[Nonviolenza] Telegrammi. 2029
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- Date: Sun, 28 Jun 2015 23:20:20 +0200 (CEST)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2029 del 29 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. L'unica politica degna
2. Oggi a Viterbo
3. Il primo luglio a Viterbo
4. In memoria di Marie Bonnevial, Amina Cachalia e Lavinia Mazzucchetti
5. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
6. Anna Bravo: Anonime (2010)
7. Anna Bravo: Uomini (2011)
8. Anna Bravo: Primo Levi, la grammatica del genocidio (2013)
9. Sandro Mezzadra, Brett Neilson: Prefazione di "Confini e frontiere"
10. Segnalazioni librarie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. L'UNICA POLITICA DEGNA
Se riconosciamo che diritto alla vita e dovere di solidarieta' sono in una relazione tale che l'uno non trova realizzazione ovvero fondamento senza l'altro, ebbene, molti correnti sofismi della chiacchiera dominante si rivelano per quello che sono: maschere il cui unico fine e' legittimare cio' che legittimabile non e', ossia l'ideologia e la prassi dei dominanti poteri rapinatori, schiavisti, assassini.
*
Le persone nel bisogno e in pericolo vanno soccorse si' o no?
Chi e' stato costretto da indicibili violenze strutturali o contingenti ad abbandonare la sua casa, la sua terra, i suoi legami affettivi, tutti i suoi beni, va accolto si' o no?
*
La guerra, che sempre e solo consiste nell'uccisione di esseri umani, e' o non e' un crimine contro l'umanita' che e' una?
E gli strumenti della guerra: le armi, gli eserciti, i sicari, i carnefici, in quanto ad essa ordinati - ovvero all'uccidere gli esseri umani - sono o no ipso facto criminali?
*
Se ci si pone dal punto di visto adeguato, il punto di vista che assume l'intera umanita' come soggetto di diritto, del primo diritto che tutti gli altri fonda: il diritto a non essere uccisi, il diritto a vivere, ebbene, si manifesta in tutta chiarezza l'inammissibilita' assoluta di ogni pratica intesa a sopprimere vite umane, si manifesta in tutta chiarezza il primo dovere di ogni essere umano e di ogni umano istituto: salvare le vite.
*
L'unica politica degna e' la nonviolenza.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
2. INCONTRI. OGGI A VITERBO
Oggi, lunedi' 29 giugno, alle ore 19 a Viterbo nella chiesa degli Almadiani in piazza dei Caduti (piazza del Sacrario), nell'area incontri dello Slow Food Village, l'Operazione Colomba promuove un incontro con Gildardo Tuberquia, della Comunita' di pace di San Jose' de Apartado'.
Per ulteriori informazioni: www.operazionecolomba.it, www.cdpsanjose.org
3. INCONTRI. IL PRIMO LUGLIO A VITERBO
Mercoledi' primo luglio con inizio alle ore 17,30, a Viterbo presso il Palazzetto della Creativita' in via Carlo Cattaneo 9 (sito nell'area del complesso scolastico degli istituti comprensivi Canevari e Vanni), si svolgera' il prossimo incontro del "Tavolo per la pace" di Viterbo.
Per ulteriori informazioni e per ogni comunicazione il punto di riferimento e' come sempre Pigi Moncelsi: tel. 0761348590, cell. 3384613540, e-mail: pmoncelsi at comune.viterbo.it
4. MAESTRE. IN MEMORIA DI MARIE BONNEVIAL, AMINA CACHALIA E LAVINIA MAZZUCCHETTI
Ricorreva ieri, 28 giugno, l'anniversario della nascita di Marie Bonnevial (28 giugno 1841 - 4 dicembre 1918, gloriosa militante socialista e femminista francese), l'anniversario della nascita di Amina Cachalia (28 giugno 1930 - 31 gennaio 2013, eroica militante antirazzista e femminista sudafricana) e l'anniversario della morte di Lavinia Mazzucchetti (6 luglio 1889 - 28 giugno 1965, coraggiosa antifascista ed illustre germanista e saggista italiana), tre maestre della nonviolenza in cammino.
*
Ricordando e seguendo l'esempio di Marie Bonnevial, di Amina Cachalia e di Laviana Mazzucchetti proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione da tutte le oppressioni.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
5. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
6. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: ANONIME (2010)
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 16 dicembre 2010 col titolo "Il paradosso dell'anonimato. Ecco perche' le donne sono poco rappresentate".
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Tra le opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008; (con Federico Cereja), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, Torino 2011; La conta dei salvati, Laterza, Roma-Bari 2013; Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014]
Le donne nel "Dizionario biografico degli italiani" sono poco rappresentate. E non deve essere stato difficile escluderle. Bastava assecondare i principi di una storiografia che si e' imposta a partire dalla fine Ottocento, ipnotizzata dallo Stato, dalle istituzioni, dalle guerre. Anche prima la storia aveva un implicito codice maschile, ma restava un genere aperto sia alla vita delle donne sia alle autrici, perche' abbracciava la biografia, la memorialistica di corte, le cronache. Con l'affermarsi della storiografia "scientifica", l'intreccio storico e' solo maschile, chi scrive di donne non fa storia. Certo con il tempo quei principi si sono "umanizzati", ma in Italia fino ai decenni Cinquanta/Sessanta reggono.
Com'e' cambiata la categoria di italiane illustri? Ormai lo sguardo e' piu' curioso: regine, sante, patriote, cantanti, attrici e scrittrici, e insieme partigiane, deportate, esponenti dei diversi femminismi, sportive, stiliste, popstar. Giustamente: spostandoci sul piano internazionale, per le donne e' importante Susan Sontag, ed e' importante Madonna.
Un elemento che vorrei sottolineare e' la tendenza a produrre repertori di sole donne. Ce ne sono ormai parecchi, costruiti su scala locale. Tornano i racconti "particolari" e decentrati? Forse si', ma con l'intenzione di interagire con i discorsi complessivi. Impresa difficile. E non solo perche' in Italia certi colleghi non leggono i libri di donne, non le vedono come interlocutrici a pieno titolo. Rimane la questione delle donne eminenti eppure sconosciute. Gesti e parole in qualche caso sono leggendari, ma le identita' sono svanite: nella storia che si vive, le donne hanno agito da sole, in gruppo, in massa, ma nella storia che si scrive sono entrate per lo piu' nella terza accezione. E ancora oggi la ricerca sconta il paradosso di un anonimato che puo' colpire persino le meno anonime.
7. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: UOMINI (2011)
[Dal quotidiano "La Repubblica" dell'8 febbraio 2011 col titolo "Uomini, abbiate piu' coraggio, tocca anche a voi vergognarvi"]
Non capisco perche' alcuni uomini debbano fare appello alla propria componente femminile per indignarsi di fronte al cosiddetto Rubygate, mentre avrebbero di che indignarsi in prima persona. A uscire devastata dalla vicenda e' piu' l'immagine maschile che l'immagine femminile. Ragazze che si vendono - un fatto che mette ansia, perche' la prima giovinezza e' un impasto delicato di furbizia, ingenuita', voglia di spadroneggiare, vulnerabilita'. Ma soprattutto uomini che soltanto grazie al denaro e al potere dispongono del loro corpo (o magari solo della loro attenzione) e le gratificano con regali comprati all'ingrosso.
Eppure, mentre molte di noi si preoccupano della dignita' femminile, nessun uomo ha sentito il bisogno di difendere quella del genere maschile. Certo, il modello Berlusconi e' cosi' grezzo e simbolicamente violento che per un uomo di buona volonta' puo' essere difficile vederlo come una ferita inferta (anche) alla propria immagine. Ma, cari, quel modello vi rappresenta in giro per il mondo. Mi stupisce che la vergogna provata da tanti di voi riguardi l'essere italiani, e non l'essere uomini italiani.
Vi sentite incolpevoli? ma allora dovreste sentirvi incolpevoli anche come italiani. Berlusconi vi sembra un alieno? forse, ma non cambia il fatto che appartenete allo stesso sesso.
Alcuni uomini (penso a singoli, all'associazione Maschile plurale, a vari altri gruppi) hanno capito da decenni che non aver mai commesso stupro non basta a chiamarsi fuori da un mondo maschile in cui la violenza contro le donne si ripete ogni giorno. Uno sforzo, e potreste capire che neppure dallo svilimento delle donne e' possibile chiamarsi fuori, che c'e' una responsabilita' sovraindividuale - beninteso, non come colpa general/generica o dannazione originaria, ma nel senso in cui la intende Amery: come somma delle azioni e omissioni che contribuiscono a fare (o a lasciar sopravvivere) un clima.
Non mi riferisco soltanto al sesso in compravendita, e neanche al rischio di degradazione che pesa sulle relazioni uomo/donna - problema politico per eccellenza, a dispetto di chi invoca: "torniamo alle cose serie". Intendo un clima in cui le parole delle donne spesso non sono richieste, e se si', si ascoltano con l'orecchio sinistro, in cui i vertici di qualsiasi realta' sono clan maschili. Eccetera. Un clima, anche, in cui pochissimi e pochissime possono invecchiare in pace senza sognare/temere/detestare la bellezza e la giovinezza.
Prima di indignarsi per interposta donna, alcuni di voi potrebbero aiutarsi con la memoria. Nel Sessantotto e con molta piu' forza nel femminismo, c'era la buona abitudine di chiedere alle persone da che luogo parlassero, e il luogo era la condizione personale, i comportamenti, l'ideologia, l'istituzione di cui si faceva parte e altro ancora. Voi parlate come se viveste in una camera sterile, con un filtro all'entrata per proteggervi dal contagio delle brutture altrui, e uno all'uscita per fare il restyling alle vostre - diverse, perche' no, ma brutture comunque. Parlate come se la buona volonta' e un po' di buon gusto vi mettessero per cosi' dire al di sopra delle parti. Il che puo' spiegare certe dichiarazioni stravaganti, ma fa anche sospettare che in un angolo della vostra mente riposi la vecchia filosofia secondo cui il maschile equivale all'universale. Capire che i soggetti sono due, uomo e donna, e che il primo non puo' rappresentare il secondo, per noi e' stata una delizia.
Su, non fateci ripetere cose tanto ovvie!
8. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: PRIMO LEVI, LA GRAMMATICA DEL GENOCIDIO (2013)
[Dal quotidiano "La Stampa" del 6 novembre 2013. E' un'anticipazione dalla Lezione poi pubblicata in Anna Bravo, Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014.
Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Anna Bravo, Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976. Cfr. anche il sito del Centro Internazionale di Studi Primo Levi (www.primolevi.it)]
Oggi il termine deportazione richiama immediatamente Auschwitz, la parola simbolo della persecuzione e dello sterminio degli ebrei. Non e' sempre stato cosi'. Nell'immediato dopoguerra e per anni e anni ancora, il deportato e' essenzialmente il politico-partigiano, militante antifascista. Per capire quel che Primo Levi ha offerto alla storia, bisogna partire da allora.
E' cosa nota che la consapevolezza del genocidio come fulcro dell'ideologia nazista e del sistema concentrazionario non e' stata tempestiva ne' generale. Lo mostrano varie ricerche sull'Italia e la Francia, a cominciare dal bellissimo (e colpevolmente non tradotto) Deportation et genocide di Annette Wieviorka.
All'origine del ritardo ci sono motivi concreti. Di fronte all'afflusso caotico di persone in arrivo da Germania e Polonia, distinguere i reduci di Auschwitz e i deportati nei Lager dai militari prigionieri in Germania e dai lavoratori cosiddetti liberi, era piu' complicato di quanto si possa pensare ora. E alla preminenza dei politici contribuiva un dato di fatto elementare: erano tornati piu' uomini da Buchenwald o Mauthausen e donne da Ravensbrueck di quanti non fossero tornati da Auschwitz, e il ruolo di campi simbolo era ricaduto sui primi piu' che sul secondo. Fino a far identificare tutti i deportati come politici.
Ma premevano anche ragioni tattiche e ideologiche. Mettere al centro la persecuzione degli ebrei avrebbe imposto di fare i conti con la vergogna del passato - con Vichy la Francia, con la primogenitura del fascismo, con la guerra, con Salo' l'Italia; e tutte e due con lo zelo antiebraico delle istituzioni e di una parte dei cittadini. Al contrario, ampliare il fronte di resistenza antifascista grazie all'inserimento di tutti i reduci non poteva che giovare all'immagine nazionale. E' la strada che si sceglie.
Quando Levi scrive Se questo e' un uomo, la voce degli ebrei e' dunque in parte confusa fra quelle degli altri prigionieri. Se fra gli autori dei primi memoriali non mancano ebrei, e' soprattutto nella loro qualita' di politici che si rappresentano, aprendo le testimonianze con una storia di partigianato sfociata poi nel Lager - come molti dei loro compagni non ebrei. E' un modello di racconto forte e suggestivo, che insiste sulla doppia identita' di partigiano e deportato.
Primo Levi no. Minimizza la sua esperienza in montagna, mette in primo piano il suo essere ebreo. E' uno scarto netto da quel modello narrativo, un fare parte a se' anche rispetto a compagni amati, anche a costo di pregiudicare uno sbocco editoriale di rilievo. Chissa' se Einaudi sarebbe stato piu' disponibile di fronte a un Se questo e' un uomo piu' partigiano, piu' militante, piu' epico, piu' "eroico" - questi sono gli anni in cui il grande Giacomo Debenedetti rivendica il titolo di soldato per il bambino "Chaim Blumenthal, di anni cinque, caduto a Leopoli, mentre, con le mani legate dietro la schiena, ancora difendeva, ancora testimoniava la causa della liberta'". Ma Levi sa di non essere un soldato, non desidera quel titolo - e forse non lo considera un blasone.
Alla "scoperta" storiografica della Shoah ci si avvicina lungo gli Anni Cinquanta grazie a pochi grandi libri e all'impegno di intellettuali, comunita' ebraiche, centri di ricerca. Finche', nel '62, si arriva alla svolta del processo a Adolf Eichmann, che con la sua enorme risonanza mediatica getta la verita' in faccia al mondo intero.
Ma in Italia la svolta era gia' iniziata, con l'uscita per Einaudi, nel 1958, di Se questo e' un uomo, da allora ininterrottamente ristampato. L'anno dopo, a una mostra sulla deportazione organizzata a Torino dall'Associazione nazionale ex deportati, Levi viene assediato da giovani che gli chiedono di raccontare la sua storia di prigioniero ebreo - e' il metro del successo che il libro ha incontrato immediatamente.
Quattro anni prima del processo Eichmann, prima della traduzione italiana della Banalita' del male di Hannah Arendt, del Prezzo della vita di Bruno Bettelheim, dell'Istruttoria di Peter Weiss, Levi mette a fuoco e divulga l'immagine del deportato ebreo, il colpevole di essere nato, l'ultimo degli ultimi nella gerarchia interna ai prigionieri, fratello dei politici, ma distinto da loro. Vale la pena ricordare che la stesura di Se questo e' un uomo e' del '45-'46, anni in cui le stesse organizzazioni ebraiche erano inclini a rifiutare specificazioni e separazioni, in cui anche fra gli ebrei c'era bisogno di tempo per capire, per vincere il timore che sottolineare la propria appartenenza riservasse altre insidie; tempo per esaurire, dopo lo stigma della diversita', il desiderio di comunanza con tutte le vittime, di uguaglianza con tutti i cittadini.
Per Levi il percorso sembra diverso. Cosi' come non si accasa fra i suoi compagni politici, non si accasa neppure fra quanti si sentono prima cittadini italiani (francesi, tedeschi), poi ebrei. Perche' esserlo non e' piu' la "piccola anomalia allegra" che gli era sembrato nell'adolescenza, e' un numero tatuato su un braccio. Cosi' anche Hannah Arendt, cosmopolita, agnostica, costretta da Auschwitz a dichiararsi innanzitutto ebrea.
E' la prima delle lezioni di Levi alla storia. Trent'anni dopo, con I sommersi e i salvati, rispondera' ai negazionismi non con la difesa d'ufficio della memoria, ma proponendo un'etica e una grammatica della testimonianza. Primo e' a lungo isolato in Italia, ricordera' le pratiche estreme di autodifesa dei prigionieri comunisti, nominera' il "segreto brutto" (l'esecuzione di due compagni colpevoli di "non lieve" trasgressione) che pesa sulla sua piccola banda partigiana - il dramma del male compiuto dai "giusti" e pagato con l'avvilimento di se stessi.
Non uno di questi insegnamenti sarebbe stato formulato senza la radicale autonomia di giudizio di Levi, senza il suo rifiuto di sottomettere a imperativi ideologici o solidarieta' di gruppo la fedelta' all'esperienza, e il suo coraggio nell'esporsi a critiche, dissociazioni, fraintendimenti - il piu' vistoso e' l'attuale estensione della categoria di zona grigia a qualsivoglia realta' oscura o ambigua.
Certo, la strada e' rimasta a lungo in salita. Nella primavera del 1960 si tiene a Torino un corso di lezioni su "Trent'anni di storia d'Italia", cosi' seguito che lo si deve spostare in un teatro, e neppure il teatro bastera'. Peccato che non una delle lezioni sia dedicata alla deportazione e allo sterminio. I ragazzi torinesi sono stati piu' lesti a capire di intellettuali, istituzioni, ricercatori.
Dietro Primo Levi, la storia arranca, e non solo per inerzia o chiusura. E' come se gli autori ritenessero la Shoah fuori delle proprie competenze, troppo lontana e anomala, troppo poco fruibile come magistero per il futuro.
E' strano: le osservazioni piu' profonde sulla condizione umana sono venute dagli studi sul Lager, come se fosse necessario un estremo per mettere a fuoco elementi che nella normalita' tendono a sfumare. A patto, ammoniva Levi, che si eviti di prendere ogni situazione oppressiva per un Lager, che si eviti di vedere nello sterminio la metafora della modernita', e nel totalitarismo la verita' segreta della democrazia.
9. LIBRI. SANDRO MEZZADRA, BRETT NEILSON: PREFAZIONE DI "CONFINI E FRONTIERE"
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo la prefazione del libro di Sandro Mezzadra, Brett Neilson, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Il Mulino, Bologna 2014.
Sandro Mezzadra insegna Filosofia politica all'Universita' di Bologna.
Brett Neilson insegna alla University of Western Sydney (Australia)]
Fosco e impuro, magico e violento: e' questo il paesaggio che sin dall'antichita' avvolge il gesto di tracciare e istituire un confine. Fonti di tutto il mondo ci raccontano storie splendide e spaventose sulla creazione di linee di demarcazione tra il sacro e il profano, il bene e il male, il privato e il pubblico, il dentro e il fuori. Dalle esperienze liminali delle societa' rituali alla delimitazione della terra in quanto proprieta' privata, dal fratricidio commesso da Romolo nei confronti di Remo nella mitologica fondazione di Roma all'espansione del limes imperiale, queste storie ci parlano del potere produttivo del confine, ovvero del ruolo strategico che esso gioca nella fabbricazione del mondo. Trasmettono anche, a un primo sguardo, un'idea della profonda eterogeneita' del campo semantico del confine, delle sue complesse implicazioni simboliche e materiali. La rappresentazione cartografica moderna e i dispositivi istituzionali del confine come linea - prima in Europa e poi globalizzati attraverso il vortice del colonialismo, dell'imperialismo e delle lotte anticoloniali - hanno in qualche modo oscurato questa complessita' e ci hanno condotto a considerare il confine come letteralmente marginale. Oggi, da questo punto di vista, assistiamo a un profondo cambiamento. Come molti studiosi hanno evidenziato, il confine si e' inscritto al centro stesso dell'esperienza contemporanea. Non siamo soltanto di fronte a una moltiplicazione dei diversi tipi di confine, ma anche al riemergere della profonda eterogeneita' del campo semantico del confine. Delimitazioni simboliche, linguistiche, culturali e urbane non sono piu' articolate in modi fissi dal confine geopolitico. Piuttosto, si sovrappongono, si connettono e disconnettono in modi spesso imprevedibili, contribuendo a plasmare nuove forme di dominio e sfruttamento.
E' innegabile che la violenza informa le vite e i rapporti che si giocano sui e attraverso i confini in tutto il mondo. Si pensi alle morti, spesso non registrate, dei migranti che sfidano i confini nel deserto tra Messico e Stati Uniti, oppure sulle acque increspate del mar Mediterraneo. Nuove e vecchie forme di guerra continuano a bersagliare vaste aree di confine. Si pensi al Waziristan, al Kashmir, alla Palestina. Questo libro e' nato dall'indignazione e dalle lotte, in particolare dalle lotte dei migranti, contro la violenza e la guerra al confine. Mano a mano che la nostra ricerca e la scrittura procedevano, abbiamo anche imparato (ancora una volta, soprattutto dai migranti) a valorizzare le capacita', le competenze e le esperienze dell'attraversamento del confine, dell'organizzare la vita attraverso il confine. Pratiche letterali e metaforiche di traduzione hanno iniziato a essere sempre piu' associate nella nostra mente alla proliferazione dei confini e alle lotte di confine nel mondo contemporaneo. Sebbene la proliferazione dei confini sia profondamente coinvolta nell'operare di vecchi e nuovi dispositivi di spossessamento e sfruttamento, come abbiamo detto, siamo convinti che proprio da questo punto di vista le lotte che ruotano attorno ai confini e le pratiche di traduzione che le attraversano possano giocare un ruolo chiave nell'approfondire il dibattito sulla politica del comune. Il libro puo' essere in parte letto come un contributo a tale dibattito, in cui vediamo alcune delle piu' promettenti condizioni per la reinvenzione di un progetto di liberazione nel presente globale.
Con il passare degli anni ci e' parsa via via piu' problematica la fissazione sull'immagine del muro in molti studi critici sul confine e nelle reti di attivisti. Cio' non significa che non riconosciamo l'importanza della diffusione mondiale dei muri, appena un paio di decenni dopo la celebrazione della caduta del muro di Berlino. Ma al di la' del fatto che molti di essi sono assai meno rigidi e impenetrabili di quel che pretendono, assumere il muro come l'icona paradigmatica dei confini contemporanei conduce a un'attenzione unilaterale sulla loro capacita' di escludere. Cio' puo' paradossalmente rafforzare lo spettacolo del confine, vale a dire l'esibizione ritualizzata della violenza e dell'espulsione che caratterizza molti interventi di confine. L'immagine del muro puo' anche consolidare l'idea di una divisione netta tra interno ed esterno, cosi' come il desiderio di una perfetta integrazione dell'interno. Come mostriamo in questo lavoro, assumere il confine non solo come un "oggetto" di ricerca, ma anche come un punto di vista "epistemico" (e' fondamentalmente quello che intendiamo con la formula "confine come metodo", che da' il titolo all'edizione originale di questo libro), mette in evidenza le tensioni e i conflitti che sfumano la linea tra inclusione ed esclusione, consentendo di cogliere i codici profondamente mutati dell'inclusione sociale nel nostro presente. Allo stesso tempo, quando parliamo dell'importanza dell'attraversamento del confine, siamo consapevoli che questo momento nell'operare del confine e' importante non solo dal punto di vista dei soggetti in transito. Lo e' anche per gli Stati, gli attori politici globali, le agenzie di governance e il capitale. La selezione e il filtraggio di flussi, merci, lavoro e informazione che avvengono ai confini sono cruciali per l'attivita' di questi attori. Ancora una volta, assumere il confine come un punto di vista epistemico apre prospettive nuove e particolarmente produttive sulle trasformazioni che attualmente stanno riplasmando il potere e il capitale: per esempio, getta luce sull'intreccio di sovranita' e governamentalita' e sulle operazioni logistiche che sottendono i circuiti globali dell'accumulazione.
In questo senso, il nostro lavoro sui confini va letto come un contributo all'indagine critica dei processi globali reali. Sono ormai passati i giorni in cui un libro come Il mondo senza confini, scritto dal guru giapponese del management Kenichi Ohmae e pubblicato nel 1990, poteva dare il tono alla discussione sulla globalizzazione e sui confini. L'idea li' sostenuta di un gioco a somma zero tra la globalizzazione e i confini (nella misura in cui, con i progressi della prima, sarebbe diminuita la rilevanza dei secondi) e' stata molto influente, ma e' stata anche radicalmente messa in discussione dall'evidenza della presenza crescente dei confini nel nostro presente. Sebbene il nostro lavoro si proponga di studiare questo processo di moltiplicazione dei confini, non sosteniamo affatto che lo Stato-nazione sia uscito intatto dalla globalizzazione. Concordiamo con molti studiosi che hanno mostrato come lo Stato-nazione sia stato al contrario riorganizzato e riformattato nel mondo contemporaneo. Cio' ci conduce a focalizzare l'attenzione non solo sui tradizionali confini internazionali, ma anche su altre linee di demarcazione sociale, culturale, politica ed economica. Per esempio, indaghiamo i confini che circoscrivono le "zone economiche speciali" sempre piu' diffuse in molte parti del mondo all'interno di spazi politici formalmente unitari.
Una delle nostre tesi centrali, lo ripetiamo, e' che i confini, lungi dal servire meramente a bloccare o ostruire i passaggi globali di persone, denaro o oggetti, sono diventati dispositivi centrali per la loro articolazione. I confini giocano un ruolo chiave nella produzione del tempo e dello spazio eterogenei del capitalismo globale e postcoloniale contemporaneo. Questa attenzione alla profonda eterogeneita' del globale e' uno dei tratti distintivi del nostro lavoro, che si sviluppa in un costante dialogo con molti lavori antropologici ed etnografici, cosi' come con quelli di teorici politici e sociali. I soggetti in movimento e le loro esperienze del confine forniscono un filo conduttore che corre attraverso i nove capitoli del volume. Analizzeremo l'evoluzione della forma dei regimi di confine e delle migrazioni in diverse parti del mondo, guardando al modo in cui questi regimi concorrono alla produzione della forza lavoro in quanto merce. Allo stesso tempo, focalizziamo l'attenzione sul problema di lungo corso dei rapporti tra le frontiere espansive del capitale e le demarcazioni territoriali nella storia del capitalismo moderno, concepito fin dal suo inizio come un sistema mondiale. Siamo convinti che nell'attuale transizione globale, sotto la pressione della finanziarizzazione del capitale, vi sia bisogno di mettere a verifica alcune delle piu' importanti nozioni e dei piu' importanti paradigmi teorici prodotti dall'economia politica e dalle scienze sociali per fare i conti con questo problema, dalla divisione internazionale del lavoro al rapporto fra centro e periferia. Ancora una volta, assumendo il punto di vista del confine, proponiamo un nuovo concetto - la moltiplicazione del lavoro - e tentiamo di seguire e cartografare il continuo rivolgimento geografico che vive al cuore della globalizzazione capitalistica. Il libro puo' percio' essere letto anche come un tentativo di contribuire alla continua discussione sull'evoluzione della forma dell'ordine e del disordine mondiali.
La nostra enfasi sull'eterogeneita' e' importante anche per l'analisi di quella che, con Marx, chiamiamo la "composizione del lavoro vivo" contemporaneo, sempre piu' attraversata, divisa e moltiplicata da pratiche di mobilita' e dall'operare dei confini. Per avere un punto di appoggio analitico su questi processi alterniamo sguardi e voci molteplici, attraversando e sfidando la divisione tra nord e sud. Mentre insistiamo sull'importanza delle esperienze migratorie e dei regimi di controllo dal punto di vista delle trasformazioni del lavoro nel mondo euroatlantico, intervenendo nella discussione sul lavoro di cura e affettivo cosi' come sulla precarieta', prestiamo al contempo attenzione, per fare un paio di esempi, al sistema hukou di registrazione del domicilio nella Cina contemporanea e ai complessi sistemi di costruzione dei confini che dividono internamente il mercato del lavoro indiano. Siamo consapevoli delle molte differenze che devono essere prese in considerazione. Non proponiamo un'analisi comparativa di questi e altri casi. Siamo interessati a un diverso tipo di produzione di conoscenza, che parta dai concetti e lavori sulle (spesso inaspettate) risonanze e dissonanze create dagli incontri e dagli scontri fra questi concetti e una materialita' che puo' essere molto distante da quella al cui interno sono stati originariamente formulati. Cio' e' parte integrante di quello che chiamiamo "confine come metodo". Nel caso della composizione del lavoro vivo, indica la rilevanza strategica dell'eterogeneita' (per esempio di figure, qualifiche, status giuridici e sociali) attraverso diverse scale geografiche. Oggi la molteplicita' e' il necessario punto di partenza per qualsiasi indagine sulla composizione del lavoro, e il nostro libro tenta di fornire alcuni strumenti per identificare i punti di piu' intenso conflitto e attrito su cui focalizzare questa indagine. Sebbene la molteplicita' e l'eterogeneita' siano tagliate e divise da dispositivi di controllo e gerarchizzazione, non e' meno vero che oggi l'unita' e' forza (per usare le parole che hanno segnato un'epoca nella storia della lotta di classe). Ma le condizioni di questa unita' devono essere completamente reimmaginate sullo sfondo di una molteplicita' ed eterogeneita' che vanno trasformate da elementi di debolezza in elementi di forza.
Non dovrebbe a questo punto sorprendere che il nostro lavoro sui confini conduca a un confronto con alcune delle piu' influenti elaborazioni sul tema della soggettivita' politica che circolano nei dibattiti critici contemporanei. Nella modernita' i confini hanno giocato un ruolo costitutivo nei modi di produzione e di organizzazione della soggettivita' politica. La cittadinanza ne e' probabilmente il miglior esempio, ed e' sufficiente riflettere sul rapporto strettissimo fra la cittadinanza e il lavoro nel XX secolo per cogliere le forme in cui i movimenti della figura diadica del cittadino-lavoratore sono stati inscritti nei confini nazionali dello Stato. Lavorando attraverso gli studi sulla cittadinanza e sul lavoro, cosi' come i dibattiti piu' filosofici sulla soggettivita' politica, cerchiamo di far emergere le tensioni e le rotture che segnano le figure contemporanee del cittadino e del lavoratore. I confini che circoscrivono queste figure sono diventati elusivi e instabili; per fare riferimento a uno slogan dei latinos negli Stati Uniti ("We did not cross the border, the border crossed us"), sono esse stesse in modo crescente attraversate e tagliate, piu' che circoscritte, dai confini. Attorno a questi confini, sebbene spesso lontano dal confine inteso in senso letterale, si combattono alcune delle piu' rilevanti lotte del presente. Liberare l'immaginazione politica dal fardello del cittadino-lavoratore e dello Stato e' particolarmente urgente per aprire spazi al cui interno diventi possibile l'organizzazione di nuove forme di soggettivita' politica. Qui, ancora una volta, il nostro lavoro sui confini incontra i dibattiti odierni sulla traduzione e sul comune.
10. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Matteo Carnieletto, Andrea Indini, Isis segreto, Il Giornale, Milano 2015, pp. 440, euro 8,60 (in supplemento al quotidiano "Il Giornale").
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Riedizioni
- Fritjof Capra, La scienza della vita, Rcs, Milano 2002, 2015, pp. 384, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Strumenti di lavoro
- Susanna Granello (et alii), Agenda della scuola. Quarto trimestre a. s. 2014/2015, "Esperienze amministrative", anno XXXI, n. 3/2015, Tecnodid, Napoli 2015, pp. 160, euro 40.
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2029 del 29 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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