[Nonviolenza] Telegrammi. 2000
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- Date: Thu, 28 May 2015 23:31:05 +0200 (CEST)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2000 del 29 maggio 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: In uno stato di diritto
2. Umberto Santino: La mafia a Roma. Il mondo di mezzo (2014)
3. Umberto Santino: L'antimafia divisa (2014)
4. Umberto Santino: Mafia e religiosita' popolare (2014)
5. Umberto Santino: Apocalisse antimafia (2014)
6. Umberto Santino: Giustizia per Rostagno, 26 anni dopo (2014)
7. "La solidarieta' umana". Un incontro a Viterbo
8. Ricordando Alfred Adler
9. Per Camillo Berneri
10. In memoria di Anne Bronte
11. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
12. Un appello per l'uscita dell'Italia dalla Nato
13. Segnalazioni librarie
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IN UNO STATO DI DIRITTO
In uno stato di diritto "La responsabilita' penale e' personale" (art. 27 della Costituzione).
In uno stato di diritto l'omissione di soccorso e' un delitto (previsto e punito dell'art. 592 del Codice Penale).
In uno stato di diritto il razzismo e' un crimine (cfr. la legge 654 del 1975).
In uno stato di diritto ricostituire il partito fascista e' reato (XII disposizione finale della Costituzione della Repubblica Italiana).
*
Perche' allora si consente che gli apprendisti stregoni dell'orda hitleriana ogni sera e ogni giorno latrino da tutti i canali televisivi e da tutti i giornali il loro criminale incitamento al pogrom?
Perche' allora si consente che demagoghi senza scrupoli impunemente istighino all'odio razzista ed altrettanto impunemente annuncino l'intenzione di commettere violenze inaudite contro i piu' poveri, contro i piu' deboli, contro i piu' oppressi, contro i piu' bisognosi di aiuto?
Perche' allora si consente ai governi europei di negare soccorso e accoglienza agli innocenti in fuga dalla fame e dalle guerre?
Perche' allora si consente che nel nostro paese tanti esseri umani vengano perseguitati e ridotti in schiavitu'?
Perche' allora si consente che si continuino le guerre in corso e nuove guerre si preparino?
Perche' allora si consente di proseguire nello sperpero immane delle spese militari, nelle politiche di riarmo, nelle politiche omicide e onnicide?
*
In uno stato di diritto ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Perche' l'Italia torni ad essere uno stato di diritto occorre un'insurrezione nonviolenta delle intelligenze e delle coscienze contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni, contro il modo di produzione scellerato e insostenibile che distrugge umanita' e mondo.
Perche' l'Italia torni ad essere uno stato di diritto occorre un'insurrezione nonviolenta delle intelligenze e delle coscienze per la legalita' che salva le vite, per l'umanita', per la biosfera.
E' il compito dell'ora di ogni persona decente.
2. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA MAFIA A ROMA. IL MONDO DI MEZZO (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 6 dicembre 2014 con il titolo: "Se la mafia non e' piu' un'esclusiva del Sud".
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del Centro Impastato, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia]
Le notizie che giungono da Roma sulla Mafia Capitale ci offrono indicazioni abbastanza illuminanti sulla capacita' del modello mafioso di insediarsi in contesti diversi da quello originario. Si dira' che a Roma questa non e' una novita', che in anni non lontani all'ombra del cupolone prosperava quello strano miscuglio di criminalita' organizzata, di estremismo nero e servizi segreti normalmente deviati che si chiamava banda della Magliana. E' vero, ma si dimentica che a suo tempo la Cassazione non volle riconoscerla come associazione mafiosa e su quella strada camminano ancora oggi i magistrati che nel Nord colonizzato dalla 'ndrangheta hanno remore ad applicare l'articolo 416 bis della legge antimafia che delinea la fattispecie dell'associazione a delinquere di tipo mafioso. Ancora oggi c'e' chi pensa che la mafia sia soltanto un pollo ruspante nelle riserve siciliane o del Mezzogiorno arretrato.
A Roma si parla di una cupola che copre attivita' criminali e affaristiche molteplici e complesse, relazioni capillari e diversificate, ed e' il cinquantenne Massimo Carminati, reduce dai fascistissimi Nar e dalla banda della Magliana, che si e' incaricato di fare una lezione di sociologia criminale di rara lucidita'. Lo stagionato criminale, uscito indenne da varie vicende giudiziarie, compreso il processo per l'assassinio del giornalista d'assalto Mino Pecorelli, e felicemente a piede libero, ha parlato a braccio, consapevole o meno di essere intercettato, di un mondo di mezzo (qualcuno indica come fonte le fantasie letterarie di Tolkien) che fa da terreno di incontro tra un mondo di sopra e un mondo di sotto. Una sorta di sistema planetario. Fuori dalla metafora letteraria o cosmologica, il sedicente, non senza ragione, "re di Roma" descrive un metodo che si e' dimostrato vincente, per la sua capacita' di far incontrare mondi che sembrano separati e incomunicabili e invece convivono perfettamente. Il crimine si incontra con la politica e la pubblica amministrazione, dalla giunta Alemanno alla giunta Marino, e in una societa' che si vuole liquida si afferma come una delle poche cose solide e permanenti rimaste sulla scena. E una destra che, nonostante belletti e camuffamenti, e' quella di sempre, fascista e burina (chi non ricorda i saluti romani per il camerata Alemanno salito al Campidoglio?), si incontra con una sinistra, piu' gassosa che liquida, che ormai alla destra si apparenta e alla destra sempre piu' assomiglia (non si e' detto che il renzismo e' la realizzazione del berlusconismo con altri mezzi? Ma i mezzi sono davvero cosi' "altri" come si vorrebbe far credere?). Senza questi connubi, che sembravano innaturali e invece sono diventati abituali, "normali", con la complicita' e l'indifferenza di tanti, senza l'incrocio tra una struttura criminale collaudata ed elastica e un sistema relazionale composito e articolato (pubblici ufficiali a libro paga, imprenditori avventurosi, cooperative sociali che socializzano la capacita' di intascare denaro pubblico, bassa manovalanza e alta borghesia, un ventaglio aperto all'infinito) non sarebbe stato possibile questo repertorio di attivita' che sono venute alla luce. Appalti, ovviamente, ma pure estorsioni, usura, recupero crediti, accoglienza ai migranti, riciclaggio di soldi sporchi, traffico d'armi, smaltimento di rifiuti e corruzione che non fa distinzioni: tutti sono comprabili, corrotti e corruttori affratellati dalla mistica dei soldi. Un "romanzo criminale" rivisto e aggiornato. La violenza, agita o minacciata (emblematico il linguaggio recuperato dalle intercettazioni), imprime il marchio mafioso doc, a smentire chi pensa che ormai la mafia manda i figli a studiare a Oxford e si dedica solo o principalmente agli azzardi di borsa. E invece il vecchio, l'arcaico, convive fruttuosamente con il nuovo e il postmoderno e da questo mix nasce un fenomeno che e' tutt'altro che residuale ma e' modernissimo e destinato a un brillante futuro, se i mondi che si incrociano continueranno a muoversi come hanno fatto fino ad oggi.
Per scoprire che a Roma c'e' la mafia, cioe' che il crimine romano e' ne' piu' ne' meno che mafia, ci sono voluti due magistrati provenienti dal palazzo di giustizia di Palermo, il procuratore Pignatone e l'aggiunto Prestipino, che prima di essere trasferiti nella capitale si erano perfezionati a Reggio Calabria. Per fortuna, oltre alla mafia, la Sicilia esporta persone che hanno gli occhi aperti e sanno chiamare le cose con il loro nome.
3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: L'ANTIMAFIA DIVISA (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 22 luglio 2014 con il titolo: "Le guerre di religione non giovano all'antimafia"]
Che nel movimento antimafia ci siano delle divisioni non e' una novita', ma non penso che servano a molto reazioni emotive, come le lamentele di chi non perde occasione per proclamare che "contro la mafia bisogna essere tutti uniti" o l'invocazione della purezza da salvaguardare da chi approfitta degli anniversari delle vittime piu' illustri per esibire un'antimafia di facciata. Bisognerebbe trovare la capacita' di riflettere su quel che e' accaduto negli ultimi anni e continua ad accadere, ma francamente non so se questa capacita', o almeno questa volonta', ci sia.
Nell'antimafia si ritrovano soggetti diversi: associazioni, fondazioni, centri studio, comitati piu' o meno formalizzati, alcuni lautamente finanziati con fondi pubblici (e qui si pone il problema della discrezionalita' con cui vengono assegnati, ma su questo tema non pare che si voglia fare un ragionamento serio e conseguente), si ritrovano familiari di vittime, alcune notissime, altre ignorate o sconosciute, e gia' questa composizione dovrebbe essere oggetto di riflessione. Sono storie, culture, sensibilita', esperienze diverse, e non e' facile farle convivere se non si condivide una regola fondamentale, che pare ovvia ma in realta' non lo e': fare insieme le cose su cui si e' d'accordo, aprire un confronto sulle altre su cui un accordo non c'e'. Ma questa volonta' di convivenza c'e' o prevale una prassi diversa, per cui chi ha piu' visibilita', piu' risorse, piu' potere, tende a cancellare gli altri o a relegarli a tifoserie e a comparse di uno spettacolo dominato dai protagonisti? Chi scrive ha vissuto esperienze unitarie, dapprima con il Coordinamento antimafia, nato da una proposta del Centro Impastato nel 1984, dopo la guerra di mafia e i delitti Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa e Chinnici; successivamente con "Palermo anno uno" nei primi anni '90, dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio, e in Libera, nata nel 1995 con il proposito di costruire un movimento organizzato a livello nazionale. Esperienze significative, ma non e' un caso che le prime due siano naufragate e che l'ultima abbia avuto problemi che non sono stati affrontati e risolti, ma espunti con provvedimenti "amministrativi" come le esclusioni o i dimissionamenti forzati (e' quello che e' accaduto con l'allontanamento di dirigenti nazionali, senza nessuna discussione, e la cancellazione dell'intero gruppo palermitano).
Ci sono poi diversita' di analisi e di pratiche, di idee di mafia e antimafia, piu' o meno esplicitate. E le diversita' sono diventate contrapposizioni con le vicende processuali successive alle stragi di Capaci e di via D'Amelio e in particolare con il processo in corso sulla trattativa Stato-mafia, che chiama in causa rappresentanti delle istituzioni. Le istituzioni vanno rispettate in ogni caso, chiunque le rappresenti, o il modo migliore per rispettarle e' denunciare complicita', amnesie, silenzi a tutti i livelli, anche a quelli piu' alti? Come si vede sono domande che vanno al cuore della storia del nostro Paese, in cui la violenza mafiosa e stragista si e' coniugata con le dinamiche del potere. Il problema e' come si gestisce un contrasto che non e' certo una banale diversita' di vedute. Un conto e' sostenere un confronto, con le asprezze che non possono non esserci, dato che non e' il freddo misurarsi tra "scuole di pensiero", ma hanno un peso decisivo vissuti, tragedie personali e familiari, ferite non rimarginate; un altro e' farne una guerra di religione, in cui si impartiscono assoluzioni o scomuniche. In questo clima possono convivere le schermaglie tra Salvatore Borsellino e la signora Falcone e l'abbraccio a Massimo Ciancimino, con le agende rosse inalberate come un vangelo civile o il libretto di Mao (anche la fede politica puo' essere una religione).
In anni non lontani per Falcone e per Borsellino si organizzavano manifestazioni unitarie e si svolgevano dibattiti con voci diverse. Davanti all'albero Falcone Antonella Azoti ha ritrovato la forza per ricordare il padre ucciso nel 1946 e il mio "Ricordati di ricordare", che comincia con Emanuele Notarbartolo e i Fasci siciliani, e' stato scritto per il 19 luglio del 1994. Negli ultimi anni le manifestazioni sono state monopolizzate da alcune associazioni e l'iniziativa di riflessione piu' frequentata, con gli interventi dei magistrati impegnati in inchieste di mafia, e con il concorso di comitati e cittadini antimafia, e' stata organizzata da una rivista diretta da un personaggio che dice di avere le stimmate e di aver ricevuto dalla Madonna la "mission" di lottare la mafia, anticristo del nostro tempo. Bisognerebbe evitare queste commistioni, l'ho detto e scritto piu' volte, ma e' come gettare pietre in uno stagno.
Il 19 luglio scorso i fratelli di Paolo Borsellino hanno chiesto che delle vicende legate alle stragi si occupi la Commissione parlamentare antimafia. La presidente della Commissione ha dichiarato che c'e' il rischio di interferire con i procedimenti in corso. Un precedente smentisce questa preoccupazione. Per indagare sul depistaggio delle indagini sul delitto Impastato, nel 1998, con due processi in corso contro i mandanti dell'assassinio, si e' costituito presso la Commissione antimafia un comitato che ha prodotto una relazione sulle responsabilita' di uomini della magistratura e delle forze dell'ordine. Finora quella relazione, pubblicata nel volume Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, e' un caso unico. Se si vuole, si puo' riprendere quel filo e impegnarsi per cercare di accertare le responsabilita' a tutti i livelli, a prescindere dai risultati che potranno conseguirsi sul piano giudiziario.
4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: MAFIA E RELIGIOSITA' POPOLARE (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" dell'11 luglio 2014 con il titolo: "Il cristianesimo delle processioni che fa comodo agli uomini di Cosa nostra"]
A Palermo l'aggressione alla regista del festino di santa Rosalia, a Oppido Mamertino la processione che sosta davanti alla casa del vecchio boss della 'ndrangheta, in provincia di Campobasso i carcerati che disertano la messa: sono fatti nuovi, e scollegati tra loro, o le repliche di un copione gia' andato in scena o prevedibile e hanno qualche filo in comune?
A Palermo molti ricordano che per la Pasqua del 1983, i detenuti nel carcere dell'Ucciardone si rifiutarono di partecipare alla messa celebrata dal cardinale Pappalardo, responsabile ai loro occhi di aver condannato nelle sue omelie la delittuosita' mafiosa. Molti hanno considerato le uccisioni di don Puglisi e di don Diana e gli attentati romani alla chiesa di san Giorgio in Velabro e al palazzo del Laterano una risposta all'anatema scagliato dal papa Giovanni Paolo II nella valle dei templi di Agrigento il 9 maggio 1993. Piu' di vent'anni dopo l'appello del papa polacco: "mafiosi convertitevi", con il preannuncio della sanzione divina ("una volta verra' il giudizio di Dio"), un altro pontefice non italiano, venuto dalla "fine del mondo" e ribattezzatosi Francesco, ha detto che i mafiosi sono scomunicati. E la reazione non si e' fatta attendere: i mafiosi chiedono spiegazioni e inscenano una sorta di "sciopero religioso" e c'e' chi avverte che potrebbe essere il preludio di qualcosa di grave.
Alla regista del festino 2014 l'aggressore, con il Rolex al polso, ha comunicato, con accompagnamento di calci e pugni, il decreto di espulsione: "vattene da Palermo", come a dire: "il festino e' cosa nostra". Eppure la regista non e' la prima volta che viene a Palermo: sono suoi i megaspettacoli degli anni '90 con cui il festino e' stato rilanciato alla grande ed e' diventato, a suo modo, uno show contro la mafia, peste del nostro tempo e ora, come ha sottolineato il sindaco Orlando, contro la mafiosita'.
A mio parere questi sono episodi che dovrebbero rimandare a una riflessione su quella che e' stata, nel corso bimillenario di quello che si potrebbe definire il "cristianesimo reale", o almeno il "cattolicesimo praticato", la religiosita' popolare, costruita, avallata, o anche soltanto tollerata, dalle gerarchie ecclesiastiche, dai vertici romani al parroco di provincia. Ed e' questo il filo che li accomuna. Si e' tramandata una religiosita' fatta di processioni, riti pubblici e privati come forma di ringraziamento per grazia ricevuta o di patteggiamento per grazia da domandare. Un "do ut des" al centro dello scambio tra devoti e santi, con un vangelo usato da buona parte degli stessi sacerdoti piu' come retorica di legittimazione che vademecum della vita quotidiana, e liturgie che segnano i momenti peculiari di ogni vita umana (il battesimo, il matrimonio, il funerale in chiesa) come rituali abitudinari, passivamente accettati.
Qualche studioso ha collegato pratiche mafiose e prassi devozionali (la confessione come perdono assicurato per ogni genere di delitto o peccato, i santi come mediatori alla cui raccomandazione si ricorre perche' intercedano preso un Dio altrimenti inaccessibile) e c'e' chi ha visto nelle rappresentazioni del divino iconografie che ricordano i piu' terreni padrini. Questo collegamento era stato in qualche modo evocato dalla lettera che, dopo la strage di Ciaculli del 1963, monsignor Dell'Acqua, della segreteria di Stato, per indicazione di papa Montini, indirizzo' al cardinale Ruffini. Che altro voleva dire l'alto prelato vaticano quando chiedeva se non era il caso di promuovere azioni appropriate per "dissociare la mentalita' della cosiddetta 'mafia' da quella religiosa"? La lettera veniva dopo il manifesto del pastore valdese Panascia che terminava con un cubitale "Non uccidere" ed e' nota la reazione furente del cardinale: supporre un'associazione tra la mentalita' mafiosa e quella religiosa era cosa da socialcomunisti, loro si' scomunicati con tanto di decreto pontificio gia' nel 1949. C'e' da chiedersi: la religiosita' dei mafiosi e' solo una forma di camuffamento, fa parte di una strategia di ricerca di legittimazione e di consenso, o si identifica, o ha molto da spartire, con la religiosita' praticata dalla maggioranza della popolazione che si dice ed e' considerata cattolica? Troppo spesso la ritualita' sostituisce l'etica e la devozione pubblica copre la sostanziale anomia privata e, nel caso dei mafiosi e di quanti condividono con loro interessi e codici culturali (la mafiosita'), l'adesione a comandamenti che non coincidono con quelli dei Sinai.
Con questi problemi, sedimentati nel tempo, intrisi di quotidiane convivenze in contesti profondamente segnati, in cui le mafie continuano a essere una "costituzione sociale", come osservava Franchetti gia' nel 1876, cioe' sono una forma di socializzazione "naturale" come la famiglia o la chiesa, ben piu' della scuola che trova gia' il terreno seminato, bisognerebbe fare i conti, correndo i rischi che non possono non esserci quando si vuole cambiare un mondo che si e' contribuito a generare.
Riguardo al festino, quest'anno i fondi sono limitati, ci sono state esclusioni che hanno innescato lamentele, anche la Cgil ha raccolto le proteste delle maestranze locali, ma l'aggressione ha matrice diversa dalle prassi sindacali. Le feste patronali sono state sempre appannaggio di confraternite con qualche padrino dentro. A Palermo da tempo le cose non starebbero piu' cosi' e si vuole dare un avvertimento? Il festino rappresenta a Palermo la forma piu' spettacolare di religiosita' popolare, in cui un presunto miracolo (la peste del 1624 in realta' fini' due anni dopo il ritrovamento delle reliquie che si dissero di santa Rosalia, ma non sono mai state analizzate, e processioni e riti pubblici rinfocolarono e diffusero un male che l'epidemiologo Ingrassia gia' per la peste del 1575 aveva diagnosticato che si diffondeva per contagio) viene celebrato come un atto liberatorio da tutti i mali. Anche in questo caso una chiesa che voglia riformarsi non dovrebbe avvertire che una ragazza, di cui si sa molto poco e che si isola dalla societa' e vive in una grotta, e' l'esempio meno adatto per indicare un percorso di liberazione? Non sarebbe preferibile una persona, schiva, aliena da ogni retorica, come don Puglisi, possibilmente senza portare in giro una costola dentro un reliquiario?
5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: APOCALISSE ANTIMAFIA (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 27 giugno 2014 con il titolo: "Le nuove facce dell'eterna mafia"]
L'operazione antimafia dei giorni scorsi e' stata denominata "Apocalisse" ma gli investigatori per primi hanno dichiarato che non e' un sinonimo della fine. La guerra contro la mafia continua e non se ne vede l'epilogo.
L'inchiesta ha fatto emergere aspetti che meritano una riflessione. Per cominciare, una buona notizia: magistrati e forze dell'ordine hanno agito concordemente e questo non e' un dato scontato se si pensa ai conflitti ciclicamente reiterati all'interno del palazzo della giustizia e alla storia di carabinieri, poliziotti e guardie di finanza tradizionalmente legati piu' alla loro divisa che a un impegno comune. Tra gli arrestati ci sono boss usciti di galera e boss e gregari di nuova leva. C'e' un Biondino, fratello dell'autista di Riina; c'e' un giovane Palazzotto che, non sapendosi intercettato, ostentava meriti dinastici: un suo prozio nel lontano 1909 ha ucciso Joe Petrosino, su mandato di Vito Cascio Ferro, che godeva della protezione del deputato De Michele Ferrantelli. Il pronipotino va fiero di un avo che ha ucciso uno "sbirro" famoso ed e' rimasto impunito. E sui giornali si rievoca quella vicenda che mostra come funzionava la giustizia del tempo, ma era un copione destinato a ripetersi. Non e' stato arrestato ma solo raggiunto dal divieto di dimora in citta' un aspirante consigliere comunale che ha comprato un pacchetto di voti, ma ne ha avuti ben pochi ed e' stato trombato. Anche la mafia, contrariamente a quanto sostenuto da qualche studioso avventuratosi nel turismo sociologico, fa bidoni.
Il mondo delle cosche sembra segnato da uno scadimento del livello, lo sottolinea il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. Due mafiosi si prendono a schiaffi sulla pubblica strada e qualcuno ha tentato di arruolare un rom per la bassa manovalanza, dai danneggiamenti allo spaccio. I picciotti non bastano. Ma anche in passato ci sono state aperture a esterni per il traffico di droga. Si formano nuove famiglie, si fanno accorpamenti; Cosa nostra si scompone e ricompone reagendo alla mareggiata repressiva e il panorama risulta in continuo movimento, rispetto alle rigidita' organizzative del paradigma giudiziario vagliato dal maxiprocesso e avallato dalla Cassazione.
Viene fuori il ritratto di una mafia eclettica, insieme oculatamente predatrice e furbescamente intraprendente, capace di diversificare le attivita'. L'estorsione e' sempre in prima fila, a ribadire l'antica signoria territoriale, con il "pagare meno, pagare tutti" che prende atto degli effetti dalla crisi: per mungere la mucca bisogna tenerla in vita. Il dominio territoriale e' totalizzante e lo spaccato offerto da una recente inchiesta sullo Zen ne e' la conferma. La mafia concentra poteri e servizi, controlla la filiera alimentare dall'ortofrutta alla carne, dispensa favori, sfrutta i business illegali e del "vizio", dalla droga al gioco d'azzardo e alle scommesse. Gli atti di ribellione, nonostante la crescita negli ultimi anni dell'associazionismo antiracket, sono sporadici se non inesistenti.
Un'operazione brillante ed efficace, che ha scompaginato mandamenti storici come San Lorenzo, al centro delle cronache giudiziarie gia' nel XIX secolo, ma bisogna chiedersi come mai, con un'attivita' repressiva costante e prodiga di successi, il fenomeno mafioso continua a riprodursi.
La risposta e' che la societa' siciliana, ma il discorso non vale solo per l'isola, continua a essere mafiogena, cioe' presenta caratteri tali da rendere fisiologica la perpetuazione della mafia e dell'illegalita'. Alcuni esempi: la gracilita' dell'economia legale che induce buona parte della popolazione al ricorso all'illegalita' e al crimine come mezzi di mobilita' sociale e di acquisizione di ruolo; la crisi, o la scarsa rappresentativita', dei soggetti politico-sindacali (nessuno organizza disoccupati e precari, il popolo degli emarginati dai processi di ulteriore riduzione della base produttiva) e la fragilita' del tessuto di societa' civile e di servizi sociali, infrastrutture indispensabili per creare un senso della vita quotidiana come convivenza comunitaria e non guerra permanente tra clan e tribu'; l'illegalita' diffusa, sedimentata in cultura ampiamente condivisa, e l'aggressivita' nei comportamenti abitudinari, in un contesto sociale in cui tutto viene visto e vissuto secondo la logica del tornaconto e dell'interesse personale o di gruppo. E quello che si consuma a livello locale viene ingigantito all'interno del villaggio globale da politiche che fanno lievitare squilibri territoriali e divari sociali e, tramite i proibizionismi, offrono ampi spazi all'accumulazione illegale sempre piu' coniugata con quella legale.
In questo quadro la repressione non basta. E non credo che bastino neppure le minacce dell'inferno e le scomuniche. Ci vorrebbe un grande progetto di investimenti sociali e questo progetto non c'e'. Non ce l'ha l'attuale governo nazionale che non ha tra le priorita' in agenda il problema della criminalita' e dell'illegalita' sistemica; non ce l'ha la giunta regionale in perenne conflitto con i gruppi assembleari; non ce l'hanno le giunte comunali, che anche se ne avessero le intenzioni sarebbero paralizzate da patti di stabilita' che ne annullano la possibilita' d'azione. Bisognerebbe consolidare e sviluppare contenuti e pratiche, finora precari e minoritari, dell'antimafia che si e' sperimentata in questi anni sul piano sociale, ma bisogna sapere che la strada e' in salita e che se non si e' capaci di modificare il contesto l'Apocalisse rischia di perpetuarsi all'infinito.
6. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: GIUSTIZIA PER ROSTAGNO, 26 ANNI DOPO (2014)
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 18 maggio 2014 con il titolo: "Rostagno messo a tacere dalla mafia. La lunga marcia per la verita'"]
Finalmente e' arrivata la sentenza per il delitto Rostagno, con la condanna di due mafiosi, uno come mandante, l'altro come esecutore. Sono passati 26 anni da quel 26 settembre del 1988 e non ci si puo' non chiedere perche' e' trascorso tanto tempo. All'inizio sembrava tutto chiaro: un delitto di mafia, il cui movente era da ricercare nell'attivita' giornalistica di Rostagno presso la Rtc di Trapani. Un'attivita' quotidiana, con servizi e telegiornali in cui parlava di mafia, di massoneria, di traffici di droga e di armi, di delitti e di affari. Poi e' cominciato qualche problema. Una delle armi usate non faceva parte dell'arsenale tradizionale della mafia, per di piu' si era inceppata, e la vulgata vuole che il delitto mafioso sia un'esibizione di efficienza e di professionalita'. E in seguito si comincio' a percorrere un'altra pista, quella interna.
Nell'agosto del 1996 il procuratore di Trapani Garofalo, saputo che Mauro Rostagno alcuni mesi prima dell'omicidio mi aveva intervistato, mi chiamo' a deporre, come persona informata sui fatti. Il 3 maggio del 1988 Mauro, preannunciato da una ragazza di Palermo, era venuto al Centro Impastato, con un numero speciale della rivista "Segno" del 1982, in cui era stata pubblicata una mia relazione sul traffico di droga presentata a un seminario su droga e tossicodipendenza organizzato dal Centro. Mauro, che non vedevo dal 1976, e i rapporti tra militanti dei gruppi a sinistra del Pci non erano stati proprio idilliaci, aveva preparato un centinaio di domande e l'intervista duro' circa due ore. Ho riferito al procuratore del nostro incontro, degli appuntamenti che ci eravamo dati per altre interviste, sulla violenza mafiosa, riprendendo il nostro libro sugli omicidi a Palermo, sulla mafia finanziaria e sul sistema del riciclaggio del capitale illegale. Dopo l'intervista avevamo parlato del suo lavoro alla televisione, avevo manifestato qualche preoccupazione, avevo chiesto del proprietario della televisione, l'imprenditore Bulgarella. Rostagno mi aveva detto che lavorava in piena liberta', non gli era mai stata fatta nessuna osservazione. Gli ho parlato delle nostre iniziative per il decimo anniversario dell'assassinio di Peppino Impastato, che considerava Rostagno un punto di riferimento ("un compagno che mi da' garanzia e sicurezza"). Ha mostrato di avere qualche disagio a parlare di Impastato, e avevo pensato a dissapori che negli ultimi anni c'erano stati tra Peppino e Lotta continua. Sulle nostre iniziative ha chiesto a un suo collaboratore di farmi una breve intervista, che mi risultava essere stata trasmessa. Non sapevo invece nulla dell'intervista sul traffico di droga. Avevo riferito al procuratore che il giorno dopo il delitto mi ero recato alla comunita' Saman assieme a mia moglie Anna e a Giovanni Impastato e, parlando con alcuni degli ospiti, avevamo constatato che non sapevano nulla dell'attivita' di Rostagno alla televisione, nulla di Peppino Impastato e del Centro.
Avevo ricordato anche altre cose: al funerale avevo chiesto di parlare, ma non mi era stato concesso; assieme ad altri avevo manifestato dissenso per le cose che diceva Martelli (Rostagno veniva fatto passare per un progressista, un filosocialista) e avevo pubblicato uno scritto in cui definivo quel funerale "un'appropriazione indebita di cadavere". In un incontro con Francesco Cardella, guru di Saman, una persona che sapevo poco raccomandabile, questi mi aveva chiesto se potevo fare una sorta di investigazione privata sul delitto, qualcosa di simile a quello che i compagni avevano fatto per Peppino Impastato. Ho detto che non avevo nessuna competenza per fare quel lavoro e che, dato che la tesi seguita dagli investigatori era quella del delitto di mafia, non vedevo la necessita' di un'indagine alternativa e consigliai di collaborare con la giustizia.
A meta' degli anni '90 la pista mafiosa era stata abbandonata. In primo piano era la pista interna che porto' anche all'arresto della compagna di Rostagno. Nel 1997 veniva pubblicato il libro di Bolzoni e D'Avanzo, Rostagno: un delitto tra amici, e sotto scopa era Saman, definita in un altro libro una "comunita' salvifica", con metodi discutibili e qualche imbroglio. Si era imboccata una strada che minacciava di non portare da nessuna parte. In un incontro a Torino, Carla, la sorella di Mauro, mi chiese cosa potevo consigliare. Mi sono limitato a ricordare quello che avevamo fatto per Impastato: non darsi tregua e non dare tregua; in Italia, anche con i magistrati piu' seri e impegnati nella ricerca della verita', la giustizia bisogna guadagnarsela.
Per fortuna negli ultimi anni si e' tornati sulla pista mafiosa. Sono stato di nuovo chiamato a deporre dal presidente della Corte Angelo Pellino, che ricordo estensore della sentenza di condanna di Vito Palazzolo per l'assassinio di Peppino: un testo che e' un esempio di rigore e di professionalita'. Ho ribadito quello che avevo detto al procuratore Garofalo: un delitto di mafia per chiudere una bocca che a giudizio dei mafiosi parlava troppo. Un peccato imperdonabile nel pantano trapanese.
Ora, dopo tre anni di dibattimento, nonostante amnesie, false testimonianze, depistaggi, e' arrivata la condanna. Non so se nelle motivazioni si fara' luce sul contesto. Ma, se si tiene conto di come si erano messe le cose, gia' questa sentenza e' un risultato insperato. Voglio ricordare la ragazza che veniva al Centro per preparare l'incontro con Mauro. Si chiamava Alessandra Faconti ed e' morta nel 2007. Ricordo un incontro con lei qualche anno dopo l'omicidio. Mi diceva che stavano insabbiando l'inchiesta. Per fortuna le cose sono andate diversamente. Penso anche grazie a persone come lei.
7. INCONTRI. "LA SOLIDARIETA' UMANA". UN INCONTRO A VITERBO
Si e' svolto giovedi' 28 maggio 2015 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione su "La solidarieta' umana: la lotta delle oppresse e degli oppressi per i diritti di ogni essere umano e la liberazione dell'umanita' intera".
8. MEMORIA. RICORDANDO ALFRED ADLER
Ricorreva ieri, 28 maggio, l'anniversario della scomparsa di Alfred Adler (1870-1937), che con Freud e Jung fu uno dei principali protagonisti di quella che fu definita "la scoperta dell'inconscio" (come suona il titolo del classico volume di Ellenberger). Di particolar rilevanza, oltre alla sua riflessione ed attivita' psicoterapeutica, anche l'impegno in ambito educativo.
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Anche nel ricordo di Alfred Adler proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
9. MAESTRI. PER CAMILLO BERNERI
Nell'anniversario della nascita di Camillo Berneri ricordiamo il grande intellettuale anarchico e combattente antifascista assassinato dagli stalinisti.
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Camillo Berneri nacque a Lodi nel 1897, pensatore e militante anarchico, oppositore del fascismo, costretto all'esilio, interlocutore di Carlo Rosselli nella riflessione sul socialismo liberale ovvero libertario, accorso in Spagna partecipo' con strenuo impegno alla lotta contro il fascismo; fu sequestrato e assassinato da sicari stalinisti a Barcellona nel 1937. In una commemorazione tenuta a Viterbo alcuni anni fa si evidenziava come "dalla figura, dalla riflessione, dalla prassi e dalla vicenda politica, intellettuale, morale ed esistenziale di Camillo Berneri discendano insegnamenti e moniti di fondamentale importanza per l'oggi: l'appello all'opposizione a tutti i totalitarismi, a tutti i fanatismi, a tutte le violenze e le menzogne; il dovere morale e politico di recare aiuto a tutte le persone oppresse e sofferenti; la scelta di dedicare le proprie capacita' intellettuali e pratiche alla lotta solidale per la liberazione dell'umanita' intera e alla responsabile difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani; la consapevolezza che la democrazia si difende effettualmente, adeguatamente e concretamente solo se essa e' estesa al riconoscimento della vita, della dignita' e dei diritti di tutti e quindi che essa deve essere - per dirla con un termine capitiniano - omnicrazia, ovvero rispetto e potere di tutti; e quindi la societa' da edificare deve essere socialista e libertaria, fondata sull'uguaglianza di diritti di tutti e sul rispetto della diversita' di ognuno. Il lascito morale e politico di Camillo Berneri si lega oggi alle altre consapevolezze che alla scelta socialista e libertaria si collegano naturalmente, necessariamente, effettualmente integrandola e inverandola: la scelta antimilitarista ed antirazzista, la scelta femminista ed ecologista, la scelta, per dir l'insieme in una parola sola, della nonviolenza. Nel ricordo di Camillo Berneri, nel ricordo degli antifascisti piu' nitidi e intransigenti, piu' rigorosi e coerenti, prosegue oggi la lotta della nonviolenza in cammino: contro lo scellerato sfruttamento delle persone e della natura; contro tutti i poteri criminali e le guerre assassine; contro tutte le oppressioni, le persecuzioni, le uccisioni; per la difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani; per la difesa della biosfera casa comune dell'umanita'. L'alternativa oggi piu' che mai e' tragicamente semplice: per impedire l'abominevole apocalittico trionfo della barbarie fascista onnidistruttiva cui tendono i poteri dominanti planetari, occorre l'impegno responsabile e solidale socialista libertario femminista ecologista nonviolento che solo puo' salvare la civilta' umana e la biosfera dalla catastrofe".
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Anche nel ricordo di Camillo Berneri proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
10. ANNIVERSARI. IN MEMORIA DI ANNE BRONTE
Ricorreva il 28 maggio l'anniversario della scomparsa di Anne Bronte (1820-1849), una delle tre sorelle poetesse e narratrici; sebbene deceduta in giovane eta' fu autrice di versi e di due romanzi.
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Anche nel ricordo di Anne Bronte proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
11. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
Per sostenere il centro antiviolenza di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
12. REPETITA IUVANT. UN APPELLO PER L'USCITA DELL'ITALIA DALLA NATO
[Nuovamente diffondiamo il seguente appello del Comitato promotore "No guerra, no Nato" (per contatti: e-mail: noguerranonato at gmail.com, sito: www.noguerranonato.it) "per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale, per portare l'Italia fuori dal sistema di guerra, per attuare l'articolo 11 della Costituzione"]
L'Italia, facendo parte della Nato, deve destinare alla spesa militare in media 52 milioni di euro al giorno secondo i dati ufficiali della stessa Nato, cifra in realta' superiore che l'Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (Sipri) quantifica in 72 milioni di euro al giorno.
Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell'Alleanza, la spesa militare italiana dovra' essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno.
E' un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, per un'alleanza la cui strategia non e' difensiva, come essa proclama, ma offensiva.
Gia' il 7 novembre del 1991, subito dopo la prima guerra del Golfo (cui la Nato aveva partecipato non ufficialmente, ma con sue forze e strutture) il Consiglio Atlantico approvo' il "Nuovo concetto strategico", ribadito ed ufficializzato nel vertice dell'aprile 1999 a Washington, che impegna i paesi membri a condurre operazioni militari in "risposta alle crisi non previste dall'articolo 5, al di fuori del territorio dell'Alleanza", per ragioni di sicurezza globale, economica, energetica, e migratoria. Da alleanza che impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell'area nord-atlantica, la Nato viene trasformata in alleanza che prevede l'aggressione militare.
La nuova strategia e' stata messa in atto con le guerre in Jugoslavia (1994-1995 e 1999), in Afghanistan (2001-2015), in Libia (2011) e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria. Il "Nuovo concetto strategico" viola i principi della Carta delle Nazioni unite.
Uscendo dalla Nato, l'Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l'articolo 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.
L'appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacita' di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.
La piu' alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato e' percio', di fatto, sotto il comando degli Stati Uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.
L'appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell'Italia agli Stati Uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.
Particolarmente grave e' il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L'Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.
L'Italia, uscendo dalla Nato e diventando neutrale, riacquisterebbe una parte sostanziale della propria sovranita': sarebbe cosi' in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.
13. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- C. L. R. James, Marinai, rinnegati e reietti. La storia di Herman Melville e il mondo in cui viviamo, Ombre corte, Verona 2003, pp. 224.
14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
15. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2000 del 29 maggio 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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