Coi piedi per terra. 758
- Subject: Coi piedi per terra. 758
- From: "nbawac at tin.it" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 29 Apr 2013 09:39:45 +0200 (CEST)
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 758 del 29 aprile 2013
In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di novembre 2000 (parte terza)
2. Dialoghetto tra un perplesso e un persuaso
3. Una testimonianza sulla marcia pubblicata su "Il giornale della natura"
4. Ne' troppo presto, ne' troppo tardi
1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI NOVEMBRE 2000 (PARTE TERZA)
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di novembre 2000.
2. DIALOGHETTO TRA UN PERPLESSO E UN PERSUASO
[Lungo una via cittadina, dinanzi a un bar, in una giornata umida e a tratti piovigginosa]
Beppo: Caro Geppo, qual buon vento?
Geppo: Beppo mio, tempo brutto; ma tu piuttosto che ci fai costi'?
B.: A dire il vero venivo a cercarti...
G.: E perche' mai, di grazia...
B.: Mi frullava in testa di farti una domanda: ma perdindirindina, che diamine mai ti rappresenta dunque 'sta marcia per la nonviolenza di cui da un po' di tempo in qua vai cianciando a destra e a manca fino a indolenzirti mandibola e mascella?
G.: E proprio tu me lo chiedi, vecchio sacripante, che col tuo loicizzare infinito hai stancato fino i sassi lungo quel cammino? chiedilo a te stesso, piuttosto.
B.: Niente trucchi, mio buon amico, e rispondimi tu alla domanda.
G.: E dunque sia. La marcia da Perugia ad Assisi per la nonviolenza del 24 settembre e' stata a mio parere un appello, una verifica e un impulso; un'occasione di chiarificazione essenziale. Da molto tempo mi pare che la nonviolenza sia una scelta indispensabile per un agire politico all'altezza dei problemi tremendi che l'umanita' si trova oggi di fronte; e per mio conto da lunga pezza ho deciso che il mio impegno voglio dedicarlo a cose che io riesca a trovare limpide e persuasive.
B.: Di limpido vedo ben poco in questo basso mondo, e di persuasivo ancor meno. Codesto, e non negarlo, e' un mondo torbido ed enigmatico, in cui ad ogni passo vedi ingiurie ed ingiuria commetti.
G.: Ma anche il non agire e' uno sbagliare, e dinanzi all'orrore e' il piu' grave.
B.: Ed infatti e' per questo che anch'io, carissimo, sono venuto a scarpinare in quelle umbre contrade teco medesimo e con altri molti.
G.: Quando cominci a parlare in guisa siffatta sento un che di ironico e beffardo.
B.: Come se tu non facessi lo stesso, vecchio giocoliere: "in guisa siffatta", dici; ma parla come magni (se posso citare questa vetusta battuta da cabaret).
G.: Per quanto tu cerchi di buttarla in parodia, eri pure tra i camminanti tra Perugia e Assisi, e non mi consta che tu ci sia venuto controvoglia.
B.: Ed invece proprio controvoglia c'ero venuto; ma a onor del vero tutto in vita mia ho fatto controvoglia, e fin qui me ne sono trovato, come dire, assai bene.
G.: Ah, vecchio buffone, allora intigni. Come se non lo sapessi quante ammaccature e lividi e cicatrici il tuo caracollante condurti t'ha procacciato.
B.: Non piu' di quante il tuo statuario contegno t'ha recato in dono, bello mio.
G.: Sta di fatto che li' eravamo ambedue; e quel ragionamento fatto coi piedi lungo quelle strade penso meriti di essere riproposto ed approfondito e proseguito; quella marcia e' solo un inizio. La nonviolenza e' in cammino. Mi pare giusto dirlo in giro, ed esortare altri a mettersi in viaggio con noi.
B.: E non temi che questo tuo modo, diciamolo: ossessivo, di porre la cosa riproduca una specie di pretenziosita' larvatamente - chiedo scusa - totalitaria; o come ci ha scritto quell'amico nostro di Toscana, dico di Giggi, una sorta di nuovo fondamentalismo? che il tuo proporre la nonviolenza come paradigma torni ad essere un nuovo tentativo di "punto di vista della totalita'" (penso a Rosa Luxemburg marxista in Storia e coscienza di classe di Lukacs, naturalmente) che degenera dipoi facilmente in dogmatismo? o che faccia cortocircuitare etica e politica che invece e' bene tenere distinte pena appunto gli orrori dello stato etico e delle filosofie deterministiche (e insieme mistiche) della storia? o che indebolisca il movimento che si oppone al "disordine costituito" deprivandolo di altri e necessari orizzonti teorici, strumenti analitici e opzioni strategiche?
G.: Eh no, bello mio; e per un sacco di buoni motivi, come suol dirsi: perche' la nonviolenza non e' un'ideologia di ricambio (ti ricordi l'uso di questa formula del buon Basaglia?), ma un illimpidimento ed un'intensificazione di scelte di giustizia e liberta', di un impegno che in altre teorie filosofiche o religiose, politiche o morale, puo' gia' trovare un fondamento.
Essa non richiede, a mio avviso, giuramenti di fedelta' ad astrattezze, ma analisi concreta della situazione concreta per opporsi nel modo piu' limpido e quindi coerente ed efficace alla violenza cristallizzata o dispiegata che sia; la nonviolenza vive nel conflitto, nella ricerca e nella comunicazione; suscita il conflitto, la ricerca e la comunicazione; e' conflitto, ricerca e comunicazione: come la si puo' spacciare per una gabbia totalitaria se non si da' nonviolenza senza apertura? come la si puo' spacciare per dogmatica se essa e' incessante apertura e riconoscimento e cammino? Non esiste una nonviolenza come teoria conclusa ed autosufficiente, essa e' eminentemente un atteggiamento critico e sperimentale, e ben lo diceva il vecchio Gandhi.
La nonviolenza non e' un indebolimento della lotta, ma un potenziamento di essa nel renderla piu' trasparente, nell'inverarne i principi e gli scopi fin nel momento della decisione e nelle procedure di deliberazione, lungo tutto lo svolgimento dell'azione, nel vivo del conflitto, nel cuore della relazione con l'altro.
La nonviolenza non e', a me pare, un'ideologia in piu', ma un impegno di rigore intellettuale e morale, un atteggiamento di ricerca e di ascolto, un'apertura all'altro; e tutto cio' non implica la rinuncia alle proprie convinzioni filosofiche o religiose, etiche o politiche: al contrario essa le verifica e le tempra, per separare il grano dal loglio e salvarne e valorizzarne il nucleo razionale e assiologico.
Se posso usare, in un senso un po' diverso da quello originario, una vecchia e cara immagine, ricordi la metafora marxiana della catena coperta di fiori? Liberarsi dalla catena e cogliere il fiore vivo, questo occorre. Questo e' l'invito.
B.: Per quanto tu t'ingegni di buttarla in poesia (e con la complicita' del Moro di Treviri, poi!), mio buon amico, non fingere di non capire che taluni vedono in certe tue proclamazioni un atteggiamento rigido e, posso dirlo?, puritano. E si potrebbe dire, per punzecchiarti vieppiu', da "anima bella" e piccolo suslov.
G.: E dalli. Solo perche' chiedo chiarezza mi si appiccica addosso l'etichetta di dogmatico e di intollerante (ed insieme, con buona pace della logica, di acchiappanuvole e perdigiorno). Ma io non voglio imporre alcunche' a chicchessia: solo mi sforzo di rigorizzare e cercar di rendere coerenti tra loro le cose che penso con quelle che dico e con quelle che faccio. Mi conosci da tanto di quel tempo da sapere che diffido delle spiegazioni onnicomprensive, che ho in uggia gli ordini e i giuramenti, che ho terrore dei dogmi e delle gerarchie, che propugno una convivenza fondata sulla ragionevolezza, che ritengo che solo sulla sobrieta' e la mitezza puo' fondarsi un civile convivere, che occorrono regole condivise e costumi benevoli. Ed e' una vita che quando chiedo ai pubblici amministratori di essere onesti mi si accusa di essere un novello torquemada, quando chiedo ai militanti dei movimenti di opposizione di non fare le scimmie dei potenti oppressori mi si taccia contemporaneamente di mollaccione e di autoritario; quando chiedo che organizzando un'iniziativa di lotta si stabiliscano regole precise e si chieda a tutti i partecipanti di attenervisi mi si replica che cosi' si deprime la creativita' (confondendola forse con l'irresponsabilita' e l'incoscienza). Poi, naturalmente, gli stessi che cosi' mi obiettano tuttavia pretendono che gli altri le regole le rispettino, denunciano la violenza da altri commessa, e s'infuriano quando qualcun altro e' colto con le mani del sacco. Io chiedo solo di applicare anche a se stessi quel codice di condotta che si pretende dagli altri.
B.: Mi pare che tu vada fuori dal seminato.
G.: Non c'e' seminato, c'e' piuttosto da seminare: da seminare l'idea e la pratica di avere rispetto per gli altri e per se', di non mentire ne' a se' ne' agli altri. E il resto viene da se'.
B.: La fai troppo semplice, mio caro. Io invece fatico a capire quando mento a me stesso, e costantemente me lo chiedo, e questo mi lacera e frange al punto che il piu' delle volte me ne ritrovo come paralizzato. Cosicche' in tanta e tanto gravosa e opprimente perplessita', riesco a malapena ad impegnarmi per questo solo: nelle iniziative che certamente si oppongono al male e che il male non riproducano a loro volta. Ma sempre incerto, sempre a fatica.
G.: Che e' la stessa cosa che faccio io.
B.: No, perche' questa stessa cosa tu la fai deciso e come sollevato, io cupo e brancolante. Cosicche' quella stessa cosa non e' la stessa per te e per me.
G.: Non e' la stessa ed insieme e' la stessa cosa, ed anzi se non fosse la stessa cosa non sarebbe diversamente vissuta da noi due e da entrambi pur accolta. Poiche' la sua verita' e' in questo: che il perplesso non meno del persuaso possono cogliere e fare la cosa giusta.
B.: Continui a fare il furbo: la verita', la cosa giusta, sono formule, concetti; l'agire concreto e' invece il regno dell'incerto, dell'ambiguo, dell'obliquo, dell'illusione e dello scacco.
G.: Proprio per questo occorrono concetti chiari, regole precise e condivise, coerenza tra mezzi e fini.
B.: Me l'aspettavo questa stoccata, e mi chiedevo quando sarebbe arrivata: e' il tuo cavallo di battaglia questo della coerenza trai mezzi e i fini.
G.: Invero e' il cavallo di battaglia, o se preferisci il mulo da soma, o meglio ancora lo zaino e la cassetta degli attrezzi, di ogni persona di volonta' buona. Anche di te.
B.: Canaglia, lo so. Eppure quanta fatica a trovare i mezzi, quanta fatica a individuare i fini; per non dire di quella pugnalata logica che e' nota col nome di eterogenesi dei fini; per non dire di come nel definire i mezzi "tot capita tot sententiae"; per non dire dell'affanno che si dura a cercar di capire cosa sia fine e cosa sia mezzo.
G.: Potrei darti torto? Eppure ai sofismi e alle aporie occorre far fronte; ed occorre far fronte al male, al male concreto, all'ingiustizia in atto, alla violenza che opprime. Con tutte le nostre incertezze dobbiamo pur affermare con chiarezza:
primo, che occorre resistere al male, e se pensiamo che sempre occorre resistere allora e' possibile resistere sempre, poiche' da questo stesso pensiero la nostra resistenza e' gia' cominciata.
Secondo: che il potere malvagio si regge sul consenso, sulla rassegnazione e sulla complicita': occorre negare il consenso, rompere la complicita', uscire dalla rassegnazione.
Terzo: che chi lotta per affermare la dignita' umana, il riconoscimento dell'altro, la solidarieta' e il diritto di ogni essere umano, deve agire coerentemente con i fini che si prefigge; cosicche' una lotta di liberazione non puo' ridurre altri in schiavitu', e soprattutto chi afferma l'umanita' non puo' distruggere l'umanita' nel corpo e nella vita di un altro essere umano: deve anzi precludersi tutto quello che puo' anche solo rischiare di provocare cio'.
Quarto: che alla violenza dell'oppressione, dell'ingiustizia, della disumanita', della devastazione, dell'assassinio, delle guerre, occorre contrapporsi nel modo piu' rigoroso: con la nonviolenza.
E se posso permettermi di aggiungere un quinta considerazione: quanto a cosa la nonviolenza sia, per ognuno di noi e' una cosa diversa, che ha fondamenti diversi e diverse espressioni; e per tutti noi e' meno un sistema che una ricerca; meno un magazzino di risposte preconfezionate che un interrogare continuo e incessante, e un cammino da fare. E dunque orsu', mettiamoci in cammino.
B.: E la butti in retorica ancora una volta, vecchio Houdini. E tuttavia al male occorre far fronte; e dai sofismi e dalle aporie non lasciarci incantare e pietrificare. Ed allora, con tutte le nostre incertezze (e che sempre ci accompagnino e preservino dagli entusiasmi e i dogmi che a mio modesto avviso sempre e solo nuovo male procurano) possiamo pur affermare con chiarezza:
e dunque, primo: che occorre resistere al male, e quand'anche non sapessimo con certezza cosa il bene sia, e' certo che al male bisogna opporci, e se bisogna opporci dunque opponiamoci, nel corso della lotta ci si fara' chiarezza sulle alternative da costruire.
E dunque, secondo: che il potere malvagio si regge sulla forza dell'inerzia, di quell'azione colpevole che e' l'omissione; si regge sulla forza di quella pigrizia il cui vero nome e' vilta', su quella vilta' il cui vero nome e' paura, su quella paura che e' paura di perdere il nostro relativo privilegio rispetto a chi gia' subisce piu' greve oppressione: ed occorre dunque rompere la complicita', rinunciare al privilegio frutto di complicita', sconfiggere la vilta' che e' cointeressenza nell'oppressione, smascherare la paura come adulazione del potere malvagio e rigettarla dunque in quanto tale (vi e' beninteso un'altra paura, nobile e giusta: la paura di fare del male, ed essa paura sia cara al nostro cuore), preferire comunque la lotta all'accettazione del male, togliere al potere malvagio il suo supporto piu' potente: l'inerzia nostra.
E dunque, terzo: che chi lotta per affermare la dignita' umana propria ed altrui, chi afferma la comune umanita', deve certo agire coerentemente con i fini che si prefigge; cosicche' tra i suoi strumenti, le sue tecniche, le sue strategie di lotta e fin di deliberazione, deve escludere quelle che oppressione riproducono, che umanita' altrui denegano.
E dunque, quarto: che alla violenza, occorre contrapporsi sempre, e vi e' un solo modo per adempiere questo assioma: la nonviolenza.
E se posso permettermi a mia volta di aggiungere un quinta considerazione: quanto a cosa la nonviolenza sia, per me e' questione su cui non cesso di interrogarmi; e mentre ci interroghiamo vediamo di por mano a rendere il mondo meno iniquo e i nostri congeneri meno infelici; e dunque orsu', mettiamoci in cammino.
G.: Sbruffone e plagiario che non sei altro.
B.: Ciarlatano e imbroglione che altro non sei.
G.: Sarebbe bello continuare, vecchio mio, ma vedo che qui comincia a piovere e ne' tu ne' io abbiamo con noi quel meraviglioso utensile che chiamano ombrello, sara' pertanto bene affrettarsi verso casa.
B.: Ancora una domanda, amatissimo: incontrandoci sempre qui per via, di fretta dinanzi a una vetrina di caffe' o a uno specchio di barbiere, mi chiedo sovente quale di noi due sia quello vero e quale l'immagine riflessa. Tu che ne pensi?
G.: Mio caro, ecco il sigillo al nostro conversare; che tu sei perplesso finanche su questo, mentre io son persuaso che in fin dei conti nulla cambi se tu sia l'immagine allo specchio o invece io.
B.: Sei il solito gran gaglioffo, vecchio mio; e mastro d'astuzie come quell'antico del maggior corno. Ma adesso sbrighiamoci a casa che l'acquazzone s'avvicina.
3. UNA TESTIMONIANZA SULLA MARCIA PERUGIA-ASSISI PUBBLICATA SU "IL GIORNALE DELLA NATURA"
["Il giornale della natura", il mensile dei consumi etici e ecologici diretto da Federico Ceratti, nel numero 137 dell'ottobre 2000 ha dedicato due pagine alla marcia Perugia-Assisi del 24 settembre, riproducendo anche la seguente testimonianza di uno dei marciatori, gia' diffusa nella rete telematica il 26 settembre, che ci pare non disutile riproporre anche nel nostro notiziario...]
La marcia per la nonviolenza da Perugia ad Assisi del 24 settembre 2000 e' stata una scommessa pascaliana.
Decidere di dire una volta per tutte no a tutti gli eserciti e a tutte le guerre, che sembra un gesto ovvio e una frase stantia, e' ormai l'unico modo per affermare la nostra residua umanita', ed e' l'inizio di una rivoluzione necessaria e non piu' rinviabile: la rivoluzione nonviolenta.
Ed e' stato un tratto commovente che a dire per tutti le ultime necessarie parole giunti alla Porziuncola, vi sia stata una persona come padre Alex Zanotelli, la cui lotta contro il commercio italiano delle armi che menano strage negli sterminati sud del mondo, lotta che lo porto' a un rinnovato esilio, e' incancellabile e luminosa nella nostra memoria.
Ed e' stato un momento straziante quando al termine delle sue parole, dopo aver denunciato "la trinita' satanica del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e dell'Organizzazione Mondiale del Commercio"; dopo aver denunciato le armi come nostro primario nemico, e che e' solo con la forza delle armi che prosegue un ordine mondiale che condanna i quattro quinti dell'umanita' alla miseria e all'orrore; dopo averci ricordato le cause e le dimensioni e l'esito della catastrofe ecologica e la condizione atomica, ed aver detto alto e chiaro i nomi dei responsabili e la complicita' di chi sta zitto; ha concluso Alex il franco suo dire dicendoci "Ecco, ora io torno a Korogocho, nei sotterranei della vita e della storia" e chiamandoci a proseguire la lotta qui, come lui la prosegue laggiu', nella bidonville alla periferia di Nairobi in cui vive da tredici anni la disperata vita e la lotta portatrice di speranza degli ultimi.
Io che scrivo queste righe ho sentito il cuore spezzarmisi dentro, e come tutti avrei voluto gridargli tra le lacrime: no, resta con noi. Ma non potevo fermare quell'uomo buono. Quando un uomo buono decide che deve andare, nulla puo' fermarlo.
Ecco, questa e' stata la marcia per la nonviolenza da Perugia ad Assisi del 24 settembre dell'anno 2000: essa non si e' conclusa ad Assisi, essa e' un'assemblea itinerante che convoca l'umanita' intera, essa da Assisi comincia e ti chiama.
4. NE' TROPPO PRESTO, NE' TROPPO TARDI
E' passato all'incirca un mese e mezzo dalla marcia per la nonviolenza del 24 settembre, ed e' forse insieme troppo presto e troppo tardi per proporre una ulteriore riflessione sui suoi esiti, sui suoi svolgimenti.
Troppo tardi forse per una riflessione di carattere giornalistico (cronachistico, pubblicistico); e troppo presto forse per una indagine sugli sviluppi, che con questo notiziario intendiamo piuttosto documentare nel loro farsi che non esaminare e sistematizzare.
Tuttavia di alcune linee di tendenza mettera' conto sottolineare i caratteri, e su alcune ulteriori vicende, e svolte, e incroci, mettera' conto riflettere.
*
Prima della marcia
1. Vi era stata di fatto una usucapione della marcia Perugia-Assisi da parte della Tavola della Pace, i cui meriti sono grandi ed i cui limiti sono evidenti; limiti che sono naturalmente legati ai suoi meriti: una struttura che garantisce un ampio collegamento tra movimenti, istituzioni, e soggetti politici, sociali e culturali assai diversificati, per adempiere bene questa funzione non puo', ipso facto, essere troppo avanzata e nettamente propositiva, ma deve riflettere un comune sentire, e procedere con la cautela richiesta dall'esigenza di non perdere pezzi di movimento nel dibattito e nell'azione.
Questa situazione, che era altresi' di fatto una delega da parte di molti, e forse anche un ritrarsi da parte di altri soggetti piu' caratterizzati in senso nonviolento e specificamente capitiniano, rischiava di rendere la marcia un rituale istituzionalizzato o comunque sussunto a posizioni e mediazioni le cui carenze ed ambiguita' sono emerse dirompenti lo scorso anno con la guerra.
E per essere espliciti: la centralita' della proposta "dell'ONU dei popoli" (che a nostro modesto parere meriterebbe un'assai piu' ampia ed approfondita ricognizione critica ed una discussione senza scorciatoie e senza diplomatismi), e la cancellazione di fatto (perche' annegata da una pletora di altre indicazioni, meno perspicue e sovente nebbiose) della nonviolenza positiva come asse del discorso e dell'azione pacifista, a noi pare abbiano nel corso del tempo alquanto indebolito la capacita' di intervento del movimento in quanto ne avevano opacizzato carattere e ruolo. Ma per ragionare fraternamente ed esplicitamente e con la necessaria articolazione ed argomentazione di tutto cio' avremo certo altre occasioni.
La marcia per la nonviolenza del 24 settembre ha "liberato" l'appuntamento capitiniano da una riduzione, un riduzionismo, un riduttivismo, gravosi e forse finanche narcotizzanti.
2. Negli ultimi anni (proviamo a indicare delle date, con larga approssimazione: dalla fine degli anni '80) era divenuta dominante nel movimento pacifista in Italia una sorta di timidezza a proporre la nonviolenza anche come una discriminante forte e ineludibile, e questa timidezza e' ancor piu' paradossale se si considera che gli eventi dell'89 nelle societa' dell'Europa centro-orientale avevano piuttosto rilanciato (pur in una temperie ed in un contesto cosi' ambigui e fortemente surdeterminati da poteri, interessi e processi corruttivi e criminali) la prospettiva della nonviolenza come ipotesi di lotta di massa contro regimi autocratici; ma proprio mentre anche in Italia si dava il collasso di un ancien regime, nei primi anni '90, veniva meno nella sinistra migliore, dei movimenti, critica ed alternativa, ecopacifista e solidale, la capacita' di proporre un'alternativa fondata sulle idee-guida della nonviolenza gandhiana e capitiniana: e qui pensiamo non solo e non tanto agli aspetti metodologici, alle tecniche della nonviolenza ed alla nonviolenza come modalita' deliberativa e strategia di lotta, ma a quelli precisamente programmatici, di modello sociale e politico, ed a quelli teoretici e fondativi in senso forte.
La marcia ha recuperato e riproposto a tutti la nonviolenza nella sua interezza, nel suo essere proposta complessa e complessiva, nel suo porsi come compresenza delle sue diverse dimensioni (dimensioni, ancor piu' che mere articolazioni e semplici implicazioni) etiche e politiche, metodologiche e gnoseologiche. Ha proposto la nonviolenza nella sua radicalita' e pienezza, facendola finita con il dominante cicaleccio incapace di una parola chiara, di una scelta decisa.
3. Il contesto italiano precedente la marcia, anche nell'ambito pacifista, e finanche tra i movimenti che si dichiarano nonviolenti e le persone della nonviolenza amiche, negli ultimi anni aveva dato luogo a vicende non sempre del tutto comprensibili e talvolta persino penose: purtroppo non sono mai mancate le litigiosita', gli esibizionismi, i dogmatismi e forse anche le furberie: e su tutto la cappa della guerra del '99. E (si parva licet componere magnis) proprio a ridosso di quella catastrofe, lo scontro con caratteri di baruffa sulla campagna osm, con una polemica tra amici della nonviolenza che nel suo concitato svolgimento non ha avuto caratteristiche nonviolente e ci pare abbia amareggiato tutti (beninteso: la discussione e' bene vi sia, l'esplicitazione delle differenze ed il confronto anche aspro tra scelte contrapposte anche; il reciproco insultarsi no).
La marcia, a fronte di tutto cio', e' stato un tentativo di andare oltre, di marcare una soluzione di continuita' ed insieme di procedere verso una ricomposizione ed un illimpidimento; una ricomposizione fondata sull'illimpidimento delle posizioni, ed un illimpidimento fondato sulla volonta' di aprire cammino per tutti.
*
Dopo la marcia
1. La marcia a noi pare abbia avuto la capacita' di "gettare il cuore oltre l'ostacolo", e di andare avanti, rendendo di colpo obsolete certe precedenti differenziazioni e diffidenze, certe esitazioni e subalternita'; ci pare sia riuscita ad aprire un varco e a rimetterci tutti in cammino; abbia saputo rilanciare l'ispirazione capitiniana e proporre con nitore ed energia la necessita' qui e adesso dell'azione nonviolenta limpida e persuasa.
Ed e' stata, a noi pare, un grande fatto politico (come e' noto, chi scrive queste righe tra le altre dimensioni della nonviolenza ritiene che sia oggi particolarmente necessario evidenziarne la cruciale rilevanza politica, il suo potenzialmente decisivo ruolo nello spazio pubblico, l'impatto che essa puo' e deve avere sulle scelte e i conflitti generali e fondamentali che l'umanita' si trova di fronte in questa fine di secolo). Ne abbiamo gia' detto a suo tempo, e qui non ci torniamo sopra.
2. Ma subito dopo la marcia molti altri eventi si sono dati, che hanno avuto (ed avranno ancor piu' nel prossimo futuro) un peso grande, e che hanno costituito altresi' importanti occasioni di verifica, di ulteriore apertura, di impegno concreto ed urgente. Vediamoli in una certamente troppo cursoria ed insufficientemente panoramica rassegna.
3. Praga: che ha confermato ad un tempo una tendenza ed un equivoco: la tendenza a "braccare" gli organismi visibili del nuovo ordine mondiale ove si danno convegno, per esprimere una visibile protesta contro l'orrore di esso ordine barbarico; l'equivoco di ritenere che si possa lottare oggi per la liberazione dell'umanita' senza fare una scelta di fondo e di principio, che e' la scelta della nonviolenza (ma su tutto cio' non ci dilunghiamo preferendo rinviare al nostro intervento del 4 ottobre, "Tre subalternita': da Seattle a Praga", gia' apparso anche su questo stesso notiziario).
4. L'incontro nazionale della Rete di Lilliput, che per la sua peculiare importanza tratteremo piu' sotto come paragrafo a se' e con particolare ampiezza, anche per proporre alla discussione alcuni interrogativi su cui particolarmente vorremmo sentire il parere dei nostri interlocutori.
5. Il riemergere della questione nucleare come nodo cruciale e ineludibile: grazie al lavoro di Peacelink a Taranto ed alla ripresa di iniziativa in Sardegna, sulla questione dei porti e del nucleare e sulla questione dell'uranio impoverito si e' riaperta una vertenza fondamentale e sta riemergendo una consapevolezza troppo a lungo intorpidita: la decisivita' della questione nucleare, dacche' viviamo nell'eta' atomica su cui Guenther Anders scrisse le sue terribili e insuperate tesi (che a tutti riproponiamo alla lettura: sono disponibili anche nella rete telematica, e comunque il testo puo' esserci richiesto per e-mail).
Dopo il confronto indo-pakistano; mentre parte cospicua dell'arsenale sovietico e' sul mercato mondiale illegale; e dopo l'uso e le conseguenze dei proiettili a uranio impoverito (dalla guerra del Golfo alla guerra dei Balcani); ebbene, l'impegno antinucleare deve tornare ad essere decisivo: e' necessario ed urgente.
6. La situazione in Palestina, di cui non riusciamo neppure piu' a scrivere tanta angoscia essa ci provoca.
7. La nuova legge che abolisce il servizio militare obbligatorio ma soprattutto l'ulteriore accelerazione del nuovo modello di difesa: che non solo e' pericolosissimo per i motivi che tutti ci diciamo, ma anche per cio' a cui riduce il servizio civile, gia' da tempo in molte esperienze tendenzialmente depotenziato della sua qualificazione antimilitarista originaria ed avviato a divenire in certe diffuse pratiche un che di parassitario e parastatale, funzionale allo smantellamento del welfare, con un uso improprio e illecito degli obiettori come forza-lavoro servile. Sono questioni di cui dovremmo discutere con piu' intensita' ed attenzione.
E nel prossimo futuro:
8. la preparazione di iniziative nonviolente come quella che ci sara' tra qualche mese a Bukavu (ed altre analoghe che richiamano l'attenzione sull'Africa, l'Africa che muore sotto il tallone neocoloniale, l'Africa dell'Aids e degli eccidi, l'Africa continente alla deriva e la cui popolazione e' considerata da sacrificare in blocco e senza scrupoli in un genocidio di dimensioni continentali nei piani del cosiddetto nuovo ordine mondiale): iniziative nonviolente che contengono elementi di rischio elevato per i partecipanti, elementi di rischio sui quali sarebbe opportuna una riflessione piu' approfondita ed esplicita, anche alla luce di tragedie gia' avvenute in passato. Ma anche su questo vorremmo aprire una riflessione piu' approfondita e adeguata, con i toni, le forme, l'attenzione - questo termine cosi' decisivo di Simone Weil - e la pietas resi necessari dalla delicatezza e dolorosita' delle questioni che occorre pur porre esplicitamente, in timore e tremore, in lealta' e fraternita', in umilta' e introspezione, e nella compresenza dei vivi e dei morti (se possiamo utilizzare questa decisiva e stupenda formula capitiniana, che noi qui assumiamo in un senso pienamente laico, in un senso, se ci e' consentito dire cosi', immanentistico e materialistico).
9. Le esperienze sempre piu' numerose e rilevanti di interposizione nonviolenta, di intervento nonviolento nei conflitti, di intervento nonviolento di peacekeeping e di peacebuilding, che ovviamente implicano anche la necessita' di una sempre piu' ampia ed approfondita formazione alla nonviolenza (in precedenti numeri di questo notiziario abbiamo pubblicato alcuni importanti testi di Giovanni Scotto e di altri su questo tema).
10. E, per gli appassionati del genere, e' alle porte l'incontro di Nizza.
11. E sono in preparazione le iniziative di contestazione del vertice del G8 a Genova nel 2001.
Insomma, anche a considerare solo questa schidionata minima, e questo saltabeccante calendario, per la nonviolenza c'e' molto da lavorare.
*
Tre interrogativi proposti agli amici della Rete di Lilliput
Dicevamo sopra della necessita' di dedicare un'attenzione particolare all'esperienza in sviluppo della Rete di Lilliput ed all'importante evento dell'assai partecipato primo incontro nazionale tenutosi a Marina di Massa.
Anche qui una tendenza assai opportuna ed apprezzabile alla ricomposizione ed articolazione di un movimento plurale e antiautoritario, ed insieme forse anche alcune probabilmente inevitabili confusioni, e garbugli, che la prosecuzione del dibattito dovra' dipanare, elaborare, sciogliere o forse, come si dice, "superare" creativamente, inventivamente.
Scontando il rischio di esprimerci su un evento cui non abbiamo personalmente partecipato e fondandoci sull'opinione di amici che c'erano e sull'abbondante materiale che circola nella rete telematica e sui mass-media vicini all'aggregazione lillipuziana, e cercando di esplicitare alcune impressioni che su questa esperienza siamo venuti formandoci da quando essa e' stata promossa, vorremmo proporre alla riflessione alcuni possibili elementi, o punti, o luoghi, di persistente confusione, su cui un approfondimento ci pare opportuno; e ne indichiamo tre:
a) ancora una volta quella che ci sembra essere una tuttora non adeguatamente elaborata e condivisa riflessione sulla nonviolenza come prerequisito. Le interpretazioni dell'incontro di Marina di Massa su questo punto da parte dei partecipanti ci sembrano essere le piu' variegate e fin contraddittorie, e certo dipendono dai punti di partenza e di riferimento di ciascuno, e dalle individuali esperienze e sensibilita'. Avremo occasione di tornarci sopra, del resto il nostro punto di vista su questo tema e' fin scontato, e ci interessa piuttosto raccogliere altre voci, altri punti di vista (per i quali ovviamente il nostro notiziario e' a disposizione).
b) La sensazione del rischio di una carenza di memoria storica e di una banalizzazione della riflessione (che l'entusiasmo sincero o l'incoraggiamento di maniera non solo non occultano, ma evidenziano vieppiu'). Ma al riguardo e' logico notare che ogni "gruppo in fusione" o movimento sorgivo riscopre il mondo per la prima volta, come se esso mondo fosse nato allora insieme ad esso gruppo o movimento appena sorto; in cio' gioca un ruolo anche un duplice fenomeno, generazionale e per cosi' dire di "renovatio": vale a dire la gioventu' di molti, ed il bisogno di un "ricominciamento" (una rinascita, simbolicamente) da parte dei meno giovani.
Vorremmo soltanto segnalare, per intenderci, che ci sono analisi del sistema-mondo e del modo di produzione capitalistico assai piu' duttili e penetranti di certe semplificazioni che vanno per la maggiore e di certi slogan che per quanto brillanti non costituiscono il meglio della strumentazione ermeneutica disponibile; se ci e' concesso dirlo, pensiamo che da Samir Amin a Immanuel Wallerstein, da Enrique Dussel a Vandana Shiva (per limitarci a qualche nome che crediamo dovrebbe essere gia' noto ai piu'), c'e' moltissimo da studiare per arricchire la nostra riflessione.
c) Infine, e forse soprattutto, la possibilita' che questa importante esperienza possa rischiare di rattrappirsi in una supina riproduzione di una proposta organizzativa ricavata - a nostro modesto avviso forse anche piuttosto pedissequamente - dal lavoro di Brecher e Costello, che e' francamente inadeguata rispetto alle esperienze alte datesi in Italia della cultura e della prassi politica dei movimenti antiautoritari, di critica delle istituzioni e dei saperi, e di solidarieta' e liberazione (non solo quelli ecopacifisti e di volontariato), nonche' delle esperienze critiche, alternative e consiliari della sinistra italiana, quando l'Italia era tra i paesi industrializzati "il caso italiano" per la vivacita' e la ricchezza delle culture politiche della sinistra.
Ed anche qui, per capirci con qualche esempio, pensiamo che si tratti di mettere a frutto ed ereditare esperienze come quelle dei COS capitiniani, dei consigli di fabbrica, del movimento femminista (una esperienza questa che costituisce a nostro avviso forse il punto piu' alto sia qualitativamente, sia quanto a profondita' ed estensione, di tutte le culture liberatrici, critiche ed alternative degli ultimi decenni in Italia), del movimento antimafia; o per usare alcuni nomi evocativi: le esperienze e le riflessioni di Lidia Menapace e di Nuto Revelli, di Danilo Dolci e di Rosanna Benzi, di Franco Basaglia e di Luigi Mara, di Umberto Santino e di Riccardo Orioles, di Franco Fortini e di Mario Lodi.
Ma mentre scriviamo cosi' ci chiediamo se non ci facciano velo gli acciacchi dell'eta' e l'incontentabilita' che ci consuma. Perche' non pensare che il dibattito lillipuziano possa, per una volta, riuscire a superare difficolta' e ambiguita', strettoie e imboscate, e dar luogo ad esiti maturi, persuasivi, efficaci? E' quello che ci auguriamo di tutto cuore, ed e' perche' questo accada, e per contribuire in qualche modo a tale risultato, che ci siamo permessi di esternare queste preoccupazioni (su cui eventualmente torneremo piu' in la', articolandole in modo piu' puntuale anche in riferimento a precisi punti critici su cui ci pare il dibattito fin qui stenti ad uscire dal generico e dall'ortativo).
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Altri temi da discutere
E per ora fermiamoci qui, che' questo intervento e' gia' abbastanza elefantiaco. Ma di cose da discutere tra noi ce ne sono ancora, e a iosa.
1. Non abbiamo neppure accennato, qui sopra, alla necessita' di promuovere nel prossimo futuro specifiche campagne che inverino le esatte (dal verbo esigere) indicazione della marcia Perugia-Assisi del 24 settembre: i sei punti dell'appello dei Nobel; l'opposizione a guerre ed eserciti; l'ipotesi di lavoro del processo federativo dei nonviolenti organizzati (su cui rinviamo in prima approssimazione all'intervento di Pietro Pinna che della marcia e' stato all'origine, ed alla recente lettera del Movimento Nonviolento e del MIR a tutte le esperienze nonviolente organizzate).
2. Ne' abbiamo fin qui accennato alla necessita' di campagne nonviolente urgenti ed indispensabili: contro il razzismo e per i diritti umani in Italia; contro i poteri criminali; per la difesa dell'ambiente; e il lavoro per la DPN; e le questioni aperte del quid agendum per il servizio civile e la campagna osm. Ne parleremo nella seconda parte di questo intervento, se una seconda parte per ora solo abbozzata porteremo a termine.
Fin d'ora invitando tutti i lettori ad intervenire sui temi qui sopra abbozzati, e scusandoci se scrivendo di fretta e procedendo di scorcio su alcune questioni siamo stati troppo secchi e possiamo aver dato l'impressione di una troppo radicale critica anche di esperienze e riflessioni che pure apprezziamo e ci stanno a cuore.
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COI PIEDI PER TERRA
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Numero 758 del 29 aprile 2013
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