[Nonviolenza] Telegrammi. 2007
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- Date: Thu, 4 Jun 2015 21:31:27 +0200 (CEST)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2007 del 5 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. "Fermare la strage nel Mediterraneo". Un incontro di riflessione e di testimonianza a Viterbo
2. Anna Puglisi ricorda Felicia Bartolotta Impastato
3. Piergiorgio Giacche' ricorda Judith Malina
4. Severino Cesari ricorda Renato Solmi
5. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
6. Un appello per l'uscita dell'Italia dalla Nato
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. INCONTRI. "FERMARE LA STRAGE NEL MEDITERRANEO". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE E DI TESTIMONIANZA A VITERBO
Si e' svolto nel pomeriggio di giovedi' 4 giugno 2015 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione e di testimonianza sul tema: "Fermare la strage nel Mediterraneo: riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in Italia e in Europa in modo legale e sicuro".
Nel corso dell'incontro e' stato letto e commentato un recente scritto di Raniero La Valle, "Per una umanita' indivisa", e si e' fatto riferimento altresi' alla "Carta di Lampedusa", cosi' come alla Dichiarazione universale dei diritti umani ed alla Costituzione della Repubblica Italiana.
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Concludendo l'incontro il responsabile della struttura nonviolenta viterbese ha ancora una volta ricordato che "i governi europei, il governo italiano, possono far cessare immediatamente la strage nel Mediterraneo semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in Italia e in Europa in modo legale e sicuro. Questo occorre fare, questo chiediamo al governo e al parlamento del nostro paese, per questo occorre si impegni ogni persona di retto sentire e di volonta' buona".
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Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Abolire le guerre, gli eserciti, le armi; alla politica della folle violenza assassina sostituire la razionale e coerente politica della nonviolenza che riconosce e salva le persone e che fonda la civile, umana convivenza.
Soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in pericolo di morte.
Riconoscere concretamente a tutti gli esseri umani il diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
2. MAESTRE. ANNA PUGLISI RICORDA FELICIA BARTOLOTTA IMPASTATO
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente interveto dal titolo "La porta aperta di Felicia", gia' parziamente pubblicato, con qualche taglio, nella cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 5 dicembre 2014 con il titolo: "Felicia Impastato, la mamma coraggio che sfido' i boss"; Le frasi riportate tra virgolette sono tratte da: Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, intervista di Anna Puglisi e Umberto Santino, La Luna, Palermo 1986 e successive ristampe.
Anna Puglisi e' con Umberto Santino la fondamentale animatrice del Centro Impastato, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia. Dal sito dell'Enciclopedia delle donne riprendiamo inoltre la seguente breve scheda "Docente universitaria in pensione, cofondatrice del Centro siciliano di documentazione, successivamente dedicato a Giuseppe Impastato, e socia fondatrice dell'Associazione delle donne siciliane per la lotta contro la mafia. Vive a Palermo". Tra le opere di Anna Puglisi: con Umberto Santino (a cura di), La mafia in casa mia, intervista a Felicia Bartolotta Impastato, La Luna, Palermo 1986; con Antonia Cascio (a cura di), Con e contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta antimafia, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1988; Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990; Donne, mafia e antimafia, Centro Impastato, Palermo 1998, Di Girolamo, Trapani 2005; con Umberto Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005; Storie di donne. Antonietta Renda, Giovanna Terranova, Camilla Giaccone raccontano la loro vita, Di Girolamo, Trapani 2007. Scritti su Anna Puglisi: cfr. la voce redatta da Simona Mafai per l'"Enciclopedia delle donne", riportata in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 311.
Felicia Bartolotta Impastato e' la madre di Giuseppe Impastato che lo ha sostenuto nella sua lotta, lotta che ha proseguito dopo l'uccisione del figlio; e' deceduta nel dicembre 2004. Opere di Felicia Bartolotta Impastato: La mafia in casa mia, intervista di Anna Puglisi e Umberto Santino, La Luna, Palermo 1987. Tra le opere su Felicia Bartolotta Impastato: Anna Puglisi e Umberto Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005; cfr. anche il profilo scritto da Anna Puglisi per l'Enciclopedia delle donne e ripubblicato anche in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 311 e sucessivamente ne "La domenica della nonviolenza" n. 315.
Giuseppe Impastato, nato nel 1948, militante della nuova sinistra di Cinisi (Pa), straordinaria figura della lotta contro la mafia, di quel nitido e rigoroso impegno antimafia che Umberto Santino defini' "l'antimafia difficile"; fu assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Tra le raccolte di scritti di Peppino Impastato: Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2002, 2008. Tra le opere su Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio, Centro Impastato, Palermo 1998; Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano 1994; AA. VV., Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001, 2006 (pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi Vendola, Michele Figurelli, Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio Maruccia, Umberto Santino); Marco Tullio Giordana, Claudio Fava, Monica Zapelli, I cento passi, Feltrinelli, Milano 2001 (sceneggiatura del film omonimo); Umberto Santino (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato. Le sentenze di condanna dei mandanti del delitto Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2008; Giovanni Impastato e Franco Vassia, Resistere a mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato, Stampa Alternativa, Viterbo 2009]
"Stai attento, perche' gente dentro non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre... Non faccio entrare nessuno". Questo aveva preteso Felicia dal marito. Al contrario, dopo la morte del marito e l'uccisione di Peppino, Felicia aveva aperto la sua casa a quanti volevano conoscere suo figlio: "Perche' mi piace parlarci, perche' la cosa di mio figlio si allarga, capiscono che cosa significa la mafia. E ne vengono, e con tanto piacere per quelli che vengono! Loro si immaginano: 'Questa e' siciliana e tiene la bocca chiusa'. Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise". Per questo il giorno del suo funerale abbiamo voluto ricordarla con un manifesto con la fotografia di Gabriella Ebano, in cui lei, con il suo sorriso, apre la porta-finestra della sua casa. Una casa che negli ultimi anni si era riempita di giovani e meno giovani, rendendola felice e facendole dimenticare i tanti anni in cui a trovarla andavamo davvero in pochi e a starle vicino eravamo pochissimi. E ai giovani che le chiedevano cosa potessero fare per lottare contro la mafia diceva: "Tenete la testa alta e la schiena dritta" e, lei che aveva frequentato soltanto le elementari, aggiungeva: "Studiate, perche' studiando si apre la testa e si capisce quello che e' giusto e quello che non e' giusto".
Felicia aveva mostrato il suo carattere gia' da giovane, quando aveva preso una decisione non usuale a quei tempi nelle famiglie come la sua. Era stata fidanzata con un uomo scelto dal padre, mentre lei avrebbe voluto un giovane di un altro paese che le piaceva. Ma poco prima del matrimonio, quando gia' era tutto pronto, disse al padre che non voleva sposarsi e che non dovevano permettersi di prenderla con la forza (cioe', come si usava, non dovevano rapirla per la tradizionale fuitina). Poi sposa Luigi per amore, ma l'affiatamento con il marito dura molto poco. Racconta: "Appena mi sono sposata ci fu l'inferno". Suo marito non le diceva cosa faceva e dove andava, e Felicia ricorda le incursioni in casa dei carabinieri nel periodo della banda Giuliano, e parla anche di una relazione con una donna sposata. Lei va via di casa e ci vuole il cognato Cesare Manzella, il capomafia, per mettere pace. Un inferno domestico che si aggrava quando Peppino, dopo l'uccisione di Manzella, prende coscienza su cosa sono la mafia e i mafiosi. Il padre e' in piena guerra con il figlio e lo caccia da casa per la sua militanza in un partito di sinistra e per la sempre piu' aperta azione antimafia.
Per quindici anni, dall'inizio dell'attivita' di Peppino fino alla morte di Luigi, avvenuta otto mesi prima dell'assassinio del figlio, la vita di Felicia e' una continua lotta. In quegli anni non ha piu' soltanto il problema delle amicizie del marito. Ora c'e' da difendere il figlio che denuncia potenti locali e mafiosi, assieme a un gruppo di giovani che saranno con lui fino all'ultimo giorno. Felicia difende il figlio contro il marito, ma cerca anche di difendere Peppino da se stesso. Quando viene a sapere che Peppino ha scritto sul foglio ciclostilato "L'idea socialista" un articolo sulla "mafia montagna di merda" fa di tutto perche' non venga pubblicato.
Io e Umberto abbiamo incontrato Felicia qualche giorno dopo il funerale di Peppino. Avevamo deciso di aiutare i compagni che si stavano adoperando per smantellare il depistaggio messo in atto dopo il suo assassinio. Ma il fatto nuovo e' stata la decisione della madre di costituirsi parte civile. Felicia rompeva con la famiglia mafiosa del marito e veniva allo scoperto, perche' "Peppino non rimanesse come un terrorista". E ripeteva: "Io voglio giustizia, non vendetta".
Ancora una volta ha dovuto fare una scelta radicale: rompere con i parenti del marito che le consigliavano di non rivolgersi alla giustizia, di non mettersi con i compagni di Peppino, con noi, di non parlare con i giornalisti. Gia' tre giorni dopo il funerale aveva stupito il paese decidendo di uscire da casa, contravvenendo all'usanza di chiudersi in casa nel periodo di lutto, per andare al seggio elettorale per dare il voto a suo figlio (si votava per il rinnovo del consiglio comunale e Peppino era candidato nella lista di Democrazia proletaria che aveva formato assieme ai suoi compagni).
Le delusioni ogni volta che l'inchiesta veniva chiusa e per il tempo che passava dando l'impressione che non si potesse ottenere nessun risultato, e gli acciacchi di un'eta' che andava avanzando, non l'hanno mai piegata. Al processo contro Badalamenti, venuto dopo 22 anni, con l'inchiesta chiusa e riaperta piu' volte grazie all'impegno suo, di Giovanni e di sua moglie, di alcuni compagni di Peppino e della tenacia di noi del Centro Impastato, ha voluto essere presente e con voce ferma ha accusato l'imputato di essere stato il mandante dell'assassinio.
Diceva che non voleva morire prima di avere ricevuto giustizia per Peppino e lo ha ottenuto: Badalamenti e' stato condannato, ed e' stato condannato il suo vice. Entrambi sono morti, e Felicia, a chi le chiedeva se avesse perdonato, rispondeva che delitti cosi' efferati non possono perdonarsi e che avrebbe desiderato che Badalamenti non tornasse a Cinisi neppure da morto. E il giorno in cui i rappresentati della Commissione parlamentare antimafia le hanno consegnato la Relazione, in cui si dice a chiare lettere che ufficiali dei carabinieri e magistrati avevano depistato le indagini, esprime la sua soddisfazione: "Avete resuscitato mio figlio". Una soddisfazione che sarebbe stata completa se avesse potuto vedere cosa e' diventata la casa di Badalamenti, dove lei non voleva mettere piede, malgrado le insistenze del marito e le profferte di amicizia del capomafia e della moglie.
Voglio ricordare le parole di Umberto nel saluto laico al suo funerale: "Nel manifesto che questa notte abbiamo appeso sui muri di Cinisi abbiamo scritto: Ciao Felicia, non mamma Felicia come sarebbe stato piu' ovvio. Perche' in questi anni non sei stata soltanto moglie (di un mafioso che a un certo punto ha cercato di difendere il figlio dalle mani degli assassini) e madre (di un rivoluzionario), ma donna per te, matura dentro te stessa, forte di una tua autonomia, di un tuo personale carisma che rendeva il colloquio con te, o anche un semplice saluto, un'esperienza preziosa e irripetibile".
Felicia non c'e' piu' da dieci anni, ma la sua forza, la sua ironia, che contraddiceva lo stereotipo della luttuosa mater mediterranea, la lucidita' delle sue osservazioni rimangono nel ricordo di quanti le siamo stati amici, e il suo sorriso accoglie i visitatori della sua casa che, per sua volonta', e' rimasta aperta ed e' diventata Casa Memoria. Un santuario laico.
3. MAESTRE. PIERGIORGIO GIACCHE' RICORDA JUDITH MALINA
[Dal sito de "Lo straniero" (www.lostraniero.net) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Lo straniero" n. 179 del 2015 col titolo "Judith Malina e il Living Theatre".
Su Piergiorgio Giacche' riportiamo la seguente scheda di una decina di anni fa che ovviamente occorrerebbe aggiornare: Piergiorgio Giacche', intellettuale critico, saggista, antropologo del presente, e' docente di Antropologia teatrale all'Universita' di Perugia. Ha condotto ricerche su vari problemi - dalla devianza alla condizione giovanile, dalla comunicazione di massa alle tradizioni popolari, dalla solitudine abitativa alla partecipazione politica, al rapporto tra antropologia culturale e cultura teatrale. E' stato membro del comitato scientifico dell'International School of Theatre Anthropology (1981-1990), si e' occupato del fenomeno del "teatro di gruppo" ed ha condotto una ricerca sul campo nella penisola salentina intitolata alla "Identita' dello spettatore" (1987-1990); e' autore di numerose pubblicazioni in volumi e riviste specializzate; e' coordinatore del gruppo internazionale di lavoro della Maison de Sciences de l'Homme su "Spectacles vivants et sciences humaines"; fa parte del comitato di redazione della rivista "Lo straniero" e del comitato scientifico della rivista "Catarsi. Teatri della diversita', e' presidente della fondazione "L'Immemoriale di Carmelo Bene"; ha anche curato un'apprezzata antologia di scritti di Aldo Capitini. Tra le opere in volume di Piergiorgio Giacche': (con Giancarlo Baronti), La organizzazione del consenso nel regime fascista: la manipolazione ideologica della devianza criminale, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983; Carmelo Bene, Bompiani, 1997; Lo spettatore partecipante, Guerini e Associati, 1998; L'altra visione dell'altro, L'Ancora, 2004.
Su Judith Malina, deceduta alcune settimane fa, riportiamo la seguente scheda di una decina di anni fa che ovviamente occorrerebbe aggiornare: Judith Malina, straordinaria artista, intellettuale, regista e attrice, attivista nonviolenta e libertaria, anima del Living Theatre, e' nata a Kiel, in Germania, nel 1926, figlia di un rabbino e di un'attrice teatrale emigrati negli Usa dopo la sua nascita; e' stata allieva di Erwin Piscator al Dramatic Workshop di New York; nel 1947 ha fondato a New York insieme al pittore Julian Beck il Living Theatre, una compagnia teatrale libertaria e nonviolenta. Con oltre cento produzioni teatrali realizzate, Judith Malina e' ancora attiva come regista e attrice, in produzioni come The Connection, The Brig, Mysteries and smaller pieces, Antigone, Frankenstein, Paradise Now, The Legacy of Caine e Not in My Name, e come formatrice e militante per la pace e i diritti umani. Bibliografia di e su Judith Malina: Julian Beck and Judith Malina, Paradise Now, Pantheon, New York 1972; Julian Beck e Judith Malina, Il lavoro del Living Theatre, a cura di Franco Quadri, Ubulibri, Milano 1982; Judith Malina, The Diaries of Judith Malina: 1947-1957, Grove Press, New York 1984; Judith Malina, The Enormous Despair (diaries, 1968-'69), Random House, New York 1972; Cristina Valenti, Conversazioni con Judith Malina, L'arte, l'anarchia, il Living Theatre, Eleuthera, Milano, 1995, 1998. Cfr. anche la bibliografia esenziale sul Living Theatre. Filmografia essenziale di Judith Malina: come regista: The Brig (1965); come interprete: Amore, Amore (1966); Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975); China Girl (1987); Radio Days (1987); Risvegli (1990); La famiglia Addams (1991); Verso Il Paradiso (1993); Sessantotto. L'utopia della realta' (2006). Alcuni altri materiali di e su Judith Malina sono ne "La domenica della nonviolenza" n. 83 del 23 luglio 2006 ed in "Voci e volti della nonviolenza", n. 32 del 25 luglio 2006.
Anche sul Living Theatre riportiamo la seguente scheda di una decina di anni fa che ovviamente occorrerebbe anch'essa aggiornare: Sul Living Theatre dal sito ufficiale www.livingtheatre.org riprendiamo la seguente scheda in italiano: "Fondato a New York nel 1947 da Judith Malina e Julian Beck, il Living Theatre e' stato sin dall'inizio un teatro di impegno civile che ridefinisce le forme teatrali. Attivo in Italia sin dal 1961, il Living ha recitato in centinaia di citta' in ogni regione del paese, lavorando in maniera trasversale, facendo spettacoli sia nei grandi teatri che nei cantieri, nelle scuole, negli ospedali e per le strade. Lungo l'arco di quest'attivita', la compagnia ha fatto conoscere al pubblico italiano opere che hanno cambiato la fisionomia del teatro moderno, tra le quali The Connection, The Brig, Mysteries and smaller pieces, Frankenstein, Antigone, Paradise Now, L'Eredita' di Caino e Non in mio nome. Il cuore dell'arte del Living e' rappresentato dall'ensemble degli attori, molti dei quali hanno alle spalle trent'anni di ricerca comune. Il gruppo lavora sempre in maniera autonoma e collettiva, con la direzione di Judith Malina e di Hanon Reznikov, alla guida del Living dopo la scomparsa di Julian Beck nel 1985. Il Living conduce presso la sua nuova residenza di Rocchetta Ligure uno studio approfondito circa la partecipazione attiva del pubblico all'evento teatrale, tema sul quale il gruppo indaga gia' da diversi decenni, ma che resta sempre il nodo centrale del ruolo del teatro oggi. Vivendo un momento storico in cui l'attenzione del pubblico e' stata "sequestrata" dai mass-media, il Living ha deciso di dedicarsi alla ricerca di mezzi teatrali capaci di fare il massimo uso della co-presenza in sala di attori e spettatori. Servendosi di questo incontro esistenziale come modello di coinvolgimento sociale, il gruppo crea spettacoli che dipendono dall'intervento diretto da parte del pubblico nell'azione teatrale. Il percorso particolare dello spettacolo e' determinato dalla partecipazione attiva degli "spettatori", e quindi risulta che ogni performance e' essenzialmente unica ed irripetibile. Presso il Centro Living vengono creati tutti i nuovi spettacoli del gruppo e vengono presentati a Palazzo Spinola in anteprima, per il pubblico locale. Partono poi in tournee per i teatri del mondo. Un'altro tipo di incontro con il pubblico, fondamentale per il lavoro del Living, e' quello che si crea nel "laboratorio", esperienza che di solito termina con una rappresentazione pubblica dei risultati. Al Centro Living Europa, Malina, Reznikov ed altri membri del gruppo insegnano le tecniche teatrali adottate e sviluppate dalla compagnia. Tra queste: l'improvvisazione, l'espressione corporea corale, il canto rituale, l'espressionismo artaudiano, la biomeccanica mejer'choldiana, il teatro politico di Piscator e Brecht, la bioenergetica cinese, il respiro yoga e la meditazione zen. Nei vari seminari, si lavora sulla formazione dell'attore-ricercatore, quello che sa utilizzare tutte le sue risorse fisiche, affettive e spirituali per maneggiare l'equilibrio fluttuante tra la vita interiore e le esigenze del mondo esterno. I dintorni del Centro offrono importanti possibilita' di integrare gli esercizi di training e di sviluppo attoriale con l'ambiente naturale circostante, pieno di sentieri aperti agli esploratori dei boschi, delle "strette" e delle rupi. Presso il Centro Living Europa si tengono anche vari incontri pubblici incentrati sul lavoro del gruppo. Il Centro dispone inoltre di un'archivio che propone video, fotografie, libri ed altri materiali di documentazione sul gruppo. Nel 1999, grazie all'ospitalita' del Comune di Rocchetta Ligure e all'appoggio della Provincia di Alessandria, e' nato il Centro Living Europa. Collocato in mezzo al paese, nei piani superiori del Palazzo Spinola, il Centro Living comprende una sala prove, un'aula didattica, camere e servizi per 15 membri del gruppo, spazi comuni per vivere e lavorare. All'interno del palazzo, che ospita anche gli uffici comunali e un Museo della Resistenza, c'e' anche un grande salone, al piano nobile, dove il pubblico locale puo' incontrarsi con il lavoro della compagnia. Il recente restauro di questo luogo storico ha creato un'ambiente che conserva gli elementi caratteristici della costruzione e della decorazione seicentesca, pur contemplando tutte le necessita' moderne. Rocchetta Ligure si trova in seno alla Valle Borbera, zona montanara a 17 km dall'autostrada Genova-Milano. Sito di una repubblica partigiana durante la guerra, la popolazione manifesta tutt'oggi la sua storica solidarieta' civile. Vivendo in modo comunitario, i componenti del Living trovano ampio riscontro alle loro ricerche sociali nel dialogo continuo con la gente della zona che sbocca in frequenti scambi reciproci a tutti i livelli". Bibliografia essenziale di e sul Living Theatre: Julian Beck, The Life of the Theatre, City Lights, San Francisco 1972, Limelight Editions, New York 1986, edizione italiana Einaudi, Torino 1975, edizione francese Gallimard, Paris 1976, ve ne sono anche edizioni in spagnolo, portoghese, greco, polacco e ceco; Julian Beck, Theandric, Harwood Academic Press, London 1992, edizione italiana Edizioni Socrates, Roma 1994, edizione francese Harmattan, Paris 1998; Julian Beck and Judith Malina, Paradise Now, Pantheon, New York 1972; Julian Beck e Judith Malina, Il lavoro del Living Theatre, a cura di Franco Quadri, Ubulibri, Milano 1982; Judith Malina, The Diaries of Judith Malina: 1947-1957, Grove Press, New York 1984; Judith Malina, The Enormous Despair (diaries, 1968-'69), Random House, New York 1972; Conversazioni con Judith Malina, a cura di Cristina Valenti, Eleuthera, Milano 1995; Hanon Reznikov, Living/Reznikov: Four Plays of The Living Theatre/Quattro Spettacoli del Living Theatre, (bilingual edition/edizione bilingue: english/Italiano), Piero Manni, Lecce 2000; John Tytell, The Living Theatre: Art, Exile and Outrage, Grove Press, New York 1995; Pierre Biner, Le Living Theatre, L'age de l'homme, Lausanne 1968, traduzione inglese New York, 1971, traduzione italiana De Donato, Bari 1968; Carlo Silvestro, The Living Book of The Living Theatre, Mazzotta, Milano 1971, edizione inglese Greenwich Art Press, New York 1971; Jean-Jacques Lebel, Entretiens avec le Living Theatre, Editions Pierre Belfond, Paris 1968; Aldo Rostagno and Gianfranco Mantegna, We The Living Theatre, Ballantine, New York 1969; Giuseppe Bartolucci, The Living Theatre, Samona' e Savelli, Roma 1970; Jean Jacquot, Les voies de la creation theatrale, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, Paris 1970]
Judith Malina si e' spenta. Chi l'ha vista accendersi in scena e fuori scena sa che - come in altri rari casi di rari attori - il verbo spengere e' piu' adatto e corretto del morire. Judith era una delle due luci del gruppo teatrale piu' importante che ci sia stato al mondo nel secondo Novecento. Non e' una questione di storia ma di arte, e non c'e' comparazione che tenga: quello che ha fatto e soprattutto quello che e' stato il Living Theatre non e' comparabile con nessun altro fenomeno o noumeno della piu' lunga e luminosa stagione di teatro che dagli anni cinquanta almeno fino agli ottanta ha regalato le rivelazioni e le rivoluzioni migliori. Forse e' stato il piu' lungo canto del cigno di un'arte scenica morente, che magari ancora si dibatte e perfino si rinnova, ma e' come se fosse davvero e da tempo "spenta".
La luce del Living l'ho vista passare come una cometa annunciata e insieme sorprendente. La mia generazione di spettatori e di attori e' forse stata l'unica ad avere avuto un'attesa ansiosa e una sorpresa appagante. Circolava fra i giovani teatranti in erba e studenti in fasce di quegli infiniti anni sessanta una parola magica che rappresentava la soluzione alchemica di chi faceva e di chi vedeva teatro: brechtartaud suonava come l'abracadabra in grado di realizzare la fusione di due modi e fini e stili che avrebbero ridato forza e soprattutto senso al teatro. E attraverso il teatro alla "cultura", che allora era appena nata come pratica alternativa e insieme complementare della "politica", a sua volta riscoperta e ridefinita come reale cambiamento e possibile miglioramento del mondo.
Troppe cose e troppe parole sono da allora cambiate di segno e di funzione perche' oggi si possano non solo capire ma addirittura usare. Ma forse era tutta li', in quelle parole e cose, l'attesa generazionale che ha dato vita a un sessantotto di cui tutti parlano come fosse l'anno prima del 1969 mentre era appena l'anno dopo il 1967.
Ho visto il Living di Julian Beck e di Judith Malina nel 1967, alla sua seconda discesa in Italia e, appunto per questo precedente, alla sua prima "attesa". La "sorpresa" fu poi mirabolante e per cosi' dire e sentire definitiva: la fusione nucleare fra Brecht e Artaud era finalmente arrivata ed e' scoppiata nel mese di marzo come una bomba, accecando e spiazzando tutti i giovani gruppi del Festival Internazionale di Teatro Universitario di Parma. Tutto quello che si era vanamente cercato era avvenuto, tutto il teatro sognato era stato fatto, una volta per tutte. C'era di che continuare, si dissero alcuni, ma c'era anche di che smettere. Un mio amico che ha visto il Living di quell'annata non e' poi piu' andato a teatro perche' - diceva lui - il teatro ormai l'aveva visto. E non voleva rischiare di dimenticarlo o peggio di confonderlo.
Lo spettacolo del Living di quell'anno era l'Antigone e Judith Malina era la protagonista, se di protagonisti si puo' parlare davanti e dentro la creazione radicalmente collettiva del Living, il gruppo piu' comunitario che sia mai esistito. Il Living era una tribu' compatta e insieme un centro irradiante: potevi guardarlo sbigottito da fuori oppure inseguirlo fino a perderti dentro o fino a ritrovarti aperto. L'Antigone del Living veniva da lontano ed era il risultato di un loro viaggio in Grecia e di un percorso di testi che andavano da Sofocle a Hoelderlin a Brecht, per poi diventare - come Judith ha detto e scritto - "la produzione artaudiana dell'Antigone di Sofocle di Bertolt Brecht". Cosi', Beck e Malina sono stati i primi e secondo me anche gli ultimi a realizzare quello che Artaud aveva solo pensato e scritto. Beck e Malina avevano letto e sposato Il teatro e il suo doppio quando il testo ma perfino il nome di Artaud era un mito di tutti e un mistero per tutti: la traduttrice americana aveva passato a loro il suo dattiloscritto nel 1958, sei anni prima che fosse edito in Francia. La fame della cultura, la peste del teatro, la trance dell'attore da allora diventarono la bandiera e la sostanza di una vita teatrale e di un teatro vitale che, senza interruzioni ne' esitazioni, ha marciato per decenni lungo la linea di condotta di una rivoluzione teatrale e globale permanente, che dettava la regola anzi la disobbedienza sia alla scena che alla platea, sia all'arte che alla vita.
L'Antigone, di tutti gli spettacoli del Living, e' stato quello piu' italiano di tutti, perche' infine e' stato rifinito e definito in Italia; persino con un soggiorno di quindici giorni di prove a Perugia dove gli studenti del teatro universitario di allora potevano guardare e cercare di rubare (di capire e talvolta malamente copiare) il segreto del loro metodo. Ma non il mistero del loro miracolo.
Ho provato piu' volte a descrivere quello spettacolo di cui anch'io ho spiato il processo, e qualche volta mi e' sembrato perfino di esserci riuscito; ma adesso mi accorgo di aver sempre raccontato il suo effetto sul pubblico senza nemmeno provare a spiegarne la causa. La causa prima era Judith Malina, che aveva cominciato da sola (o con la sua compagna Jenny Hecth cioe' Ismene) a "dare corpo" alle improvvisazioni attorno alle quali l'intera tribu' del Living si era poi aggregata; si' le "improvvisazioni", i primi passi di un nuovo metodo che poi e' diventato liquido e ambiguo e che invece allora nasceva rigoroso e fertile sotto la sua "regia".
Tutti dicono e diranno che Julian Beck era il vero regista del Living, in omaggio al suo genio e alla sua santita' ma anche per il vizio di coniugare sempre tutto al maschile. In effetti, il Living Theatre non aveva due leader e forse nemmeno due luci ma una sola, frutto di un arco voltaico in cui - senza forse - Judith era la testa e Julian il cuore, a dispetto dell'ordinaria assegnazione di genere: del resto in teatro il sesso forte e' il femminile, e pero' quello necessario e' il virile. Cosi' Julian Beck magari si e' presa piu' poesia e piu' gloria, mentre Judith e' stata l'interprete virile dell'ideologia e l'artefice della storia. Ma poi, si puo' davvero dividere quello che il Living ha unito per sempre? Cosi' Judith ha avuto accanto Julian anche dopo che lui se n'e' andato, ormai tanti anni fa. E fino ad adesso - fino a che Judith e' rimasta accesa - non si poteva dire che Julian si fosse "spento".
Adesso invece si'. Adesso nessuno si aspetti piu' comete che' non ci sara' piu' il "teatro vivente". Chi si accontenta di quello seduto e abbonato o chi si inerpica sulla rete di nuovi linguaggi e messaggi o chi si affanna a resuscitare meraviglie a colpi di tecnologia, tutti davvero tutti si allontanano sempre di piu' dalla scia di quell'esplosione nucleare di corpi che ha combinato Arte e Vita per la prima e ultima volta. Dalla scia ormai spenta di Judith e Julian che hanno seminato in scena e combinato in platea il senno di Brecht con la follia di Artaud, la terapia del socialismo e l'anarchia della peste, l'ottimismo lucido della ragione e il pessimismo festoso della volonta'.
4. MAESTRI. SEVERINO CESARI RICORDA RENATO SOLMI
[Da un blog riprendiamo il seguente intervento del 26 marzo 2015 dal titolo "Renato Solmi, che ci fece leggere Walter Benjamin".
Severino Cesari e' "fondatore e dirigente, con Paolo Repetti, di Einaudi Stile Libero".
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; e' stato impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. E' deceduto il 25 marzo 2015. Dal risvolto di copertina del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti maggiori del suo magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 (Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007.
Walter Benjamin, nato a Berlino nel 1892, saggista di sconvolgente profondita', all'avvento del nazismo abbandona la Germania, si uccide nel 1940 al confine tra Francia e Spagna per sfuggire ai nazisti. Opere di Walter Benjamin: in italiano fondamentale e' la raccolta di saggi e frammenti Angelus novus, Einaudi, Torino; e quella che prende il titolo da L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita' tecnica, Einaudi, Torino. Sempre presso Einaudi (che ha in corso la pubblicazione delle Opere, a cura di Giorgio Agamben) cfr. anche: Avanguardia e rivoluzione, Critiche e recensioni, Diario moscovita, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco (Scritti 1919-1922), Il dramma barocco tedesco, Immagini di citta', Infanzia berlinese, Metafisica della gioventu' (Scritti 1910-1918), Ombre corte (Scritti 1928-1929), Parigi capitale del XIX secolo, Strada a senso unico, Sull'hascisch, Teologia e utopia (Carteggio 1933-1940 con Gershom Scholem), Tre drammi radiofonici, e le Lettere (1913-1940). Presso Adelphi cfr. la sua antologia di lettere commentate di autori del passato, Uomini tedeschi. Opere su Walter Benjamin: per la bibliografia: M. Brodersen, Walter Benjamin. Bibliografia critica generale (1913-1983), Aesthetica, Palermo 1984; R. Cavagna, Benjamin in Italia. Bibliografia italiana, 1956-1980, Sansoni, Firenze 1982. Saggi: cfr. almeno AA. VV. (a cura di Franco Rella), Materiali su Walter Benjamin, Venezia 1982; AA. VV., Paesaggi benjaminiani, fascicolo monografico della rivista "aut aut", nn. 189-190, 1982; AA. VV., Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1983; Hannah Arendt, Il pescatore di perle, Mondadori, Milano 1993 (saggio incluso anche in Hannah Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna); Fabrizio Desideri, Walter Benjamin. Il tempo e le forme, Editori Riuniti, Roma 1980; Hans Mayer, Walter Benjamin, Garzanti, Milano 1993; Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Milano 1978; Gershom Scholem, Walter Benjamin. Storia di un'amicizia, Adelphi, Milano 1992. Cfr. anche Paolo Pullega, Commento alle "Tesi di filosofia della storia" di Walter Benjamin, Cappelli, Bologna 1980]
Renato Solmi, germanista, redattore fino al 1963 della casa editrice Einaudi, e' morto a Torino a 88 anni.
Apro a caso la mia vecchia copia di Angelus Novus di Walter Benjamin e leggo: "Chi ascolta una storia e' in compagnia del narratore; anche chi legge partecipa a questa societa'. Ma il lettore di un romanzo e' solo. Egli e' piu' solo di ogni altro lettore".
Sono preso all'amo e vorrei continuare, ma resisto e chiudo il libro, un modesto e leale (leale nel senso: che si legge tuttora benissimo) Reprint Einaudi del 1976. Poi lo apro di nuovo a caso.
"Ogni manifestazione della vita spirituale umana puo' essere concepita come una sorta di lingua, e questa concezione dischiude - come ogni metodo veritiero - ovunque nuovi problemi".
Terzo tentativo, poi basta divinazioni. "Gli emblemi ritornano come merci".
Che cosa hanno in comune le tre citazioni, primo passo, ciascuna, di un sentiero che subito si biforca? Nulla. Tutto. Sono tre passi di un unico libro tradotto da Renato Solmi. Quella lingua cristallina che rende una sempre sconcertante e nuova avventura della mente, e' la sua. Tanti lettori come me hanno avuto il dono di Walter Benjamin - di poter azzardare i primi passi guidati nella foresta del suo pensiero - da quel libro tuttora capitale, Angelus Novus, tradotto da Renato Solmi, pubblicato in infinite ristampe ed edizioni: lo trovate sempre in libreria, in edizione tascabile, voleste per caso iniziare oggi a leggere Walter Benjamin.
Un libro che riesce a farti sentire Benjamin fratello e amico, senza soggezione alcuna. Altri poi naturalmente hanno continuato, ma la strada era aperta, grazie al lavoro di quell'altro amico, sconosciuto silenzioso e pieno pero' di parole, che diventa, per chi legge, il traduttore.
Renato Solmi e' morto il 25 marzo a Torino, a 88 anni. Lo ricorda bene, tra gli altri, Paolo Di Stefano sul "Corriere della sera". Nel ricostruire la biografia, Di Stefano ricorda il lavoro di Solmi come redattore alla Einaudi tra il 1951 e il 1963, e la sua espulsione dalla casa editrice per aver difeso l'inchiesta di Goffredo Fofi sugli immigrati meridionali a Torino, su cui per una volta l'Einaudi si divise. ("Una spaccatura seria", ammise Giulio Einaudi nel suo Colloquio, e chi vuole puo' apprendere in quel libro la verita' secondo l'Editore. L'Editore, proprio con la E maiuscola, cosi' e' passato alla storia Giulio Einaudi).
L'elenco sterminato delle traduzioni di Renato Solmi e' nel Catalogo Einaudi. Il suo percorso umano e politico, il suo lavoro di germanista, le amicizie forti (ricordo solo Franco Fortini, Michele Ranchetti, il gruppo dei "Quaderni piacentini") ognuno puo' ricostruirlo da cio' che viene pubblicato sui giornali e sul web.
A me preme trattenere la luce indimenticabile di quella pagina aperta per la prima volta, luce accesa da Renato Solmi una volta per sempre, dalle parole di Benjamin da lui tradotte.
Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, traduzione di Renato Solmi, Einaudi, prima edizione 1962 nei Saggi, oggi negli Einaudi Tascabili.
Esiste, sempre negli ET, tratto da Angelus Novus, il saggio singolo Il narratore, Considerazioni sull'opera di Nicola Leskov, con note di lettura di Alessandro Baricco.
Chi volesse conoscere meglio la vicenda della "spaccatura" della Einaudi nel 1963, trova il parere di Giulio Einaudi nel Colloquio con Giulio Einaudi, a cura del sottoscritto, ora negli ET.
5. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
Per sostenere il centro antiviolenza di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
6. REPETITA IUVANT. UN APPELLO PER L'USCITA DELL'ITALIA DALLA NATO
[Nuovamente diffondiamo il seguente appello del Comitato promotore "No guerra, no Nato" (per contatti: e-mail: noguerranonato at gmail.com, sito: www.noguerranonato.it) "per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale, per portare l'Italia fuori dal sistema di guerra, per attuare l'articolo 11 della Costituzione"]
L'Italia, facendo parte della Nato, deve destinare alla spesa militare in media 52 milioni di euro al giorno secondo i dati ufficiali della stessa Nato, cifra in realta' superiore che l'Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (Sipri) quantifica in 72 milioni di euro al giorno.
Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell'Alleanza, la spesa militare italiana dovra' essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno.
E' un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, per un'alleanza la cui strategia non e' difensiva, come essa proclama, ma offensiva.
Gia' il 7 novembre del 1991, subito dopo la prima guerra del Golfo (cui la Nato aveva partecipato non ufficialmente, ma con sue forze e strutture) il Consiglio Atlantico approvo' il "Nuovo concetto strategico", ribadito ed ufficializzato nel vertice dell'aprile 1999 a Washington, che impegna i paesi membri a condurre operazioni militari in "risposta alle crisi non previste dall'articolo 5, al di fuori del territorio dell'Alleanza", per ragioni di sicurezza globale, economica, energetica, e migratoria. Da alleanza che impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell'area nord-atlantica, la Nato viene trasformata in alleanza che prevede l'aggressione militare.
La nuova strategia e' stata messa in atto con le guerre in Jugoslavia (1994-1995 e 1999), in Afghanistan (2001-2015), in Libia (2011) e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria. Il "Nuovo concetto strategico" viola i principi della Carta delle Nazioni unite.
Uscendo dalla Nato, l'Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l'articolo 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.
L'appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacita' di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.
La piu' alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato e' percio', di fatto, sotto il comando degli Stati Uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.
L'appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell'Italia agli Stati Uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.
Particolarmente grave e' il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L'Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.
L'Italia, uscendo dalla Nato e diventando neutrale, riacquisterebbe una parte sostanziale della propria sovranita': sarebbe cosi' in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Roberto Galullo, Finanza criminale, Il sole 24 ore, Milano 2015, pp. 288, euro 8,90.
*
Riletture
- John Dos Passos, Manhattan Transfer, Corbaccio, Milano 1932, Dall'Oglio, Milano 1946, Mondadori, Milano 1953 (fin qui col titolo Nuova York), Baldini & Castoldi, Milano 2002, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2003, pp. 384.
- John Dos Passos, Il 42mo parallelo, Mondadori, Milano 1934, 1979, pp. X + 392.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2007 del 5 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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