[Nonviolenza] Telegrammi. 2006
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- Date: Thu, 4 Jun 2015 09:44:34 +0200 (CEST)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2006 del 4 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Raniero La Valle: Per un'umanita' indivisa
2. "Praticare la solidarieta'". Un incontro di riflessione a Viterbo
3. Umberto Santino: Mafia e politica, la storia continua... (2010)
4. In memoria di Giovanni XXIII
5. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
6. Un appello per l'uscita dell'Italia dalla Nato
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE RANIERO LA VALLE: PER UN'UMANITA' INDIVISA
[Ringraziamo Raniero La Valle per averci messo a disposizione il seguente intervento originariamente pubblicato su "Presbyteri", n. 5, maggio 2015.
Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di "Vasti - scuola di ricerca e critica delle antropologie", presidente del Comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; Dossier Vietnam-Cambogia, 1981; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano 2003; Chi e' dunque l'uomo?, Servitium, 2004; Agonia e vocazione dell'Occidente, Terre di mezzo, 2005; Se questo e' un Dio, Ponte alle grazie, Milano 2008; Paradiso e liberta', Ponte alle grazie, Milano 2010; Quel nostro Novecento, Ponte alle Grazie, Milano 2011; Un Concilio per credere, Emi, Bologna 2013; Chi sono io, Francesco?, Ponte alle Grazie, Milano 2015]
Se prendessimo sul serio i principi suggeriti da papa Francesco nella "Evangelii Gaudium" per costruire una vera comunita' umana - il tempo e' superiore allo spazio, l'unita' prevale sul conflitto, la realta' e' piu' importante dell'idea, il tutto e' superiore alla parte - avremmo i criteri supremi per trovare soluzione ai problemi piu' angosciosi dell'attuale momento storico. Avere gli occhi aperti sul mondo non vuol dire pero' avere uno sguardo d'assieme grazie al quale cavarsela esprimendo semplicemente buoni sentimenti generali, ma vuol dire affrontare le cose una per una e cercare di sciogliere i nodi reali.
Percio' non daremo questo sguardo d'assieme, ne' per quanto riguarda l'Italia, in questo momento minacciata da un'ambigua avventura di sovvertimento costituzionale, ne' per quanto riguarda la comunita' internazionale, che rischia il collasso economico ed ecologico, ma affronteremo un solo problema: un problema pero' nel quale vengono a scadenza tutte le contraddizioni che non abbiamo risolto e vengono in gioco tutte le nostre convinzioni e la nostra fede. E' il problema delle grandi migrazioni in corso nel mondo, cioe' del passaggio da un'umanita' dai mille destini contrapposti a un'umanita' con un destino comune; e naturalmente dovremo vedere come questo problema cosi' universale, si concretizza e drammatizza qui in Italia e in Europa.
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Le dimensioni del problema
Intanto bisogna rendersi conto di quale sia la sua portata in termini di numeri: i numeri delle grandi migrazioni, che dall'Africa riempiono il Mediterraneo di naufraghi ed annegati, (ormai a 900, 1000 alla volta per ogni barcone affondato), i numeri dei grandi esodi che attraverso la Turchia, i Balcani, le enclaves spagnole in Marocco e di qui in Spagna, passano per vie di terra nei Paesi europei del Nord, i numeri delle grandi trasmigrazioni dal Messico verso gli Stati Uniti o da una parte all'altra dell'Asia: erranti tutti sospinti da guerre, violenze religiose, economiche, politiche, fame, miseria e oppressione. E sono tutti numeri di genocidi ormai diffusi (interi nuclei familiari distrutti, etnie, popoli, comunita' perseguitate per cause religiose, vittime di pulizie etniche, reduci da malversazioni, abusi sessuali o torture).
Secondo il rapporto annuale 2015 pubblicato il 23 aprile scorso dal Centro Astalli, che e' il servizio italiano dei Gesuiti per i rifugiati (operante a Roma, Palermo, Catania, Trento, Vicenza, Napoli, Milano, Padova) per la prima volta dalla seconda guerra mondiale le persone costrette alla fuga nel mondo hanno superato largamente la soglia dei 50 milioni (a meta' del 2014 se ne registravano gia' 56,7). L'aggravarsi delle crisi nel Medio Oriente e in Africa, dopo la comparsa del cosiddetto "Stato Islamico" in Iraq e in Siria, hanno fatto crescere il numero delle persone che cercano protezione in Europa. Nel 2014, con un incremento del 277% sul 2013, in Italia sono arrivati 170.757 migranti via mare (39.651 solo dalla Siria, 33.559 dall'Eritrea) ma la maggior parte si sono dispersi negli altri Paesi europei. Pero' non esiste nessun programma di integrazione dei profughi nel contesto europeo e per moltissimi la permanenza nei centri di accoglienza e detenzione e' senza fine.
Secondo i dati dell'Agenzia Europea Frontex, che ha il compito di pattugliare le frontiere, nel primo quadrimestre di quest'anno 23.000 sono stati gli ingressi in Europa attraverso il Canale di Sicilia, 55.000 invece attraverso le vie di terra alternative (34.322 attraverso i Balcani). I morti nessuno li puo' contare.
Tenendo conto di queste cifre si puo' dire che applicati al problema delle migrazioni i quattro principi indicati dal papa si declinano in questo modo:
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1. Lo spazio e il tempo
La dislocazione della popolazione mondiale su tutto il pianeta non e' un problema di spartizione di spazi. Questo e' stato a lungo il modo in cui gli uomini hanno organizzato la loro convivenza, conquistando terre, appropriandosene e distribuendole fra tribu' e gruppi umani estranei e spesso nemici tra loro; e' stato questo il primo movimento del "nomos" della terra, da cui sono derivate le leggi e l'organizzazione sociale. Il "nomos", la legge, secondo Carl Schmitt, fa la sua comparsa nelle forme dell'appropriazione e ripartizione delle terre. I confini, le frontiere, le dogane, le colonie, gli imperi, gli Stati, sono tutti tributari di questo nomos della terra fondato sulla spartizione degli spazi. Anche l'Antico Testamento, con la sua ideologia della terra, ne dipende. Irresistibile e' anche la tendenza a considerare in termini spaziali il rapporto tra i due regni, il regno dei cieli e quello della terra. L'ideologia dello Stato-nazione, i cui elementi fondanti sono un popolo, un territorio e un ordinamento, e' tutta interna a questo orizzonte. Ma in questo orizzonte non trovera' mai soluzione ne' la questione palestinese, ne' la questione della pace, ne' la questione della grande migrazione in corso.
Ma appunto, dice il papa, il tempo e' superiore allo spazio. Non e' solo nel trovare nuovi spazi, ma nel permettere che i popoli si possano svolgere nel tempo, che il problema delle migrazioni puo' essere affrontato. Non gli spazi da occupare, ma i processi della vita reale, il movimento, migrare da un luogo ad un altro, lasciare una terra per raggiungerne un'altra, anche solo sognata, e' cio' che appartiene ai processi della vita reale. La creazione di cui parla la Genesi non e' stata una distribuzione di spazi; certo si trattava di separare le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento, e poi il mare dall'asciutto, e poi la luce dalle tenebre, ma dal momento in cui compare l'uomo, e la donna creata da Dio (ma - come dice Francesco - prima sognata dall'uomo), quello che comincia e' il movimento, e' il processo, l'esodo, la storia.
E' questo criterio che serve per affrontare il problema delle popolazioni migranti. Il principio secondo cui "il tempo e' superiore allo spazio", dice il papa, "permette di lavorare a lunga scadenza, senza l'ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realta' impone. E' un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorita' al tempo. ... Dare priorita' al tempo significa occuparsi di iniziare processi piu' che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella societa' e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finche' fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansieta', pero' con convinzioni chiare e tenaci".
Dare risposta al problema dei migranti vuol dire "iniziare i processi" e aprire gli spazi, abbattere le fortezze cinte da mari, da valli e da mura come sono gli spalti della "fortezza Europa", abbassare i ponti levatoi, togliere e non mettere blocchi navali, mandare navi di linea a prelevare i profughi piuttosto che distruggere i barconi, dare il tempo agli infelici di prendere le loro cose e partire senza fretta, senza violenza, senza la frusta degli schiavisti, mangiando pane lievitato, non azimo. Perche' l'umanita' e' una sola.
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2. L'unita' e il conflitto
La questione dei migranti, dei profughi, dei rifugiati, non si risolve assumendola come conflitto. E' inammissibile che l'Europa reagisca alla questione dei profughi, in prima istanza, come se dovesse andare alla guerra. La reazione condizionata di un mondo ammalato di guerra e' di mobilitare le forze armate per fronteggiare l'invasione dei richiedenti asilo. Combattiamo gli scafisti, dicono i signorotti europei, uccidiamo gli speculatori, affondiamo i pescherecci e i barconi, facciamo campi di prigionia sull'altra sponda del Mediterraneo, chiediamo all'Onu l'autorizzazione a difendere le intangibili coste dell'Europa. E' una vergogna solo al pensarlo, come ha detto la voce dei vescovi italiani. E una volta che una Marina Militare aveva fatto una cosa buona, intraprendendo l'operazione Mare Nostrum con cui si erano salvate migliaia di vite (a 9 milioni di euro al mese, a conti fatti 600 euro per ogni vita salvata) ecco che il ministro dell'Interno ne ha preteso la sospensione e ha trasferito all'Europa con l'operazione Triton l'incombenza non piu' di salvare le vite, ma di ricacciarle in mare per rendere irraggiungibili le coste. E quando l'Italia, dopo le ultime ecatombe, ha cercato di porre l'Europa di fronte alla sua responsabilita', questa ha risposto stanziando un po' di soldi per rafforzare il pattugliamento, ma rifiutando qualsiasi piano per l'accoglienza e l'integrazione dei profughi. Il premier inglese Cameron ha messo a disposizione una portaelicotteri, a condizione pero' che i naufraghi salvati siano portati in Italia e non mettano piede nel Regno Unito.
Come ha commentato "Lunaria" che e' un'associazione di solidarieta' che si occupa di migrazione e razzismo (ma tutte le associazioni di volontariato sono d'accordo con lei), "la difesa dei confini della Fortezza Europa e gli equilibri politici interni sono anteposti alla salvezza della vita delle persone". Cosi' gli "sforzi sistematici per identificare, catturare e distruggere le imbarcazioni prima che siano usate dai 'trafficanti' restano la priorita' numero uno dell'Europa che ha dato mandato alla commissaria Mogherini di iniziare la preparazione di una possibile operazione di Politica comune di sicurezza e di difesa. Vale a dire: non e' escluso il ricorso ad operazioni militari. Una pura follia". Il piano elaborato dall'Europa (ma si puo' ancora considerare Europa?) "offende le migliaia di vittime che in questi anni hanno perso la loro vita nel mar Mediterraneo e consegna il destino delle persone che nelle prossime settimane cercheranno di arrivare in Europa alla fatalita' del caso".
E si capisce perche' i cattivi politici, di fronte all'emergenza del genocidio che si consuma nel Mediterraneo, non riescano a concepire altra idea che la guerra. Non immaginano neanche che ci possa essere una soluzione di unita'. Perche' per loro la politica e' guerra, e' difesa dal nemico, e' difesa di interessi immediati contro l'idea magnanima dell'interesse generale. Se non concepissero cosi' la politica non lascerebbero affondare la Grecia, e quelli che stampano la moneta non la lascerebbero senza nemmeno i soldi per pagare gli stipendi degli impiegati pubblici alla fine del mese. Ma se non vogliono salvare la Grecia, di cui pure sono figli, e anche attorno a lei stendono un cordone sanitario per non farsene contagiare, come potrebbero salvare intere popolazioni migranti, che sono pure di un altro colore?
Non c'e' dubbio che la presenza dei migranti sulle frontiere dell'Europa apre un conflitto che politicanti senza scrupoli cavalcano per trovare - nel rifiuto di ogni solidarieta' - un tornaconto elettorale. Non si tratta di ignorare questo conflitto, ma scrive il papa nell'"Evangelii Gaudium", "se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realta' stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell'unita' profonda della realta'". Vi e' pero' un modo, il piu' adeguato, "di porsi di fronte al conflitto. E' accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. 'Beati gli operatori di pace' (Mt 5,9)".
E diceva poco prima la "Evangelii Gaudium", quasi pensasse al respingimento dei migranti, che sarebbe una falsa pace quella che servisse come scusa per giustificare un'organizzazione sociale che escluda i piu' poveri, "in modo che quelli che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senza scosse" e mantenere "un'effimera pace per una minoranza felice".
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3. La realta' e l'idea
Se poi si sapesse vedere la realta' il Mediterraneo non continuerebbe a fare da cimitero, non dovremmo cantare, come ha fatto Erri De Luca in una commovente trasmissione televisiva: "Mare nostro che non sei nei cieli, all'alba sei colore del frumento, al tramonto dell'uva di vendemmia, ti abbiamo seminato di annegati piu' di qualunque eta' delle tempeste". Se vedessimo la realta' e non ci cullassimo nella rappresentazione che ce ne siamo fatta, smetteremmo di pensare che la migrazione potrebbe essere fermata, solo che bloccassimo gli scafisti, perche', come i fatti hanno dimostrato, tutte le misure per intercettare e bloccare l'esodo si sono rivelate fallaci e cosi' sara' anche la decisione estrema di bombardare e distruggere i barconi. La causa dell'esodo non sono gli scafisti e i barconi, ma un disordine dell'attuale stato del mondo di cui scafisti, speculatori e naufraghi non sono che la conseguenza.
Ha scritto il 23 aprile sul suo blog Giansandro Merli, un osservatore attento che da anni segue la vicenda dei migranti: occorre "capire cosa produce davvero i flussi migratori, per quali ragioni migliaia di persone decidono di rischiare la vita pur di lasciare il Paese in cui sono nate... Parliamoci chiaro, la tesi secondo cui i migranti sono vittime degli scafisti non ha nessuna logica, non sta in piedi. Gli scafisti non vanno a prendere le persone da casa per costringerle a partire. Sono le persone che si rivolgono agli scafisti, pagano cifre spropositate e mettono a rischio consapevolmente la propria vita e quella dei loro cari pur di provare a raggiungere l'Europa. Gli scafisti fanno affari d'oro nel mercato aperto dal controllo delle frontiere esterne. Gli scafisti esistono perche' chi fugge da guerre o poverta' non puo' entrare nello spazio Schengen con mezzi di trasporto ordinari (navi, aerei, macchine)... Come puo' essere credibile il paragone tra traversate del Mediterraneo e tratta degli schiavi dei secoli scorsi?... Un fenomeno storico complessissimo - causato da fattori molteplici, originato da luoghi diversi del pianeta, realizzato lungo numerosissime tratte e attraverso mezzi di trasporto di natura diversa - viene ridotto alla pianificazione di un'organizzazione criminale. Viene da ridere e piangere insieme quando si legge che 'bisogna eliminare il fenomeno alla radice' e che per farlo occorre bombardare i barconi, fermare le traversate. Come se i flussi migratori iniziassero sulle coste libiche! Solo il problema dei politici europei inizia sulle coste libiche. Il loro problema e' che i corpi senza vita di migliaia di persone galleggiano nell'acqua vicino casa e finiscono sui giornali. La soluzione e' farli morire un po' piu' in la'".
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4. La parte ed il tutto
Il criterio decisivo per affrontare la questione dei migranti, dei fuggiaschi, dei profughi, dei richiedenti asilo, delle stragi del Mediterraneo e delle altre rotte della disperazione e della speranza, e' il quarto dei principi enunciati da papa Francesco: il tutto e' superiore alla parte, che nel nostro caso non vuol dire altro se non che l'umanita' e una, e che se non la riconosciamo e assumiamo come indivisa non possiamo risolvere alcun problema del mondo di oggi. Il paradosso e' che il sistema economico e sociale che oggi domina il mondo, il sistema che ha eretto a proprio signore il denaro, presuppone l'unita' dell'intera umanita', anzi dell'intera creazione, concepite come un unico grande mercato, e per questo si chiama "globalizzazione" (mondialisation, in francese); ma quella di cui si nega l'unita' e l'universalita' (e qui sta il paradosso) e' proprio l'umanita'. I beni, le merci e il capitale - oltre che gli eserciti - possono andare dappertutto, passare in un baleno da un mare all'altro, da un continente all'altro, ma gli uomini e le donne non possono circolare, non possono recarsi nel luogo di loro scelta, non possono esercitare i loro diritti sotto ogni cielo, non sono custodi ma prigionieri della terra di cui sono eredi.
Eppure l'unita' del genere umano e' stata riconosciuta e affermata dalle religioni, dalle culture e dal diritto. Per il cristianesimo, Dio si e' incarnato appunto per questo. Si credeva che avesse scelto un popolo solo, che solo quello fosse la sua Chiesa, che avesse quello per alleato e tutti gli altri come "stranieri" o nemici, che avesse fatto di Israele il solo popolo da lui eletto. Ma sulla croce e' venuta meno ogni discriminazione, su quel legno della croce Dio ha "inchiodato" il chirografo del Vecchio Testamento, che ci era contrario, come dice plasticamente la lettera ai Colossesi (Col. 2, 14); e l'enciclica Mystici Corporis di Pio XII, citando san Tommaso, ha ricordato come sulla croce Gesu', che non era stato "inviato se non alle pecorelle della casa d'Israele che erano perite (cfr. Mat. 15, 24)" aveva meritato "la potesta' e il dominio sopra le genti" (cfr. S. Tom. III, p. 79, q. 42, a. 1); per il sangue sparso sulla croce, aggiungeva Pio XII, Dio fece si' che "potessero scorrere dalle fonti del Salvatore per la salvezza degli uomini, e specialmente per i fedeli, tutti i doni celesti". I "fedeli" percio' erano un caso di specie rispetto all'estensione universale dei destinatari dei doni celesti sgorgati dalle fonti del Salvatore per la salvezza di tutti gli uomini. Il nuovo popolo di Dio non era dunque solo Israele, non era solo la Chiesa dei fedeli, ma l'umanita' tutta intera. E' per questo che ancora la Mystici Corporis diceva che Cristo "a buon diritto vien proclamato dai Samaritani 'Salvatore del mondo' (Giov. 4, 42), anzi senza alcun dubbio dev'essere chiamato 'Salvatore di tutti'".
A buon diritto percio' papa Francesco puo' oggi invitare a combattere contro il cancro dell'esclusione sulla terra, quando sappiamo e professiamo che non ci sono esclusioni nei cieli. Papa Bergoglio annuncia un Dio universale, e nella "Evangelii Gaudium" dice che la salvezza "che Dio realizza e che la Chiesa gioiosamente annuncia e' per tutti e Dio ha dato origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi". E diceva la Lumen Gentium del Concilio che "l'unico popolo di Dio e' universale", e che "tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Percio' questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinche' si adempia l'intenzione della volonta' di Dio, il quale in principio creo' la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv. 11, 52)", mandando a questo scopo il Figlio suo "perche' fosse maestro, re e sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo dei figli di Dio".
Dunque, quando si parla di popolo di Dio si parla di qualcosa che va ben oltre i confini della Chiesa visibile, e potenzialmente non e' piu' una Chiesa, ma e' l'umanita' stessa. C'e' una sola umanita' amata da Dio.
Ma l'unita' dell'intera famiglia umana e' stata affermata anche dal diritto, al sorgere dell'eta' moderna, quando tra i diritti umani universali dichiarati come propri dello "ius gentium", in quanto derivanti dalla natura e dalla dignita' stessa dell'uomo, fu annoverato lo ius communicationis, che supponeva l'unita' del mondo, e lo ius migrandi, cioe' il diritto di mettere piede e restare in qualsiasi parte del mondo conosciuto o da poco "scoperto"; e cio' perche', come teorizzava Francisco de Vitoria, c'e' una "universale repubblica delle genti", c'e' un'umanita' intera come nuovo soggetto di diritto, c'e' una norma fondamentale e originaria che si applica al "totus orbis", a tutto il mondo. E questa universalita' umana, i cui diritti sono inalienabili, e' stata poi solennemente affermata nelle grandi Dichiarazioni universali dei diritti dell'uomo e del cittadino, dalla Rivoluzione francese, alle Dichiarazioni universali ed europee successive alla tragedia della seconda guerra mondiale, fino al diritto d'asilo riconosciuto dalla Costituzione italiana.
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Contro la societa' dell'esclusione
Certo, rendere effettivi questi diritti, estesi a tutti gli uomini e a tutte le donne del pianeta, aprire i confini ed i porti, far viaggiare i migranti su treni, aerei e navi di linea e accoglierli nei Paesi di loro scelta, vuol dire buttare all'aria gli egoismi, rinunciare a preservare con ogni mezzo il privilegio di pochi. Vuol dire riconoscere che politica, economia, diritto, devono allestire un mondo che non sia riservato a pochi, ma sia fatto per tutti, vuol dire combattere e vincere, come dice il papa, la societa' dell'esclusione. Vuol dire cambiare il mondo.
Ma e' qualcosa di meno di questo che i preti devono predicare al popolo di Dio, c'e' una conversione piu' a buon mercato di questa a cui i preti devono esortare i loro fedeli? C'e' un cristianesimo diverso da questo che i preti devono annunciare a quanti si appellano a un cristianesimo identitario, devotamente atei, che imperversano nelle valli del Veneto?
Presbiteri educati alla scuola del Vangelo, e oggi sensibili alla predicazione di papa Francesco, non dovrebbero essere da meno di quei laici, dello storico Centro per la pace di Viterbo, che riguardo a quello che c'e' da fare oggi per i migranti hanno scritto al governo:
"Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
lei sa che la rete criminale dei trafficanti di esseri umani trae ingenti profitti dal suo illecito e scellerato mercato solo perche' ai migranti e' proibito dai governi europei di giungere in Europa in modo legale e sicuro.
Non dica che gli accordi in sede di Unione Europea proibiscono all'Italia un atto di umanita' peraltro stabilito nella Costituzione della nostra Repubblica; quegli sciagurati accordi che violano superiori e supremi diritti e doveri - il diritto alla vita, il dovere di soccorso - sono gia' nel comune sentire delle genti e nella coscienza di ogni essere umano null'altro che pactum sceleris, carta straccia e marchio d'infamia.
E non acceda alla barbara idea di impedire di lasciare il suolo africano a migranti innocenti e indifesi - che gia' hanno attraversato deserti e affrontato pericoli immani e subito vessazioni indicibili - facendoli recludere nei lager libici.
E' in suo potere, e' in potere del governo italiano, come di tutti i governi dell'Unione Europea, salvare innumerevoli vite riconoscendo a tutte le persone in pericolo, a tutti i migranti, a tutti gli esseri umani, il diritto di ingresso legale e sicuro in Italia e in Europa viaggiando con mezzi di trasporto legali e sicuri".
Purtroppo questa unita' umana, pur affermata dalle religioni, dalle culture e dal diritto, e' stata negata lungo tutta la storia ed e' di fatto rifiutata anche ora. Per noi, non e' rinunciabile. E' su questo punto preciso della rivendicazione dell'unita' umana che si e' prodotto il grande evento del cristianesimo, e' su questo punto preciso che, come dice Paolo, si e' rivelato il mistero che era rimasto nascosto fin dalla fondazione del mondo.
La cacciata dei migranti negli abissi del mare grida che la Terra e' una, che la famiglia umana e' una, che c'e' un'unita' di destino, ci dice che il compito piu' alto della politica e' la realizzazione del bene comune dell'intera comunita' umana, e che per farlo, prima ancora della politica, dobbiamo cambiare il nostro cuore.
2. INCONTRI. "PRATICARE LA SOLIDARIETA'". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE A VITERBO
Si e' svolto mercoledi' 3 giugno 2015 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione sul tema: "Praticare la solidarieta', salvare le vite, costruire la pace. Con la forza della verita', scegliendo la nonviolenza".
3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: MAFIA E POLITICA, LA STORIA CONTINUA... (2010)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato in "Cometa", n. 5, novembre-dicembre 2010, pp. 136-143, con il titolo: "Mafia, la lunga storia della societa' criminale".
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del Centro Impastato, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia]
L'assassinio di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica che si opponeva all'assedio del Cilento, e le recenti dichiarazioni del figlio di Vito Ciancimino e di Gaspare Spatuzza sulla "trattativa" tra mafiosi e rappresentanti delle istituzioni e sulle stragi del '92 e del '93 hanno riportato l'attenzione sul tema dei rapporti tra mafia e politica, che si puo' dire percorra la storia del nostro Paese che si appresta a ricordare il centocinquantesimo anniversario della nascita dello Stato unitario, proclamata nel marzo del 1861.
Con l'unita' nazionale si apre uno scenario in cui operano gruppi delinquenziali che, agendo all'interno di un sistema di rapporti, riescono a svolgere un ruolo complesso di interazione con il potere nelle sue articolazioni periferiche e centrali. Questo vale soprattutto per la mafia siciliana, mentre camorra campana e 'ndrangheta calabrese hanno periodi di oscuramento e di latenza.
Gia' nell'ottobre del 1861 il deputato Diomede Pantaleoni in un rapporto al ministro dell'Interno Bettino Ricasoli scriveva che in Sicilia operava una "mafia politica", formata da "facinorosi" legati al Partito della Societa' nazionale, il partito governativo, che usavano omicidi e attentati come mezzi di lotta per il potere, che la violenza era esercitata dalle varie forze politiche ma con la prevalenza di quelle governative, anche se le maggiori accuse andavano alle forze di opposizione. Era in atto la criminalizzazione dei garibaldini e dei mazziniani e non per caso il prefetto di Palermo Gualterio in una relazione del 1865 indicava come capo del "partito della Maffia" (e' la prima volta che la parola compare in un documento ufficiale) il generale garibaldino Giovanni Corrao, il cui assassinio nel 1863 apriva la serie dei delitti politico-mafiosi.
Si e' parlato per il periodo del governo della Destra (1861-1876) di una mafia all'opposizione, ma in realta' la mafia giocava su entrambi i tavoli, come fara' nei periodi di transizione. Con l'avvento al potere della Sinistra ci sarebbe stata la "legalizzazione politica della mafia" e la "mafiosizzazione delle istituzioni" ma mi guarderei da giudizi sommari. Il governo Depretis con il ministro dell'Interno Nicotera e il prefetto Malusardi avvia una campagna contro il banditismo e va alla ricerca di sette di tipo mafioso, formate da manutengoli dei banditi, in particolare possidenti, nobili e professionisti, vengono celebrati processi contro gruppi mafiosi, con esito diverso. Il problema era: esiste o meno l'associazione mafiosa? Cos'e' in realta' la mafia?
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Mafia e borghesia mafiosa
L'inchiesta parlamentare del 1875 si era conclusa con una relazione in cui si escludeva l'esistenza di una vera e propria organizzazione e anche quella privata di Franchetti e Sonnino escludeva l'esistenza di un'unica organizzazione, ma mentre la prima si limitava a parlare di una "solidarieta' istintiva, brutale, interessata" che univa "a danno dello Stato... individui e strati sociali che amano trarre l'esistenza e gli agi... dalla violenza, dall'inganno e dall'intimidazione", la seconda individuava i mafiosi come "facinorosi della classe media" che praticano "l'industria della violenza" e sosteneva che lo Stato era deciso contro le classi popolari ma impotente contro i mafiosi e la "classe abbiente". Analisi che ha resistito al tempo e che ho utilizzato per il mio concetto di "borghesia mafiosa".
In base a questa analisi la mafia e' un fenomeno complesso, formato da gruppi criminali strutturati e da un sistema relazionale transclassista, che va dagli strati popolari a quelli piu' alti della popolazione, al cui comando sono soggetti illegali, i capimafia anche se spesso quasi analfabeti, come Toto' Riina e Bernardo Provenzano, e legali, come professionisti, imprenditori, rappresentanti della pubblica amministrazione, dei partiti politici e delle istituzioni. Senza questi rapporti la mafia propriamente criminale, in tutto alcune migliaia di professionisti del delitto - mentre il blocco sociale comprenderebbe alcune centinaia di migliaia e la borghesia mafiosa sarebbe formata da alcune decine di migliaia - non potrebbe avere il ruolo che ha avuto e che ha, nel contesto sociale, dall'economia alla politica.
Per decenni, si puo' dire fino alle dichiarazioni di Buscetta nel 1984, e' prevalsa l'idea di una mafia destrutturata e le poche voci che parlavano di un'organizzazione formale, dispiegata sul territorio, con un capo, dei rappresentanti intermedi e una struttura di base, sono rimaste inascoltate. Sono stati sepolti negli archivi i rapporti del questore di Palermo Ermanno Sangiorgi che alla fine del XIX e agli inizi del XX secolo descriveva un'organizzazione molto simile a quella disegnata da Buscetta piu' di ottant'anni dopo.
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La mafia come soggetto politico
Il rapporto mafia-politica non puo' essere inteso come un rapporto individuale e sporadico di qualcuno con qualcuno, ma come una relazione che va analizzata alla luce della realta' della mafia e della storia concreta della forma Stato.
Utilizzando le indicazioni di studiosi come Max Weber, la mafia si puo' definire "gruppo politico", nel senso che ha un suo complesso di regole, un territorio, la capacita' di attuare la coercizione fisica attraverso un apparato che amministra le sanzioni a chi non osserva le regole. Lo stesso Weber nello studio delle fonti di finanziamento dei gruppi politici distingueva le prestazioni volontarie da quelle estorte e per le seconde faceva esplicito riferimento alla camorra e alla mafia. Lo Stato, sempre a dire di Weber, e' un'impresa istituzionale che avanza con successo la pretesa del monopolio della coercizione fisica legittima.
Quindi si tratterebbe di due soggettivita' necessariamente in conflitto, perche' l'uso della coercizione fisica da parte della mafia e' in aperta violazione del monopolio statale della forza. Da una parte c'e' lo Stato ufficiale, dall'altra il ministato mafioso. Sulla carta in perenne stato di guerra. Una guerra impari.
La storia della mafia e dello Stato in Italia ci dice che ci troviamo di fronte a qualcosa di piu' complesso della rappresentazione teorica. Ho parlato di una "duplice dualita'", nel senso che la mafia e' insieme fuori e contro lo Stato, per il suo ricorso all'omicidio e altre forme di violenza come forma di giustizia e di polizia, dentro e con lo Stato per la sua partecipazione alla vita pubblica e le sue attivita' legate all'uso del denaro pubblico. Anche lo Stato e' duale, perche' l'esercizio del monopolio della forza si coniuga con una sorta di delega alla mafia di compiti repressivi quando il conflitto sociale non e' controllabile attraverso i mezzi legittimi e l'uso della violenza mafiosa e' legittimato dalla prassi dell'impunita'. E all'interno delle istituzioni operano soggetti che ricorrono a forme di intervento decisamente illegali. Si pensi al ruolo dei servizi segreti nelle stragi, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna.
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Il partito armato contro il comunismo
In tutta la fase che va dall'unita' al fascismo e in quella successiva al secondo dopoguerra, lo Stato italiano, formalmente democratico, e' gestito da forze conservatrici e sbarrato agli strati piu' deboli. Il diritto di voto era concesso all'1,9 per cento della popolazione, su una base rigidamente censitaria, il suffragio universale maschile, ma con limitazioni, fu introdotto nel 1912 e il voto alle donne sara' concesso nel 1946.
Lo sbarramento non era assicurato solo dalla negazione del voto ma dal ricorso alla violenza, alle leggi eccezionali e agli stadi d'assedio di fronte alle mobilitazioni popolari. In questa guerra contro le classi subalterne si cementa il rapporto con la mafia. Cosi' si spiegano i massacri dei dirigenti e militanti delle lotte contadine, dai Fasci siciliani (108 morti in un anno, dal gennaio 1893 al gennaio1894: sparavano i campieri mafiosi e i soldati inviati da Crispi) alle lotte precedenti il fascismo e negli anni '40 e '50: decine e decine di morti per omicidi mafiosi regolarmente impuniti e per intervento delle forze dell'ordine.
Archiviato il periodo giolittiano in cui si sperimenta un coinvolgimento di strati operai, il fascismo fu una scelta "naturale" delle forze conservatrici di fronte al rischio di una rivoluzione socialista. Nella sua vocazione al totalitarismo il regime cerco' di imporre il monopolio della forza, arrestando migliaia di mafiosi, reali o presunti, ma gran parte dei componenti il sistema relazionale, in testa i proprietari terrieri, fu cooptata nel partito fascista. Questa duplice strategia spiega il licenziamento del prefetto Mori quando comincio' a puntare l'attenzione su agrari e gerarchi di partito.
L'union sacree si ricompone quando si da' vita alla Repubblica, con un patto costituzionale infranto in corso d'opera, nel maggio del 1947, con l'esclusione delle sinistre dal governo, dopo la strage di Portella della Ginestra del primo maggio, dieci giorni dopo la prima e ultima vittoria delle sinistre raccolte nel Blocco del popolo alle elezioni regionali del 20 aprile 1947. La fine della coalizione antifascista, al governo dal 1944, sanciva una costituzione materiale che prescriveva l'inaccessibilita' al potere dei comunisti, voluta dalla convergenza di interessi geopolitici, nazionali e locali. Un matrimonio consensuale piu che un obbligo imposto da Washington.
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Tra prima e seconda Repubblica
Le stragi che hanno insanguinato il nostro Paese a partire da piazza Fontana mirano a impedire l'accesso al potere del Pci e nella "strategia della tensione" neofascisti, piduisti, servizi segreti cosiddetti "deviati", ma forse sarebbe piu' adeguato definirli "programmati", si incontrano, almeno per la strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, con soggetti mafiosi e questo intreccio spiega l'impunita' dei responsabili di quasi tutte le stragi, coperti dal segreto di Stato, la foglia di fico sulla criminalita' del potere istituzionale.
Anche il passaggio dalla prima alla seconda repubblica, con il crollo dei Paesi cosiddetti socialisti, lo smantellamento del Pci, l'archiviazione della Dc, l'eliminazione per l'effetto Tangentopoli del Psi e la nascita del berlusconismo e' segnato da una serie di delitti e di stragi, in Sicilia e nel continente. A compierle e' stata solo la mafia, vogliosa di chiudere la partita con vecchi uomini di potere (Lima, legato ad Andreotti) e di intavolare rapporti con gli homines novi? Si e' parlato di "trattativa" tra mafiosi e uomini delle istituzioni, con la regia dei servizi, e il discorso e' ancora apertissimo e c'e' il rischio che lo rimanga. Spatuzza e con lui altri mafiosi si sono chiesti e si chiedono: uccidere Falcone, Morvillo, Borsellino e' farina del nostro sacco, ma le stragi di Firenze e di Milano cosa c'entrano con noi? Sono un'altra cosa. Sono state progettate dai mafiosi per costringere le istituzioni ad accettare le richieste del cosiddetto "papello" o sono state commissionate da altri per facilitarne l'ascesa?
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Verso dove?
Il governo Berlusconi si vanta dei successi ottenuti con gli arresti dei mafiosi, nascondendo che essi sono effettuati da poliziotti senza mezzi e da magistrati soggetti al linciaggio quando osano perseguire uomini di potere. Finche' si tratta di colpire Riina e Provenzano, arrestato dopo 43 anni di latitanza, un record che si spiega con l'inerzia e la complicita' di vari soggetti, non ci sono problemi, ma se si condanna Dell'Utri e se si vogliono fare i processi a Berlusconi si abbaia alle "toghe rosse". Da anni viviamo una fase di barbarie culturale e politica che gode pero' di ampio consenso perche' evidentemente il modello Berlusconi piace a tanti. E il modello si fonda sull'illegalita' come risorsa e l'impunita' come status symbol, l'essenziale del modello mafioso. Come nel Nord, ma va scendendo verso il Centro, piace la Lega con il suo marchio identitario fatto di patacche storiche (l'inesistente Padania) e ringhioso razzismo.
Quale prospettiva si apre dopo le dichiarazioni di Ciancimino e Spatuzza? Le inchieste sulla trattativa e sulla strage di via d'Amelio sono in corso ma gli accenni a Berlusconi non so che fine faranno. Finora le inchieste su Berlusconi si sono risolte in archiviazioni. Archiviata nel 1997 dal gip di Palermo quella per concorso esterno, archiviata nel 1996 dal gip di Firenze quella per la strage del '93 e nel 2002 il gip di Caltanissetta ha archiviato l'inchiesta in cui era accusato con Dell'Utri delle stragi del '92. Se leggiamo le motivazioni perplessita' e dubbi rimangono, ma pare che ci troviamo di fronte a un copione destinato a replicarsi. Gli strumenti giudiziari per affrontare i rapporti mafia-politica sono inadeguati: il concorso esterno non e' regolato per legge e non per caso i processi contro uomini politici si sono conclusi con assoluzioni. Anche il processo piu' noto, quello contro Andreotti, accusato di associazione mafiosa, si e' concluso con un giudizio salomonico: reato accertato, ma prescritto fino al 1980, dopo assoluzione per insufficienza di prove.
Si e' parlato di "responsabilita' politica" ma le richieste che i partiti si diano codici di autoregolamentazione, escludendo dalle liste personaggi sospetti, sono rimaste sulla carta. E i candidati nelle liste bloccate, anche quando sono condannati o sotto processo, come Cuffaro e Dell'Utri, vengono regolarmente eletti.
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Il sindaco Vassallo, un martire della solitudine?
Il sindaco di Pollica non e' il primo amministratore caduto per il suo impegno contro le cosche e il suo assassinio e' il frutto di un'attivita' generosa e dell'isolamento, con probabili complicita' e collusioni, da parte di coloro che avrebbero dovuto sostenerlo. La manifestazione dopo il delitto e' stata abbastanza partecipata ma si ripropone uno scenario visto gia' troppe volte. L'emozione e lo sdegno non sono destinati a durare e bisognera' vedere se susciteranno una presa di coscienza diffusa e un impegno condiviso.
La lotta contro le mafie, e in particolare quella rivolta a tagliare i rapporti tra gruppi criminali, i loro complici e la pubblica amministrazione e le istituzioni, centrali o periferiche, si costruisce sulla continuita' e non sull'emergenza. E questo e' stato il limite di fondo delle mobilitazioni antimafia degli ultimi anni, una volta che il soggetto storico, rappresentato dalle lotte contadine e operaie, organizzate nella forma partitica e sindacale, si e' dissolto e il suo posto e' stato preso da una societa' civile piu' o meno organizzata che, come gli altri movimenti sociali contemporanei, registra discontinuita' e precarieta'. In un contesto in cui le sinistre, riformiste e radicali, hanno perso la loro identita' e non sanno darsene una nuova. Oggi si impone una seria riconsiderazione della mafia e dell'antimafia in un quadro fortemente degradato, in cui la mafia militare ha ricevuto e continua a ricevere dei colpi ma la borghesia mafiosa gode di ottima salute e il modello mafioso di accumulazione e di potere e' uno dei collanti del berlusconismo che puo' sopravvivere al destino personale di chi fino ad oggi ne e' stato demiurgo e icona. La decriminalizzazione della societa' e delle istituzioni e' uno dei terreni fondamentali su cui si gioca la partita della democrazia nel nostro Paese.
4. ANNIVERSARI. IN MEMORIA DI GIOVANNI XXIII
Ricorreva ieri l'anniversario della scomparsa di Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli, nato a Sotto il Monte il 25 novembre 1881 e deceduto in Vaticano il 3 giugno 1963), "il papa buono" del Concilio e della Pacem in Terris, che parlava "a tutti gli uomini di buona volonta'" e che in vicende e momenti drammatici di estremo rischio per la sorte comune dell'umana famiglia seppe parlare all'umanita' intera in nome dell'intera umanita' e dire le parole vere, giuste e necessarie, esortando alla pace e alla fraternita', alla convivenza, alla comune responsabilita' per il bene comune, al ripudio delle armi e della violenza.
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Nel ricordo di Giovanni XXIII proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
5. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
Per sostenere il centro antiviolenza di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
6. REPETITA IUVANT. UN APPELLO PER L'USCITA DELL'ITALIA DALLA NATO
[Nuovamente diffondiamo il seguente appello del Comitato promotore "No guerra, no Nato" (per contatti: e-mail: noguerranonato at gmail.com, sito: www.noguerranonato.it) "per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale, per portare l'Italia fuori dal sistema di guerra, per attuare l'articolo 11 della Costituzione"]
L'Italia, facendo parte della Nato, deve destinare alla spesa militare in media 52 milioni di euro al giorno secondo i dati ufficiali della stessa Nato, cifra in realta' superiore che l'Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (Sipri) quantifica in 72 milioni di euro al giorno.
Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell'Alleanza, la spesa militare italiana dovra' essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno.
E' un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, per un'alleanza la cui strategia non e' difensiva, come essa proclama, ma offensiva.
Gia' il 7 novembre del 1991, subito dopo la prima guerra del Golfo (cui la Nato aveva partecipato non ufficialmente, ma con sue forze e strutture) il Consiglio Atlantico approvo' il "Nuovo concetto strategico", ribadito ed ufficializzato nel vertice dell'aprile 1999 a Washington, che impegna i paesi membri a condurre operazioni militari in "risposta alle crisi non previste dall'articolo 5, al di fuori del territorio dell'Alleanza", per ragioni di sicurezza globale, economica, energetica, e migratoria. Da alleanza che impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell'area nord-atlantica, la Nato viene trasformata in alleanza che prevede l'aggressione militare.
La nuova strategia e' stata messa in atto con le guerre in Jugoslavia (1994-1995 e 1999), in Afghanistan (2001-2015), in Libia (2011) e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria. Il "Nuovo concetto strategico" viola i principi della Carta delle Nazioni unite.
Uscendo dalla Nato, l'Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l'articolo 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.
L'appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacita' di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.
La piu' alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato e' percio', di fatto, sotto il comando degli Stati Uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.
L'appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell'Italia agli Stati Uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.
Particolarmente grave e' il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L'Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.
L'Italia, uscendo dalla Nato e diventando neutrale, riacquisterebbe una parte sostanziale della propria sovranita': sarebbe cosi' in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Cesare Cases, Su Lukacs. Vicende di un'interpretazione, Einaudi, Torino 1985, pp. XVI + 200.
- Cesare Cases, Il testimone secondario. Saggi e interventi sulla cultura del Novecento, Einaudi, Torino 1985, pp. XVI + 478.
- Cesare Cases, Il boom di Roscellino. Satire e polemiche, Einaudi, Torino 1990, pp. XII + 276.
- Cesare Cases, Confessioni di un ottuagenario, Donzelli, Roma 2000, 2003, pp. 208.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2006 del 4 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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