[Nonviolenza] Telegrammi. 1999
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- Date: Wed, 27 May 2015 21:36:08 +0200 (CEST)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1999 del 28 maggio 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Opporsi alle uccisioni
2. In memoria di Lorenzo Milani
3. Umberto Santino: In Sicilia alla ricerca del Padrino
4. Umberto Santino: La lavatrice antimafia
5. Umberto Santino: Palermo al Quirinale, missione compiuta?
6. Umberto Santino: Charlie Hebdo, la mafia, il Centro Impastato e Peppino
7. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
8. Un appello per l'uscita dell'Italia dalla Nato
9. Segnalazioni librarie
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. OPPORSI ALLE UCCISIONI
Dovrebbe essere ovvio: nessuno vorrebbe essere ucciso, e perche' questo non accada occorre che tutti ci si impegni a non uccidere, ed anzi a salvare le vite.
Dovrebbe essere ovvio: invece si continua a produrre armi, che servono a uccidere.
Dovrebbe essere ovvio: invece si continua ad organizzare gruppi armati di ogni dimensione, il cui scopo e' sempre uccidere.
Dovrebbe essere ovvio: invece si continua a far morire i migranti nel Mediterraeo, che potrebbero essere tutti salvati semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in Europa in modo legale e sicuro.
Dovrebbe essere ovvio: invece si persevera in un modo di produzione, in un "modello di sviluppo", fondato sulla crescita illimitata e sulla massimizzazione del profitto, ovvero palesemente incompatibile con i limiti della natura e con i diritti umani, ovunque sfruttando ferocemente esseri umani e beni ambientali, ovunque provocando disastri e morti.
Dovrebbe essere ovvio: nessuno vorrebbe essere ucciso, e perche' questo non accada occorre che tutti ci si impegni a non uccidere, ed anzi a salvare le vite.
2. MAESTRI. IN MEMORIA DI LORENZO MILANI
Ricorre il 27 maggio l'anniversario della nascita di don Lorenzo Milani, l'indimenticabile priore di Barbiana.
*
Lorenzo Milani nacque a Firenze il 27 maggio 1923, in una famiglia della borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani militari da cui derivera' il processo i cui atti sono pubblicati ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga malattia il 26 giugno 1967; era appena uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel volume I care ancora. Altri testi e documenti ha pubblicato ancora la Lef (Il catechismo di don Lorenzo; Una lezione alla scuola di Barbiana; La parola fa eguali). Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta', supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. E ancora: Gerlando Lentini, Don Lorenzo Milani servo di Dio e di nessun altro, Gribaudi, Torino 1973; Giampiero Bruni, Lorenzo Milani profeta cristiano, Lef, Firenze 1974; Renato Francesconi, L'esperienza didattica e socio-culturale di don Lorenzo Milani, Cpe, Modena 1976; Piero Lazzarin, Don Milani, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1984; Francesco Milanese, Don Milani. Quel priore seppellito a Barbiana, Lef, Firenze 1987; Giuseppe Guzzo, Don Lorenzo Milani. Un itinerario pedagogico, Rubbettino, Soveria Mannelli 1988; Giovanni Catti (a cura di), Don Milani e la pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1988, 1990; Francuccio Gesualdi, Jose' Luis Corzo Toral, Don Milani nella scrittura collettiva, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1992.Tra i testi apparsi di recente: Domenico Simeone, Verso la scuola di Barbiana, Il segno dei Gabrielli, Negarine 1996; Michele Ranchetti, Gli ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris, Vicchio di Mugello (Fi) 2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa Croce sull'Arno (Pi) - Milano 2002; Mario Lancisi, Alex Zanotelli, Fa' strada ai poveri senza farti strada, Emi, Bologna 2003; Mario Lancisi, No alla guerra!, Piemme, Casale Monferrato 2005; Sergio Tanzarella, Gli anni difficili, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2007, 2008; Jose' Luis Corzo Toral, Lorenzo Milani. Analisi spirituale e interpretazione pedagogica, Servitium, Sotto il Monte (Bergamo) 2008; Frediano Sessi, Il segreto di Barbiana, Marsilio, Venezia 2008; Sandra Gesualdi e Pamela Giorgi (a cura di), Barbiana e la sua scuola. Immagini dall'archivio della Fondazione Don Lorenzo Milani, Inprogress-Aska - Fondazione Don Lorenzo Milani, Firenze 2014.
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Nel ricordo di don Milani proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: IN SICILIA ALLA RICERCA DEL PADRINO
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 31 marzo 2015 con il titolo: "La mafia per turisti nuoce a Provenzano jr.".
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del Centro Impastato, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia]
La notizia che Angelo Provenzano riceve regolarmente un gruppo di turisti americani che ascoltano la sua storia di figlio del capomafia che ha battuto tutti i record di latitanza, ha suscitato le comprensibili reazioni dei familiari di vittime della mafia, ma sarebbe bene porsi qualche domanda. Per esempio: cosa spinge gli organizzatori del viaggio a inserire nel programma tale incontro? Perche' ci sono coppie che vanno a sposarsi a Corleone? Che idea hanno turisti e sposini della mafia, della Sicilia?
Non credo che ci voglia molto a capire che l'idea di mafia piu' diffusa sia soprattutto, se non esclusivamente, frutto di libri e di film di successo come Il Padrino, o del bestseller con la storia di vita del boss di origine castellammarese Joe Bonanno o della serie televisiva dei Sopranos, ed e' un'idea accattivante e positiva: la mafia come custode di valori antichi, come l'onore, la fedelta' alla parola data, la famiglia, rispettosa della Tradition, in un mondo senza punti di riferimento, che guarda a quei personaggi come a degli eroi, esempi di coraggio e di coerenza, uomini tutti d'un pezzo, capaci di resistere e di sopravvivere alle "persecuzioni" della giustizia. Per decenni negli Stati Uniti si e' creduto, anche a livelli istituzionali e accademici, che la mafia, le mafie, dato che nel melting pot americano si incrociavano tutte le criminalita', piu' o meno organizzate, provenienti da varie parti del mondo, fossero prerogativa di stranieri che ordivano complotti contro la democrazia piu' bella del pianeta. Era la tesi dell'alien conspiracy, che ispirava le relazioni delle Commissioni presidenziali e le pubblicazioni degli studiosi piu' noti. A cui invano si contrapponeva una tesi piu' rispondente alla realta' e percio' meno gradita: che il crimine fosse l'American way of life, cioe' una caratteristica della societa' americana, in cui le attivita' illegali fungevano da accumulazione originaria per gli ultimi arrivati, che consentiva di scalare i gradini della mobilita' sociale e inserirsi a pieno titolo nel mondo di quelli che contano. Con il proibizionismo, sperimentato negli anni Venti e nei primi anni Trenta con gli alcolici, che offriva grandi occasioni di arricchimento.
Era molto piu' facile, e piu' gradevole, pensare che il crimine fosse un corpo estraneo, da estrarre con operazioni chirurgiche. Eppure dagli studiosi piu' seri degli Stati Uniti sono venute le anticipazioni piu' acute e convincenti, come le riflessioni controcorrente di Sutherland che parlava dei crimini dei colletti bianchi, e non per caso per molti anni il suo libro piu' noto venne censurato, con la cancellazione delle principali imprese coinvolte in quel tipo di reati, dalla corruzione alla concorrenza con mezzi illeciti, alla contraffazione dei prodotti, alle violazioni delle norme sul lavoro, alla pubblicita' menzognera, destinati a un sicuro avvenire.
Dubito che i turisti che vanno in pellegrinaggio dal figlio di Provenzano abbiano queste frequentazioni, abbiano letto i libri degli Schneider e di altri studiosi contemporanei che sulla mafia hanno scritto pagine illuminanti, analizzando un fenomeno sociale che e' insieme sistema di potere e modello di accumulazione, con l'uso della violenza per abbattere gli ostacoli ai loro affari e al loro potere. Meglio attenersi allo stereotipo folclorico e apologetico e andare a Corleone o dal figlio di Provenzano a rafforzare un'immagine gia' sedimentata.
Con queste idee, diffuse e radicate, bisogna fare i conti, sapendo che i tour alternativi, organizzati dalle associazioni antimafia, che vanno da Portella della Ginestra all'albero Falcone e a Casa Impastato di Cinisi, raccolgono minoranze, anche se corpose e crescenti, soprattutto di giovani che hanno preso coscienza della realta' della mafia e delle sue connessioni con il potere.
Angelo Provenzano ha dichiarato che per lui questa e' un'occasione di lavoro e che vuole vivere una vita normale. E ha ricordato il fratello a cui e' stata tolta una borsa di studio che gli permetteva di vivere in Germania. Si chiede ai figli dei capimafia di seguire l'esempio di Peppino Impastato, che finora rimane un caso unico, che si spiega con la personalita' di Peppino e anche con il clima del tempo in cui e' vissuto, prima, durante e dopo il '68. Angelo e Francesco Paolo Provenzano non sono Peppino Impastato, non so se prenderanno mai le distanze dalla mafia, riconosciuta per quella che e': un'organizzazione criminale fondata sulla prepotenza, non una sorta di Iliade casereccia, capace di trapiantarsi al di la' dell'Oceano, ma negare loro la possibilita' di farsi una vita vuol dire rinchiuderli nel mondo da cui provengono. Quel che e' certo e' che non li aiutano le curiosita' dei turisti che vengono in Sicilia per girare un'altra scena del Padrino.
4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA LAVATRICE ANTIMAFIA
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 6 marzo 2015 con il titolo: "Guru, slogan e teatranti dell'antimafia senza storia"]
Piu' volte si e' parlato di antimafia spettacolo o di facciata, di contrasti e guerre di religione tra le varie componenti dell'antimafia. Ora arrivano notizie che mostrano che l'antimafia e' o puo' essere una lavatrice che serve per il riciclaggio di personaggi con una storia non proprio lodevole. Prima e' toccato all'imprenditore Antonello Montante, accusato da mafiosi collaboratori di giustizia di rapporti con la mafia, ora il presidente della Camera di commercio di Palermo Roberto Helg e' stato colto in flagrante mentre intascava una tangente, grazie a un pasticciere di Cinisi, Santi Palazzolo, che ha finto di versagli la somma richiesta per continuare ad usare uno spazio nell'aeroporto Falcone e Borsellino. I commenti alla notizia vanno dalla sorpresa all'amarezza. Sarebbe il caso di sorprendersi e amareggiarsi di meno e provare a riflettere, al di la' dell'episodio.
L'antimafia degli ultimi anni non puo' che rispecchiare il contesto in cui si e' sviluppata. Con un'economia legale in crisi e un'accumulazione illegale in gran forma le mafie sono diventate soggetti economici di primo piano, tanto che ora nel Pil si inseriscono i proventi di attivita' formalmente illegali ma di fatto legalizzate. Contrastarle e' diventato sempre piu' difficile. Le forze politiche, con la cosiddetta "fine delle ideologie", somigliano sempre piu' alle corti di capi piu' o meno carismatici, il cui potere si fonda piu' sulla fascinazione mediatica che su capacita' reali. Il potere reale e' nelle mani di chi dirige e gestisce il mercato, piu' quello finanziario che quello produttivo, in cui e' sempre piu' difficile distinguere illegale e legale. In questo quadro, con analisi e strategie datate e soggetti interessati a mantenere scampoli di potere con qualunque mezzo, si spiegano l'inadeguatezza della legislazione internazionale e nazionale rispetto agli sviluppi dei fenomeni mafiosi attuali, e in Italia l'inconsistenza della Commissione parlamentare antimafia, i fallimenti nella gestione dei beni confiscati, in particolare delle imprese. Il lavoro della magistratura e delle forze dell'ordine, nonostante i condizionamenti dovuti alla mancanza di uomini e mezzi, ha al suo attivo buoni risultati nella repressione dell'ala militare, ma con colossali "infortuni" come quello dell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio, dovuto a un uso "disinvolto" delle dichiarazioni di un falso "pentito". Sul piano delle inchieste su mafia e politica si e' fatta una delega in bianco alla magistratura che non puo' supplire al disimpegno degli altri poteri istituzionali, che continuano a registrare collusioni e complicita'.
Sul piano dell'antimafia civile siamo in presenza di un mondo composito ma con la netta prevalenza di guru e teatranti ("saltimbanchi", diceva la madre di Peppino Impastato). Le narrazioni sono in gran parte affidate a professionisti e dilettanti del racconto ad effetto, per cui dopo l'imperversare della "mafia imprenditrice" assistiamo alla messa in vetrina della "Cosa grigia": terminologie che hanno a che fare piu' con i messaggi pubblicitari che con la ricerca. Buona parte delle iniziative vedono l'esibizione di familiari di vittime piu' o meno illustri, spesso presi in prestito da una politica alla ricerca di foglie di fico, di magistrati che dopo qualche passaggio in televisione sono scambiati per salvatori della patria. Con una crisi della legalita' profonda e strutturale, si capisce che ci sia bisogno di testimonianze ed esempi, ma ci sarebbe ancora piu' bisogno di lucidita' e competenze.
Che un personaggio come Helg, fallito come imprenditore, sempre pronto a mettersi con chi vince, prima con i berluscones poi con gli attuali governanti, abbia avuto incarichi prestigiosi e riconoscimenti come il cavalierato e la commenda, non mi sorprende affatto. Ha saputo recitare la sua parte sul palcoscenico di un'antimafia senza memoria e senza storia, in cui si fa presto a rifarsi i connotati. Per fortuna c'e' qualcuno, come l'ottimo pasticciere di Cinisi, che riesce a smontare il gioco. Bisognera' vedere se a recitare la parte di antimafioso doc c'e' stato solo Helg o se e' in buona compagnia.
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Post scriptum. Mentre il "paladino dell'antiracket" era in manette, un altro pasticciere, Alessandro Marsicano, dichiarava che vuole chiudere il negozio al villaggio Santa Rosalia, perche' non ce la fa piu' a sopportare danneggiamenti e intimidazioni da parte degli estorsori che ha denunciato. C'e' qualcuno disposto ad aiutarlo, non solo a fargli visita e stringergli la mano?
5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: PALERMO AL QUIRINALE, MISSIONE COMPIUTA?
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" dell'8 febbraio 2015 con il titolo: "Due palermitani al vertice non fanno una Primavera"]
Due palermitani al vertice delle istituzioni: Sergio Mattarella presidente della Repubblica e Pietro Grasso presidente del Senato. E il sindaco Orlando in un tweet esulta: "Dai lenzuoli alle finestre del 1992 al tricolore del 2015. Missione collettiva compiuta". Su queste pagine si e' aperta una discussione e qualcuno ha osservato che non bisogna scambiare due storie personali con una storia collettiva, che non ci sarebbe stata o comunque non si potrebbe considerare compiuta.
Si potrebbe osservare che ne' Sergio Mattarella ne' Pietro Grasso rappresentano soltanto una storia individuale. Mattarella si e' dedicato all'impegno politico dopo l'assassinio del fratello Piersanti, la cui azione segna una svolta in una storia familiare e politica, e ha mirato all'emarginazione di Ciancimino e a dare un'immagine della Democrazia cristiana che portava il volto di Giuseppe Campione alla presidenza della Regione e di Leoluca Orlando sindaco di Palermo. Eppure un personaggio come Salvo Lima ha continuato a dominare la scena e suoi uomini figuravano nelle giunte "primaverili". "La Dc, diceva De Mita, si rinnova senza buttare a mare nessuno". E Aldo Moro, quando la Dc veniva duramente attaccata, si e' levato a gridare che si sarebbe opposto a un processo sommario. Andreotti sentenziava: "Il potere logora chi non ce l'ha", ma puo' ammorbare chi ce l'ha se e' pronto a tutto per mantenerlo. E i cattolici democratici per troppo tempo hanno convissuto con uomini che non erano proprio allievi di La Pira. Finche' la balena bianca si e' spiaggiata sull'arenile del dopo Muro di Berlino.
Pietro Grasso fa parte di una generazione di magistrati, eredi di Cesare Terranova, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che, non senza contrasti e contrapposizioni all'interno del "palazzo dei veleni", hanno svolto un'azione giudiziaria ricca di frutti, dal maxiprocesso ai nostri giorni.
Non sono soltanto storie personali, si iscrivono nella storia di partiti, o di correnti, e di gruppi professionali, ma possiamo dire che rappresentano una storia collettiva? A Palermo in questi anni si e' sviluppata un'antimafia che ha al suo attivo il lavoro nelle scuole, l'antiracket, l'uso sociale dei beni confiscati, con i limiti che ho piu' volte rilevato. Nelle scuole si parla troppo di una legalita' astratta e formale e l'antimafia e' affidata a un insegnante di buona volonta', non e' entrata nei programmi e nella scuola quotidiana. L'antiracket coinvolge ancora solo una parte di commercianti e imprenditori (le recenti polemiche ne sono la riprova) e il consumo critico e' piu' sulla carta che nelle pratiche di ogni giorno. L'uso sociale di beni confiscati e' mortificato da tempi di assegnazione troppo lunghi e solo poche volte si riesce a trasformare le imprese mafiose in attivita' produttive legali e a salvare posti di lavoro. E poi c'e' la citta', impietosamente fotografata dalle statistiche e sempre collocata agli ultimi posti tra le citta' italiane nelle rilevazioni, discutibili quanto si vuole, del "Sole 24 ore". Vogliamo parlare di questa citta'? Secondo i dati Istat la disoccupazione era al 20,3 per cento nel 2004, e' stata al 20,7 nel 2013. Quella giovanile supera il 60 per cento. E non si tiene conto che ormai moltissimi non si avventurano nella ricerca di un lavoro che sanno di non poter trovare. Un documento della Cgil del dicembre scorso dava un quadro dell'apparato produttivo prossimo alla desertificazione. Al Cantiere navale, che ha una lunga storia di stentata sopravvivenza, si attende ancora che partano i lavori per il superbacino galleggiante da 80.000 tonnellate che dovrebbe consentire la trasformazione delle navi. I call center con 5.631 operatori sono la maggiore "industria" della citta', ma e' una bolla che si sta sgonfiando con gli esuberi e i licenziamenti in corso: qui il salario mensile e' 700 euro, nell'Est europeo e' 200 euro. Il verbo della globalizzazione e' "competere", ma in un mondo che globalizza il lavoro precario, sottopagato e non tutelato, per competere efficacemente bisognerebbe istituire la schiavitu'. Nell'attesa funge da ammortizzatore il lavoro nero. Le nuove poverta' incrementano a vista d'occhio il numero dei senzacasa: un problema che, nonostante le proposte dei comitati, non si vuole affrontare con un piano organico. Quella che e' stata definita "la citta' spugna" (ricordo un libro del Centro Impastato, di Amelia Crisantino) che consumava piu' di quanto produceva, tenuta in piedi dal denaro pubblico, in grado di reggere un sistema clientelare diffuso, si era trasformata nel corso degli anni '70-'80 in "metropoli stagnante" ed e' diventata sempre piu' una citta' a perdere. Sara' l'Europa a inchiodare alla paralisi con i patti di stabilita', ma e' un fatto che non si riesce neppure a usare i fondi europei. Anche l'accumulazione illegale, che ormai viene considerata come una voce consistente di un Pil asfittico, non ha piu' come epicentro Palermo e la Sicilia. Per uscire da questo disastro permanente, la cui cifra piu' emblematica e' il quotidiano vandalismo delle scuole e degli edifici pubblici, ci vorrebbe un progetto capace di raccogliere risorse, convogliare le energie migliori e porre le basi per una storia collettiva, in una comunita' condivisa. Un progetto credibile, non l'ennesima antologia di sogni. Tenendo i piedi ben piantati sulla terra e ben sapendo che se due palermitani sono al vertice delle istituzioni, molti loro concittadini hanno perso perfino la speranza di un lavoro che assicuri una vita dignitosa.
6. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: CHARLIE HEBDO, LA MAFIA, IL CENTRO IMPASTATO E PEPPINO
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: www.centroimpastato.com) riprendiamo il seguente intervento originariamente pubblicato sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 9 gennaio 2015 con il titolo: "Quando Charlie Hebdo prese in giro la mafia, i suoi segreti e gli uomini d'onore"]
"De la chute du mur de Berlin a' la chute de Toto Riina": questo era il titolo di un servizio pubblicato nelle pagine centrali di "Charlie Hebdo" del 20 marzo 1996, firmato da Phil (Philippe Val), il giornalista, e da Riss (Laurent Sourrisseau), il vignettista. Un lungo articolo, tanto puntuale e rigoroso quanto pungente e spiritoso, com'era la cifra del settimanale parigino, irriverente e trasgressivo. Erano venuti al Centro Impastato e avevamo parlato del nostro lavoro, di Peppino Impastato, della mafia e della lotta contro di essa. E avevamo capito subito che parlavamo la stessa lingua, lontana da ogni retorica e venata di ironia e di autoironia. Avevo parlato degli stereotipi, allora come ora, circolanti sulla mafia. Delle dichiarazioni di Buscetta che avevano ricostruito l'organigramma di Cosa nostra e avevano portato all'arresto di capi e gregari, ma pretendevano di imporre l'idea di una mafia buona, la sua e quella dei suoi amici, e di una mafia cattiva, degenere e tralignata, quella dei corleonesi, che avrebbero trasformato la mafia in una fabbrica a ciclo continuo di stragi e di omicidi. Lo sottolineava Val, riportando le mie parole: la mafia fin dall'inizio era stata violenta; la ricostruzione secondo cui c'era stata una "mafia tradizionale" in competizione per l'onore e solo negli anni '70 si sarebbe formata una "mafia imprenditrice" in competizione per la ricchezza, era una storiella fondata sull'ignoranza della storia reale. Il fatto nuovo era che con il traffico di droga l'accumulazione illegale era cresciuta a dismisura e li' andava cercata la ragione della nuova stagione di guerra all'interno e all'esterno. Difficilmente un giornalista, soprattutto se si occupa di mafia, ascolta con attenzione (molti sanno gia' cosa scriveranno e fanno finta di ascoltare e di prendere appunti), soprattutto quando si accorge che le cose di cui si sta parlando sono diverse da quelle che ha scritto e godono di ampio credito nei circuiti mediatici che contano, appaltati al supermafiologo di turno. Le frasi tra virgolette del servizio di Val riportano proprio quello che avevo detto, non banalizzano ne' distorcono. Sembra ovvio, ma e' una rarita'.
Dopo l'incontro al Centro i due redattori di "Charlie Hebdo" sono andati a Capaci, a trovare il sindaco Pietro Puccio, e hanno parlato con lui delle condizioni di vita nella provincia siciliana. Con un tasso di disoccupazione troppo alto e un'economia legale troppo debole per poter fronteggiare lo straripamento dell'economia illegale. Con un'assemblea regionale fatta di inquisiti e con tentativi di cambiamento che gia' allora apparivano precari e difficili. Da Capaci a Cinisi il passo e' breve e a Cinisi c'e' l'incontro con la memoria di Peppino Impastato, gia' preannunciato durante la visita al Centro. Il fratello Giovanni racconta, per l'ennesima volta, una storia che allora era conosciuta a pochi, lontana dagli schermi cinematografici e televisivi. E nel racconto delle attivita' di Peppino, figlio di un mafioso e nipote del capomafia, non potevano non esserci il circolo Musica e Cultura, un centro sociale ante litteram, e soprattutto Radio Aut. E Onda pazza, con gli sbeffeggiamenti dei mafiosi e dei plenipotenziari del paese: l'irrisione come igiene culturale, che spalanca santuari, viola segreti, devasta il rispetto e fa dei cosiddetti "uomini d'onore" delle macchiette ridicole. A Cinisi, nei lontani anni '70, Peppino e il suo gruppo potevano pensare che una risata avrebbe seppellito la mafia, spianato la "montagna di merda", anche se erano ben consapevoli del fascino del denaro e della forza di legami destinati a perdurare anche nel mutare del contesto.
E due giornalisti parigini ritrovavano nella lontana Sicilia un precedente e una sorta di giovane antenato. Come loro, lucido e dissacrante, impietoso e blasfemo.
Il servizio si concludeva con un'immagine di Palermo di sera, con le strade affollate di ragazze in minigonna, e un accenno a quanto accadeva in un contesto piu' ampio: Andreotti sotto processo, Berlusconi lanciato sul palcoscenico politico con un partito-azienda, che ricicla il lessico calcistico e si presenta come il nuovo interlocutore della mafia. Il futuro, che oggi guardiamo come deja' vu, e' gia' cominciato.
Nel servizio campeggiavano i disegni di Riss: i volti di Peppino e di Puccio, alcune vignette su Riina, la carta delle famiglie mafiose della provincia di Palermo, uno scorcio del corso di Cinisi, con le frecce che indicano la casa di Badalamenti e quella della famiglia Impastato, a molto meno di cento passi, e al centro la riproduzione di una fotografica in cui si vedono, appoggiati a uno scheletro di alberello, i maggiorenti di Cinisi nei primi anni '60, con una didascalia che li indica con nome e cognome: il sindaco Leonardo Pandolfo, il capomafia Cesare Manzella, Luigi Impastato, padre di Peppino, Masi Impastato, il nuovo boss Gaetano Badalamenti, Sarino Badalamenti. L'icona della mafia istituzionalizzata.
Riss e' rimasto ferito nella strage di ieri, il direttore, Stephane Charbonnier, Charb, e' stato ucciso e con lui sono morti Georges Wolinski, Jean Cabut, Tignous, il meglio della satira mondiale. Una strage con dodici morti, frutto, previsto e prevedibile, di un fanatismo religioso che si nutre di intolleranza e di stupidita'. "Charlie Hebdo" continuera', ma lo sappiamo: purtroppo una risata non riuscira' a seppellire tanta idiozia e tanta vilta'.
7. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
Per sostenere il centro antiviolenza di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
8. REPETITA IUVANT. UN APPELLO PER L'USCITA DELL'ITALIA DALLA NATO
[Nuovamente diffondiamo il seguente appello del Comitato promotore "No guerra, no Nato" (per contatti: e-mail: noguerranonato at gmail.com, sito: www.noguerranonato.it) "per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale, per portare l'Italia fuori dal sistema di guerra, per attuare l'articolo 11 della Costituzione"]
L'Italia, facendo parte della Nato, deve destinare alla spesa militare in media 52 milioni di euro al giorno secondo i dati ufficiali della stessa Nato, cifra in realta' superiore che l'Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (Sipri) quantifica in 72 milioni di euro al giorno.
Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell'Alleanza, la spesa militare italiana dovra' essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno.
E' un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, per un'alleanza la cui strategia non e' difensiva, come essa proclama, ma offensiva.
Gia' il 7 novembre del 1991, subito dopo la prima guerra del Golfo (cui la Nato aveva partecipato non ufficialmente, ma con sue forze e strutture) il Consiglio Atlantico approvo' il "Nuovo concetto strategico", ribadito ed ufficializzato nel vertice dell'aprile 1999 a Washington, che impegna i paesi membri a condurre operazioni militari in "risposta alle crisi non previste dall'articolo 5, al di fuori del territorio dell'Alleanza", per ragioni di sicurezza globale, economica, energetica, e migratoria. Da alleanza che impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell'area nord-atlantica, la Nato viene trasformata in alleanza che prevede l'aggressione militare.
La nuova strategia e' stata messa in atto con le guerre in Jugoslavia (1994-1995 e 1999), in Afghanistan (2001-2015), in Libia (2011) e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria. Il "Nuovo concetto strategico" viola i principi della Carta delle Nazioni unite.
Uscendo dalla Nato, l'Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l'articolo 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.
L'appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacita' di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.
La piu' alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato e' percio', di fatto, sotto il comando degli Stati Uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.
L'appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell'Italia agli Stati Uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.
Particolarmente grave e' il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L'Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.
L'Italia, uscendo dalla Nato e diventando neutrale, riacquisterebbe una parte sostanziale della propria sovranita': sarebbe cosi' in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.
9. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Leone Ginzburg, Scritti, Einaudi, Torino 1964, 2000, pp. LXXVI + 492.
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1999 del 28 maggio 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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