[Nonviolenza] Telegrammi. 2001
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- Date: Fri, 29 May 2015 22:56:35 +0200 (CEST)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2001 del 30 maggio 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Elezioni
2. Peppe Sini: Per fronteggiare il razzismo
3. Un incontro di riflessione a Viterbo su "La sinistra necessaria"
4. Umberto Santino: 25 aprile. Lotta antifascista e lotta antimafia (2014)
5. Umberto Santino: Le risse nell'antimafia: per fortuna c'e' dell'altro (2014)
6. Umberto Santino: La mafia ha vinto o no? (2014)
7. Umberto Santino: La mafia torna a uccidere? Non ha mai smesso di usare la violenza (2014)
8. Umberto Santino: Proibizionismo: proibito discuterne? (2014)
9. Umberto Santino: Scarantino e il gioco con il morto (2014)
10. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
11. Un appello per l'uscita dell'Italia dalla Nato
12. Segnalazioni librarie
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. IN BREVE. ELEZIONI
Votiamo a sinistra, naturalmente.
Contro la guerra, gli eserciti e le armi.
Contro il razzismo e il fascismo.
Contro il maschilismo.
Per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Per la difesa della biosfera.
Per la pace, la giustizia, la solidarieta'.
Votiamo a sinistra, naturalmente.
2. EDITORIALE. PEPPE SINI: PER FRONTEGGIARE IL RAZZISMO
Per fronteggiare il razzismo profuso a piene mani da politicanti emuli della resistibile ascesa hitleriana almeno due cose occorre fare subito.
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La prima cosa da fare: poiche' il razzismo e' un reato, occorre applicare la legge 654 del 1975 nei confronti di chi lo promuove, lo organizza, lo pratica.
E' sconcertante come si permetta ai giovani nazisti in carriera di propagandare il pogrom da tutti i mass-media, senza che i conduttori televisivi o i direttori dei giornali obiettino alcunche' e senza che la magistratura intervenga per fermare l'azione di chi senza tanti giri di parole propone di perseguitare gli oppressi, di radere al suolo le loro misere abitazioni, di omettere il soccorso a chi e' in pericolo di morte, di imprigionare senza processo persone che nessun reato hanno commesso, di riconsegnare innocenti fuggiaschi a sanguinari persecutori, di imporre il regime della segregazione, del terrore e della schiavitu'. Ed e' ancor piu' orribile dover constatare che questi crimini non sono solo meri deliri di farneticanti seguaci dell'ordine dei lager, ma sono gia' in gran parte la turpe disumana realta' del nostro paese: poiche' da oltre vent'anni a questa parte sono gia' progressivamente penetrati nella stessa legislazione italiana corrompendo e imbarbarendo le norme e le prassi, in flagrante violazione e spregio della Costituzione, della democrazia, dell'umanita'.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'. Chi lo promuove, lo organizza e lo pratica deve essere arrestato e risponderne in tribunale.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'. Tutte le scellerate misure razziste attualmente presenti nell'ordinamento del nostro paese devono essere abolite.
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La seconda cosa da fare: occorre riconoscere subito il diritto di voto per le elezioni amministrative a tutti gli stranieri residenti in Italia.
Gli stranieri legalmente residenti in Italia sono oltre 5 milioni (si tratta dell'8,3% della popolazione residente totale): se fosse riconosciuto a tutti loro il diritto di voto amministrativo e' ragionevole supporre che le attuali incostituzionali scellerate politiche di apartheid e schiaviste sarebbero finalmente contrastate.
Del riconoscimento dei diritti umani, il diritto di voto è la forza motrice.
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Non contrastare il razzismo significa farsene complici: se si accetta questo orrore nessun orrore potra' piu' essere fermato; se si accetta questo orrore si annienta la nostra stessa umanita'.
3. INCONTRI. UN INCONTRO DI RIFLESSIONE A VITERBO SU "LA SINISTRA NECESSARIA"
Si e' svolto venerdi' 29 maggio 2015 a Viterbo un incontro di riflessione su "La sinistra necessaria: femminista, ecologista, nonviolenta, antifascista e antirazzista, socialista e libertaria, per la pace, i diritti umani, la difesa della biosfera, la giustizia sociale, la solidarieta'".
All'incontro ha preso parte il responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani".
4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: 25 APRILE. LOTTA ANTIFASCISTA E LOTTA ANTIMAFIA (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 25 aprile 2014 con il titolo: "C'e' un filo rosso che unisce la Resistenza alla lotta antimafia".
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del Centro Impastato, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia]
Da qualche anno, per iniziativa dell'Anpi, il 25 aprile e' l'occasione per raccordare due lotte: quella contro il fascismo e quella contro la mafia. Si ricordano i nomi dei caduti sui due fronti, affratellati da un impegno comune: la lotta per la democrazia, contro una dittatura politica e contro un dominio criminale. I titoli di due quaderni pubblicati recentemente rappresentano il senso di questo percorso: il primo e' Memorie di Cefalonia, il diario di un sopravvissuto, Giuseppe Benincasa; l'altro e' Dai Fasci siciliani alla Resistenza, con la prefazione di Giuseppe Carlo Marino, scritti di Angelo Ficarra, Umberto Santino, Rino Messina, Gonzalo Alvarez Garcia e un'appendice che riporta alcune pagine del libro sui Fasci di Adolfo Rossi e un testo teatrale di Carmelo Botta e Francesca Lo Nigro. In copertina un disegno degli alunni dell'Istituto comprensivo "Antonio Ugo", frutto del lavoro svolto dal Centro Impastato con docenti e studenti. Il quaderno e' stato pubblicato nel LXX anniversario della Resistenza e nel CXX anniversario dei Fasci siciliani, a cui e' stata dedicata una targa che ricorda il processo ai dirigenti di quel movimento svoltosi nell'aprile del 1894, mentre un'altra targa dovrebbe essere posta in via Alloro 97, sulla facciata di palazzo Cefala', sede del Fascio palermitano e del congresso regionale dei Fasci del 22 maggio 1893.
Questo censimento della memoria era gia' cominciato con la pubblicazione di un volumetto, I Siciliani nella Resistenza, pubblicato il 25 aprile 1988, a cura delle associazioni partigiane Anpi, Fiap, Fvl, e' continuato negli anni successivi e sono emersi nomi e storie dimenticati. C'e' stata una partecipazione siciliana alla Resistenza. I partigiani siciliani sarebbero 4.600, 605 i caduti, circa 500 i morti nei campi di concentramento tedeschi. Ma c'e' stata una Resistenza antifascista in Sicilia, di cui si sa ancora ben poco. Il 7 febbraio 1943 ci fu uno sciopero ai Cantieri navali di Palermo, prima delle agitazioni di Torino; l'8 marzo ci fu una manifestazione delle donne in via Alloro, il 10 giugno c'e' stata un'azione di sabotaggio all'aeroporto Gerbini a Catania, il 3 agosto l'insurrezione contro i tedeschi a Mascalucia e a Pedara, il 12 agosto l'eccidio di Castiglione di Sicilia con sedici morti. E tra i partigiani siciliani caduti solo recentemente si e' scoperta la storia del madonita Giovanni Ortoleva (queste informazioni sono nel saggio di Angelo Ficarra pubblicato nel quaderno sopra ricordato). Piu' nota la vicenda di Placido Rizzotto, prima partigiano in Carnia e poi dirigente del movimento contadino a Corleone, ucciso dalla mafia nel 1948. Tra i nomi dimenticati c'e' quello del palermitano Mario De Manuele, capitano fucilato dai tedeschi nella strage di Nola dell'11 settembre 1943. Una strage che non figura nei libri di storia piu' noti. Ne hanno parlato solo storici locali. Tre giorni dopo la dichiarazione dell'armistizio dell'8 settembre, i tedeschi della Divisione "Hermann Goering", sotto il comando di Kesselring, decisero di uccidere dieci ufficiali dell'esercito italiano come rappresaglia per la morte di un soldato e di un ufficiale tedeschi nel corso di scontri suscitati dall'arroganza dei nazisti che chiedevano ai militari italiani la consegna delle armi. Gli italiani sono disorientati. Non sanno ancora se i tedeschi sono alleati o nemici, consentono loro l'ingresso in caserma, gli ufficiali del comando credono di stare parlamentando con i loro colleghi germanici, invece sono messi al muro assieme ad altri ufficiali selezionati con una decimazione e fucilati. E' la prima strage nazista dopo la firma dell'armistizio e gli scontri di Nola, a cui partecipano anche civili, sono i primi atti di un conflitto che ben presto si estendera' al resto dell'Italia occupata dai tedeschi. Eppure di tutto questo sono rimaste debolissime tracce. Ben venga percio' questo scavo nella memoria alla ricerca di nomi e volti dimenticati, per una storia ancora in buona parte da scrivere.
5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LE RISSE NELL'ANTIMAFIA: PER FORTUNA C'E' DELL'ALTRO (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 16 aprile 2014 con il titolo: "Alla vera antimafia servono i professionisti"]
Il quadro dell'antimafia tracciato dal servizio di Emanuele Lauria e' desolante ma coglie solo alcuni aspetti di una realta' che per fortuna e' piu' articolata e complessa. L'antimafia non e' solo la vetrina di personaggi abituali frequentatori del palcoscenico mediatico, non si e' sviluppata solo sul terreno politico-istituzionale ma anche, o soprattutto, su altri terreni.
Distinguerei tre piani: quello istituzionale, quello politico e quello civile e sociale. Sul primo piano, che riguarda la legislazione, l'attivita' investigativa e giudiziaria, direi che la svolta registratasi nei primi anni Ottanta con la legge antimafia aveva grossi limiti: la nuova legge rispondeva a una logica fondata sullo stereotipo dell'emergenza (non ci sarebbe stata senza il delitto Dalla Chiesa) ed era arretrata rispetto alla realta'. Infatti coglieva solo la dimensione imprenditoriale di una mafia che, in seguito all'incremento del consumo di stupefacenti, nonostante o grazie al proibizionismo, gestiva un'accumulazione illegale enormemente cresciuta e si era avventurata sul terreno finanziario. Anche le altre leggi sono venute dopo le stragi del '92 e del '93 e solo l'impegno di alcuni magistrati, nonostante lo smantellamento del pool di Palermo dopo il successo del maxiprocesso, e' riuscito a dare continuita' a un'attivita' che si sarebbe voluta temporanea e schiacciata sulla dimensione criminale. Le inchieste fondate sul concorso esterno, non regolato con atto legislativo, e i processi piu' noti, come quello ad Andreotti, conclusosi "all'italiana", e quello in corso sulla trattativa mafia-Stato, sono piu' il frutto di scelte individuali o di gruppo, non senza contrasti interni, che di una strategia complessiva. L'esigenza di mettere ordine nella legislazione antimafia, di redigerne un corpus organico, e' stata sostanzialmente tradita dal cosiddetto "codice antimafia", ma, premier Berlusconi, non ci si poteva aspettare di meglio.
Sul piano politico, la crisi della forma-partito, sull'onda lunga di Tangentopoli, ha dato vita a clan padronali e nominativi, espressioni di un deficit di cultura democratica nel nostro Paese, le cui radici sono lontane. In questo contesto sono stati candidati ed eletti parenti di vittime della mafia e ultimamente si e' consumata la disavventura elettorale di uno dei magistrati piu' impegnati in inchieste sulla mafia. Ora assistiamo a una vera e propria rissa, in cui l'etichetta di antimafioso viene assegnata o negata in base all'indice di gradimento nei confronti di capi piu' o meno improvvisati e le storie personali si riscrivono in base alla direzione del vento.
Ma c'e' un'altra antimafia, quella quotidiana, che poggia sull'impegno di insegnanti, nonostante la crisi della scuola pubblica dovuta a una politica che mira a diroccare uno dei pochi presidi democratici sul territorio, di centri, comitati e associazioni che sono riusciti a formare un tessuto di societa' civile e di antimafia sociale, costituendo un patrimonio di analisi e di esperienze che puo' fare da base a un movimento con una piu' ampia partecipazione.
Anche la societa' civile non va mitizzata e anche qui non mancano problemi, legati alle peculiarita' dell'azione sociale nel mondo contemporaneo, analizzate dagli studiosi piu' avvertiti (precarieta' di gran parte dei soggetti impegnati, monotematicita' e mancanza di un progetto generale), o ai comportamenti delle varie componenti (in Sicilia non si e' riusciti a cancellare la vergogna di finanziamenti discrezionali e a ottenere una regolazioni sulla base di criteri oggettivi) o alla scarsa capacita' di convivenza tra anime diverse, per cui le strutture di coordinamento ben presto si dissolvono e le aggregazioni nazionali si reggono su forme di leaderismo carismatico. Comunque e' questa antimafia, legata al territorio, che bisognera' sviluppare. E forse con un movimento antimafia piu' forte e diffuso si riuscira' a incidere sugli altri terreni. Sul terreno politico-istituzionale le difficolta' che ancora oggi si riscontrano per integrare la fattispecie dello scambio elettorale politico-mafioso sono la riprova della mancanza di volonta' di affrontare il problema dei rapporti tra mafia e politica e sono certo che non gioveranno a risolverlo prassi compromissorie e liturgie unanimistiche. Negli anni scorsi si e' assistito all'assieparsi davanti alla lapide che ricorda l'assassinio di Chinnici e degli altri caduti della strage del 29 luglio 1983 di rappresentanti del governo berlusconiano, che non avevano nulla da spartire con quel magistrato. E non e' stato un caso unico. La stessa cosa si puo' dire per Giovanni Falcone, diventato amico di tutti dopo morto, anche di quelli che piu' l'hanno avversato da vivo. La manipolazione della memoria, in forma di appiattimento e amputazione della radicalita' (assolutamente necessaria se si vogliono attuare cambiamenti reali), o anche di eroicizzazione, puo' essere funzionale alla spendita dell'antimafia come rendita ereditaria e jolly da giocare nell'arena mediatica e sul mercato elettorale.
Sciascia criticava i "professionisti dell'antimafia", ma i professionisti sono necessari, sono i dilettanti e gli opportunisti che sono dannosi.
6. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA MAFIA HA VINTO O NO? (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 10 aprile 2014 con il titolo: "La verita' sulla Trattativa non verra' dal processo"]
"La mafia ha vinto", proclamava Tommaso Buscetta confessandosi al giornalista Saverio Lodato, in un libro del 1999; "La mafia non ha vinto" e' il titolo di un libro dello storico Salvatore Lupo e del giurista Giovanni Fiandaca da qualche settimana in libreria.
Temo che affermazioni cosi' nette non riescano a cogliere una realta' che e' un po' piu' complessa. Possiamo dire che la mafia, in particolare Cosa nostra, dopo le stragi del '92 e del '93, proprio per gli effetti boomerang di quelle stragi, ha ricevuto colpi durissimi, con gli arresti e le condanne di quasi tutti i capi riconosciuti e di moltissimi gregari, ma non e' il caso di cantare vittoria. Se va criticata la retorica secondo cui la mafia e' invincibile, e' "piu' forte di prima", penso che non sia conveniente introdurre un'altra retorica, secondo cui la mafia e' "alle corde" o, come si diceva nel dicembre del 2000, nel corso della conferenza di Palermo delle Nazioni Unite, la convenzione sul crimine transnazionale stipulata in quell'occasione era "il cappio al collo di un agonizzante". Se la mafia siciliana e' in difficolta', l'accumulazione illegale e' in buona salute e gruppi di tipo mafioso proliferano a livello mondiale, per gli effetti criminogeni dei processi di globalizzazione.
Quello che si registra, con particolare insistenza negli ultimi mesi, e' il gioco al bersaglio nei confronti dei pm della Procura di Palermo impegnati nel processo alla trattativa Stato-mafia. Prima le minacce di Riina, a cui nei giorni scorsi e' arrivata una lettera della famigerata e improbabile Falange armata, poi la relazione della Direzione nazionale antimafia, con critiche all'impostazione del processo, ora il libro a quattro mani di due studiosi di prestigio. In ogni caso un conto sono le minacce, un altro le riflessioni e le argomentazioni, a cui occorre rispondere entrando nel merito e non con gli anatemi.
Lupo ha alle spalle una fortunata Storia della mafia e altri testi a cui non ho risparmiato critiche (lo studio della "mafia in quanto tale", cioe' dell'organizzazione criminale, con scarsa attenzione per il sistema di rapporti entro cui agisce, e che a mio avviso costituisce la sua vera forza; i rapporti con la politica ridotti ad "alleanze tattiche", episodiche, per segnalarne solo alcune). Ora, con una certa disinvoltura, parla di mafia come "soggetto politico" (p. 18), titolo di un mio saggio del 1992, ripubblicato nel 2013, e incorre in qualche svista (Caponnetto non era procuratore: p. 21, ma Consigliere istruttore; Rognoni si chiama Virginio, non Vincenzo: p. 41), indice di una fretta di cui non vedo la necessita', ma fa un discorso condivisibile sulla portata storica del maxiprocesso, fortunatamente scampato alle forbici di Corrado Carnevale. Il problema e' quello che e' accaduto dopo, con il pool antimafia smantellato, proprio per il suo successo, e Falcone che ha dovuto lasciare Palermo. Sulla trattativa lo storico, dopo aver ricordato che non esiste un reato con quel nome, ricostruisce l'azione svolta dal generale Mori e le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, osserva che nei primi anni Novanta non c'e' stato nessun progetto di golpe (il successo di Berlusconi sarebbe dovuto alla volonta' di liberarsi "dalla partitocrazia catto-comunista" e alla fiducia riposta nel grande imprenditore e comunicatore) e arriva alla conclusione che la mafia finora non ha vinto, anzi, almeno per ora, ha perso, con buona pace dei "catastrofisti". Comunque il problema delle mafie in Italia e' "tutt'altro che risolto e sul come affrontarlo il paese resta diviso" (p. 64). Divisioni che, a mio avviso, possono giocare a favore di una ripresa della mafia.
Fiandaca, con alle spalle una nutrita produzione sul fenomeno mafioso e molte iniziative di studio e riflessione, in alcune delle quali ci siamo trovati accanto, condividendo o meno le stesse idee, richiamando la sentenza dei giudici fiorentini del 1998, osserva che piu' che una "trattativa" ci sono stati rapporti che nel "vissuto" dei mafiosi erano interpretati come un negoziato, e che da quella sentenza non e' scaturita una incriminazione degli ufficiali del Ros. Anche in Sicilia i magistrati di Caltanissetta e di Palermo hanno avuto giudizi diversi sulla credibilita' del figlio di Ciancimino e la sentenza del luglio 2013 del Tribunale di Palermo ha scagionato Mori dall'accusa di aver favorito la latitanza di Provenzano. Ci troviamo di fronte a una diversita' di vedute all'interno della magistratura. Niente di scandaloso. Il giurista propende per una genesi "prevalentemente endo-mafiosa della strategia stragistica" (p. 84) e considera la letteratura corrente sugli intrecci mafia-massoneria-servizi segreti ben lontana dal rappresentare una verita' acquisita e piu' somigliante a una rappresentazione romanzata. Si chiede Fiandaca: i negoziatori che assicuravano concessioni a Cosa nostra, per scongiurare altre stragi, sono equiparabili a delinquenti in combutta con la mafia? Il processo penale puo' lumeggiare vicende oscure e drammatiche della nostra storia recente? Ad avviso del giurista la trattativa a fin di bene e' legittima e il ricorso allo "stato di necessita'" da parte del potere esecutivo e' giustificabile a condizione che si salvaguardi il "bene di rango prevalente" (p. 103). Il problema e' proprio questo: le concessioni sono servite a evitare il peggio o hanno indotto i capimafia a pensare che altre stragi, dopo quella di Capaci, potevano garantire maggiori concessioni cioe' ulteriori cedimenti? Su questi temi la discussione e' aperta e ben venga un adeguato approfondimento. Con l'avvertenza che bisognerebbe evitare di prestarsi al gioco di testate interessate a colpire, sempre e comunque, la magistratura, con articoli pubblicati con titoli come "Il processo sulla trattativa e' una boiata pazzesca" ("Il Foglio" del primo giugno 2013).
Temo che la richiesta di verita' dell'instancabile Giovanna Maggiani Chelli, portavoce del Comitato dei familiari delle vittime della strage di Firenze, e dei familiari delle vittime delle altre stragi, rimarra' delusa. Il processo di Palermo con ogni probabilita' non si scostera' dallo schema del processo Andreotti: mezza condanna, per di piu' prescritta, e mezza assoluzione. Per avere la verita' sulle responsabilita' dei depistatori delle indagini sull'uccisione di Peppino Impastato, con in testa il procuratore capo del tempo, Gaetano Martorana, c'e' voluta (a piu' di vent'anni dal delitto) la relazione della Commissione parlamentare antimafia, che finora resta un caso unico. Ma l'attuale Commissione antimafia sapra' misurarsi con impegni di tale portata?
7. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA MAFIA TORNA A UCCIDERE? NON HA MAI SMESSO DI USARE LA VIOLENZA (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 20 marzo 2014 con il titolo: "L'illusione svanita della societa' civile"]
L'omicidio di Giuseppe Di Giacomo, fratello di un capomafia della famiglia storica di Porta nuova e forse reggente della cosca, avvenuto nel pomeriggio del 12 marzo, in una strada del quartiere Zisa affollata e di grande traffico, mentre rientrava a casa in macchina con accanto il nipotino di 9 anni, scampato alla sparatoria, ha riproposto un vecchio interrogativo, puntualmente replicato a ogni delitto di mafia: la mafia e' tornata a uccidere, dopo un periodo di silenzio, e questo delitto puo' dare l'avvio a una nuova fase conflittuale, preludio a un'ennesima guerra di mafia?
Capisco, ma non condivido, la sorpresa di quanti hanno pensato e scritto che la mafia da tempo non spara piu' e questo sarebbe l'effetto di una mutato clima sociale che negherebbe consenso alla mafia. Queste affermazioni mi sembrano piu' il frutto di un desiderio che di un'analisi documentata o documentabile. In primo luogo non risponde al vero che la mafia da molti anni non commette omicidi. Si ricordino, negli ultimi anni, e solo a Palermo, le uccisioni dell'imprenditore Nicolo' Romeo (11 gennaio 2010), dell'avvocato Enzo Fragala' (23 febbraio 2010), del mafioso Davide Romano (5 aprile 2011), dello spacciatore Claudio De Simone (8 aprile 2011), del capomafia di Santa Maria di Gesu' Giuseppe Calascibetta (20 settembre 2011), dello spacciatore Antonio Zito (12 dicembre 2012), del mafioso Francesco Nangano (17 febbraio 2013). Altri omicidi in provincia (faida a Misilmeri con piu' morti) e in altri centri della Sicilia. Non bastano? Ci vuole un nuovo "attentatuni" per tornare a preoccuparsi? Che Porta nuova sia un punto caldo lo si doveva capire gia' prima, con l'uccisione, il 13 giugno del 2007, del reggente Nicola Ingarao. Ora bisognera' vedere se ci sono testimoni per il delitto Di Giacomo, oltre il nipotino che si dice assistito da psicologi. Per gli adulti che non vedono, non sentono e non parlano ci vogliono l'oculista e l'otorino? Intanto prendiamo atto che il funerale del boss e' stato un vero trionfo, con il gonfalone della confraternita delle Anime sante, le saracinesche dei negozi abbassate, gli applausi di centinaia di partecipanti, i cori da stadio, la messa in chiesa. Ma come? Palermo non era cambiata e aveva voltato le spalle alla mafia? A quanto pare no. Chi vuole illudersi continui a farlo. Purtroppo non faccio parte di questa scuola di pensiero. Preferisco guardare in faccia la realta' e tenere i piedi per terra.
Dopo le stragi dei primi anni Novanta la mafia ha rinunciato alla violenza eclatante, rivolta verso l'alto, perche' ha capito che quella violenza ha avuto effetti boomerang e quindi e' salutare evitarla. La strategia della sommersione degli ultimi decenni ha solo questo significato: la constatazione che il cosiddetto "omicidio eccellente" e' controproducente, non la rinuncia all'uso delle armi. Cosi' il ricorso alla violenza in forma omicidiaria si e' limitato ad operazioni di "potatura", per usare un'espressione di Giovanni La Fiura, coautore del libro L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, pubblicato nel lontano 1990, 24 anni fa. E la potatura ha soprattutto riguardato soggetti impegnati in scalate che potevano mettere in forse assetti di potere: personaggi che hanno approfittato dei vuoti lasciati dai boss in carcere che, tornati in liberta', vogliono riprendere il loro posto; emergenti che cercano di farsi strada nell'organizzazione, nella signoria territoriale, nei traffici illegali. Il che vuol dire che la gara egemonica continua a svolgersi in forme violente, con l'eliminazione fisica del concorrente.
Poi c'e' la serie interminabile di attentati, danneggiamenti, intimidazioni, a magistrati, pubblici amministratori, imprenditori e commercianti che ancora in gran parte continuano a pagare il pizzo. Anche queste sono forme di violenza. La "forza di intimidazione", che si configura come violenza attuata o minacciata, si inscrive nello statuto della mafia come soggetto politico, che non riconosce il monopolio statale della forza e prescrive la pena di morte per chi non osserva le sue regole o ostacola i suoi interessi. Non per caso e' entrata nella definizione contenuta nell'art. 416 bis che ha introdotto il reato di associazione di tipo mafioso.
Sarei propenso alla cautela quando si parla di una societa' in rivolta, di una presa di coscienza diffusa, se non generalizzata, riproponendo il mito di una societa' civile che avrebbe fatto, irreversibilmente, il grande salto di qualita', una rivoluzione etica. Il sistema di rapporti dei mafiosi continua a coinvolgere vari strati della popolazione e costituisce ancora un punto di forza e preferirei parlare di "blocco sociale" e di "borghesia mafiosa" piuttosto che di ginecologica "voglia di mafia". E sul fronte dell'antimafia, se invece di fare discorsi generici si punta lo sguardo sulle attivita' continuative (nelle scuole, l'antiracket, l'uso sociale dei beni confiscati), si puo' dire che si e' avviato un cammino ma la strada da fare e' ancora lunga. E si smetta di pensare l'antimafia come una novita' degli ultimi decenni. Finora il piu' grande movimento antimafia rimane il movimento contadino, con centinaia di migliaia di persone mobilitate per qualcosa di concreto, come il pane quotidiano, il lavoro e altri diritti elementari. Si chiamava: lotta di classe. E finche' non si imbocchera' la strada dell'antimafia sociale, accanto ai senza casa, ai disoccupati e ai precari, a tutti gli emarginati dai processi di globalizzazione, strutturalmente mafiogeni, l'antimafia restera' astratta e minoritaria.
8. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: PROIBIZIONISMO: PROIBITO DISCUTERNE? (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 19 febbraio 2014 con il titolo: "I proibizionismi favoriscono gli affari delle mafie"]
La sentenza della Corte costituzionale sull'incostituzionalita' della legge Fini-Giovanardi, che equiparava droghe "leggere" e droghe "pesanti", puo' essere un'occasione utile per riprendere il discorso sul proibizionismo delle sostanze stupefacenti, ma temo che servira' soprattutto a rinverdire i toni da crociata. Si sono sentiti gia' i primi botti.
Recentemente, a conclusione di una conferenza stampa in seguito agli arresti di alcuni narcotrafficanti, la procuratrice aggiunta (perche' non usare il femminile, rompendo il monopolio maschile della lingua, soprattutto quando si parla di cariche pubbliche?) Teresa Principato ha dichiarato di essere favorevole alla liberalizzazione delle "droghe leggere". E ha subito precisato, per evitare prevedibili polemiche: "E' una mia opinione personale".
Se si comincia a far data dall'Harrison Act del 1914, che avvio' negli Stati Uniti la crociata contro l'oppio, e contro i cinesi d'America, quest'anno siamo arrivati al secolo per il proibizionismo delle droghe, introdotto ufficialmente a livello internazionale con le Convenzioni di Ginevra degli anni '30, con la Convenzione unica degli stupefacenti del 1961 e con la Convenzione di Vienna del 1988. Com'e' noto, dal 1920 al 1933 negli Stati Uniti c'e' stato il proibizionismo degli alcolici, che non vide la flessione del consumo, come si pronosticava, ma il salto di qualita' dei gruppi criminali che aggiunsero alle attivita' tradizionali nel contesto metropolitano (sfruttamento della prostituzione, scommesse clandestine, gioco d'azzardo) le attivita' imprenditoriali, molto piu' redditizie, legate alla produzione e commercializzazione delle bevande proibite, con un incremento esponenziale dell'accumulazione illegale e l'assunzione del ruolo di oligopolisti della produzione di un "bene economico" a consumo di massa. Il "nobile esperimento" si chiuse per il suo pieno fallimento, ma al suo posto si affermo' sempre di piu' il proibizionismo delle sostanze stupefacenti.
Le stime dei proventi delle organizzazioni criminali, che ormai si designano genericamente con il nome di "mafie", sono incerte e di affidabilita' relativa, ma comunque danno un'idea di com'e' formato il "paniere" del capitale illegale a livello mondiale. Tutte le stime danno al primo posto il traffico di droghe, con valutazioni che vanno dai 300 ai 1000 miliardi di dollari l'anno, al secondo posto il traffico d'armi con 290 miliardi, al terzo il traffico di esseri umani con 31 miliardi, al quarto quello di rifiuti tossici, da 10 a 12 miliardi. Sia il traffico di droghe che quello di esseri umani sono il frutto di proibizionismi, il primo delle "sostanze psicoattive" considerate illegali, il secondo configurato dalle varie forme di impedimento alla libera circolazione delle persone.
Da anni si e' avviata una strategia di impoverimento delle mafie con le confische dei beni, e su questa strada bisogna proseguire, incrementando le confische, estendendole sempre di piu' dai beni patrimoniali ai capitali, accorciando i tempi delle assegnazioni. Ma con le confische si interviene sull'accumulazione gia' realizzata non sui processi di accumulazione. Porsi, seriamente e senza dilettantismi o slogan allarmistici ("finiremmo tutti drogati", "lo Stato diverrebbe un narcotrafficante"), il problema dei proibizionismi significa progettare una strategia che agisca sui processi di arricchimento illegale e dia il colpo piu' consistente alle fonti di accumulazione delle mafie. Questo non significa che le mafie scomparirebbero, poiche' le loro attivita' sono molteplici, ma certamente si diroccherebbero i muri portanti della ricchezza mafiosa.
Per fare questo non basterebbe legalizzare le "droghe leggere" ma e' necessario avviare forme di distribuzione controllata delle sostanze attualmente illegali, in un'ottica di riduzione del danno. Le droghe, cioe' le sostanze psicoattive, tutte, legali e illegali, dall'alcool al tabacco, dalla cannabis all'eroina e alla cocaina, alle droghe sintetiche, hanno effetti dannosi, piu' o meno gravi, e l'abolizione del proibizionismo dovrebbe essere accompagnata da campagne di informazione sulla nocivita' delle varie sostanze. Qualcosa del genere, a livello embrionale, hanno tentato di fare il Centro Impastato e il Ciss (Cooperazione Internazionale Sud-Sud) negli anni '90, con la pubblicazione del volume Dietro la droga, in quattro lingue, e con altri strumenti.
Un'altra ragione che milita per l'abolizione della proibizione e' che in regime di illegalita', cioe' di mercato diffuso a ogni angolo di strada, e per tutte le ore del giorno e della notte, i consumatori sono soggetti a rischi spesso mortali, per le condizioni in cui avviene il consumo e per i tagli alle sostanze, e con la legalizzazione sarebbero sottratti a mercanti senza scrupoli che badano solo alla lievitazione dei proventi. Anche per il traffico di esseri umani, nelle mani di moderni negrieri, l'abolizione delle varie forme di proibizione della libera circolazione delle persone toglierebbe ai mafiosi ingenti capitali e sottrarrebbe i migranti a rischi di morte, frequentemente verificatisi sulle nostre coste.
Un'ultima nota: nei primi di febbraio si e' trasformato in legge il decreto "svuota carceri", ma e' un provvedimento parziale e discutibile. Il sovraffollamento delle carceri dipende soprattutto dal gran numero di detenuti per violazione della legislazione antidroga e sugli immigrati "clandestini" (leggi Fini-Giovanardi e Bossi-Fini) e bisogna decidersi a cancellare uno dei lasciti peggiori dei governi berlusconiani.
9. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: SCARANTINO E IL GIOCO CON IL MORTO (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" dell'8 febbraio 2014 con il titolo: "Stato e mafia: solo i morti finiscono sotto accusa"]
Qualche settimana fa, in una puntata di "Servizio pubblico", Vincenzo Scarantino, dietro una maschera da carnevale di Venezia, ha replicato le sue verita', che ormai dovrebbero essere "passate in giudicato". Gli hanno fatto recitare la parte del mafioso pentito, lui che era soltanto un ragazzo della Guadagna con qualche precedente penale, e raccontare una storia inventata dagli investigatori e avallata dai magistrati. Ma pare che si sia ripreso un gioco che mira a fregiarsi del made in Italy. Il gioco con il morto. Le responsabilita' sono sempre e soltanto, o soprattutto, dei morti. In questo caso sono del superpoliziotto Arnaldo La Barbera, dominus dell'inchiesta, e per quanto riguarda prodromi e contorni della "trattativa" Stato-mafia, soprattutto con l'alleggerimento o la revoca del 41 bis per ammansire i mafiosi stragisti, del magistrato Francesco Di Maggio, paracaduto al Dap, e del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, anche loro da tempo non piu' tra noi. Ci sono personaggi ancora in vita imputati in processi in corso, ma chiamare in causa i morti non mi sembra un buon segnale. E' come giocare sul sicuro, certi di non correre il rischio di essere smentiti.
Com'e' possibile che le dichiarazioni di quel giovanotto sono state assunte come prove fondamentali dei processi per la strage di via D'Amelio, fino alle sentenze definitive? Il gruppo di "sceneggiatori" ha fatto un ottimo lavoro, tanto da convincere i magistrati di Caltanissetta e della Cassazione, oppure ha agito un'altra logica: fare in fretta, dare una risposta in tempi il piu' rapidi possibile, trovare colpevoli e complici, veri o falsi non importa, portarli in giudizio e farli condannare? Ma se gli investigatori hanno dato quella piega alle indagini, i magistrati avevano gli occhi chiusi o condividevano la preoccupazione e la fretta di La Barbera e dei suoi collaboratori? Come si poteva credere che Scarantino raccontasse la verita', quando il collaboratore Salvatore Cancemi, che faceva parte della cupola di Cosa nostra, diceva che lui quel giovanotto non l'aveva mai visto e che il suo racconto era una sequela di menzogne?
Poliziotti e magistrati condividevano la strategia del "mostro in prima pagina" o c'e' dell'altro? E l'"altro" potrebbe essere ancora piu' inquietante: scegliere di volare basso, limitarsi a incriminare manovali del crimine e mafiosi notori, per coprire responsabilita' piu' in alto? Un depistaggio di Stato. Non sarebbe la prima volta. Anche per Peppino Impastato i depistatori, come risulta inequivocabilmente dalla relazione della Commissione parlamentare antimafia, erano all'interno della magistratura e delle forze dell'ordine. Falcone scriveva che Buscetta aveva spalancato le porte di Cosa nostra, ne aveva svelato la lingua, ma Falcone e i colleghi del pool antimafia sapevano leggere lo spartito, con grande maestria e altrettanta sobrieta'. Sapendo distinguere le dichiarazioni riscontrabili e quelle che non lo erano. Forse, anche per l'affollarsi dei "pentiti", maestria e sobrieta' si sono affievolite o venute meno e, con un Paese occupato dalle mafie e un'illegalita' diffusa, altri poteri inerti o collusi, la supplenza esercitata da chi ha il controllo della legalita' puo' aver convinto taluno a ritenersi un depositario della verita' e un salvatore della patria. Con il risultato, prevedibile, di dar fiato a chi, avendo fatto dell'illegalita' una professione e un'arte, ha tutto l'interesse a delegittimare la magistratura.
L'ex ragazzo della Guadagna ha raccontato, a suo modo, come sono andate le cose. Per completare il quadro dovrebbero intervenire coloro che, a differenza del Pm Ilda Boccassini che ha fiutato subito l'imbroglio, l'imbroglio l'hanno avallato, ma ancora si attende che dall'interno delle istituzioni si alzino voci che almeno riconoscano di aver sbagliato. Duerrenmatt in un romanzo del 1985, in cui parlava di un assassino assolto e di un innocente morto, scriveva: "... voglio sondare scrupolosamente le probabilita' che forse restano alla giustizia". Tra queste "probabilita'" ce n'e' certamente una: sapersi assumere le responsabilita'. Ammettere l'errore e la fallibilita', se solo di errore si e' trattato, come mi auguro. E' un passaggio necessario per rendere giustizia alla giustizia.
10. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
Per sostenere il centro antiviolenza di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
11. REPETITA IUVANT. UN APPELLO PER L'USCITA DELL'ITALIA DALLA NATO
[Nuovamente diffondiamo il seguente appello del Comitato promotore "No guerra, no Nato" (per contatti: e-mail: noguerranonato at gmail.com, sito: www.noguerranonato.it) "per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale, per portare l'Italia fuori dal sistema di guerra, per attuare l'articolo 11 della Costituzione"]
L'Italia, facendo parte della Nato, deve destinare alla spesa militare in media 52 milioni di euro al giorno secondo i dati ufficiali della stessa Nato, cifra in realta' superiore che l'Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (Sipri) quantifica in 72 milioni di euro al giorno.
Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell'Alleanza, la spesa militare italiana dovra' essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno.
E' un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, per un'alleanza la cui strategia non e' difensiva, come essa proclama, ma offensiva.
Gia' il 7 novembre del 1991, subito dopo la prima guerra del Golfo (cui la Nato aveva partecipato non ufficialmente, ma con sue forze e strutture) il Consiglio Atlantico approvo' il "Nuovo concetto strategico", ribadito ed ufficializzato nel vertice dell'aprile 1999 a Washington, che impegna i paesi membri a condurre operazioni militari in "risposta alle crisi non previste dall'articolo 5, al di fuori del territorio dell'Alleanza", per ragioni di sicurezza globale, economica, energetica, e migratoria. Da alleanza che impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell'area nord-atlantica, la Nato viene trasformata in alleanza che prevede l'aggressione militare.
La nuova strategia e' stata messa in atto con le guerre in Jugoslavia (1994-1995 e 1999), in Afghanistan (2001-2015), in Libia (2011) e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria. Il "Nuovo concetto strategico" viola i principi della Carta delle Nazioni unite.
Uscendo dalla Nato, l'Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l'articolo 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.
L'appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacita' di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.
La piu' alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato e' percio', di fatto, sotto il comando degli Stati Uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.
L'appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell'Italia agli Stati Uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.
Particolarmente grave e' il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L'Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.
L'Italia, uscendo dalla Nato e diventando neutrale, riacquisterebbe una parte sostanziale della propria sovranita': sarebbe cosi' in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.
12. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Raymond Williams, Il popolo delle Montagne Nere, Editori Riuniti, Roma 1992, pp. VIII + 440.
- Raymond Williams, Materialismo & cultura, Tullio Pironti Editore, Napoli 1983, pp. XII + 256.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2001 del 30 maggio 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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