gli altri, i morti, l'avrebbero meritata meno. Che molti ex deportati - lo stesso Levi, Bruno Bettelheim, il principale custode della memoria italiana, Bruno Vasari - abbiano rigettato questa ideologia, non ha impedito il suo riemergere periodico, tanto e' forte l'idea che soffrire sia un merito, e sopravvivere un premio. Con quali effetti appiattenti sulle biografie e' facile immaginare. Il suicidio di Primo Levi rompeva quello schema. Di qui la pulsione a "spiegarlo" per farsene una ragione. Di qui la non innocente ostinazione di alcuni aspiranti biografi a rovistare nella sua vita alla caccia del minimo dettaglio personale. Su piccola scala, qualcosa di simile e' successo con il suicidio di Langer, che ad alcuni e' sembrato un tradimento affettivo e una resa - resa, un'altra stonata parola militaresca. Comprensibili, anche in questo caso, la voglia e il bisogno di capire cercando indizi nel pubblico e nel privato.
Con il suo pensiero aperto e la sua capacita' di ascolto, Alex era un leader anomalo e un padre simbolico per gli allievi delle scuole dove insegnava - a differenza di altri, era rimasto legato al suo lavoro - e per le persone giovani che la politica gli faceva incontrare. Molte e ininterrottamente. Langer - Fabio Levi lo mostra con chiarezza - incarnava al massimo grado il modo di vivere degli anni Settanta, quel correre, spendersi, spremersi come se mancare una scadenza politica o un incontro fosse una catastrofe, e come se si attingesse a una riserva di energia senza fondo. Teneva viva una quantita' di reti di relazione anche molto diverse fra loro; dove non poteva arrivare direttamente, lo faceva con cartoline, lettere, biglietti. Le differenze lo affascinavano. C'era bisogno di persone cosi', e Langer lo sapeva, lui che in qualunque conflitto tentava di incrinare le barriere e costruire ponti fra le parti, ma che aveva scritto: "A volte bisogna accettare di essere chiamati traditori dai propri compagni". E l'aveva messo in pratica. Durante la guerra nella ex Jugoslavia - Sarajevo bombardata da anni, inutili tentativi di pacificazione della comunita' internazionale - era arrivato a pensare che un intervento armato dell'Onu, o della Nato a nome dell'Onu, purche' il piu' possibile contenuto, fosse preferibile all'agonia della Bosnia; che fosse necessaria un'autorita' internazionale in grado di minacciare e di impiegare, oltre che la diplomazia, la forza militare, "esattamente come avviene con la polizia sul piano interno degli Stati". Questa posizione gli era costata molto, anche nei rapporti personali.
Il che chiama in causa un altro tema clou per chi racconta una vita (e per chiunque fa storia): le connessioni personale/politico, privato/pubblico. La bulimia biografica scoppiata intorno a Primo Levi poteva farsi forte dell'importanza riconosciuta in questi decenni ai primi due poli. Una tendenza affiorata sull'onda della cultura di massa, e esplosa, con altro spirito, nel '68 e nel femminismo, che teorizzavano la rilevanza politica dei comportamenti personali e privati. E' stata un'acquisizione importante, capace di rinnovare il campo delle biografie e autobiografie, e di spingere quello della storia politica oltre le idee, le ideologie, i soggetti collettivi. Ma lo scivolamento della ricerca dal privato all'intimita' e' altra cosa, che sottintende almeno due equivoci. Il primo e' la confusione fra mistero e segreto. In ogni gruppo, in ogni famiglia, in ogni vita ci sono segreti - dunque anche in quelle che si concludono volontariamente. Il biografo puo' scoprirli e ritenerli decisivi. Ma intorno al suicidio non ci sono necessariamente segreti, c'e' un mistero davanti al quale anche chi ha la dubbia ambizione di vedere come le persone sono fatte dentro, si dovrebbe fermare. Se non altro per il senso del limite interno a ogni lavoro e rapporto. Il secondo equivoco e' una concezione del privato come enclave dell'autenticita' e della profondita', contrapposta al pubblico come luogo dell'artificio e della superficie.
Fabio Levi ha raccolto documenti politici, lettere, articoli, atti del parlamento europeo, racconti di amici. Ha scelto una scansione legata piu' alle vicende politiche del protagonista che a quelle personali. Non si e' dedicato alla caccia al tesoro dell'inedito o dell'inusitato. E ne e' uscito un libro avvincente, in cui il concetto di politica si allarga a quello di sfera pubblica, e la sfera pubblica si incrocia alle passioni, ai sentimenti, all'etica. Decenni fa, in Eminenti vittoriani, Lytton Strachey, che pure e' considerato un pioniere della biografia psicologica, aveva fotografato Florence Nightingale descrivendo semplicemente il suo rapporto con le autorita' del Regno Unito e con i collaboratori, mantenendosi ancorato alla superficie. Che non e' soltanto il luogo dello spettacolo sociale, e' quel che filtra da una negoziazione fra se' e se' intorno alla propria immagine. Gia' una parvenza di autobiografia. Nella sua rincorsa da una lotta all'altra, da una rete di relazioni all'altra, nel suo rapporto conflittuale con le istituzioni, Langer ha disseminato pezzi di se' nei luoghi piu' diversi, senza badare molto a come si sarebbero potuti combinare fra loro. Un vagabondaggio dell'identita', non raro fra quanti hanno partecipato alla stagione dei movimenti. Il contrario, mi sembra, dello sforzo di Primo Levi per costruirsi, attraverso le opere e le scelte personali, un embrione di biografia capace di opporsi preventivamente alle santificazioni e strumentalizzazioni, quasi una diffida a futuri biografi, accolta pero' solo da alcuni. La storia di Langer rischia invece di non potersi consolidare per un eccesso di mobilita' e fluidita', che l'amore degli amici per quanto fattivo e prezioso, compensa solo in parte. Questo libro puo' allora offrire uno spazio accessibile, in cui chi sa poco di lui puo' incontrarlo e conoscerlo, una casa mobile dove non si chiede altro visto d'ingresso che la voglia di capire. In fondo ogni biografia dovrebbe essere cosi'.
4. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Ryszard Kapuscinski, Ancora un giorno, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 144.
- Ryszard Kapuscinski, Autoritratto di un reporter, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 120.
- Ryszard Kapuscinski, Cristo con il fucile in spalla, Feltrinelli, Milano 2011, pp. 188.
- Ryszard Kapuscinski, Ebano, Feltrinelli, Milano 2000, 2002, pp. 280.
- Ryszard Kapuscinski, Giungla polacca, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 190.
- Ryszard Kapuscinski, Il cinico non e' adatto a questo mestiere, Edizioni e/o, Roma 2002, pp. 144.
- Ryszard Kapuscinski, Il Negus. Splendori e miserie di un autocrate, Feltrinelli, Milano 1983, 2003, pp. 168.
- Ryszard Kapuscinski, Imperium, Feltrinelli, Milano 1994, 1995, pp. 280.
- Ryszard Kapuscinski, In viaggio con Erodoto, Feltrinelli, Milano 2005, 2009, pp. 264.
- Ryszard Kapuscinski, L'altro, Feltrinelli, Milano 2007, 2009, pp. 80.
- Ryszard Kapuscinski, Lapidarium, Feltrinelli, Milano 1997, 2001, pp. 120.
- Ryszard Kapuscinski, La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Serra e Riva, 1990, Feltrinelli, Milano 2002, 2005.
- Ryszard Kapuscinski, Nel turbine della storia. Riflessioni sul XXI secolo, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 192 + un inserto di 32 pp. di fotografie.
- Ryszard Kapuscinski, Shah-in-shah, Feltrinelli, Milano 2001, 2007, pp. 192.
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Riedizioni
- Jamaica Kincaid, In fondo al fiume, Adelphi, Milano 2011, Il sole 24 ore, Milano 2015, pp. 80, euro 0,50 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
6. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2030 del 30 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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