Coi piedi per terra. 760



 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 760 del primo maggio 2013

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di novembre 2000 (parte quinta)

2. Il vocabolario di Scarpantibus: famiglia

3. Un commento sincero e rispettoso muovendo da alcune parole del papa

4. Proposte di lettura: Bateson, Bookchin, Feyerabend

5. Il vocabolario di Scarpantibus: cavatine, comunicare, divertimento, normale, passatempo, progresso, ricreazione

6. La testimonianza di Nuto Revelli

7. L'opera di Gene Sharp sull'azione nonviolenta

8. Materiali da training nonviolenti tenuti a Viterbo nel 1998

9. Leggendo il Vangelo nel centro sociale occupato

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI NOVEMBRE 2000 (PARTE QUINTA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di novembre 2000.

 

2. IL VOCABOLARIO DI SCARPANTIBUS: FAMIGLIA

 

Famiglia: istituzione veneranda fin dall'antichita'. I greci (e daje co' 'sti greci), che essendo notoriamente astuti perdigiorno, e contentandosi di poco, ed essendo per sovrappiu' schiavisti, avevano parecchio tempo per pensare e raccontarsi storie, per riflettere e cianciare sulle origini di se medesimi e dei loro istituti avevano due cicli narrativi fondamentali, o se si vuole tre (che fungevano da repertorio di problemi e soluzioni).

Nel primo, per le mene di divinita' vanesie, una moglie e' rapita da un remoto principotto a un re che la rivendica come sua proprieta'; se ne scatena una guerra che dura dieci anni, distrugge una citta', provoca stragi inaudite e finisce in un rogo e in infiniti stupri (e, conseguenzuccia minore, nella fondazione della letteratura europea).

Nel secondo (che del primo e' piu' antico e piu' radicale) un padre re affida il figlio a un servo affinche' lo ammazzi, ma il figlio sopravvive e cresciuto ammazza ignaro il padre e ignaro si giace con la madre e dopo aver salvato la sua citta' da un mostro che reca un enigma (e il mostro dell'enigma del mostro e': l'uomo) alla sua citta' reca la peste, e quando un uomo che e' stato anche donna gli rivela la sua verita' si accieca e lascia in eredita' una scia di devastazione e di orrori; i figli maschi si ammazzano l'un l'altro, una figlia per dar sepoltura a quei fratelli vien condannata a morte dallo zio prossimo a divenirle suocero, ma il figlio di quello zio che quella pietosa sorella ama perde a causa di cio' la vita e cosi' sua madre di quello zio moglie. E ci possiamo fermare qui, direi.

Nel terzo, il padre del padre degli dei divora i figli che genera con sua moglie, finche' essa uno ne salva dal pasto dell'orco e quel figlio appena cresciutello uccide il padre e si fa re degli dei e sposa sua sorella e infinite donne stupra, e si chiama  Zeus, Zeus salvatore e vittoria, come gridavano i guerrieri greci muovendo a battaglia.

Avevano le idee chiare su cosa fosse il venerando istituto della famiglia, i venerandi greci antichi.

E qui Scarpante strizza l'occhio e aggiunge: vogliamo partire invece dai primi fratelli del biblico racconto? O dai figli della lupa? O pescare dal mazzo della tumultuante folla scespiriana? O per venire ai nostri giorni, e alle nostre notti, muovere dalle analisi di Freud e di Palo Alto, di Laing e di Cooper? Eh, ce ne sarebbero da raccontare. E allora, famiglia o non famiglia, cerchiamo di volerci un po' di bene, e se proprio non ci riusciamo tentiamo almeno di portar l'uno per l'altro se non benevolenza almeno pazienza e rispetto, che la vita e' gia' tanto penosa, questa sguaiata ed ignobile farsa senza un filo di ironia e stracolma di patiboli.

 

3. UN COMMENTO SINCERO E RISPETTOSO MUOVENDO DA ALCUNE PAROLE DEL PAPA

[Dal nostro buon amico, e prudente ragionatore, e tumultuoso retore Giobbe Santabarbara, riceviamo e volentieri pubblichiamo]

 

Leggo che domenica 19 novembre, durante l'omelia del "giubileo dei militari", Giovanni Paolo II avrebbe detto testualmente: "Dopo il fallimento degli sforzi della politica e degli strumenti di difesa nonviolenti, l'ingerenza umanitaria rappresenta l'estremo tentativo per arrestare la mano dell'ingiusto aggressore".

Ho letto anche che sull'interpretazione di queste parole si e' aperta una riflessione che, semplificando, ha dato luogo ad un ampio ventaglio di interpretazioni e commenti dislocatisi tra due posizioni estreme: quella di chi ha apprezzato quelle parole come riconoscimento della priorita', per cosi' dire quantomeno cronologica, degli "strumenti di difesa nonviolenti" rispetto all'intervento militare, e quella di chi ha rilevato non solo la riconferma della giustificazione della guerra come "extrema ratio", ma anche l'accoglimento della mistificazione della guerra travestita da "ingerenza umanitaria" (parlare di "ingerenza umanitaria" in presenza dei, ed in relazione ai, poteri militari questo precisamente lascia intendere).

Fermo restando che ambedue queste letture sono possibili, e che peraltro sia l'una che l'altra possono agevolmente appoggiarsi a precedenti pronunciamenti teorici ed a precedenti prese di posizione pratiche dell'autore commentato; e dato per scontato che a voler essere esegeti puntigliosi e fin causidici anche su altre locuzioni del passo si potrebbe riflettere e fin disputare, in particolare su quella "ingiusto aggressore" (altri ha osservato: esiste forse un aggressore giusto?; ma noi preferiamo ritenere che l'aggettivo sia stato usato come semplice rafforzativo della condanna morale dell'aggressore, di ogni aggressore); vorremmo qui proporre un altro punto di vista come piccolo contributo ad una comune riflessione.

Lo facciamo in tutta modestia, grati a chi ce ne ha offerto l'occasione, e con alcune necessarie premesse:

a) chi scrive queste righe non e' un credente, quindi intervenendo in questo dibattito lo fa da persona per cosi' dire esterna ai costumi della casa, e dunque entrandovi in punta di piedi; ma ritiene che il tema tutti riguardi, e ritiene la voce del papa una voce autorevole e le sue parole degne di riflessione e discussione;

b) ovviamente chi scrive queste righe rispetta ed apprezza i convincimenti di fede e le varie tradizioni religiose, di cui ritiene di dover valutare positivamente quanto esse arrecano di buono (ed e' molto), e di dover criticare esplicitamente quanto a causa di esse si e' storicamente dato di malvagio (e non e' poco): del resto su questo la pensiamo quasi tutti allo stesso modo, compreso il papa che ha ritenuto di dover piu' volte esprimere pentimento ed angoscia e dolore per gli orrori commessi nel corso della storia dalla chiesa di cui e' a capo;

c) inoltre chi scrive queste righe ha costantemente apprezzato le nitide posizioni sovente assunte dal pontefice cattolico contro la guerra;

d) infine chi scrive queste righe sa quanto grande e luminoso sia il contributo dato da moltissimi credenti cattolici alla causa della pace, della dignita' umana, della nonviolenza.

Nel commentare quindi le parole di Giovanni Paolo II si intende qui esprimere un dissenso puntuale sui contenuti, e non offendere in alcun modo i convincimenti e la dignita' di una persona e di una chiesa (chiesa che peraltro e' ricca di posizioni diverse su questi temi, e fiorente di martiri della verita' e della giustizia).

L'obiezione che muoviamo e' dunque la seguente: se l'azione nonviolenta viene collocata all'interno di una sequenza politica-nonviolenza-guerra, se ne travisa completamente il significato.

Poiche' cosi' si rientra nello schema clausewitziano della guerra come prosecuzione della politica, facendo della nonviolenza non piu' che una mera parentesi.

La nonviolenza non e' una parentesi tra politica e guerra, ma una alternativa radicale alla guerra.

Cosi' come occorre finalmente affermare che la guerra dopo Auschwitz ed Hiroshima non e' piu' prosecuzione della politica, ma l'antipolitica per eccellenza, in quanto concreta dispiegata potenza (capacita', strumento e possibilita'), e quindi concreto effettuale  rischio, di annientamento dell'umanita' intera.

E non si possono pertanto proporre, sostenere ed usare i metodi nonviolenti con atteggiamento ad un tempo ricattatorio e rassegnato; quasi a dire: "adesso usiamo questi, ma si sappia che subito dopo in una sorta di inevitabile progressione c'e' la guerra" (movenza che arieggia piu' o meno il modo di esprimersi degli estorsori).

Chi vuole valorizzare e promuovere la nonviolenza deve farlo perche' convinto che proponendo ed usando i metodi nonviolenti si contrasta la guerra, si impedisce la guerra, si sconfigge la guerra.

La nonviolenza si fonda sul ripudio della guerra come "extrema ratio"; senza questo ripudio della guerra non si da' nonviolenza.

La nonviolenza non e' un ibrido a mezza strada tra politica e guerra; uno scivolo, sia pure di tenace attrito, collocato tra l'una e l'altra; essa e' invece una proposta di azione che suscita il conflitto contro l'ingiustizia (ed e' quindi azione politica) ed insieme costituisce un ripudio assoluto, limpido e intransigente, di ogni violenza e di quella violenza delle violenze che e' la guerra.

E' stato autorevolmente notato piu' volte che la pace (come opposto della guerra) non e' un mero fine, la pace e' anche il mezzo, la strada per raggiungere il suo stesso fine, cioe' se stessa: e' una verita' che si autocostruisce. Altrimenti si continuera' a marciare fino alla catastrofe obnubilati dall'osceno sofisma secondo cui "se vuoi la pace devi preparare la guerra": ma preparare la guerra significare fare la guerra, ovvero negare la pace, ora e per sempre.

La nonviolenza non e' una condizione di beatitudine, un po' estatica e un po' ebete, da raggiungere in un remoto futuro; la nonviolenza e' il cammino, la nonviolenza e' la lotta piu' aspra e incessante contro la guerra e la violenza, e' la scelta di lotta cui siamo chiamati qui e adesso.

A nostro modesto avviso occorre essere chiari su questo punto: cosi' come un'antica grande splendida donna propose in secca alternativa l'uguaglianza degli esseri umani in contrapposizione alla barbarie; analogamente a noi incombe di proporre in secca alternativa la nonviolenza in contrapposizione alla guerra.

Per questo il militarismo (come istituzione, come apparato e come logica e cultura), che della guerra e' strumento principe, va contrastato sempre e comunque.

 

4. PROPOSTE DI LETTURA: BATESON, BOOKCHIN, FEYERABEND

 

Contro l'irrazionalismo e l'autoritarismo ad un tempo delle ideologie totalitarie, tutte quelle che si propongono come "pensiero unico" e che si legano a rapporti di potere e forme di organizzazione della societa' (della produzione e della riproduzione sociale) che si pretendono "fine della storia" (dal Reich millenario alla new economy) sara' opportuno tornare a riflettere seriamente su cosa questo nostro mondo sia, uscendo altresi' dalle angustie del gia' dato e da un approccio consumistico,  subalterno e passivizzante (anche nella forma del bricolage) alle tradizioni di pensiero.

Ci sembra che vari studiosi propongano idee ed approcci che consentono uno sguardo complessivo ma non riduzionista, attento a cogliere i nessi ma anche a salvaguardare le specificita', e soprattutto indisponibile ad accettare la violenza insita nei rapporti di potere dati.

Qui vorremmo proporne tre.

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Gregory Bateson ha avuto una strana sorte: probabilmente la sua opera di piu' grande impatto e di piu' profonda e massiva efficacia non l'ha scritta lui ma alcuni studiosi da lui fortemente influenzati, il gruppo della scuola di Palo Alto che pubblico' Pragmatica della comunicazione umana.

Bateson e' nato nel 1904 in Inghilterra, figlio di un eminente scienziato. Compie studi naturalistici ed antropologici, di logica, cibernetica e psichiatria. Un matrimonio con la grande antropologa Margaret Mead. Bateson ha dato contributi fondamentali in vari campi del sapere. E' scomparso nel 1980. Opere di Gregory Bateson: Naven, Einaudi; Verso un'ecologia della mente; Mente e natura; Una sacra unità; Dove gli angeli esitano (in collaborazione con la figlia Mary Catherine Bateson), tutti editi da Adelphi. Si vedano anche i materiali del seminario animato da Bateson, "Questo è un gioco", Cortina. Opere su Gregory Bateson: AA. VV. (a cura di Marco Deriu), Gregory Bateson, Bruno Mondadori, Milano 2000; una bibliografia fondamentale è alle pp. 465-521 di Una sacra unità, citato sopra. Indicazioni utili (tra cui alcuni siti web, ed una essenziale bibliografia critica in italiano) nel servizio con vari materiali alle pp. 5-15 della rivista pedagogica "Ecole", n. 57, febbraio 1998. Cfr. inoltre Sergio Manghi (a cura di), Attraverso Bateson, Cortina. Tra i frutti e gli sviluppi del lavoro di Bateson c'è anche la "scuola di Palo Alto" di psicoterapia relazionale: di cui cfr. il classico libro di Watzlawick, Beavin, Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini; e su cui cfr. Marc, Picard, La scuola di Palo Alto, Red Edizioni.

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Murray Bookchin e' l'autore de L'ecologia della liberta', un libro magmatico e stimolante, di alcune delle cui parti tanti best-seller verdi sono il compendio abborracciato; militante libertario, una figura di rilievo della cultura americana (ovvero della "controcultura", come si usa chiamarla: con una curiosa inversione, poiche' a noi e' sempre sembrato che questa dei Bookchin, dei Chomsky, dei Ginsberg, sia stata la migliore cultura americana degli ultimi decenni, e che quella ufficiale - quella che ha prodotto Hiroshima, le dittature latinoamericane, le "guerre umanitarie" - sia piuttosto la barbarie americana).

Tra i principali punti di riferimento della "ecologia sociale", Murray Bookchin e' nato a New York, figlio di emigrati russi (la nonna materna era una populista rivoluzionaria), ha fatto l'operaio metalmeccanico, il sindacalista, lo scrittore, il docente universitario. Opere di Murray Bookchin: I limiti della città, Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della libertà, Elèuthera, Milano 1988 (terza edizione); Per una società ecologica, Elèuthera, Milano 1989; Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia diretta, Elèuthera, Milano 1993.

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Paul K. Feyerabend non e' solo l'autore di un libro geniale e battagliero come Contro il metodo, e - come vuole la vulgata giornalistica - l'epistemologo anarchico per antonomasia (con la quale etichetta molti ritengono di potersi dispensare dunque dall'esaminarne le opere e studiarne la riflessione), bensi' uno degli esiti piu' vivi della tradizione che muove dai grandi austriaci che hanno letteralmente sovvertito alcuni dei convincimenti piu' radicati della cultura non solo filosofica e scientifica d'Europa e (dato il ruolo dell'Europa nell'eta' moderna e contemporanea) mondiale, aprendo spazi di discorso ed ambiti e metodi di ricerca prima addirittura insospettati.

Filosofo della scienza (Vienna 1924 - Ginevra 1994), Feyerabend e' stato un caustico critico di ideologie consolidate. Opere di Paul K. Feyerabend: I problemi dell'empirismo, Lampugnani Nigri; Contro il metodo, Lampugnani Nigri, poi (in nuova edizione) Feltrinelli; La scienza in una società libera, Feltrinelli; Come essere un buon empirista, Borla; Il realismo scientifico e l'autorità della scienza, Il Saggiatore; Scienza come arte, Dialogo sul metodo, Dialoghi della conoscenza, Ammazzando il tempo. Un'autobiografia, Ambiguità ed armonia, tutti presso Laterza. Una utile presentazione ed antologia ad uso scolastico (purtroppo deturpata da un titolo equivoco e infelice), e' quella a cura di Angelo Crescini: Thomas Kuhn, Paul K. Feyerabend, L'irrazionalismo in filosofia  e nella scienza, La Scuola, Brescia 1989.

 

5. IL VOCABOLARIO DI SCARPANTIBUS: CAVATINE, COMUNICARE, DIVERTIMENTO, NORMALE, PASSATEMPO, PROGRESSO, RICREAZIONE

 

Cavatine: dinanzi alle piu' appassionate perorazioni quel sacripante di Scarpante non appena il commosso oratore commetteva l'imprudenza di una pausa per riprendere fiato, s'alzava in piedi (o faceva un passo avanti, dipende dalla postura e dal luogo) e con la sua voce grave, il tono greve, la stentorea mole sonora e visiva di obeso malmesso tuonava: discreta cavatina, ma l'orchestra? E poi scrosciava un triplice cachinno.

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Comunicare: se c'e' una parola terribile e luminosa e' questa, esordisce solenne Scarpantibus, e nell'osteria si fa, per un attimo solo, silenzio. Essa ci dice che l'atto comunicativo istituisce una comunita'. Essa ci suggerisce anche che questo tentativo e' esposto al piu' grave dei fallimenti. L'ombra delle rovine della torre di Babele e' li' a ricordarcelo.

Dire comunita' vuol dire fare insieme una cosa sola; e' parola composta da "con", insieme, ed "unita'", cioe' unione e piu' che unione, e quel "farsi uno" mi puzza quasi di congiungimento ed incorporazione: cosa che sempre mi sgomenta. Comunita' infatti si puo' anche dire comunione. Termine sacrale e metuendo.

Ma comunicare e' anche riconoscimento dell'altro, ed in virtu' dello sguardo nel e del suo volto, allora si' disincagliarsi dal labirinto solipsistico, allora si' gettarsi fuori dalla fortezza vuota dell'onnivoro egotismo, allora si' liberarsi dai fantasmi per incontrare le esistenze. E adesso basta con gli squarci lirici, aggiunge Scarpa smicciando qua e la' per sorprendere e paralizzare qualche smorfia beffarda.

Comunicare e' difficile, prosegue poi, e senza scomodare Saussure e Bateson basti dire che l'interazione comunicativa e' un processo delicato e complesso come un fiore appena sbocciato, e sempre esposto allo scacco: al rischio dell'incomprensione, del fraintendimento, della menzogna cosciente o inconscia, del misconoscimento infine: e quindi del silenzio, della solitudine, della frattura di tutti gli specchi e del precipitare nel nulla (poiche' quando si e' soli si e' nulla, e questo vuol dire persona).

E allora, per farla finita, bofonchia Scarpa che certe giornate nuvolose ha un colore del volto piu' bigio del bigio cielo, usiamo le parole con attenzione, parliamo per farci capire, ed impariamo ad ascoltare. Parlare con qualcuno e' di gran lunga piu' difficile che farci l'amore.

E vorresti concludere questo discorso cosi', con questa indecente immagine di alcova? Neanche uno svolazzo, neanche una velatura?

E allora, sbuffa Scarpante, aggiungo questo, e non se ne parli piu': che le parole sono fragili e preziose, e guai a chi le dissipa o le sporca. E adesso da' le carte che su 'sto tavolino ce cresce gia' la muffa.

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Divertimento: vuol dire sbagliare strada, invece di prendere la via dritta (la via diretta, la diritta via), prendere quella storta, che per l'appunto dalla retta diverte. E noi vecchi lettori di quel classico del marxismo rivoluzionario (ed anche un po' del leninismo, diciamolo) che e' Esperienze pastorali, quando sentiamo parlare di divertimento, di ricreazione, di passatempo, sentiamo i quattro peli rizzarcisi sul capo, il volto ci s'incupisce, e dal petto di bronzo una voce ruggire: giammai.

E questa e' una meta' del nostro essere, o del nostro malessere, se si preferisce.

Poi c'e' un'altra meta', che educo' il buon Marcuse, e geniale la Rosa rossa. E che si chiede: ma siamo poi sicuri che tirar dritto come una schioppettata sia una buona cosa? Non sara' che il valore del viaggio e' nel viaggiare stesso, e che e' bene entrare nel bosco e smarrirvisi poiche' vi si fanno favolosi incontri ed insomma occorre percorrerle tutte le stazioni delle carte di Propp? E quella fata che tutti inseguiamo dove pensiamo di poterla trovare, sui cataloghi per corrispondenza?

E questa e' l'altra meta' del nostro essere (benessere, malessere, chissa'), che rivendica per tutti il diritto a una parca e condivisa, ed intensa e profonda ancorche' fragile, e diciamola la parola: felicita'.

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Normale: cioe' conforme alla norma. Ma prima di chiedersi cosa stabilisca la norma occorre chiedersi: chi stabilisce la norma? E come, e perche'? Quale norme presiede alla norma?

C'e' un'opera teatrale di Brecht, L'eccezione e la regola, in cui si descrive e discute la nostra vita senza schermo alcuno.

Il nocciolo della storia, come e' noto, e' che un oppresso fa un gesto generoso verso il suo oppressore, e costui invece lo uccide ed un tribunale lo assolve sentenziando che l'oppressore non poteva certo aspettarsi che l'oppresso fosse generoso verso di lui.

Subito prima che cali il sipario cosi' si conclude:

"Avete ascoltato e avete veduto cio' che e' abituale, cio' che succede ogni giorno.

Ma noi vi preghiamo: se pur sia consueto, trovatelo strano. Inspiegabile, pur se normale. Quello che e' usuale, vi possa sorprendere.

Nella regola riconoscete l'abuso e dove l'avete riconosciuto procurate rimedio".

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Passatempo: una parola che e' un'ideologia. Vuol dire rubarci da noi stessi la poca stoffa della nostra vita, e macerarla a farne pezza, straccio, ombra, nulla. Avvicinarsi alla morte senza serieta'. Ed aggiunge, Scarpante, che detesta le persone poco serie, perche' non si divertono mai e mai sanno scegliere, e sono prone a qualunque comando, e stanno sempre li' a sbavare per uno zuccherino.

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Progresso: non ho nulla da aggiungere a quanto ne disse Juan Rodolfo Wilcock, un segreto maestro di molti perplessi: "Beati loro che pensano al progresso / io solo penso alla morte e al sesso". Mi e' capitato piu' volte di dire, glossa qui Scarpantibus proprio dopo aver detto che non aveva niente da aggiungere (ma sapete, e' fatto cosi'), che la morte, cioe' la fine nostra e di tutto (la fine, il limite, il nulla, il male supremo); ed il sesso, che e' non solo la generazione o il congiungimento, ma anche l'amore, l'incontro reale e concreto con un altro essere umano nella plenitudine del nostro comune essere un sinolo di corpo e di mente (spirito, sensazioni e intelletto, ragione e sentimenti, ognuno lo chiami quel soffio come gli pare); ebbene, sono davvero le sole due cose che contano. E questo distico, fosse per me, lo scriverei sulle nostre rosse, o rossonere bandiere.

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Ricreazione: quell'una creazione della prima settimana basta e avanza. Ricreare e' mestiere da bordello e da laboratorio del dottor Frankenstein, luoghi il cui tanfo di schiavitu' e abuso di carni umane ci ripugna parimenti. Vediamo piuttosto di adoperarci mane e sera perche' non si dia discreazione, annichilimento dell'umanita' e della biosfera. Da quando a Los Alamos hanno cominciato a fabbricarla, ogni giorno di piu' poteri alacri ed operose intelligenze ed opimi vampiri congiurano a garantircela: e tu opponiti con tutte le tue forze.

 

6. LA TESTIMONIANZA DI NUTO REVELLI

 

Quella di Nuto Revelli e' un'opera imprescindibile. Per conoscere la guerra nel suo orrore e nel dolore infinito degli uomini; per conoscere la Resistenza nella sua grandezza e durezza; per conoscere "il mondo dei vinti", dei contadini e delle contadine delle sue valli; per conoscere la testimonianza straziata e tenerissima degli alpini divorati dalla guerra fascista; per conoscere figure come "il disperso di Marburgo" o "il prete giusto".

Nell'opera di Nuto Revelli non vi e' solo la storia, vissuta e giudicata con sentimento appassionato e magnanimo; ma anche la presenza viva di una umanita' grande, calda, autentica. Ed un impegno civile intransigente, l'impegno del vecchio azionista, l'impegno dell'antifascismo come valore fondativo della nostra liberta' e dignita'.

Nuto Revelli e' nato a Cuneo nel 1919, ufficiale degli alpini nella tragedia della campagna di Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura contadina e delle sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le sue opere non sono letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido impegno civile, e limpida guida morale.

Opere di Nuto Revelli: La guerra dei poveri, La strada del davai, Mai tardi, L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto, tutti pubblicati presso Einaudi.

 

7. L'OPERA DI GENE SHARP SULL'AZIONE NONVIOLENTA

[Riproduciamo ancora una volta questa sintetica presentazione della fondamentale opera di Gene Sharp.

Gene Sharp e' nato nell'Ohio (USA) nel 1928. Ha insegnato in diverse universita' e dirige istituti e programmi di ricerca per le alternative nonviolente nei conflitti e nella difesa. Tra le opere di Gene Sharp: Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997; quest'opera in tre volumi e' un testo di riferimento fondamentale per chiunque operi in situazioni di conflitto e intenda adottare le tecniche della nonviolenza o promuovere la teoria-prassi nonviolenta. Di Sharp in italiano e' disponibile anche Verso un'Europa inconquistabile, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1989]

 

Il piu' ampio repertorio di tecniche della nonviolenza e' costituito dal secondo volume della fondamentale opera in tre volumi di Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta: 2. le tecniche, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986. Sharp descrive 198 tecniche di azione nonviolenta.

L'elenco proposto da Sharp e' organizzato nel modo seguente:

1. tecniche di protesta e persuasione nonviolenta, comprendenti dichiarazioni formali, forme di comunicazione rivolte a un pubblico piu' vasto, rimostranze di gruppo, azioni pubbliche simboliche, pressioni su singoli individui, spettacoli e musica, cortei, onoranze ai morti, riunioni pubbliche, abbandoni e rinunce.

2. Tecniche di noncollaborazione sociale, comprendenti ostracismo nei confronti delle persone, noncollaborazione con eventi, consuetudini ed istituzioni sociali, ritiro dal sistema sociale.

3. Tecniche di noncollaborazione economica, comprendenti a) i boicottaggi economici: azioni da parte dei consumatori, azioni da parte di lavoratori e produttori, azioni da parte di mediatori, azioni da parte di proprietari e negozianti, azioni di natura finanziaria, azioni da parte di governi; b) gli scioperi, tra cui gli scioperi simbolici, scioperi dell'agricoltura, scioperi di gruppi particolari, scioperi normali dell'industria, scioperi limitati, scioperi di piu' industrie, combinazioni di scioperi e blocchi economici (tra cui l'hartal, ed il blocco economico).

4. Tecniche di noncollaborazione politica, comprendenti rifiuto dell'autorita', noncollaborazione di cittadini col governo, alternative dei cittadini all'obbedienza, azioni da parte di personale governativo, azioni governative interne, azioni governative internazionali.

5. Tecniche di intervento nonviolento, comprendenti intervento psicologico, intervento fisico, intervento sociale, intervento economico, intervento politico.

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Una sintesi in nove punti

Per una prima informazione sulle tecniche di lotta nonviolenta una utile sintesi in nove punti e' offerta dal fondamentale lavoro di Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, vol. I, alle pp. 132-133, che qui riassumiamo.

"E' opinione comune che l'azione nonviolenta possa portare alla vittoria solo in tempi molto lunghi, piu' lunghi di quelli necessari alla lotta violenta. Cio' puo' essere vero in alcuni casi, ma non e' necessariamente sempre cosi' (...). Esaminando e correggendo i pregiudizi nei confronti dell'azione nonviolenta siamo spesso in grado di farne risaltare con piu' evidenza le caratteristiche positive:

1. (...) questo metodo non ha niente a che vedere con la passivita', la sottomissione e la codardia; queste devono essere prima rifiutate e vinte, proprio come in un'azione violenta.

2. L'azione nonviolenta non deve essere messa sullo stesso piano della persuasione verbale o puramente psicologica (...); e' una sanzione e un metodo di lotta che comporta l'uso del potere sociale, economico e politico e il confronto delle forze in conflitto.

3. L'azione nonviolenta non si basa sul presupposto che l'uomo sia fondamentalmente "buono", ma riconosce le potenzialita' umane sia al "bene" che al "male" (...).

4. Coloro che praticano l'azione nonviolenta non sono necessariamente pacifisti o santi; l'azione nonviolenta e' stata praticata il piu' delle volte e con successo da gente "qualsiasi".

5. Il successo di un'azione nonviolenta non richiede necessariamente (sebbene possa esserne facilitato) basi e princìpi comuni o un alto grado di comunanza di interessi e di vicinanza psicologica tra i gruppi in lotta (...).

6. L'azione nonviolenta e' un fenomeno occidentale almeno quanto orientale (...).

7. L'azione nonviolenta non si basa sul presupposto che l'avversario si astenga dall'uso della violenza contro i nonviolenti, ma prevede di dover operare, se necessario, contro la violenza.

8. Non c'e' nulla nell'azione nonviolenta per prevenire che venga usata tanto per cause "buone" quanto per cause "cattive", sebbene le conseguenze sociali in quest'ultimo caso siano molto diverse da quelle provocate dalla violenza impiegata per lo stesso scopo.

9. L'azione nonviolenta non serve solo nei conflitti interni a sistemi democratici, ma e' stata largamente praticata contro regimi dittatoriali, occupazioni straniere e anche contro sistemi totalitari".

 

8. DA TRAINING NONVIOLENTI TENUTI A VITERBO NEL 1998

[Presso il centro sociale occupato autogestito 'Valle Faul" di Viterbo si sono svolti frequenti incontri di studio sulla nonviolenza e training di formazione alle tecniche dell'azione diretta nonviolenta.

In particolare il primo seminario in tal senso si tenne proprio all'inizio dell'occupazione nel 1993; un ciclo di training particolarmente impegnativo che si protrasse per piu' mesi da luglio a ottobre si tenne nel 1998; lo scorso anno si tenne un nuovo impegnativo training in preparazione dell'azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere della pace" ad Aviano durante la guerra dei Balcani.

Di seguito riportiamo alcuni materiali elaborati ed utilizzati nel 1998]

 

Parlare per farsi capire (luglio 1998)

Alcune idee pratiche per parlare con qualcuno con la volonta e con qualche speranza di riuscire a farsi capire; emerse dai giochi di ruolo svoltisi domenica 19 e lunedi 20 luglio 1998 presso il CSOA "Valle Faul" di Viterbo:

1. Dire sempre e solo la verita'.

2. Dire in modo affermativo (esempi: io so; io sono sicuro; io credo; io sono convinto) solo le cose di cui si e' sicuri e convinti; dire in modo dubitativo (esempi: forse; e' probabile; di questo non sono sicuro) le cose di cui non si ha certezza; ogni volta che e' possibile farlo, e' opportuno usare espressioni affermative e negative precise e sintetiche (esempio: si'; no).

3. Parlare lentamente.

4. Scegliere con calma e attenzione le parole; usare solo parole di cui si conosce precisamente il significato.

5. Usare frasi brevi e precise.

6. Parlare ad alta voce e scandendo bene le parole.

7. Parlare in italiano ed evitando le parole difficili.

8. Ricordare sempre che si parla ad altri esseri umani.

9. Ricordare sempre che si parla per farsi capire.

10. Evitare espressioni confuse, volgari o che possano essere offensive o incomprensibili per qualcuno.

11. Respirare con calma e controllare il tono della voce.

12. Quando occorre riflettere, non essere frettolosi; eventualmente comunicare all'interlocutore che si sta riflettendo (esempi: su questo argomento ci sto pensando; su questo argomento ci sto ragionando sopra) o si ha bisogno di tempo per pensare (esempi: su questo argomento dovrei pensarci; avrei bisogno di un po' di tempo per pensarci).

13. Quando si e' emozionati, respirare profondamente e rilassarsi.

14. Quando non si capisce cosa ha detto l'interlocutore, chiedere che ripeta o si spieghi meglio (esempi: mi dispiace ma non ho capito cosa ha detto: per favore lo ripeta; mi dispiace ma non ho capito cosa intende dire, si spieghi meglio).

15. Quando si ha l'impressione di essersi espressi male, in modo confuso o sbagliato, oppure si ha l'impressione che l'interlocutore non abbia capito bene, occorre ripetere e spiegare cosa si intendeva dire (esempi: evidentemente mi sono espresso male, adesso mi spiego meglio; forse mi sono espresso male, adesso lo dico in modo piu' chiaro, piu' preciso; forse c'e' qualche confusione, e' opportuno che mi spieghi meglio; forse non sono riuscito a farmi capire, adesso ci provo di nuovo, in modo piu' accurato; forse non si e' sentito bene quello che ho detto, adesso lo ripeto a voce piu' alta e con parole piu' semplici).

*

Alcuni appunti sulla comunicazione, il discorso, la scrittura (settembre 1998)

In questi appunti si riassume il contenuto di alcune conversazioni preliminari ad esercitazioni effettuate nell'ambito dei training nonviolenti svoltisi nel CSOA "Valle Faul" di Viterbo nel mese di settembre 1998.

1. Il processo della comunicazione richiede:

- un emittente (esempio: la persona che parla);

- un ricevente (esempio: la persona che ascolta);

- uno strumento o veicolo (esempio: la voce);

- un codice (condiviso dall'emittente e dal ricevente; esempio: la lingua italiana);

- un messaggio.

Un messaggio ha sempre due aspetti:

a) il contenuto (ad esempio: la notizia che si trasmette);

b) la relazione (ad esempio: il rapporto tra la persona che parla e quella che ascolta).

Ogni atto comunicativo istituisce un sistema relazionale.

Ogni atto comunicativo implica una interazione.

2. come si prepara un discorso.

Nella retorica classica (ovvero la tecnica di fare dei discorsi convincenti come fu sviluppata nelle culture greca e romana) si distinguono cinque fasi:

- inventio (la creazione del discorso, l'argomento);

- dispositio (l'organizzazione efficace del discorso, la sua architettura);

- elocutio (l'abbellimento del discorso);

- memoria (ricordare il discorso);

- actio (la recitazione del discorso: tono della voce, gesti, etc.).

3. come si scrive.

Si scrive per farsi capire; dire sempre e solo la verita'; parole semplici; frasi brevi e chiare; ragionamenti coerenti; organizzare le frasi; correggere sempre, cercare l'espressione migliore, la piu' chiara.

- Come si fa un comunicato-stampa:

a) Titolo: breve (una o due righe);

b) Testo: da dieci a venti righe, frasi brevi, parole semplici, dare una sola notizia e darla in modo preciso;

c) Firma;

d) Luogo e data.

- Come si fa un articolo giornalistico di cronaca:

a) Titolo: breve e colorito (una riga);

b) Occhiello (sopra il titolo; oppure: sottotitolo): piu' lungo del titolo ma sempre breve e su una sola riga, in corpo tipografico piu' piccolo, ha la funzione di spiegare meglio il contenuto dell'articolo;

c) Articolo: solitamente ha una lunghezza predeterminata (quando e' di poche righe si chiama trafiletto); in esso nel descrivere un fatto bisogna ricordarsi di dire: chi, cosa, dove, quando, come e perche'. Le frasi devono essere brevi, le parole semplici.

*

Libri particolarmente utili:

a) Strumenti di lavoro:

- un buon dizionario della lingua italiana;

- una grammatica della lingua italiana;

- Umberto Eco, Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano;

b) Letture particolarmente consigliate:

- Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, LEF, Firenze;

- Raymond Queneau, Esercizi di stile, Einaudi, Torino;

- Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino.

 

9. LEGGENDO IL VANGELO NEL CENTRO SOCIALE OCCUPATO

 

Credo sia stato uno o due anni fa: durante uno dei consueti cicli di studio sulla nonviolenza, un pomeriggio nel centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo leggemmo e discutemmo insieme un passo del vangelo di Giovanni (8, 2-11), quello dell'episodio dell'adultera e del "chi e' senza peccato scagli la prima pietra".

Ne trascrivo il testo dalla traduzione interconfessionale in lingua corrente:

*

Il testo evangelico

La mattina presto torno' al tempio, e il popolo si affollo' attorno a lui. Gesu' si mise seduto e comincio' a insegnare.

I maestri della legge e i farisei portarono davanti a Gesu' una donna sorpresa in adulterio e gli dissero: "Maestro, questa donna e' stata sorpresa mentre tradiva suo marito. Nella sua legge Mose' ci ha ordinato di uccidere queste donne infedeli a colpi di pietra. Tu, che cosa ne dici?".

Parlavano cosi' per metterlo alla prova: volevano avere pretesti per accusarlo. Ma Gesu' guardava a terra, e scriveva col dito nella polvere. Quelli pero' insistevano con le domande. Allora Gesu' alzo' la testa e disse: "Chi tra voi e' senza peccati scagli per primo una pietra contro di lei".

Poi si curvo' di nuovo a scrivere in terra.

Udite queste parole, quelli se ne andarono uno dopo l'altro, cominciando dai piu' anziani. Rimase soltanto Gesu', e la donna che era la' in mezzo.

Gesu' si alzo' e le disse: "Dove sono andati? Nessuno ti ha condannata?".

La donna rispose: "Nessuno, Signore".

Gesu' disse: "Neppure io ti condanno. Va', ma d'ora in poi non peccare piu'".

*

Un commento

A me, non credente, che scrivo queste righe quel testo e' sempre sembrato di una bellezza struggente, e di una verita' profonda e luminosa. E cosi' e' parso alle altre persone con cui lo abbiamo letto e discusso in quella circostanza. Una lettura e discussione laica, che prescindeva da un approccio religioso (cui va il nostro massimo rispetto), e da quel testo si lasciava interrogare nella sua nudita': quando tutto sembra perduto, quando sembra che non ci sia scampo e la morte e' a un passo, un uomo salva la vita di una donna semplicemente con una frase che reca la forza della verita' sulla nostra comune condizione, la verita' che persuade (la forza della verita': e' il nome che Gandhi da' alla nonviolenza; la persuasione: e' una parola chiave del pensiero di Capitini).

In quell'episodio evangelico si dispiega la forza della nonviolenza come limpidezza di ragionamento e richiamo a una condotta coerente, come appello alla comune umana dignita'. La parola buona, il ragionamento esatto, reintegra la comunita' umana e sconfigge il male: impedisce la morte, impedisce un crimine, salva la vita di quella donna, e salva quegli uomini dal divenire assassini.

E quante e quali implicazioni in quel breve quadro: l'oppressione patriarcale e maschilista sulla donna; la domanda che apparentemente non ammette esiti non aporetici, e l'intenzione maliziosa di cogliere in fallo un uomo buono; e nell'angoscia che gia' toglie il respiro, giunge come un lampo la ridefinizione della questione: cosi' semplice, cosi' sconvolgente; e ancora: quel gesto indimenticabile di scrivere nella polvere mentre con la parola si salva una vita; e ancora: quell'ultimo colloquio tra il figlio del falegname e la poveretta appena scampata alla morte.

Tutto qui e' vibratile e puro, enigmatico e luminoso. La nonviolenza e' questo.

*

Una voce ulteriore

Anche Hildegard Goss-Mayr, una delle figure piu' belle della nonviolenza di oggi, riflette su questo episodio nel bel libro-intervista curato da Gerard Houver, Jean e Hildegard Goss, la nonviolenza e' la vita, Cittadella, Assisi 1984, alle pp. 17-19. Hildegard Goss-Mayr conclude cosi' il suo ragionamento: "Che cosa ha fatto Gesu'? Ha aggredito le coscienze con la verita', ma non si e' fermato a questo, non si ferma mai a questo: va oltre e dimostra il suo amore a colui che aggredisce.

La verita' senza amore, la giustizia senza amore sono armi omicide. Gesu' ha messo ognuno di fronte alla propria verita', di fronte alla propria violenza, non ha condannato nessuno, poiche' dice: Anch'io non ti condanno, ed e' proprio per questo che nemmeno i farisei l'hanno condannata. Ha liberato i farisei dalla loro violenza e la donna dalla sua. E' giusto fino in fondo. Non discolpa la donna ma dice: Va', e non peccare piu'".

 

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COI PIEDI PER TERRA

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Numero 760 del primo maggio 2013

 

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