Telegrammi. 1257
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- Date: Sat, 27 Apr 2013 00:16:48 +0200 (CEST)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1257 del 27 aprile 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Associazione "Respirare": Nell'anniversario della catastrofe di Cernobyl
2. Ricordato Juan Gerardi a Viterbo
3. Poesia siciliana e toscana del Duecento. Un incontro di studio a Viterbo
4. Primo Levi
5. Primo Levi: Shema'
6. Primo Levi: Alzarsi
7. Primo Levi: Si immagini ora un uomo
8. Primo Levi: Che appunto perche'...
9. Primo Levi: Verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945
10. Primo Levi: Hurbinek
11. Primo Levi: Approdo
12. Primo Levi: La bambina di Pompei
13. Primo Levi: Non ci sono demoni...
14. Primo Levi: Partigia
15. Primo Levi: Il superstite
16. Primo Levi: Contro il dolore
17. Primo Levi: Canto dei morti invano
18. Primo Levi: Agli amici
19. Primo Levi: La vergogna del mondo
20. Primo Levi: Il nocciolo di quanto abbiamo da dire
21. Primo Levi: Al visitatore
22. Un testo del mese di settembre 2000
23. Alcune prime impressioni
24. La "Carta" del Movimento Nonviolento
25. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. ASSOCIAZIONE "RESPIRARE": NELL'ANNIVERSARIO DELLA CATASTROFE DI CERNOBYL
Ricorre oggi, 26 aprile, l'anniversario della catastrofe di Cernobyl del 1986.
Nessuno dimentichi.
Vi e' una sola umanita'.
Vi e' una sola biosfera.
*
L'associazione "Respirare" di Viterbo
Viterbo, 26 aprile 2013
L'associazione "Respirare" e' stata promossa a Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto alla salute e la difesa dell'ambiente.
2. MEMORIA. RICORDATO JUAN GERARDI A VITERBO
Si e' svolta nella mattinata di venerdi' 26 aprile 2013 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" una commemorazione di Juan Gerardi, il vescovo guatemalteco assassinato dai sicari fascisti il 26 aprile 1998 per far cessare il suo strenuo impegno in difesa dei diritti umani degli indios e per il recupero della memoria storica delle vittime del genocidio compiuto lungo decenni dai militari del regime dittatoriale nei confronti della popolazione di origine maya.
Ricordare Juan Gerardi - ha detto il responsabile della struttura nonviolenta viterbese - significa assumerne l'eredita', proseguirne la lotta nonviolenta, cogliere il significato della memoria delle vittime e la sua decisiva funzione nella lotta per difendere la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
La lotta per la memoria delle vittime e' parte integrante e fondamentale della lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani: come Primo Levi si batte' per l'intera sua vita per la memoria delle vittime della Shoah, come Marianella Garcia per la memoria delle vittime degli squadroni della morte in Salvador, cosi' Juan Gerardi ed i suoi collaboratori in Guatemala: ma in verita' tutta la cultura, tutta la civilta' umana e' memoria in azione, memoria collettiva inclusiva, preservatrice e formatrice dell'umanita' intera. E' essa memoria che lega le generazioni passate alla presente ed alle venture, che restituisce amore e rispetto ai defunti, che dona verita' ai viventi, garantisce radici a coloro che verranno.
Vi e' una sola umanita': per questo occorre opporsi a tutte le guerre e a tutte le uccisioni; per questo occorre opporsi a tutte le segregazioni e a tutte le persecuzioni; per questo occorre impegnarsi in difesa della biosfera casa comune dell'umanita' intera.
Vi e' una sola umanita': e questa unica umanita' non esiste in astratto, ma concretamente nei singoli individui che ne sono parte, ognuno irriducibilmente diverso da ogni altro, ognuno dotato degli stessi diritti di ogni altro, ognuno unito all'umanita' intera dal comune sentirsi persona tra persone, umano tra gli umani.
La memoria fonda il dovere morale e politico di agire in pro del bene comune dell'umanita' intera.
Proprio ieri ricordavamo, nella ricorrenza del 25 aprile, la Resistenza e la Liberazione dalla barbarie nazifascista: e quel ricordo e' gia' prosecuzione della Resistenza. Cosi' oggi ricordiamo Juan Gerardi e ancora una volta la lotta contro la violenza genocida: ed anche questo ricordo e' gia' prosecuzione di quella lotta.
E questa lotta per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani, qui ed ora richiede la scelta della nonviolenza come unica modalita' d'agire coerente con essa, con i suoi fondamenti, con le sue finalita'. Solo la nonviolenza invera il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
E quindi ricordando i martiri della Resistenza ieri, ricordando Juan Gerardi e le vittime del genocidio guatemalteco oggi, ancora una volta da questo rammemorare discende ineludibile il compito di opporsi alla guerra e alle uccisioni, al razzismo e alle persecuzioni; ed in primo luogo quindi - ripetiamolo una volta ancora - il dovere di agire, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza, affinche' cessi immediatamente la criminale partecipazione italiana alla guerra afgana che ogni giorno miete vittime innocenti; ed affinche' siano abrogate immediatamente le infami misure razziste che perseguitano, schiavizzano, mandano a morte i migranti.
3. INCONTRI. POESIA SICILIANA E TOSCANA DEL DUECENTO. UN INCONTRO DI STUDIO A VITERBO
Si e' svolto nella serata di venerdi' 26 aprile 2013 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di lettura e commento di testi poetici di autori della poesia siciliana e toscana del Duecento.
4. MAESTRI. PRIMO LEVI
Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976.
Riproponiamo ancora una volta alcuni estratti da alcune sue opere.
5. TESTI. PRIMO LEVI: SHEMA'
[Da Primo Levi, Ad ora incerta (ma e' anche l'epigrafe che apre Se questo e' un uomo), ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 525]
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo e' un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si' o per un no.
Considerate se questa e' una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza piu' forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo e' stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
10 gennaio 1946
6. TESTI. PRIMO LEVI: ALZARSI
[Da Primo Levi, Ad ora incerta (ma e' anche l'epigrafe che apre La tregua), ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 526]
Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
Tornare; mangiare; raccontare.
Finche' suonava breve sommesso
Il comando dell'alba:
"Wstawac":
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
Il nostro ventre e' sazio,
Abbiamo finito di raccontare.
E' tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
"Wstawac".
11 gennaio 1946
7. TESTI. PRIMO LEVI: SI IMMAGINI ORA UN UOMO...
[Da Primo Levi, Se questo e' un uomo, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 21]
Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sara' un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignita' e discernimento, poiche' accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potra' a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinita' umana; nel caso piu' fortunato, in base ad un puro giudizio di utilita'. Si comprendera' allora il duplice significato del termine "Campo di annientamento"...
8. TESTI. PRIMO LEVI: CHE APPUNTO PERCHE'...
[Da Primo Levi, Se questo e' un uomo, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 35]
Che appunto perche' il Lager e' una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si puo' sopravvivere, e percio' si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere e' importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l'impalcatura, la forma della civilta'. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facolta' ci e' rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perche' e' l'ultima: la facolta' di negare il nostro consenso.
9. TESTI. PRIMO LEVI: VERSO IL MEZZOGIORNO DEL 27 GENNAIO 1945
[Da Primo Levi, La tregua, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, pp. 205-206]
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla (...).
Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi (...).
Non salutavano, non sorridevano, apparivano oppressi, oltre che da pieta', da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volonta' buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.
10. TESTI. PRIMO LEVI: HURBINEK
[Da Primo Levi, La tregua, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 216]
Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all'ultimo respiro, per conquistarsi l'entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senzanome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole.
11. TESTI. PRIMO LEVI: APPRODO
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 542]
Felice l'uomo che ha raggiunto il porto,
Che lascia dietro se' mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati;
E siede e beve all'osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l'uomo come una fiamma spenta,
Felice l'uomo come sabbia d'estuario,
Che ha deposto il carico e si e' tersa la fronte
E riposa al margine del cammino.
Non teme ne' spera ne' aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.
10 settembre 1964
12. TESTI. PRIMO LEVI: LA BAMBINA DI POMPEI
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 549]
Poiche' l'angoscia di ciascuno e' la nostra
Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
Che ti sei stretta convulsamente a tua madre
Quasi volessi ripenetrare in lei
Quando al meriggio il cielo si e' fatto nero.
Invano, perche' l'aria volta in veleno
E' filtrata a cercarti per le finestre serrate
Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
Lieta gia' del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si e' pietrificata
A incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Cosi' tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
Agonia senza fine, terribile testimonianza
Di quanto importi agli dei l'orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
Della fanciulla d'Olanda murata fra quattro mura
Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
La sua cenere muta e' stata dispersa dal vento,
La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
Vittima sacrificata sull'altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.
20 novembre 1978
13. TESTI. PRIMO LEVI: NON CI SONO DEMONI...
[Da Primo Levi, La ricerca delle radici, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 1519]
Non ci sono demoni, gli assassini di milioni di innocenti sono gente come noi, hanno il nostro viso, ci rassomigliano. Non hanno sangue diverso dal nostro, ma hanno infilato, consapevolmente o no, una strada rischiosa, la strada dell'ossequio e del consenso, che e' senza ritorno.
14. TESTI. PRIMO LEVI: PARTIGIA
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 561]
Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
Quelli che restano hanno i capelli bianchi
E raccontano ai figli dei figli
Come, al tempo remoto delle certezze,
Hanno rotto l'assedio dei tedeschi
La' dove adesso sale la seggiovia.
Alcuni comprano e vendono terreni,
Altri rosicchiano la pensione dell'Inps
O si raggrinzano negli enti locali.
In piedi, vecchi: per noi non c'e' congedo.
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,
Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,
Con molti inverni nel filo della schiena.
Il pendio del sentiero ci sara' duro,
Ci sara' duro il giaciglio, duro il pane.
Ci guarderemo senza riconoscerci,
Diffidenti l'uno dell'altro, queruli, ombrosi.
Come allora, staremo di sentinella
Perche' nell'alba non ci sorprenda il nemico.
Quale nemico? Ognuno e' nemico di ognuno,
Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
La mano destra nemica della sinistra.
In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non e' mai finita.
23 luglio 1981
15. TESTI. PRIMO LEVI: IL SUPERSTITE
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 576]
a B. V.
Since then, at an uncertain hour,
Dopo di allora, ad ora incerta,
Quella pena ritorna,
E se non trova chi lo ascolti
Gli brucia in petto il cuore.
Rivede i visi dei suoi compagni
Lividi nella prima luce,
Grigi di polvere di cemento,
Indistinti per nebbia,
Tinti di morte nei sonni inquieti:
A notte menano le mascelle
Sotto la mora greve dei sogni
Masticando una rapa che non c'e'.
"Indietro, via di qui, gente sommersa,
Andate. Non ho soppiantato nessuno,
Non ho usurpato il pane di nessuno,
Nessuno e' morto in vece mia. Nessuno.
Ritornate alla vostra nebbia.
Non e' mia colpa se vivo e respiro
E mangio e bevo e dormo e vesto panni".
4 febbraio 1984
16. TESTI. PRIMO LEVI: CONTRO IL DOLORE
[Da Primo Levi, L'altrui mestiere, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 675]
E' difficile compito di ogni uomo diminuire per quanto puo' la tremenda mole di questa "sostanza" che inquina ogni vita, il dolore in tutte le sue forme; ed e' strano, ma bello, che a questo imperativo si giunga anche a partire da presupposti radicalmente diversi.
17. TESTI. PRIMO LEVI: CANTO DEI MORTI INVANO
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 615]
Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purche' trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L'esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d'Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl'innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perche' siamo i vinti.
Invulnerabili perche' gia' spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finche' la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.
14 gennaio 1985
18. TESTI. PRIMO LEVI: AGLI AMICI
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 623]
Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purche' fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.
Dico per voi, compagni d'un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L'anima, l'animo, la voglia di vita.
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo
Prima che s'indurisse la cera,
Quando ognuno era come un sigillo.
Di noi ciascuno reca l'impronta
Dell'amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.
Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l'augurio sommesso
Che l'autunno sia lungo e mite.
16 dicembre 1985
19. TESTI. PRIMO LEVI: LA VERGOGNA DEL MONDO
[Da Primo Levi, I sommersi e i salvati, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, pp. 1157-1158]
E c'e' un'altra vergogna piu' vasta, la vergogna del mondo. E' stato detto memorabilmente da John Donne, e citato innumerevoli volte, a proposito e non, che "nessun uomo e' un'isola", e che ogni campana di morte suona per ognuno. Eppure c'e' chi davanti alla colpa altrui, o alla propria, volge le spalle, cosi' da non vederla e non sentirsene toccato: cosi' hanno fatto la maggior parte dei tedeschi nei dodici anni hitleriani, nell'illusione che il non vedere fosse un non sapere, e che il non sapere li alleviasse dalla loro quota di complicita' o di connivenza. Ma a noi lo schermo dell'ignoranza voluta, il "partial shelter" di T. S. Eliot, e' stato negato: non abbiamo potuto non vedere. Il mare di dolore, passato e presente, ci circondava, ed il suo livello e' salito di anno in anno fino quasi a sommergerci. Era inutile chiudere gli occhi o volgergli le spalle, perche' era tutto intorno, in ogni direzione fino all'orizzonte. Non ci era possibile, ne' abbiamo voluto, essere isole; i giusti fra noi, non piu' ne' meno numerosi che in qualsiasi altro gruppo umano, hanno provato rimorso, vergogna, dolore insomma, per la colpa che altri e non loro avevano commessa, ed in cui si sono sentiti coinvolti, perche' sentivano che quanto era avvenuto intorno a loro, ed in loro presenza, e in loro, era irrevocabile. Non avrebbe potuto essere lavato mai piu'; avrebbe dimostrato che l'uomo, il genere umano, noi insomma, eravamo potenzialmente capaci di costruire una mole infinita di dolore; e che il dolore e' la sola forza che si crei dal nulla, senza spesa e senza fatica. Basta non vedere, non ascoltare, non fare.
20. TESTI. PRIMO LEVI: IL NOCCIOLO DI QUANTO ABBIAMO DA DIRE
[Da Primo Levi, I sommersi e i salvati, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, pp. 1149-1150]
L'esperienza di cui siamo portatori noi superstiti dei Lager nazisti e' estranea alle nuove generazioni dell'Occidente, e sempre piu' estranea si va facendo a mano a mano che passono gli anni (...).
Per noi, parlare con i giovani e' sempre piu' difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali, siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perche' inaspettato, non previsto da nessuno. E' avvenuto contro ogni previsione; e' avvenuto in Europa; incredibilmente, e' avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler e' stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe. E' avvenuto, quindi puo' accadere di nuovo: questo e' il nocciolo di quanto abbiamo da dire.
21. TESTI. PRIMO LEVI: AL VISITATORE
[Da Primo Levi, testo pubblicato per l'inaugurazione del Memorial in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, ora in Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, pp. 1335-1336]
La storia della Deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo, non puo' essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere del Lavoro nell'Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto. E' vecchia sapienza, e gia' cosi' aveva ammonito Heine, ebreo e tedesco: chi brucia libri finisce col bruciare uomini, la violenza e' un seme che non si estingue.
E' triste ma doveroso rammentarlo, agli altri ed a noi stessi: il primo esperimento europeo di soffocazione del movimento operaio e di sabotaggio della democrazia e' nato in Italia. E' il fascismo, scatenato dalla crisi del primo dopoguerra, dal mito della "vittoria mutilata", ed alimentato da antiche miserie e colpe; e dal fascismo nasce un delirio che si estendera', il culto dell'uomo provvidenziale, l'entusiasmo organizzato ed imposto, ogni decisione affidata all'arbitrio di un solo.
Ma non tutti gli italiani sono stati fascisti: lo testimoniamo noi, gli italiani che siamo morti qui. Accanto al fascismo, altro filo mai interrotto, e' nato in Italia, prima che altrove, l'antifascismo. Insieme con noi testimoniano tutti coloro che contro il fascismo hanno combattuto e che a causa del fascismo hanno sofferto, i martiri operai di Torino del 1923, i carcerati, i confinati, gli esuli, ed i nostri fratelli di tutte le fedi politiche che sono morti per resistere al fascismo restaurato dall'invasore nazionalsocialista.
E testimoniano insieme a noi altri italiani ancora, quelli che sono caduti su tutti i fronti della II Guerra Mondiale, combattendo malvolentieri e disperatamente contro un nemico che non era il loro nemico, ed accorgendosi troppo tardi dell'inganno. Sono anche loro vittime del fascismo: vittime inconsapevoli.
Noi non siamo stati inconsapevoli. Alcuni fra noi erano partigiani; combattenti politici; sono stati catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, e sono morti qui, mentre il Terzo Reich crollava, straziati dal pensiero della liberazione cosi' vicina.
La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le citta' italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell'Italia fascista, costretta all'antisemitismo dalle leggi di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalita' del popolo italiano. Erano ricchi e poveri, uomini e donne, sani e malati.
C'erano bambini fra noi, molti, e c'erano vecchi alle soglie della morte, ma tutti siamo stati caricati come merci sui vagoni, e la nostra sorte, la sorte di chi varcava i cancelli di Auschwitz, e' stata la stessa per tutti. Non era mai successo, neppure nei secoli piu' oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi. Noi, figli di cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che e' stato civile, e che civile e' ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo.
In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si e' toccato il fondo delle barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa che il frutto orrendo dell'odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, ne' domani ne' mai.
22. MATERIALI. UN TESTO DEL MESE DI SETTEMBRE 2000
Riproponiamo qui sotto un testo apparso sul primo fascicolo de "La nonviolenza e' in cammino", n. 1 del 30 settembre 2000.
In preparazione della marcia Perugia-Assisi per la nonviolenza del 24 settembre 2000 avevamo realizzato un notiziario telematico quotidiano dal titolo "In cammino verso Assisi", che pubblicammo tra il 28 agosto e il 23 settembre. Alcuni giorni dopo la marcia decidemmo di avviare le pubblicazioni del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", che tredici anni e migliaia di fascicoli dopo ancora proseguono.
23. ALCUNE PRIME IMPRESSIONI
Offriamo queste prime impressioni cosi' come sgorgano, quindi con quanto vi e' di detrito e di non decantato, di ribollente e di non ancora composto, con quanto vi e' di impreciso e di inadeguato, di contraddittorio e di incerto; e di forzatura, fors'anche jacoponica. Nei prossimi giorni sistematizzeremo meglio temi e questioni, e cercheremo di tradurre emozioni ed enigmi in discorso e progetto; per oggi, solo per oggi, ci si consenta ancora di scrivere cosi': d'impeto e per immagini. Ma anche questo va problematizzato.
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Il cammino come interrogazione
Una esperienza cosi' intensa e aggettante, e di tanto dirompente novita' come la marcia per la nonviolenza del 24 settembre suscita una miriade di domande che ci sembra necessario ed urgente proporre alla discussione. Con questo foglio cercheremo di articolarle e porle all'attenzione delle persone che dalla proposta teorica e pratica della nonviolenza si sentono interpellate.
Sappiamo bene - troppi amano ripetercelo, cui forse sarebbe di sollievo rileggere Seneca - che ognuno di noi ha poco tempo (o ama dire cosi': se poi si andasse a vedere come sovente ce lo lasciamo usurare, il nostro povero tempo, quale tristezza), ma il tempo e' il tempo vissuto (Minkowski, certo), e la riflessione non e' mai tempo perso, ma tempo guadagnato, riscattato dagli abissi dell'inautenticita', della noia e della solitudine.
E la marcia per la nonviolenza cominciata il 24 settembre pone domande cosi' ime e cruciali che eluderle o sottovalutarle non e' cosa da persone, se non di alto sentire, almeno di tenace concetto.
Vorremmo oggi qui cominciare a tematizzare un primo blocco di questioni, di sensazioni, di suggestioni che dalla marcia si irradiano, che proseguono la marcia. Ma anche questo va problematizzato.
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Percezioni
In primo luogo va detto che si e' trattato di un'esperienza peculiare e irriducibile: altra e nuova rispetto alle marce per la pace degli scorsi anni (che pure sono care al nostro cuore, esperienze dense e di vaglia). Nella nostra personale percezione essa ha avuto la freschezza ed il pathos di quella del 1981, quando un movimento nuovo e per cosi' dire sorgivo nasceva ad opporsi alla "condizione atomica" (Anders), a tutti i missili ed all'equilibrio/squilibrio del terrore allora instante. La marcia che fu espressione di quel movimento cui diedero voce Ernesto Balducci (l'apertura del memorabile convegno di "Testimonianze"), Heinrich Boell (il magnifico discorso del 10 ottobre '81 a Bonn), maestri e compagni che molto ci mancano.
Gli amici ancor piu' anziani ci hanno detto che nella loro percezione hanno riassaporato un sorso di luce antica, quella della marcia del 1961, la marcia di Aldo Capitini.
E cosi' e' stato: si e' trattato di una novita' grande, che come tutte le rotture, le irruzioni del nuovo, reca anche un ritorno alle radici, ed alla radicalita', un ritrovarsi tratti dal vento della storia guardando al passato (certo, l'angelus novus di Benjamin). E anche: un andare altrove tornando sui propri passi. Ma anche questo va problematizzato.
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Non scherziamo
Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco tanto grossolano quanto dispiacevole: non ha avuto, la marcia del 24 settembre, alcun intento di polemica nei confronti di persone o strutture altrimenti impegnate per la pace (nei cui confronti c'e' piuttosto un atteggiamento di sollecitudine e ascolto ed affetto da parte degli amici della nonviolenza; che proprio mentre rivendicano il dovere di essere chiari nell'affermare la necessita' di una posizione limpida e persuasa, rigorosa sotto il profilo intellettuale e morale, si sentono tenuti alla discussione franca e fraterna con chi impegnandosi per la pace ha tuttavia visioni e propugna tesi che ad essi paiono piu' opache ed infine incondivisibili); non ha avuto la marcia velleita' comparative ed esibizionistiche (c'e' talmente tanto da fare per gli amici della nonviolenza, che per l'idiozia di pavoneggiarsi mancherebbe anche il tempo); ma non e' stata neppure un atto di orgoglio autoreferenziale (che sarebbe ridicolo: la nonviolenza non si da' in solitudine, essa puo' esistere solo nel vivo del conflitto, e la marcia serviva da verifica ed accumulo di forze, un riconoscimento reciproco che a tutti desse slancio alle lotte che tutti ci attendono). Essa e' stata piuttosto un momento di disvelamento e apertura; e davvero, con le parole di Aldo Capitini che Norberto Bobbio scrivendo da Torino e Pietro Pinna scrivendo da Firenze nei loro messaggi hanno ripetuto all'unisono, l'epifania della nonviolenza quale "varco attuale della storia". Ma anche questo va problematizzato.
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Un fatto politico
Un fatto politico nuovo e sorprendente: e ne e' stato segno incisivo il fatto che forse per la prima volta ad una marcia da Perugia ad Assisi sono venuti non gli affiliati a questa e quella organizzazione pur nobilissima; non i militanti di altro (partito o associazione o istituzione o movimento che sia) per fedelta' a quell'altro pur degno ai lor occhi di affiliazione o fin dedizione; no, non cosi' son convenuti i marciatori del 24 settembre: ma come persone, semplici persone intrinsecamente persuase, non organizzate, non inquadrate, non incasellate; persone che avevano scelto, ognuno per suo conto, ed ognuno per quel preciso motivo, di marciare per la nonviolenza. Tanti singoli (la categoria kierkegaardiana), unici, originali ed irripetibili "centri di nonviolenza", poiche' ogni essere umano e' un centro di nonviolenza, cosi' come ogni luogo e' il centro del mondo (la visione di Alce Nero, certo), ed ognuno deve sentirsi responsabile di tutto (don Milani nella lettera ai giudici, si').
Un fatto politico cruciale e aggettante: e' stata, finalmente, la prima vera risposta della societa' civile italiana alla guerra dello scorso anno: abbiamo finalmente affrontato la visione della Medusa, e non ne siamo stati pietrificati; abbiamo saputo affrontare il trauma profondo e la sfida terribile che quella vicenda ci ha folgorato dentro: e non ne siamo stati spezzati; abbiamo saputo trovare la parola e le gambe e il progetto da contrapporre a quella catastrofe; la parola, le gambe, il progetto che si chiamano: alternativa nonviolenta, azione nonviolenta, rivoluzione nonviolenta.
Vorremmo sottolinearlo: la parola, le gambe, il progetto che si chiamano: alternativa nonviolenta, azione nonviolenta, rivoluzione nonviolenta. Ma anche questo va problematizzato.
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Si', un fatto politico
Un fatto politico in forma di salto e di intensificazione e' stata la marcia: la nonviolenza si propone come alternativa, senza subalternita', senza soggiacenze, senza compromessi, nella sua radicalita' rivoluzionaria, nella sua affermazione del sinolo che lega mezzi e fini, nel suo agire la dignita' e la liberazione nel corso stesso della lotta, nel suo affermare l'eguaglianza gia' nel momento della deliberazione e dell'azione per l'eguaglianza.
Nel suo porsi non solo come chenosi, ma come forza: la nonviolenza del forte di cui diceva Gandhi, la nonviolenza che si oppone alla violenza per sconfiggerla; la nonviolenza che e' azione efficiente, che e' lotta incessante; che non e' fuga, che non e' astensione, che non e' vilta'; ma che e' conflitto, forza che si dispiega, trasformazione della realta'.
Ma questo porsi della nonviolenza come nuovo e decisivo asse dell'agire politico e' ad un tempo rottura di compromessi e mistificazioni, cesura rispetto a non innocenti astrattezze ed ambigui oltre che astratti furori, ed equilibrismi penosi e inceppanti.
Rottura, salto qualitativo e soluzione di continuita', ed insieme recupero e rivendicazione ed intensificazione di tutte le pregresse esperienze dei movimenti impegnati per la pace e la dignita' umana.
E' proposta non di rinuncia ma di metanoia, di tutto salvare trasformando tutto, di tutto rileggere e rivivificare alla luce della "adesione alla verita'" (il satyagraha di Gandhi, nell'etimo, una delle tante profonde accezioni e suggestioni del suo vasto campo semantico), di riaprire tutte le possibilita' creando appunto un varco, finalmente, ad una storia qualitativamente altra; il programma enunciato da Marx: "uscire dalla preistoria dell'umanita'". Ed uscirvi subito, costruendo qui e adesso forme di lotta e di convivenza che non rinviino ma affermino subito, prefigurino qui, nel nostro agire, nelle nostre relazioni, una umanita' liberata, una umanita' liberante, una umanita' che si libera. Vi è un testo di Franco Fortini (lo si legga in rete: alla pagina web http://www.peacelink.it/webgate/pace/msg00418.html ) in cui questo e' detto magnificamente, nel suo linguaggio lui chiama questo: comunismo; per chi scrive queste righe comunismo nel senso in cui ne dice Fortini, nonviolenza nel senso in cui ne dice Capitini, liberazione nel senso di Gutierrez e Dussel e Lidia Menapace, sono termini equivalenti. Ma anche questo va problematizzato.
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Un fatto politico: la proposta di obiettivi chiari
Un fatto politico e' stata la marcia, la proposta di obiettivi netti, pratici, verificabili: se si vuole contrastare la guerra, che e' sempre omicidio di massa, che e' sempre il crimine piu' vasto e pervasivo, occorre hic et nunc contrastarne, fino a cancellarli, gli strumenti, gli apparati, le ideologie, le scaturigini, le complicita'.
E dunque: l'opposizione integrale e intransigente alla guerra e ai suoi istituti ed utensili, alle concrezioni di ingiustizia, alle ideologia dell'alienazione; in sintesi: la lotta contro la morte, di cui pochi seppero dir netto come Elias Canetti.
E dunque: i punti proposti dall'appello sottoscritto dai Nobel per la Pace; e dunque: la lotta qui e adesso contro gli eserciti e contro le armi, contro ogni potere che opprime (e comunque esso si mascheri), contro la violenza sempre. Ma anche questo va problematizzato.
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Un momento di chiarificazione. Interiore
Di chiarificazione interiore, innanzitutto: la nonviolenza ti convoca ad essere trasparente a te stesso, a sostenere la visione del tuo intimo abisso, la pagliuzza e la trave, a coglierti nel groviglio delle ragioni e delle emozioni, e delle pulsioni e delle razionalizzazioni: riconoscendo quel che vi e' di alienato e di opaco entro te, prendendoti cura di te, invigilando te stesso, divenendoti amico; cogliere ed affrontare la violenza che e' dentro di noi e che occorre saper riconoscere, elaborare e vincere nella lotta interiore, nello sforzo di autocostruzione ed illimpidimento in cui consiste il fondamento ultimo della civilta', la capacita' di far prevalere il principio dell'amore sul cupio dissolvi; di contrastare nelle viscere proprie la morte, l'inerte, la denegazione della compresenza altrui, la divorazione del mondo. La marcia e' stata anche questo. Ma anche questo va problematizzato.
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Un momento di chiarificazione. Reciproca
Di chiarificazione reciproca: l'interlocuzione intensa e diffusa tra i partecipanti, il non marciare per cordoni serrati (residuo di cultura militare) ma in osmosi con la marcia tutta, il porre e porsi le domande che richiedono tempo e cammino e stanchezza e prossimita' per essere dette.
Con le difficolta' che questo implica, con le smagliature inevitabili: noi siamo ancora inadeguati a noi stessi, ma in questo processo asintotico occorre ingaggiarsi, volere l'incontro e' gia' l'incontro, sapersi guardare e ascoltare e' gia' lottare insieme. Ma anche questo va problematizzato.
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Un momento di chiarificazione. Scilicet: un appello all'esterno
Di appello all'esterno della marcia, che e' stata anche una voce che chiama, non una postura monumentale, ma un movimento di rivolgimento amoroso, un itinerario di ricerca.
Di superamento di incomprensioni e astrazioni e mistificazioni: un superamento verso il concreto: aufhebung (se ancora si potesse utilizzare senza imbarazzo questa parola hegeliana tante volte evocata ed equivocata: quell'oltrepassare che e' insieme un togliere e un salvare, un negare la necessaria negazione della necessaria posizione ed insieme l'inveramento dell'una e dell'altra); dall'alienazione all'autocoscienza, dalla subalternita' all'autonomia, dall'apatia alla resistenza, dalla rassegnazione alla lotta. Ma anche questo va problematizzato.
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Una proposta e un appello
La marcia per la nonviolenza del 24 settembre e' stata una proposta e un appello a tutto il movimento plurale ecologista, femminista, pacifista, solidale; antiautoritario, antiriduzionista, antidogmatico; alternativo, meticcio. Il policromo mosaico di chi si oppone al "disordine costituito" (Mounier) e lotta per la dignita' di ogni essere umano e dell'umanita' intera (comprese le generazioni passate, comprese le generazioni future: giacche' impedire la distruzione della biosfera significa impedire che si vanifichi l'impegno costruttivo di civilta', di umanizzazione, di tutti gli esseri umani gia' esistiti; e significa altresi' consentire alle generazioni future di poter esistere).
Una proposta e un appello al movimento plurale di liberazione e solidarieta'; ed oltre: a tutte le persone di volonta' buona; la proposta e l'appello di resistere alla violenza e all'ingiustizia nel modo piu' tenace e rigoroso, tutto della violenza ripudiando, tutto dell'ingiustizia contrastando, degnificando se' ed altrui nel vivo della lotta, rompendo la complicita', facendo seminagione di speranza: principio speranza ed utopia concreta e ortopedia del camminare eretti, rispondendo al muto volto sofferente ed enigmatico dell'altro da te che ti interroga, principio responsabilita' (certo: le etichette delle buone farmacie di Ernst Bloch, Emmanuel Levinas, Hans Jonas).
La marcia e' stata un'esperienza interiore condivisa, parola di pane e pellegrinaggio alle sorgenti, cammino da farsi col farlo dacche' prima che tu t'incamminassi esso non esisteva neppure ed e' col tuo andare che verifichi e dunque fai vero il mondo; e un convenire all'assemblea; e un esodo che comincia.
La proposta formulata da Pietro Pinna di una marcia non genericamente per la pace ma specifica per la nonviolenza ha avuto il pregio di essere limpida, e la risposta e' stata corale; la nonviolenza e' in cammino, e piacerebbe qui scrivere di essa cio' che ebbe a scrivere della verita' il vecchio Zola (nella sua generosa illusione umanitaria e positivistica): essa e' in marcia, e nulla potra' fermarla. Ma anche questo va problematizzato.
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Alcuni aspetti pratici. Le tappe che aggregano
Hanno favorito il sorprendente e financo fervoroso esito della marcia anche alcune scelte organizzative acute, ed alcune favorevoli circostanze.
L'efficacia della suddivisione del percorso in tappe: dalla partenza da Perugia all'arrivo a S. Maria degli Angeli, il percorso e' stato scandito da tre soste: a Ponte S. Giovanni, ove hanno preso la parola padre Angelo Cavagna ed una rappresentante del popolo kurdo - una testimonianza indimenticabile, che ripubblicheremo anche noi nei prossimi giorni riprendendola dal sito di "Carta" in cui e' gia' apparsa -; ad Ospedalicchio, con l'intervento della Lega Obiettori di Coscienza e delle Donne in Nero; a Bastia, con gli interventi di Alberto L'Abate, di Silvano Tartarini, della Campagna Kossovo e della Rete di Lilliput. Una scansione certo favorita dal raccoglimento interiore e da quella sua proiezione esteriore che e' stata la possibilita' di riunificare a piu' riprese tutta la marcia in un sol luogo lungo il percorso: essere stati poche migliaia di persone ha permesso che tutti potessero riunirsi ripetutamente in una medesima piazza ed ascoltare li' le parole che per tutti venivano dette volta a volta dai comuni portavoce per offrir nuovo alimento alla comune meditazione ed interlocuzione, ed ha permesso che la marcia non si sfilacciasse, che tutti si restasse una sola marcia e non tanti spezzoni distinti, distanti ed incomunicanti come sovente accade quando il numero e' maggiore e l'organizzazione frammentata.
Farsi carico di tutti, attendere gli stanchi: anche questo e' un segno. Avere molte voci, fermarsi alla fontana, dirsi la pena dei giorni e raccontarsi i sogni e dar loro vita nel cerchio fraterno dell'ascolto reciproco: anche questo e' un segno. Ed anche questo va problematizzato.
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Alcuni aspetti pratici. Saper concludere bene un incontro
L'efficacia della conclusione alla Porziuncola (laddove la scalata ad Assisi ed alla Rocca, di suggestione certo sublime, tradizionalmente disgrega la marcia in filamenti e depriva i piu' stanchi della convergenza o comunione finale), e di una conclusione non routinaria, ma vivace e partecipata.
Gli interventi conclusivi di Mao Valpiana e Luciano Benini, di Beppe Marasso e Sandro Canestrini, e la travolgente omiletica di padre Alex Zanotelli; e tra essi la lettura delle lettere di Norberto Bobbio e Pietro Pinna, e Imagine di John Lennon e la preghiera semplice francescana, e quella bandiera che la buona, la mite, la nobile Luisa Schippa ha recato alla marcia, che era la bandiera che Aldo Capitini trasse quel 24 settembre di quarant'anni fa, hanno saputo restituire fragrante il senso del percorso fatto (e del tempo frugifero trascorso: l'albero dei giorni, per dirla con Enrico Peyretti) ed aprire la via al percorso da fare, che e' quello piu' impervio e decisivo che tutti ci attende.
La scelta di non concludere con la solita narcosi festaiola (il bieco succedaneo delle discoteche che da anni le manifestazioni anche le piu' militanti ci ammanniscono) ma di proporre un'ora di incontro senza clamore tra i partecipanti, senza megafoni o colonne sonore ma interloquendo a tu per tu, e' stato l'ultimo segno forte di una giornata ricca di emblemi preziosi.
Non e' questo il luogo per commentare i discorsi tenuti e le lettere lette, di alcuni di essi, quelli che riusciremo a procurarci, daremo direttamente il testo integrale in questo foglio; ma non puo' sottacersi il vigore profetico del dire di Alessandro Zanotelli, con quel suo parlare antiretorico, quel suo dir chiaro e forte cio' contro cui e' da lottare, quel suo interrogare e suscitare ad un tempo. La nonviolenza come concentrazione e come apertura vi ha trovato espressione piena. Ma anche questo va problematizzato.
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Envoi
La marcia e' appena cominciata. La nonviolenza e' in cammino.
Ma anche questo va problematizzato, tu dici? Si', anche questo, perche' anche questo problematizzare e' fare cammino, anche questo e' parte della marcia per la nonviolenza, anche questo e' la nonviolenza in marcia.
24. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
25. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1257 del 27 aprile 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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