Telegrammi. 1263



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1263 del 3 maggio 2013

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Quattro parole dette in una piazza di Viterbo il primo maggio del 2013

2. Ricordato Paulo Freire a Viterbo, a sedici anni dalla scomparsa

3. La letteratura latina da Cesare a Virgilio

4. Alcuni testi del mese di febbraio 2001 (parte quarta e conclusiva)

5. Il Novecento visto dalla pace

6. L'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace (parte terza e finale)

7. Sorrisi e canzoni

8. La "Carta" del Movimento Nonviolento

9. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: QUATTRO PAROLE DETTE IN UNA PIAZZA DI VITERBO IL PRIMO MAGGIO DEL 2013

 

La prima parola e': basta.

Basta con la guerra e con gli strumenti che le guerre consentono: gli eserciti e le armi. Basta con le uccisioni di cui la guerra consiste. Basta con la partecipazione italiana alla guerra afgana in scandalosa violazione della legalita' costituzionale.

Basta con il razzismo e con le sue scellerate pratiche persecutorie, segregative, schiaviste e assassine. Basta con le ignobili criminali misure che negano la vita, la dignita' e i diritti degli esseri umani. Basta con i campi di concentramenti. Basta con i respingimenti verso la fame, la violenza e la morte. Nessun essere umano e' "clandestino" nell'unico pianeta patria di tutti.

Basta con il femminicidio, basta con la violenza maschilista e patriarcale che tutte le altre violenze fonda, che di tutte le altre violenze e' radice e modello.

Basta con la devastazione della biosfera.

Basta con lo sfruttamento e la schiavitu'. Basta con la negazione dei piu' basilari diritti sociali. Basta con la violenza dei ricchi e dei potenti sui rapinati e i debilitati. Basta col regime della corruzione, coi poteri occulti, coi poteri criminali. Basta con tutte le uccisioni, con tutte le persecuzioni, con tutte le sopraffazioni, con tutte le umiliazioni.

Diciamo basta oggi, che e' il primo maggio.

Poiche' il primo maggio e' il giorno di memoria e di lotta in cui le classi sfruttate, le persone oppresse, rivendicano verita' e giustizia; rivendicano liberta', uguaglianza, fraternita'; rivendicano il bene comune e la messa in comune dei beni comuni; rivendicano gli stessi diritti e gli stessi doveri condivisi fra tutti; rivendicano condivisione e responsabilita'; rivendicano che ogni essere umano in considerazione dei suoi bisogni abbia l'aiuto di tutti gli altri esseri umani e che ogni essere umano in ragione delle sue capacita' offra il suo aiuto a tutti gli esseri umani e in difesa del mondo vivente casa comune di tutti.

*

La seconda parola e': qui.

Qui a Viterbo dove l'intreccio di lungo periodo tra modello di sviluppo di servitu', sistema di potere del regime della corruzione, penetrazione dei poteri criminali ed imbarbarimento delle relazioni sociali provoca ogni giorno guasti e tragedie.

Qui in Italia dove la violenza dei padroni e dei potenti, la violenza neofascista, razzista e mafiosa, la violenza del degrado ambientale e civile provocano disperazione e morte.

Qui, in questa ora assurda dell'umanita', su questo crinale apocalittico, in questa unica fragile biosfera, nell'ora in cui occorre un impegno comune dell'umanita' per la comune salvezza.

Qui ogni persona deve ricordarsi della propria umanita', e dei propri doveri.

Lo diciamo qui, in questo giorno che e' il primo maggio.

Poiche' il primo maggio e' il giorno di memoria e di lotta in cui le classi sfruttate, le persone oppresse, rivendicano verita' e giustizia; rivendicano liberta', uguaglianza, fraternita'; rivendicano il bene comune e la messa in comune dei beni comuni; rivendicano gli stessi diritti e gli stessi doveri condivisi fra tutti; rivendicano condivisione e responsabilita'; rivendicano che ogni essere umano in considerazione dei suoi bisogni abbia l'aiuto di tutti gli altri esseri umani e che ogni essere umano in ragione delle sue capacita' offra il suo aiuto a tutti gli esseri umani e in difesa del mondo vivente casa comune di tutti.

*

La terza parola e': memoria.

La memoria delle lotte del movimento dei lavoratori per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.

La memoria delle vittime dello sfruttamento, dell'oppressione, dell'ingiustizia, dell'ignoranza, della violenza.

La memoria dunque anche di tutte le lotte per la vita, la dignita' e i diritti; e quindi la memoria delle lotte contro tutti i poteri criminali, contro tutti i poteri schiavisti, contro tutti i poteri totalitari, contro tutti i poteri corruttori; ed in questo il primo maggio si collega tanto all'8 marzo quanto al 25 aprile: e' la stessa lotta quella contro la violenza maschilista, quella contro il fascismo, quella contro lo sfruttamento e la schiavitu'. E' la stessa lotta quella della Resistenza antifascista e dei movimenti antirazzisti, antimperialisti ed anticoloniali, quella del movimento femminista, quella del movimento contadino, operaio ed ecologista, quella di tutti i movimenti di liberazione dell'umanita'.

La memoria anche, per noi oggi qui, di Alfio Pannega, il nostro compagno che ricordiamo ogni primo maggio da quando nel 2010 ci ha lasciato, ma che vive ancora e sempre nella lotta delle classi sfruttate ed oppresse, contro la guerra e contro il razzismo, per i diritti umani di tutti gli esseri umani; che vive ancora e sempre nella solidarieta' e nella responsabilita' per l'intero mondo vivente; che vive ancora e sempre nell'anima popolare di questa citta', nell'internazionale futura umanita'.

Poiche' oggi e' il giorno della memoria che lotta nel presente e costruisce il futuro, in questo giorno che e' il primo maggio.

Poiche' il primo maggio e' il giorno di memoria e di lotta in cui le classi sfruttate, le persone oppresse, rivendicano verita' e giustizia; rivendicano liberta', uguaglianza, fraternita'; rivendicano il bene comune e la messa in comune dei beni comuni; rivendicano gli stessi diritti e gli stessi doveri condivisi fra tutti; rivendicano condivisione e responsabilita'; rivendicano che ogni essere umano in considerazione dei suoi bisogni abbia l'aiuto di tutti gli altri esseri umani e che ogni essere umano in ragione delle sue capacita' offra il suo aiuto a tutti gli esseri umani e in difesa del mondo vivente casa comune di tutti.

*

La quarta parola e': nonviolenza.

La nonviolenza che e' la lotta contro tutte le violenze; per la comune liberazione; per la solidarieta' che ogni essere umano riconosce, raggiunge e sostiene; per la difesa dell'unica biosfera in cui solo possiamo vivere e di cui tutti siamo parte.

La nonviolenza che e' la lotta contro tutte le menzogne che violano la dignita' umana in cio' che ogni essere umano ha di piu' proprio e piu' caro: la capacita' di capire, l'aspirazione alla verita'.

La nonviolenza che e' da sempre la sola, vera, grande risorsa del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione.

La nonviolenza che e' il cuore della civilta' umana.

La nonviolenza che e' il bene comune in azione.

La nonviolenza che oggi deve esplicitamente divenire fondamento della societa', delle istituzioni, delle regole di condotta in ogni ambito delle relazioni umane, della necessaria e urgente riorganizzazione socialista e libertaria, femminista ed ecologista, della societa' umana tutta.

La nonviolenza e' in cammino; non solo: la nonviolenza e' la via. Questo affermiamo in questo giorno che e' il primo maggio.

Poiche' il primo maggio e' il giorno di memoria e di lotta in cui le classi sfruttate, le persone oppresse, rivendicano verita' e giustizia; rivendicano liberta', uguaglianza, fraternita'; rivendicano il bene comune e la messa in comune dei beni comuni; rivendicano gli stessi diritti e gli stessi doveri condivisi fra tutti; rivendicano condivisione e responsabilita'; rivendicano che ogni essere umano in considerazione dei suoi bisogni abbia l'aiuto di tutti gli altri esseri umani e che ogni essere umano in ragione delle sue capacita' offra il suo aiuto a tutti gli esseri umani e in difesa del mondo vivente casa comune di tutti.

 

2. MEMORIA. RICORDATO PAULO FREIRE A VITERBO, A SEDICI ANNI DALLA SCOMPARSA

 

Si e' svolto mercoledi' 2 maggio 2013 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani", un incontro in ricordo di Paulo Freire, il grande educatore brasiliano, deceduto il 2 maggio del 1997 a Sao Paulo (era nato a Recife nel 1921).

Nel corso della commemorazione sono state lette e commentate alcune pagine dalle sue opere maggiori ed e' stato evidenziato come l'azione pedagogica di Freire abbia fortemente contribuito alla lotta per la liberazione degli oppressi e per la difesa e promozione della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani; la prassi educativa di Paulo Freire e' "pratica di solidarieta' e di liberazione; azione che riconosce, sostiene e libera l'altrui e la propria umanita'; relazione di reciproca fiducia, valorizzazione e degnificazione; impegno di realizzazione della giustizia sociale, dell'eguaglianza di diritti, della convivenza responsabile; amore per la vita e per il mondo casa comune dell'umanita' intera; nonviolenza in cammino".

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Breve notizia su Paulo Freire

Paulo Freire e' nato a Recife (Brasile) nel 1921; nel 1961 ha fondato il Movimento di cultura popolare, cominciando ad elaborare ed applicare il metodo di alfabetizzazione legato al suo nome; nel 1964 dopo il colpo di stato militare e' imprigionato; successivamente e' costretto all'esilio; tra i massimi esperti di problematiche educative (con particolar riferimento al Sud del mondo), ha continuato la ricerca e l'attivita' di alfabetizzazione in varie parti del pianeta; e' deceduto nel 1997. Tra le opere di Paulo Freire: La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano 1980; L'educazione come pratica della liberta', Mondadori, Milano 1977; Pedagogia in cammino, Mondadori, Milano 1979. Cfr. anche il libro-intervista a cura di Edson Passetti, Conversazioni con Paulo Freire, Eleuthera, Milano 1996. Tra le opere su Paulo Freire: Moacir Gadotti, Leggendo Paulo Freire, Sei, Torino 1995; Leandro Rossi, Paulo Freire profeta di liberazione, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi 1998. Per un rapido avvio alla conoscenza cfr. anche Stefano Del Grande (a cura di), Memorabilia: Paulo Freire, fascicolo monografico del "Notiziario Cdp" n. 161, gennaio-febbraio 1999, Centro di documentazione di Pistoia.

 

3. INCONTRI. LA LETTERATURA LATINA DA CESARE A VIRGILIO

 

Si e' svolto la sera di giovedi' 2 maggio 2013 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di studio sulla letteratura latina da Cesare a Virgilio.

 

4. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI FEBBRAIO 2001 (PARTE QUARTA E CONCLUSIVA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di febbraio 2001.

 

5. IL NOVECENTO VISTO DALLA PACE

[Il testo seguente e' apparso su "Amici dei lebbrosi" di febbraio. "Amici dei lebbrosi" e' il mensile dell'Aifo (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau)...]

 

Ci viene formulata la domanda: se si guardasse dalla finestra della pace sul Novecento, che cosa si dovrebbe dire?

A questa domanda la prima, istintiva risposta e': un muto agghiacciato moto di orrore.

Il Novecento e' stato il secolo della guerra, dei genocidi, del dispiegamento della violenza con una estensione e profondita' tali come mai si erano dati nella storia dell'uomo e del mondo. Le immense risorse messe a disposizione dagli enormi progressi della scienza, della tecnica e dell'organizzazione sociale sono state usate prevalentemente a fini cosi' abissalmente antiumani, di devastazione ed annichilimento delle persone e della biosfera, che la disperazione e' il primo moto.

E tuttavia questa risposta, la percezione dell'orrore, e' ad un tempo assolutamente necessaria e palesemente insufficiente.

Non solo: in quanto essa si risolvesse in mera contemplazione atterrita dell'orrore, e pertanto pietrificazione dinanzi all'orrore, e dunque nei fatti si convertisse in resa all'orrore, ebbene, allora essa sarebbe una risposta non solo insufficiente, ma indegna ed iniqua, poiche' sfocerebbe in una effettuale complicita' con l'orrore (sia pure per mera omissione, e sia pure come nudo essere schiacciati e sentirsi impotenti).

Vi e' dunque una seconda necessaria risposta, che attiene alla volonta' piu' che alla percezione, che concerne la facolta' del decidersi e dell'agire oltre che la facolta' del conoscere ed interpretare; ed e' la risposta seguente: che al male occorre non arrendersi; che alla violenza occorre resistere; all'ingiustizia negare il consenso.

Tra i nomi che si possono dare a questa seconda risposta vi sono i seguenti: il principio responsabilita', la scelta della nonviolenza.

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Ma cosa e' il punto di vista della pace?

Se e' proprio di ogni essere umano percepirsi come vivente e come valore, come preziosa scintilla senziente e pensante, e quindi rivendicare a se' dei diritti, e quel diritto fondamentale che e' il diritto di esistere senza del quale nessun altro diritto puo' darsi, ebbene, ne consegue che tale diritto a tutti gli esseri umani compete e va dunque riconosciuto: "nessuno sia respinto nel nulla" ha scritto una volta Elias Canetti; "ogni vittima ha il volto di Abele", ha detto una volta Heinrich Boell. Dalla rivendicazione da parte di ognuno del proprio irriducibile diritto di vivere discende l'affermazione di tale diritto per ciascun essere umano; discende il principio fondativo di ogni civile convivere: "tu non uccidere".

Discende che la guerra, il dare la morte, ovvero il negare il soccorso e la vita, confliggono con cio' che di piu' radicale ed inalienabile, perche' appunto costitutivo, vi e' in ogni essere umano.

Ovvero: ne discende che umanita' e pace sono uno stesso concetto, e che ogni volta che contro qualcuno si rompe quel patto di mutuo soccorso che tutti gli uomini stringe, e' all'intera umanita' che si reca offesa, e a se stessi.

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Il secolo di Auschwitz e di Hiroshima

Il Novecento e' il secolo di Auschwitz e di Hiroshima.

Chi si provasse a pensare al ventesimo secolo cercando di abbracciarne con lo sguardo l'intero decorso, cogliendolo nella sua globalita' e nelle sue peculiari emergenze, nel suo completo tracciato vedrebbe io credo come una gigantesca fornace e voragine che lo frattura, vedrebbe un cratere che ancora erutta, vedrebbe l'anticreazione all'opera nel mondo.

E' il secolo che si apre con il trionfo della rapina coloniale e con la carneficina della grande guerra 1914-1918.

Ed e' il secolo che s'inabissa fino al Lager e alla Bomba.

E dopo e nonostante un lungo e contrastato sforzo dell'umanita' per risalire dal baratro della violenza e delle schiavitu' verso una vita piu' degna, e' il secolo che si chiude con un regime di apartheid planetario che condanna i quattro quinti dell'umanita' attuale a una vita di sofferenze e molti alla morte per fame e di stenti; che si chiude con una crescente devastazione di quanto vi e' di vitale e di degno nel mondo, nella natura e nella civilta'; che si chiude - tristo sigillo - con la guerra tornata fin nel cuore dell'Europa (ovvero di una delle aree privilegiate del mondo, nella cittadella del nord ricco, e ricco certo perche' secolare rapinatore e oggi altresi' sfacciato usuraio), con guerre in cui sono riemersi il razzismo genocida e le armi atomiche, mentre negli sterminati sud del mondo le guerre e la fame ed i morti per le strade sono la realta' quotidiana di un "disordine costituito" mondiale che senza infingimenti, ed anzi celebrandosi come culmine della storia, saccheggia interi continenti e sacrifica chi vi vive.

Cosicche' si torna ad Auschwitz, a Hiroshima: cifra ed emblema del secolo che muore, e sinistro presagio, truce eredita'. Io scrivo queste righe e provo orrore.

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Resistenza e apertura nonviolenta

Ma il Novecento e' stato anche altro: donne e uomini vi sono stati che hanno spezzato secolari catene; donne e uomini vi sono stati che si sono opposti alla violenza in nome dell'umanita'; donne e uomini splendenti di dignita', portatori di speranza: nel loro camminare eretti, portatori di concreta utopia, profeti e prefigurazione di un'umanita' di liberi ed eguali.

Il Novecento e' stato il secolo dell'orrore e della resistenza all'orrore; dell'inesorabile disperazione e dell'inesauribile speranza; delle tenebre piu' profonde e delle piu' fulgide luci sorte a contrastarle.

Vi e' stato Auschwitz: ma vi e' stato anche Primo Levi, che Auschwitz ed i suoi autori ha sconfitto per sempre nel cuore e nelle menti di chiunque abbia letto i suoi libri, si sia accostato alla sua testimonianza.

Vi e' stata l'atomica su Hiroshima e Nagasaki: ma vi e' stato anche Guenther Anders che l'eta' atomica ha totalmente smascherato e ci ha dato ragioni e strumenti per lottare contro l'orrore impensabile e concreto che ci supera ed annichilisce e che pure possiamo e dobbiamo contrastare.

Vi e' stata la guerra: ma vi e' stato anche Mohandas Gandhi che ci ha dimostrato che e' possibile lottare contro di essa nel modo piu' limpido ed intransigente, e ci ha proposto la rivoluzione necessaria per cambiare il corso della storia: la nonviolenza, che e' la forza della verita', la forza dell'amore.

L'apartheid trionfa tuttora su scala planetaria: ma Nelson Mandela ci ha dimostrato che se un uomo di volonta' buona sa dire di no, e sceglie nitida la lotta per la dignita' di ognuno e di tutti contro ogni servitu', allora l'umanita' e' invincibile.

L'oppressione di genere ancora dimidia e squarcia l'umanita': ma Virginia Woolf ci ha spiegato che chi per secoli ha avuto la lingua tagliata reca in se' saggezza, verita' ed amore sufficienti a rovesciare il mondo rovesciato.

La distruzione della biosfera divora irreversibilmente risorse insostituibili: ma Vandana Shiva ci ha fatto vedere che se una popolazione sa abbracciare gli alberi essa salva gli alberi e se stessa.

E' stato il secolo del totalitarismo, implicito tanto nel primato della tecnica come nelle ideologie del suolo e del sangue come nei miti della redenzione attraverso la denegazione ed il sacrificio del diverso; il totalitarismo ai cui idoli hanno sacrificato signorie illustrissime, e sui cui altari sono state arse seminagioni intere di uomini e donne innocenti. Ma contro il totalitarismo sono insorti  avversari coraggiosi, donne e uomini che quando tutto sembrava perduto hanno saputo tutto salvare e sia pure al prezzo della propria stessa vita: gli infiniti martiri di tutte le Resistenze, cui scrivendo queste parole ancora ci inchiniamo memori e grati.

La morte e' stata eretta a dea e padrona (da Heidegger alle SS, il Novecento e' stato un secolo follemente necrofilo), ma e' stata combattuta sul piano teorico e pratico da tanti generosi.

Il mondo e' stato incendiato dalle ideologie dell'esclusione e della sopraffazione: ma vi e' stato anche Ernesto Balducci e la sua proposta dell'uomo planetario; ma vi e' stato anche Emmanuel Levinas e la sua responsabilita' dinanzi al volto muto e sofferente dell'altro.

L'orgia della cultura consumista che tutto divora ed in primo luogo la nostra coscienza: ma di contro anche la riflessione di Hans Jonas ed il suo "principio responsabilita'", ed il lavoro concreto ed efficace di esperienze come quella del Centro Nuovo Modello di Sviluppo.

La disumanizzazione: ma vi e' stato anche Franco Basaglia e la sua lotta luminosa per restituire umanita' a coloro cui era stata negata.

Cosi' il Novecento non e' solo il secolo dell'orrore, ma anche il secolo della resistenza all'orrore. Non e' solo il secolo delle guerre, ma anche il secolo della resistenza alle guerre. Non e' solo il secolo della disperazione, ma anche il secolo della speranza e della responsabilita'. E' il secolo di Auschwitz e di Hiroshima, ed e' il secolo della Resistenza e dell'inizio della lotta nonviolenta per un'umanita' di liberi ed eguali.

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Miti, retoriche, ideologie: la complicita' con l'orrore

Ci viene proposta una domanda sul ruolo che nel dispiegarsi della violenza abbiano i miti, le retoriche, le ideologie; di come la dimensione del sacro si leghi a quella della violenza; di come le chiese e le agenzie educative (ma tra le chiese e le agenzie educative possiamo collocare altresi' i movimenti politici, i mass-media, e una serie infinita di "-ismi" e di istituzioni) possano venir arruolate nelle fila degli eserciti e dei torturatori.

Domande che fanno tremare le vene e i polsi. Poiche' invero questo e' accaduto: che i miti delle origini come quelli del progresso abbiano prodotto stragi infinite; che le retoriche dell'identita' e della supremazia abbiano spinto ad uccidere il diverso da se'; che le ideologie abbiano trasformato seguaci di idee in assassini spietati; che sacro e violenza si siano spesso stretti in un nodo scorsoio; che quasi ogni chiesa abbia sacrificato a dei assetati di sangue, e quasi ogni agenzia educativa abbia insegnato quella sola corrotta virtu': l'obbedienza, che tutto travolge, e giustifica ogni abominio. Invero tutto questo e' accaduto. E l'umana ragione troppo fragile schermo e' stata, e l'umana solidarieta' non ha saputo essere difesa efficiente o rimedio adeguato.

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Ma anche: racconto, comunicazione, condivisione

Invero questo e' accaduto ed e' quindi legittimo avere in sospetto i miti, le retoriche, le ideologie, ed il sacro, e le chiese e le scuole. Ma si e' anche dato il contrario.

Si e' dato il raccontare che istituisce fraternita' ed umanita' effonde e riscatta: si pensi al raccontare e alla riflessione sul raccontare di Primo Levi; si pensi alla trasmissione del sapere attraverso le generazioni nel racconto orale che ci scalda intorno al fuoco e piu' del fuoco nel freddo e nel buio della notte.

E le retoriche possono anche essere coscienza che comunicare e' difficile e richiede consapevolezza, concentrazione, responsabilita'; e che nell'interazione sociale invece di vincere si puo' convincere (vincere insieme); ed essere dunque coscienza del dubbio, arte di prudenza, atteggiamento di ascolto, e base, canale, strumento di democrazia, di civile convivere e condursi.

E le ideologie oltre che falsa coscienza ed alienazione (l'analisi insuperata di Marx) possono essere anche una richiesta e uno sforzo di rendersi conto e di dare ragione, una ricerca comune (la "religio", come legame, collegamento, discorso comune tra gli uomini).

E le chiese, le comunita', le "ecclesie" (includendo quindi tra esse ogni forma di comunita' tenuta insieme da valori, interessi, bisogni comuni e profondi) possono anche essere convivenza solidale, condivisione del pane, una legge che non opprime ma sostiene e libera, e si fondino pure su sogni e illusioni: non sono forse sogni e illusioni tanta parte della stoffa di cui consistiamo?

E le agenzie educative (dalla scuola al partito politico, dal lavoro alla comunita' scientifica, dalle infinite sedi della socializzazione al movimento di rivendicazione) possono anche trasmettere esperienze e saggezza, essere ricerca comune ed educazione reciproca: coscientizzazione (Paulo Freire).

In breve: e' la volonta' degli uomini che decide; il male non e' mai necessario: ed a tutti e' dato, sempre, di contrastarlo.

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Gli uomini ora sanno

E comunque noi oggi sappiamo: sappiamo, ce lo ha spiegato Primo Levi, che la strada dell'ossequio e del consenso e' senza ritorno, e porta ai campi di sterminio. Sappiamo, lo ha ripetuto tante volte Mohandas Gandhi, che il potere oppressivo si regge anche sul consenso delle vittime e sull'indifferenza di chi sta a guardare. Sappiamo, lo scrisse memorabilmente Lorenzo Milani, che l'obbedienza non e' piu' una virtu', ma la piu' subdola delle tentazioni, e che ognuno deve sentirsi l'unico responsabile di tutto. Gli uomini ora sanno. Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.

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Le tre verita' di Hiroshima

Nel 1981 aprendo un celebre convegno di "Testimonianze" sul tema Se vuoi la pace, prepara la pace, Ernesto Balducci (uno dei piu' lucidi e limpidi costruttori di pace di questo secolo) pronuncio' un forte discorso. In esso enuncio' quelle che chiamo' "le tre verita' di Hiroshima". Rileggiamo le sue parole.

"La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu' recente e piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e' ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno piu' la coscienza tranquilla.

La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e' arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita' distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo che la sfera della morale e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita'.

La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe' come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento" fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell'accadimento".

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Un messaggio da Assisi: sei impegni per la pace

Il 24 settembre 2000 si e' svolta, promossa dai movimenti nonviolenti, una marcia da Perugia ad Assisi contro tutti gli eserciti e le guerre. Ai partecipanti si chiedeva l'adesione e l'impegno personale sui sei punti del "Manifesto 2000 per una cultura della pace e della nonviolenza" lanciato dai Premi Nobel per la Pace; e' un programma che ci pare opportuno proporre alla lettura e alla riflessione.

"1. Rispettare ogni vita. Rispettare la vita e la dignita' di ogni essere umano senza alcuna discriminazione ne' pregiudizio;

2. Rifiutare la violenza. Praticare la nonviolenza attiva, rifiutando la violenza in tutte le sue forme: fisica, sessuale, psicologica, economica e sociale, in particolare nei confronti dei piu' deboli e vulnerabili, come i bambini e gli adolescenti;

3. Condividere con gli altri. Condividere il mio tempo e le risorse materiali coltivando la generosita', allo scopo di porre fine all'esclusione, all'ingiustizia e all'oppressione politica ed economica;

4. Ascoltare per capire. Difendere la liberta' di espressione e la diversita' culturale, privilegiando sempre l'ascolto e il dialogo senza cedere al fanatismo, alla maldicenza e al rifiuto degli altri;

5. Preservare il pianeta. Promuovere un consumo responsabile e un modo di sviluppo che tengano conto dell'importanza di tutte le forme di vita e preservino l'equilibrio delle risorse naturali del pianeta;

6. Riscoprire la solidarieta'. Contribuire allo sviluppo della mia comunita', con la piena partecipazione delle donne e nel rispetto dei principi democratici, al fine di creare, insieme, nuove forme di solidarieta'".

Se una lezione e un programma di lavoro dall'esperienza del secolo che si e' concluso possiamo trarre, ci pare che nelle parole di Balducci e nell'appello dei Premi Nobel per la Pace se ne possa trovare una traccia. E dunque al lavoro.

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Per saperne di piu': una bibliografia essenziale

E' difficile restringere in pochi libri fondamentali le mille fonti a cui ci si puo' alimentare. Dovessimo fare una scelta radicale ed indicarne uno solo, esso sarebbe: Primo Levi, I sommersi e i salvati, edito da Einaudi. Ma per fortuna e' ragionevole supporre che chi legge queste righe abbia desiderio di conoscere piu' persone, piu' riflessioni, piu' libri. E dunque ecco un percorso minimo in sette punti.

1. Quattro pensatori fondamentali, che poi sono quattro pensatrici, ed e' sintomatico che le riflessioni e le parole decisive nel Novecento ci pare le abbiamo scritte delle donne: Virginia Woolf, e particolarmente Le tre ghinee (utile anche la biografia scritta da Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti). Hannah Arendt, e particolarmente Le origini del totalitarismo, Comunita'; Vita activa, Bompiani; La banalita' del male, Feltrinelli; Sulla rivoluzione, Comunita'; La vita della mente, Il Mulino (utile la biografia scritta da Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt. Per amore del mondo, Bollati Boringhieri). Simone Weil, di cui va letta tutta l'opera ed in particolare almeno i quattro volumi dei Quaderni, Adelphi (utile la biografia scritta dalla sua amica Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi). Vandana Shiva, la grande scienziata e filosofa indiana impegnata nei movimenti ecologisti, femministi, per i diritti dei popoli e delle persone, di cui in italiano sono disponibili Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, e Monocolture della mente, Bollati Boringhieri.

2. Per l'analisi del Novecento, su aspetti specifici e cruciali, indichiamo tre autori, ovviamente rinunciando ad infiniti altri: Franz Kafka, e non c'e' bisogno di spiegare perche', basta leggerlo. Sulla guerra e la sofferenza delle classi popolari: Nuto Revelli (nato a Cuneo nel 1919, ufficiale degli alpini nella tragedia della campagna di Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura contadina e delle sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le sue opere non sono letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido impegno civile, e limpida guida morale, si leggano tutte: La guerra dei poveri, La strada del davai, Mai tardi, L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto; sono tutte pubblicate presso Einaudi). Sui poteri criminali, punta di lancia della cosiddetta "globalizzazione", decisiva e' l'opera di Umberto Santino (e tra i suoi lavori particolarmente: La mafia finanziaria, in La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato; La violenza programmata, Angeli; L'impresa mafiosa, Angeli; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti). Certo, occorreva citare anche Eric J. Hobsbawm, Juergen Habermas, Immanuel Wallerstein, George Steiner e tanti altri.

3. Sulla Shoah: almeno Primo Levi, di cui occorre leggere tutto.

4. Sulla condizione atomica: ovviamente Guenther Anders; Robert Jungk; i capolavori teatrali di Samuel Beckett; e di Friedrich Duerrenmatt, I fisici, Einaudi.

5. Sul rapporto Nord/Sud e la cosiddetta globalizzazione: di Eduardo Galeano, Memoria del fuoco, Sansoni; A testa in giu', Sperling & Kupfer. Tutte le opere del "Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano (PI) e di Francesco Gesualdi. Ed occorreva citare ancora almeno Samir Amin,  Enrique Dussel, Susan George. Ma basta cosi'.

6. Sulla guerra e sulla pace: Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato.

7. Sulla dignita' umana, la responsabilita', la nonviolenza: appena un elenco di autori: Franco Basaglia, Elias Canetti, Emmanuel Levinas, Hans Jonas, Mohandas Gandhi, Aldo Capitini, Danilo Dolci.

*

Risorse nella rete telematica

Segnaliamo soltanto tre siti tra i piu' utili ed interessanti:

- www.peacelink.it : e' il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un riferimento fondamentale.

- www.nonviolenti.org : e' il sito del Movimento Nonviolento.

- www.unimondo.org : e il supersito di Unimondo, che collega a molte esperienze di pace e di solidarieta'.

 

6. L'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA DELLE MONGOLFIERE PER LA PACE (PARTE TERZA E FINALE)

[Riproduciamo qui la terza ed ultima parte (le precedenti abbiamo riprodotto nei notiziari dei giorni scorsi) della "Documentazione sull'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace con cui bloccare i decolli dei bombardieri (che vale anche come esortazione alla nonviolenza e come piccola guida pratica per agire se si dovesse nuovamente presentare la necessita' di fermare stragi in corso e di difendere la legalita' costituzionale)" gia' diffusa a suo tempo nella rete telematica]

 

19. Mongolfiere per la pace (20 settembre 2000)

Una tecnica nonviolenta per contrastare operativamente la guerra, per la prima volta sperimentata lo scorso anno.

Per uscire dalla subalternita' ed opporsi concretamente alla guerra con la "nonviolenza dei forti".

Vorremmo segnalare e proporre alla riflessione una nuova tecnica nonviolenta per la prima volta sperimentata lo scorso anno ad Aviano per ostacolare i decolli dei bombardieri. La tecnica nonviolenta delle mongolfiere per la pace.

Si tratta di una modalita' concreta ed efficace di opposizione alla guerra, che non si limita alla testimonianza simbolica ma contrasta operativamente la macchina bellica.

Elaborata dal "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo nel periodo della guerra illegale e stragista del 1999, sperimentata efficacemente per alcune ore ad Aviano in quel tragico frangente, essa si fonda sulla consapevolezza che l'unico momento in cui e' possibile opporsi efficacemente ai bombardieri stragisti con un'azione nonviolenta senza mettere in pericolo la vita di alcuno e' quello immediatamente antecedente il decollo: si tratta cioe' di impedire il decollo dei bombardieri.

Essendo le basi aeree militari in periodo di guerra evidentemente non penetrabili senza mettere in pericolo la vita di alcuno, l'unica possibilita' nonviolenta concreta e praticabile di impedire i decolli consiste nell'ostruire lo spazio aereo circostante e sovrastante le piste di decollo con oggetti che ingombrino lo spazio, ostacolino la visuale, disturbino sensibilmente i congegni elettronici della base e degli aerei.

Di qui l'idea delle mongolfiere per la pace, ovvero l'occupazione dello spazio aereo intorno e sopra le basi militari cosi' da effettivamente ostacolare ed impedire il decollo dei bombardieri.

Tali mongolfiere, realizzate con materiali di costo assai basso, non inquinanti, controllate con la tecnica del "pallone frenato" affinche' non possano provocare pericoli a persone o beni altrui, recanti piccoli componenti metallici di disturbo per le apparecchiature elettroniche militari, possono efficacemente contrastare i decolli dei bombardieri.

Segnaliamo en passant che l'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace e' stata l'unica azione in Italia che ha contrastato operativamente la guerra lo scorso anno; l'unica che si e' contrapposta materialmente sul piano strategico, tattico, logistico e per cosi' dire "sul terreno", alla macchina bellica; l'unica non meramente simbolica o finalizzata alla visibilita' sui mass-media, bensi' pensata e realizzata come intervento concreto ed efficace nel conflitto, come azione di contrasto reale alla guerra; appunto come intervento pratico della nonviolenza per fermare eserciti e stragi; l'unica in una logica non vittimistica, bensi' intesa come "nonviolenza dei forti" che combatte nonviolentemente contro la guerra ed i suoi apparati per sconfiggerli sul campo e renderli impotenti.

Naturalmente questa tecnica nonviolenta richiede, per essere applicata, piena e pienamente consapevole assunzione personale di responsabilita', limpidezza di condotta ed assoluta fedelta' alla nonviolenza da parte di chi la utilizza.

Lo scorso anno raccogliemmo alcuni materiali relativi a questa proposta ed esperienza in una "Guida pratica all'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace con cui bloccare i decolli dei bombardieri".

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20. Da "In cammino verso Assisi" n. 27 del 23 settembre 2000

Chi scrive queste righe e' da tempo persuaso della necessita' che la nonviolenza divenga l'asse dell'impegno politico (e non solo sociale e culturale), e che si sviluppi una riflessione ed una prassi ad essa ispirata che sappiano essere concreto intervento, lotta incessante, affermazione limpida e persuasa di umanita' nel vivo del conflitto, contrastando la violenza ovunque essa operi e comunque si mascheri. La nonviolenza e' lotta, se non e' lotta non e' affatto. La nonviolenza e' la scelta del rigore intellettuale e morale, o non e'. La nonviolenza e' l'unica scelta che invera pace, democrazia, diritti umani e difesa della biosfera, che afferma la coerenza tra mezzi e fini, che riconosce la dignita' di tutti, che istituisce una convivenza non oppressiva, che rompe incessantemente le complicita' con l'ingiustizia, che suscita la rivolta contro il male, che chiama incessantemente alla responsabilita' ed alla solidarieta'. Vale la pena farne misura e strumento del nostro agire, e specchio al nostro riflettere.

Ma ancora una parola sentiamo che va detta: c'e' un trauma che occorre saper dichiarare e discutere, per elaborarne il lutto e per ricavarne ammaestramenti necessari ed urgenti: la vicenda della guerra dello scorso anno e la correlata catastrofe del movimento pacifista in Italia. Ci si permetta di esprimere una nostra franca opinione, che offriamo quale semplice contributo ad una discussione che ci sembra improcrastinabile.

La guerra balcanica del 1999 non e' stata soltanto un eccidio barbarico, per eseguire il quale e' stata altresi' infranta la nostra Costituzione italiana, e con essa la carta delle Nazioni Unite ed i cardini stessi del diritto internazionale; e' stata anche la catastrofe di una cultura, di un comune sentire e di una esperienza organizzata, quella del pacifismo italiano come movimento di massa e orientamento diffuso cosi' come lo avevamo costruito, sviluppato e verificato a partire da quel grande momento di verita' e di ricerca che fu l'opposizione ai missili nucleari a Comiso vent'anni fa, quando culture diverse si incontrarono e si riconobbero e trovarono un forte elemento di coesione proprio nell'incontro con la nonviolenza (sebbene per molti limitatamente al suo aspetto meramente metodologico, di repertorio di strategie e di tecniche, e quindi con un fraintendimento, un'ambiguita' di fondo).

Ebbene, quel movimento pacifista e' crollato alla prova della guerra dei Balcani.

Abbiamo piu' volte proposto la nostra analisi di questo collasso; qui ne riassumiamo di scorcio i termini essenziali.

Da un lato ha clamorosamente rivelato la sua inanita' il pacifismo parastatale e burocratico, subalterno e incapace a contrastare frontalmente il governo guerriero, stragista e fuorilegge, e ad opporsi operativamente alla macchina bellica che dispiegava la sua furia.

Dall'altro ha dimostrato definitivamente agli occhi di tutti la sua inammissibilita' morale ed intellettuale, ed il suo esito nichilista, il preteso pacifismo urlatore ed ambiguo, quello che si dichiara contro la pena di morte, ma quando gli assassini sono "amici" e "liberatori" allora non sono assassini ma "giustizieri" e vanno osannati; quello che e' contro la guerra, ma quando a fare la guerra sono "i nostri compagni" allora la guerra e' "giusta e necessaria", e cosi' via in un'orgia di retorica oscena e scellerata. Questo sedicente pacifismo in realta' e' omologo nei suoi fondamenti e nei suoi esiti ai poteri che dichiara di combattere: e' omologo a chi glorifica le uccisioni "in nome di Dio" o della patria o della purezza o di altre ideologie adoratrici della morte; e' omologo alla Nato che commette stragi "in nome dei diritti umani". E dunque non e' lotta per la pace, ma qualcosa d'altro e di oscuro.

Nel 1999 era possibile contrastare efficacemente la guerra ed occorreva farlo qui, in Italia, di dove il grosso dei bombardieri stragisti decollava a recar morte alle genti balcaniche: ma occorreva aver fatto la scelta della nonviolenza, occorreva l'azione diretta nonviolenta per bloccare concretamente i decolli dei bombardieri. Era possibile riuscirci: per poche ore ad Aviano ci siamo riusciti con l'azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere per la pace". Se invece di essere poche persone, fossimo stati in migliaia, avremmo fermato la guerra (fosse pure solo in parte e per poco, ed al prezzo di innumerevoli fermi e denunce ed arresti di militanti rigorosamente nonviolenti), dimostrando che la nonviolenza puo' essere piu' forte della macchina bellica, dimostrando che la nonviolenza non e' testimonianza vittimistica, ma lotta la piu' rigorosa e concreta, che alla violenza ed ai suoi apparati si oppone in campo aperto, operativamente, per fermarla e sconfiggerli.

Ma la guerra non fu fermata, la legalita' costituzionale non fu adeguatamente difesa, perche' la gran parte del movimento pacifista italiano era interessata ad altro: a comparire in televisione, a coltivare carriere, ad occhieggiare le elezioni, a buscare una fetta di "aiuti" da gestire, a recitare le predicazioni vaniloquenti e le squallide e sciagurate simulazioni delle guerriglie nei week-end, a contrattare qualche prebenda o anche solo a sgravarsi la coscienza facendo qualche allegra marcetta o qualche nobile mozione o qualche idiota e criminale sassaiola.

E la guerra non fu fermata perche' la gran parte del movimento pacifista italiano era ambiguo sulla violenza; ed invece solo con la scelta della nonviolenza si poteva fronteggiare e contrastare la macchina bellica; si', solo con la nonviolenza era possibile affrontare sul terreno, operativamente, la macchina bellica e riuscire ad infliggerle una sconfitta.

La nonviolenza resto' minoritaria, incompresa, irrisa perfino (e pago' lo scotto altresi' della confusione e delle piccinerie che regnano tra gli stessi amici della nonviolenza, che sovente confondono nonviolenza e buone maniere, nonviolenza e mero volersi bene, nonviolenza e astensione, la nonviolenza riducendo a devozione privata cosi' denegandone la decisiva dimensione di lotta di massa, di "omnicrazia" per dirla con Capitini). Ed il movimento pacifista fu annientato dalle sue stesse ambiguita', dalla sua stessa pusillanimita'.

Lo scriviamo per l'ennesima volta: di questo dovremo pur ragionare una buona volta: altre guerre si preparano, e o si avra' la capacita' di costruire un movimento di massa fondato sulla nonviolenza che la guerra contrasti concretamente, oppure si continuera' a recitare il pacifismo, e si restera' di fatto complici e scimmie degli stragisti. O si comincia davvero a contrastare praticamente, operativamente, gli eserciti e le armi, le guerre e le violenze, oppure meglio sarebbe starsene zitti.

*

21. Una opportuna postilla

Per una riflessione piu' approfondita sulla nonviolenza rinviamo al nostro lavoro La nonviolenza contro la guerra, scaricabile dal sito di Peacelink.

Sempre su Peacelink e' presente la stesura aggiornata al 1999 del nostro lavoro Uomini di pace.

Ulteriori materiali per la formazione alla nonviolenza abbiamo pubblicato negli ultimi mesi nella mailing list "pace" di Peacelink: un punto di partenza per ulteriori ricerche possono essere i 27 fascicoli del notiziario "In cammino verso Assisi" (in particolare il n. 26, del 22 settembre 2000, reca un'ampia bibliografia introduttiva sulla nonviolenza; il n. 27, del 23 settembre, un elenco di siti utili di movimenti nonviolenti o vicini alla nonviolenza).

 

7. SORRISI E CANZONI

 

Nelle settimane e nei giorni scorsi alcuni carissimi amici di altre citta' hanno avuto la bonta' di voler contestare in modo esplicito e puntuale alcune mie opinioni, del che li ringrazio, anche se forse tendono un po' a sopravvalutarmi.

Infatti quando si redige un foglio, anche leggero come questo, spesso chi lo compila si assume l'onere di rappresentare posizioni che riequilibrino per cosi' dire gli interventi altrui per offrire ai lettori una gamma piu' ampia di posizioni e talune durezze relativizzino (o dialettizzino, se possiamo tornare al gergo della nostra lontana gioventu' studiosa e militante), cosicche' nelle cose che si scrivono si appare forse piu' ingenerosi e catafratti di quel che non si sia, ma cio' accade perche' quei testi assumono come parte di se' i testi altrui che insieme ad essi si presentano.

Poiche' mi dispiacerebbe se si avesse il dubbio che io non apprezzassi i ragazzi dei centri sociali in cio' per cui vanno apprezzati (e non e' poco), vorrei essere chiaro: provo stima ed affetto per loro per molte cose che essi dicono e fanno, e proprio per questo avverso e contesto nettamente ed esplicitamente cio' che del loro agire e riflettere mi pare sbagliato, proprio perche' non li sento estranei ma vicini, e vorrei quindi, fraternamente, che non sbagliassero, che non dicessero o facessero sciocchezze e peggio.

Inoltre: trovo non sorprendente ma ameno che agli amici della nonviolenza sovente si chieda di non esprimere con chiarezza e rigore le loro opinioni, in nome di una mistificata e caricaturale immagine della nonviolenza come sottomissione a tutte le castronerie: io credo che amico della nonviolenza sia colui che rompe la complicita' con tutte le violenze e le menzogne, e quindi abbia non solo il generico diritto ma anche il dovere specifico di criticare l'agire altrui e di esprimere nette le opinioni proprie, ferma restando la consapevolezza di potersi sbagliare.

Mi duole se uso adesso un argomento retorico sgradevole, ovvero l'intrusione della personale esperienza in un ragionamento che vuol essere di carattere generale, ma per capire il senso che si da' alle parole e' utile sapere, come dire, da quale pulpito venga la predica.

All'incirca un quarto di secolo fa ho subito un pestaggio da una "squadretta" di fascisti (erano ragazzi: non si rendevano conto che con un colpo dato male potevano ammazzarmi); anni dopo dinanzi ai cancelli del cantiere di Montalto da una carica dei carabinieri sono stato, diciamo cosi', piuttosto maltrattato (erano ragazzi: e credo fossero anche ubriachi dopo una notte insonne e sicuramente confusi e forse impauriti, ma quando sei rovesciato a terra coi calci dei fucili sopra la testa ti dispiace e spaventa pensare che basta che un giovinotto irresponsabile calchi troppo il suo legno e tu svanisci per sempre).

Cosicche' quando insisto affinche' nelle manifestazioni di massa non si commettano idiozie e' perche' so quanto facile sia che qualcuno perda il controllo e faccia del male ad altri in modo irreversibile; e' quando ti trovi per terra e sulla tue testa piovono colpi che impari subito quanto poco basti a spaccarti la calotta cranica e a rubarti per sempre la vita: non voglio che nessuno si trovi in questa situazione.

Eppure voglio che si possa manifestare perche' manifestare si deve: ma chi promuove le iniziative deve fare tutto quanto e' in suo potere (ripeto: tutto quanto e' in suo potere) affinche' nessuno subisca dei danni nel suo corpo e nella sua dignita'.

Questo e' il mio semplice punto di vista.

Per questo chiedo che a Genova per contestare il vertice del G8 si manifesti esclusivamente e dichiaratamente e consapevolmente in modo nonviolento.

Quanto ai centri sociali: ho l'onore di essere il primo dei denunciati e condannati per l'occupazione di un'area pubblica abbandonata da cui e' nato il centro sociale occupato autogestito della citta' in cui vivo. In quel centro sociale, che e' in assoluto il luogo che frequento di piu' dopo casa mia, mi sono battuto affinche' in un dibattito esplicito e senza reticenze venissero sconfitte le posizioni di chi si lascia ubriacare dalla violenza e dai deliri e dalle astrattezze che mettono capo a crimini e follie; e da anni il CSOA "Valle Faul" e' un centro sociale che ha fatto la scelta, meditata ed impegnativa, della nonviolenza. E non mi pare cosa piccina.

E dunque mi permetto di essere franco, di chiedere a tutti rigore logico e morale, coerenza tra le idee, le parole, le azioni: chi lotta per l'umanita', l'umanita' deve avere a cuore nelle persone concrete dei singoli esseri umani, poiche' al di la' delle singole esistenze personali altra umanita' non vi e'.

E dunque nella lotta per la giustizia e per la dignita' (o per la liberazione degli oppressi, o per l'uguaglianza, o come altrimenti si vuol dire) occorre adottare valori, tecniche, strategie coerenti con il fine: valori, tecniche, strategie che sono quelli della nonviolenza. Cosi' mi sembra, cosi' dissi. E grazie a tutti per l'attenzione.

E mi si perdoni il piccolo trucco del titolo, viziaccio di vecchi retori da piazza.

 

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

9. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1263 del 3 maggio 2013

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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