Telegrammi. 1233
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- Date: Wed, 3 Apr 2013 00:10:48 +0200 (CEST)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1233 del 3 aprile 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Ugo Vetere
2. Nell'anniversario della scomparsa di Jean Goss, maestro di nonviolenza
3. Per amor di verita', ovvero: l'amnesia degli imbroglioni
4. A confronto con i Dialoghi di Seneca
5. Segnalazioni librarie
6. Alcuni testi apparsi su "Educarsi alla pace. Una rassegna non rassegnata" nei mesi da maggio a dicembre 2004
7. Tre prischi idilli e uno scherzo con fuoco
8. Un articolo
9. Da una lettera non spedita
10. Una lettera ad alcuni amici del 27 aprile scorso
11. Una lettera ad alcuni amici dello scorso 5 maggio
12. Ancora una lettera ad alcuni amici
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. LUTTI. UGO VETERE
Prese parte alla Resistenza, fu sindaco comunista di Roma.
Le volte che mi e' capitato di incontrarlo sempre ne trassi l'impressione di una persona onesta, una persona degna.
Cosi' lo ricordo, cosi' lo saluto.
2. MEMORIA. NELL'ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI JEAN GOSS, MAESTRO DI NONVIOLENZA
Il 3 aprile 1991 scompariva Jean Goss.
Nell'anniversario della scomparsa il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo lo ricorda come una delle figure piu' grandi della nonviolenza e gli dedica un incontro di commemorazione e di studio.
*
Una breve notizia su Jean Goss e Hildegard Goss-Mayr
I coniugi Jean Goss (1912-1991) e Hildegard Goss-Mayr (1930-vivente) sono tra i maggiori testimoni della nonviolenza, segretari itineranti del Movimento Internazionale della Riconciliazione (in sigla: Mir) e partecipi di numerose esperienze e gruppi di azione liberatrice nonviolenta in varie parti del mondo. Jean Goss e' nato a Lione nel 1912 ed e' scomparso a Parigi nel 1991; Hildegard Mayr e' nata a Vienna nel 1930 (il padre, Kaspar Mayr, e' stato uno dei fondatori del Movimento Internazionale della Riconciliazione).
Tra le opere di Jean Goss e Hildegard Goss-Mayr: Une autre revolution, Cerf, Paris 1969; La nonviolenza evangelica, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari) 1991; in francese cfr. anche (con Jean Lasserre), Une revolution pour tous les hommes, Centre d'Information pour l'ouverture au tiers-monde, Tolosa 1969; Evangile et luttes pour la paix, Les Bergers et les Mages, Parigi 1989; tra le opere di Jean Goss: Fede e nonviolenza, L'Epos, 2006; tra le opere di Hildegard Goss-Mayr: Come i nemici diventano amici, Emi, Bologna 1997.
Tra le opere su Jean Goss e Hildegard Goss-Mayr: si veda il libro-intervista curato da Gerard Houver, Jean e Hildegard Goss. La nonviolenza e' la vita, Cittadella, Assisi 1984, nuova edizione accresciuta, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1994.
3. RIFLESSIONE. PER AMOR DI VERITA', OVVERO: L'AMNESIA DEGLI IMBROGLIONI
"Contro la menzogna bisogna lottare non solo per la sua intrinseca immoralita', ma per i suoi effetti distruttivi proprio dello spazio della politica" (Stefano Rodota', Elogio del moralismo, 2013, p. 72)
*
E' sconcertante e ripugnante che in vista delle imminenti elezioni comunali a Viterbo pretendano di presentarsi come difensori del termalismo proprio gli stessi messeri che volevano devastare la preziosa area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame realizzandovi un mega-aeroporto nocivo e distruttivo, insensato ed illegale.
Sconfitti dalla lotta popolare nonviolenta che ha salvato il Bulicame, oggi quegli Attila in sedicesimo cercano di occultare le loro malefatte e pretendono di turlupinare, frodare e derubare del voto ancora una volta la cittadinanza.
Ma cos'altro ci si puo' attendere da personaggi che non fanno mistero di essere nostalgici dell'olio di ricino e del passo dell'oca, razzisti e guerrafondai, longevi complici del regime della corruzione e dell'eversione dall'alto berlusconiana, ammiratori della barbarie e patrocinatori di ignobili reati?
*
Che simili personaggi mai piu' governino questa martoriata citta'.
Ed affinche' le loro reiterate manovre non usufruiscano della narcosi ovvero dell'amnesia su cui evidentemente fanno affidamento, ricordiamo una volta ancora cio' che non deve essere dimenticato: ovvero che "la realizzazione del mega-aeroporto nel cuore della preziosa area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame, di cui fece memoria Dante nella Divina Commedia, avrebbe avuto come inevitabili immediate e disastrose conseguenze: lo scempio dell'area del Bulicame e dei beni ambientali e culturali che vi si trovano; la devastazione dell'agricoltura della zona circostante; l'impedimento alla valorizzazione terapeutica e sociale delle risorse termali; un pesantissimo inquinamento chimico, acustico ed elettromagnetico di grave nocumento per la salute e la qualita' della vita della popolazione locale (l'area e' peraltro nei pressi di popolosi quartieri della citta'); il collasso della rete infrastrutturale dell'Alto Lazio, territorio gia' gravato da pesanti servitu'; uno sperpero colossale di soldi pubblici; una flagrante violazione di leggi italiane ed europee e dei vincoli di salvaguardia presenti nel territorio. L'area del Bullicame va invece tutelata nel modo piu' adeguato: istituendovi un parco naturalistico, archeologico e termale; e fin d'ora respingendo ogni operazione speculativa, inquinante, devastatrice, illecita. E nell'ambito della mobilita' la provincia di Viterbo ha bisogno piuttosto di migliorare la rete ferroviaria ed i collegamenti con Roma, Orte e Civitavecchia; una mobilita' adeguata e coerente con la difesa e la valorizzazione dei beni ambientali e culturali e delle vocazioni produttive dell'Alto Lazio".
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"E questo sia suggel ch'ogn'omo sganni" (Dante, Inf., XIX, 21)
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Il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti
Viterbo, 2 aprile 2013
Il "Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti" ha promosso e guidato dal 2007 la vittoriosa mobilitazione popolare che ha difeso la preziosa area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame di dantesca memoria dalla minaccia di una illegale ed irreversibile devastazione. Il comitato - di cui e' portavoce la dottoressa Antonella Litta, alla quale e' stato recentemente attribuito a Roma il prestigioso "Premio Donne, Pace e Ambiente Wangari Maathai" - e' animato da alcune delle piu' stimate personalita' dell'impegno morale e civile nell'Alto Lazio, come il professor Osvaldo Ercoli; tra i suoi fondatori anche il compianto Alfio Pannega (1925-2010), luminoso maestro di dignita', simbolo indimenticabile della Viterbo popolare, antifascista e solidale.
4. INCONTRI. A CONFRONTO CON I DIALOGHI DI SENECA
Si e' svolto la sera di martedi' 2 aprile 2013 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un nuovo incontro di studio dell'opera di Lucio Anneo Seneca.
Argomento dell'incontro una ricognizione dei dieci Dialoghi del filosofo cordovese, affiancando all'analisi complessiva anche un accostamento articolato e dettagliato ad ognuno di essi (nell'ordine: De providentia, De constantia sapientis, De ira, Consolatio ad Marciam, De vita beata, De otio, De tranquillitate animi, De brevitate vitae, Consolatio ad Polybium, Consolatio ad Helviam).
La rilettura dell'opera di Seneca dal punto di vista di un'etica della Resistenza e di una cultura della nonviolenza e' un percorso di ricerca cominciato da mesi e che si protrarra' ancora nelle prossime settimane.
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Jean-Claude Carriere, Umberto Eco, Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani, Milano 2009, 2011, pp. 256, euro 10.
6. MATERIALI. ALCUNI TESTI APPARSI SU "EDUCARSI ALLA PACE. UNA RASSEGNA NON RASSEGNATA" NEI MESI DA MAGGIO A DICEMBRE 2004
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi su "Educarsi alla pace. Una rassegna non rassegnata" nei mesi da maggio a dicembre 2004.
7. TRE PRISCHI IDILLI E UNO SCHERZO CON FUOCO
GLI OSTAGGI DIMENTICATI
Quella favola antica dell'Anima e di Amore
anch'essa cede alla semplice visione
della luce sul respiro del mare.
La vita stupida come la luna
come una pera, uno sguardo nel pozzo
che scivola lungo il costone e diventa
valanga e poi rombo e poi morte ed infine
si scioglie in nulla.
La vita che balla la rumba
la vita che vivere non sa.
Tutta la morte in un guscio di noce
tutta la morte in un filo di vento
tutta la morte in un niente di niente.
Ancora ieri erano qui, erano vivi
dalla televisione fu ordinato di annientarli
uno stesso coltello taglia tutte le gole.
PARLA ANCORA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
La notte sta finendo, il fuoco
e' braci, la nostra
riunione e' finita, riassumo
le decisioni, poi
ognuno tornera' alla sua tenda,
gia' sento vibrare nell'aria l'aurora dita rosate
molte cose abbiamo detto buone.
E questa e' la prima, che la nostra guerra
e' buona, cattiva e' quella degli altri.
Salvano vite i fucili dei nostri soldati, coloro
che si sono avventati contro i nostri
proiettili in volo, barbari sono, e suicidi.
E' ovvio che noi continueremo
a domarli, a sbranarli se occorre,
finche' non avranno a pentirsi
di essere vittime e sciocchi.
Gia' il dio dal volto di cane
lunghe conduce file di anime
agli elisi, e allo sheol. I nostri
saranno felici per sempre, saranno
per sempre infelici i loro.
Tolta e' la seduta. Sono ancora in onda?
EMPIA UNA SALMODIA
Felici quelli che sanno sedere
a consiglio su cataste di cadaveri, felici
quelli che persero in tempo l'olfatto.
Felici i comandanti dei plotoni
d'esecuzione, poiche' essi avranno
lucenti sciabole e interviste e scranni.
E felici coloro che sapienti
san gorgheggiare le melodie soavi
che allietano l'imperatore
gli schiavi ipnotizzano ancora
del coro dei morti sovrastano il lamento.
E felici i felici e gli infelici,
di vivere gli uni, di morire
gli altri. Felice
per sempre il silenzio.
EPIGRAMMA
Per impedire la guerra civile
la guerra barbara ci e' d'uopo la' condurre.
Dovrebbero esser contenti
di essere ammazzati dalla nostra civilta'.
8. UN ARTICOLO
[Il seguente articolo e' apparso, col titolo redazionale Non basta dire che e' orribile, nel n. 31 della primavera 2004 del periodico "Adesso sulla strada", fascicolo monografico dedicato alla figura di Primo Mazzolari]
"Chi pensa di difendere, con la guerra, la liberta', si trovera' con un mondo senza nessuna liberta'. Chi pensa di difendere, con la guerra, la giustizia, si trovera' con un mondo che avra' perduto perfino l'idea e la passione della giustizia".
Sono parole, indimenticabili, di quello scritto, fondamentale, di Primo Mazzolari che fin dal titolo si presenta come uno dei grandi manifesti della scelta teorica e pratica della nonviolenza: Tu non uccidere.
Un libro che illumina i nostri compiti in questi tempi atroci e desolati.
Poiche' non basta dire che la guerra e' orribile, occorre opporsi ad essa.
Ma per opporsi ad essa occorre illimpidire i nostri pensieri e le nostre azioni: rendere esse ed essi rigorosi e coerenti al principio - ovvero al fine - cui vanno ordinati: quel rispetto della vita e della dignita' di tutti gli esseri umani al di fuori del quale non vi e' piu' umanita', ne' come genere e intrapresa comune, ne' come centro di ciascuno di noi.
Occorre la scelta della nonviolenza, la scelta teorica e pratica, metodologica e progettuale, interiore e relazionale, esistenziale e politica della nonviolenza.
La nonviolenza, o la si sceglie e la si assume nella sua pienezza, o non e' nulla. Non esiste la nonviolenza a meta' o sotto condizione. Il libriccino di Mazzolari, come anni dopo le due lettere di Lorenzo Milani ai cappellani militari e ai giudici, questo dicono una volta per tutte.
E questo dicono, una volta per sempre, le esperienze del movimento delle donne, il lascito piu' alto e piu' profondo di Simone Weil e di Virginia Woolf, le esperienze di difesa della biosfera e con essa della dignita' umana da Chico Mendes a Vandana Shiva, le lotte di liberazione e le esperienze di ricerca della verita' da Mohandas Gandhi a Martin Luther King, la corrente calda della tradizione del movimento dei lavoratori, tutte le resistenze all'inumano nelle loro figure piu' limpide e nitide: da Etty Hillesum a Marianella Garcia, da Primo Levi a Ginetta Sagan, da Rosa Luxemburg a Luce Fabbri. Questo dicono tutte le esperienze e le riflessioni educative che contano: da Paulo Freire a Danilo Dolci, da Aldo Capitini a Ivan Illich, a Rachel Corrie.
Non ci sono altre alternative: o la nonviolenza, o l'accettazione di un ordine del mondo e di un modo di gestione dei conflitti che riduce gli esseri umani a fantocci, a pietra, a liquame.
Ma se si fa la scelta della nonviolenza ("una testimonianza resa alla verita'", la definisce Mazzolari) si fa la scelta della lotta la piu' nitida e la piu' intransigente: la scelta della lotta contro la violenza, la menzogna, le ingiustizie tutte. Una scelta che richiedere un impegno non lieve. Che ti convoca a un arduo cammino. Ma un cammino felice perche' sobrio, felice perche' condiviso; e un impegno sereno perche' limpido, sereno perche' esigente, esatto. Il cammino e l'impegno attraverso cui tu stesso sei (come particola, come scintilla, come ansia e come cenno, ma altresi' in pienezza e infinitudine) quel valore che vorresti si realizzasse; il cammino e l'impegno nel cui tragitto e nelle cui peripezie ci si apre all'incontro, al volto e all'abbraccio dell'altro e dell'altro, dell'umanita' intera, nella condivisione della sofferenza, dell'indignazione, ma anche del comune sforzo costruttivo, del reciproco riconoscimento di umanita'.
"Chi giustifica una guerra, giustifica tutte le guerre", ha scritto una volta per sempre Primo Mazzolari. Chi giustifica un'uccisione si fa complice di tutte le uccisioni. Chi ammette la violenza mena l'umanita' alla catastrofe. Chi alla violenza non si oppone con tutte le sue forze ed in ogni circostanza, della violenza si e' gia' fatto servo, dalla violenza e' gia' stato schiantato.
Tu non uccidere. Il resto verra' da se'.
9. DA UNA LETTERA NON SPEDITA
[Il testo seguente e' un estratto da una lettera che il nostro amico e collaboratore Giobbe Santabarbara aveva scritto all'amico suo Stefano Lungimirante il 16 settembre 2004, ma che poi non spedi', come sovente gli capita. Pur titubante, ce ne ha messo a disposizione il passo che presentiamo di seguito, forse non privo di interesse per i nostri lettori]
Ai rapitori delle due Simone, e di tante e di tanti altri, credo che non abbiamo nulla da dire, ne' il diritto di dire nulla, se non un appello generalissimo - ed insieme essenziale, irriducibile ad altro, e infine l'unica parola che conta - in nome della comune appartenenza all'unica umanita': lasciatele vivere, lasciatele libere, loro come tutte e tutti.
Lo stesso appello che dovremmo rivolgere a tutti i soldati di tutte le guerre: giu' le armi, non uccidete piu'.
In questo strano momento dell'umanita' (quel tempo denso che in teologia si chiama kairos) mi sembra alcune ambiguita' si sciolgano, altre se ne creino.
Oscena una brama di omologazione (surrogato maligno, canceroso, di un bisogno di riconoscimento, di cura, di reciprocita', di dignita') divora vite e corrompe relazioni.
Ad un tempo vengono a nudo verita' intollerabili, e nuove menzogne si riproducono e ispessiscono.
Ad esempio: quanto e' ridicolo e fuori scala l'aggettivo "nazionale" (usato ad un tempo dai signori della guerra e da chi a loro opporsi vorrebbe: "unita' nazionale", "manifestazione nazionale"...).
Quanto e' purtroppo intimamente ipocrita l'illusione "umanitaria" di fare la guerra e insieme portare i soccorsi (l'Onu dell'embargo, l'Onu che denuncia; le istituzioni europee che chiedono di salvare vite, le istituzioni europee che condannano a morire i migranti; l'Italia che manda truppe di occupazione, l'Italia che manda qualche soccorso...).
E quanto e' orribile - e rivelatrice del nostro quotidiano esser facitori di orrore, del nostro essere proprio noi i mostri che alcuni settori almeno dei gruppi terroristici cercano imitare -, quanto e' orribile questa pratica del terrore per raggiungerci sugli schermi dei televisori e dei computer, questo straziare corpi per divenire simili a noi in cio' che abbiamo di piu' turpe e feroce: del nostro stile di vita la violenza onnicida, ferale la techne.
E quanto e' priva di politica - di utopia concreta, di ortopedia del camminare eretti, di principio speranza: ma anche di principio disperazione, e di principio responsabilita', e di infinita apertura all'ascolto del volto dell'altro -, quanto e' priva di politica, e quindi di verita', di realta', la retorica stantia e meccanica e alienata ed astratta dei burocratici autoreferenziali "gruppi dirigenti", e non solo quelli dei poteri dominanti, ma anche, non di rado, quelli che si dichiarano rappresentativi di un movimento per la pace che ne' da quelli ne' da altri stati maggiori puo' lasciarsi rappresentare poiche' per tragedia e per fortuna il movimento per la pace e' oggi la voce dell'umanita' intera nel gorgo della catastrofe - nulla di piu', ma nulla di meno -, e non lo strumento di una o un'altra camarilla, di una o altra carriera o riciclaggio o assalto alla diligenza del potere o alla barca della vita.
E quanto e' scandalosa questa nostra mancanza di serieta', e questa incapacita' nostra, e dell'occidente tutto, di star zitti sia pure un solo momento e ascoltare il silenzio, la verita' e il dolore degli altri.
Il nostro stesso cianciare e cianciare ci denuncia come fascisti anche quando il fascismo combattere vogliamo. Ci denuncia come ancora incapaci di riconoscere, e quindi di condurre, la lotta interiore cui siamo chiamati; e di riconoscere il volto dell'altro e nel suo - e proprio nel riconoscimento della sua irriducibile alterita' ed insieme della nostra comune umanita' - il nostro stesso.
Ci riesce addirittura difficile ammettere l'ovvia - ed orribile a un tempo - evidenza che in una guerra totale e totalitaria come quella scatenata dalle potenze militari braccio armato del capitale transnazionale, e' chiaro che non possono esserci zone franche, che sia gli assassinii che le stragi possono colpire tutti. Ed e' chiaro che tanto il bombardiere quanto l'autobomba, tanto il soldato torturatore dell'esercito regolare quanto il torturatore del gruppo dichiaratamente terrorista, negano umanita' ad esseri umani, esseri umani uccidono, l'intera umanita' fanno a brani e divorano, dell'umanita' altrui e propria fanno scempio, dell'umanita' di tutti e unica; e ogni vittima, come diceva Heinrich Boell, ha il volto di Abele.
Ci riesce addirittura difficile ammettere l'ovvia - ed orribile a un tempo - evidenza che le nostre stesse ambiguita' alimentano l'uso del terrore, fanno crescere il fondamentalismo assassino, armano gli eserciti, i gruppi, i singoli. Le nostre stesse ambiguita', di noi medesimi che alla guerra vorremmo opporci, al terrorismo vorremmo opporci, all'iniquo imperio sempre piu' globale che provoca sfruttamento, inquinamento, guerra, razzismo e disperazione suicida e omicida vorremmo opporci. L'ambiguita' di chi cerca ancora di fare alleanze fondate sulla menzogna, quando invece tutto del mondo oggi ci grida che occorre rompere ogni ambiguita' e scegliere la nonviolenza nella sua assoluta radicalita', sapendo che non puo' piu' darsi prassi di pace se non si fa la scelta della nonviolenza, e questo vale per le tragedie piu' flagranti, ma vale anche per le condotte quotidiane, vale anche per i processi decisionali e per le forme di azione nel nostro paese.
Se dovessi dire cosa vedo di limpidamente nonviolento oggi qui, credo che vedo solo le esperienze e la riflessione delle donne; e il resto - compresa non piccola parte del manifestare per la pace, che pure e' meglio di niente - e' rumoroso silenzio, o ideologia di ricambio, o epilettica gazzarra, o mezza menzogna. Di limpidamente nonviolento vedo solo le proposte di Lidia (Menapace), della dolcissima Maria (Di Rienzo), e di tante altre ancora, la loro prassi, il loro prendersi cura, il loro ereditare cio' che di degno e cruciale dal Novecento ereditare si puo': quel che han pensato e detto e fatto Simone Weil e Virginia Woolf, Etty Hillesum ed Hannah Arendt. Questo vedo, anzi sento: le esperienze nonviolente e le nonviolente riflessioni delle donne, e certo anche dei maschi che all'ascolto di queste voci di donne sanno e vogliono infine mettersi ed educarsi.
Perche' e' chiaro, a me sembra, che alla guerra e al terrore (la guerra che e' il culmine del terrorismo, il terrorismo che e' l'essenza della guerra: l'uccidere come assoluta antiumanita') in un solo modo ci si puo' opporre: con la forza della nonviolenza, ma della nonviolenza dei forti, non le banalita' o peggio le pagliacciate che per essa vengono spacciate da tanti che infine sembrano piu' preoccupati della propria buona posizione - e compresi del suono delle proprie alate parole - che della distretta in cui ci troviamo tutti, tutti, senza eccezione (sebbene, naturalmente, con diversi gradi di esposizione, e di dolore e paura e vergogna, e di responsabilita').
La nonviolenza dei forti richiederebbe la capacita' di uscire dalla ripetizione stantia di parole pur vere che il corso degli eventi tuttavia logora ed essicca; richiederebbe la capacita' di un intervento nonviolento nel conflitto qui e la' - poiche' unico e' il teatro del conflitto attuale - non in forme meramente testimoniali ma pienamente politiche, di massa, gandhiane, e giuriscostituenti, come inveramento della democrazia in quanto prassi di partecipazione, di riconoscimento di umanita', di convivenza agita.
Sono esigenze non facili, ed angosciose certo, ma sono anche interrogativi ineludibili.
A fronte di cio' quanto inadeguato mi appare molto discettare, e quanto ambiguo e meschino il polemizzare che i media e i personaggi dei media - anche quelli ritenuti "del movimento per la pace", e che invece sull'uso della violenza talora sono stati e sono peggio che ambigui, corrivi - ci rimandano ogni giorno, per narcotizzarci e asservirci vieppiu' all'idea di delegare sempre ad altri cio' che invece dovremmo decidere e fare noi, dovremmo decidere e fare tutti.
E quanto necessaria, quanto urgente e' la scelta della nonviolenza, che non sappiamo compiere, eppure e' li', nitida e luminosa, ineludibile il compito dell'ora, appello e varco, e tutto il resto e' sangue ed ignavia, e distretta dell'umanita', e crinale apocalittico.
10. UNA LETTERA AD ALCUNI AMICI DEL 27 APRILE SCORSO
Carissime e carissimi,
se un nostro umile e limpido gesto puo' contribuire a salvare delle vite umane, quel gesto dobbiamo farlo. E' un gesto non solo onorevole, ma giusto, ma buono.
Cosi' di tutto cuore, senza esitazioni, senza distinguo e senza sofismi, anch'io rispondo di si' all'appello dei familiari dei tre giovani italiani rapiti e minacciati di morte. E manifestero' con loro la speranza e l'impegno contro tutte le uccisioni.
Quando diciamo di essere contro la guerra e contro il terrorismo cosa altro diciamo se non che siamo contro tutte le uccisioni?
Ci tireremo forse indietro proprio quando un nostro gesto, onorevole, giusto e buono, puo' contribuire a salvare delle vite umane e indicare una via nonviolenta di intervento nel conflitto, di questo presente orribile conflitto che tutti ci lacera e coinvolge?
Se della necessita' morale e intellettuale della nostra opposizione alla guerra e al terrorismo, alle stragi e alle uccisioni, eravamo convinti gia' prima, oggi dobbiamo esserlo ancor piu'.
Senza ipocrisie, senza abulie, senza ambiguita'.
*
Del ripudio della menzogna
Capisco i dubbi e le esitazioni di tanti. Ma non accetto le menzogne e il cinismo.
Con parole che sento insufficienti e non di rado insincere sento parlare in questi giorni di ricatti e di terrorismo.
Ma la guerra è il primo e il principe degli atti di terrorismo, che tutti gli altri incuba ed alleva; l'occupazione militare dell'Iraq che si prolunga da oltre un anno con il suo corteggio di stragi e devastazioni e' con tutta evidenza un crimine immane e spregevole un ricatto; i carri e i mitra americani (e degli stati loro tributari, e dei governi mercenari, tra cui quello italiano) tengono ostaggio l'intero popolo iracheno, ed incessanti seminano morte.
I terroristi rapitori dei giovani nostri concittadini, gli assassini di uno di loro, riproducono e proseguono nella misura dei loro mezzi un crimine e un orrore piu' vasto, un crimine e un orrore di cui anche il nostro stato, il nostro paese, ed infine - e suo malgrado - il nostro stesso popolo e' complice.
*
Della nostra vergogna
Non esser riusciti lungo un anno a far quasi nulla contro la guerra (e le poche cose fatte, sovente purtroppo vacue e confuse, reticenti e ambigue, talora persino inquinate) ha reso il movimento pacifista del nostro paese avversario inetto ed in certi momenti ed atteggiamenti talora quasi paradossale complice del governo, del parlamento e del presidente della Repubblica fedifraghi e felloni, cioe' delle istituzioni che sciaguratamente l'Italia in guerra hanno precipitato, tradendo il proprio mandato e il giuramento fatto sulla Costituzione della Repubblica Italiana, violando per sempre la legge su cui la civile convivenza del nostro paese si fonda, facendo morire anche degli italiani, ed altri italiani rendendo assassini; tutti inabissandoci nell'illegalita' e nel crimine, nel terrore e nella barbarie.
Un'orgia di sangue. Di cui non si vede la fine. E non se ne vede la fine per responsabilita' anche nostra. Non solo dei sanguinari che governano il mondo e il nostro stesso paese, sciagurati fuorilegge che fanno quel che pensano e che loro conviene. Nostra di noi che avremmo dovuto fermarli e non lo abbiamo fatto. Nostra di noi che dovevamo difendere la legalita' costituzionale e il diritto internazionale e non lo abbiamo fatto. Nostra di noi che dovevamo difendere la democrazia, il civile condursi e convivere, il diritto alla vita che inerisce ad ogni essere umano, e non lo abbiamo fatto.
Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti.
E' anche la nostra incertezza interiore ed effettuale inadeguatezza, che fa crescere il duplice crimine della guerra e del terrorismo che la guerra imita e riproduce ed espande vieppiu'. Dovevamo fermarli e non lo abbiamo fatto. Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti.
Perche' non lo abbiamo fatto? Perche' non siamo riusciti? Per la piu' semplice ed essenziale delle ragioni: perche' neppure noi, nel nostro agire comune e condiviso come ampio e plurale movimento per la pace, abbiamo saputo fare in pienezza e in profondita' la scelta della nonviolenza, la scelta teorica e pratica della nonviolenza, la scelta esistenziale e politica della nonviolenza, la scelta assiologica e giuriscostituente della nonviolenza.
Non siamo ancora un persuaso movimento per la pace, e non essendo un persuaso movimento per la pace non siamo neppure un persuasivo movimento contro la guerra. Perche' c'e' un solo modo per essere un movimento per la pace che possa la guerra sconfiggere: e questo solo modo e' la scelta della nonviolenza. La nonviolenza dei forti, la nonviolenza che nitida e intransigente si oppone a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutti gli armati, a tutti i terrorismi, a tutte le uccisioni.
Anche le nostre mani sono sporche di sangue.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
*
Dal silenzio al digiuno
Per quanto riguarda la mia personale, di responsabilita', per piccola cosa che essa possa essere, ho deciso di uscire dal silenzio che mi sono imposto da mesi per prender le distanze dal rumore di fondo che non mi persuade, dalle troppe stoltezze e scelleraggini dette e fatte anche nel campo pacifista da chi pretende di rappresentarci e ci sfigura; e per cercare una piu' essenziale misura, una piu' esatta disciplina.
Da quel silenzio esco ora per dire una parola, per esprimere un voto, dichiararmi a favore di un gesto per salvare tutte le vite umane che salvate possono essere, a cominciare da quei tre giovani nostri concittadini in Iraq. Un gesto che e' di pace e per la pace, coerente nella forma e nel contenuto, nei mezzi e nei fini, un gesto nonviolento che a partire da noi testimoni la necessita' e la possibilita' che cessi la guerra, che cessi l'occupazione militare, che cessi il terrorismo, a cominciare dall'Iraq.
E per veder piu' chiaro in me al digiuno della parola, al silenzio, sostituisco a cominciare da ora un altro e piu' alto, piu' severo digiuno, dell'alimentazione. Un digiuno gandhiano, misero segno di condivisione di un dolore e di assunzione di una penosa e ineludibile responsabilita', e ancora nitido gesto di pace e di reciproco riconoscimento di umanita'; un digiuno gandhiano, non per ricattare, non per adire i mass-media, ma per condividere una sofferenza che altre vite afferra e strozza, per illimpidire il mio sentire e il mio fare, per vedere piu' chiaro, per cercare una via all'agire che occorre, per rispondere al compito dell'ora.
Vi abbraccio forte.
11. UNA LETTERA AD ALCUNI AMICI DELLO SCORSO 5 MAGGIO
Carissime e carissimi, scusatemi.
Ma (...) vorrei con voi condividere queste poche modeste impressioni sulla giornata dello scorso giovedi', cui non mi pare abbian reso giustizia molti pubblici commenti anche benintenzionati.
Le persone che, rispondendo all'appello dei familiare di tre giovani la cui vita e' in estremo pericolo, si sono messe in cammino giovedi' 29 aprile tra Castel Sant'Angelo e piazza San Pietro a Roma, hanno realizzato quella che a me e' parsa una delle piu' belle e limpide e profonde e luminose manifestazione per la pace in Italia dalla marcia Perugia-Assisi del 2000.
Proprio perche' persone cosi' diverse, proprio perche' persone decisesi ciascuna per conto proprio, proprio perche' l'appello a cui rispondevano non scaturiva per una volta da cartelli di sigle, da quartieri generali o comitati centrali, dalle infinite burocrazie e siano pure quelle del volontariato, ma da donne e uomini nel dolore.
Non sono mancate - come sempre accade quando si manifesta pubblicamente nella forma del corteo a Roma, e troppe telecamere istigano gli incorreggibili volponi e talune anime le piu' ingenue a inopportune esibizioni - piccinerie e spiacevolezze, ma sono state per una volta del tutto marginali, futili, evanescenti.
Vi era, cosi' ho sentito, la comprensione e l'affermazione di un ragionamento chiaro e nitido un sentimento, e la scelta di un comportamento netto e finalmente non piu' equivocabile: si e' stati li' con una volonta' precisa e decisa: fermare la mano degli assassini, perche' esseri umani cessino di uccidere esseri umani: esseri umani le vittime, ed esseri umani gli assassini, anch'essi vittime. Una comune umanita' tutti ci lega e degnifica e sostanzia: per questo giammai devi uccidere. Per questo il primo e l'ultimo comandamento di tutte le grandi tradizioni di pensiero dell'umanita' e' racchiuso nella formula bella: tu non uccidere.
Per questo le forme piu' vive di questa giornata a me pare siano state il povero camminare e il denudato silenzio che convoca al colloquio corale, quell'essenza misteriosa e fragrante che molti di noi chiamano preghiera (ed anche agli altri, anche a me, evoca l'incontro del cielo stellato e della legge morale), l'invito alla benevolenza; il grido straziato e supplice, ma splendente di dignita', ma fermo come roccia, alla misericordia: la misericordia che l'intera umanita' deve a ciascun essere umano. La misericordia che ogni essere umano deve all'umanita' intera. Tu non uccidere.
La ciarla sui ricatti e le provocazioni, i sofismi dei retori, le nequizie degli irresponsabili e degli ipocriti e dei violenti (coloro che la guerra e il terrorismo e le uccisioni promuovono, eseguono, avallano) non scalfiscono ne' corrodono questa elementare verita': giovedi' scorso a Roma persone in cammino questo hanno detto, e lo hanno detto consapevoli di dire una parola vera, libera e franca, concreta e impegnativa: tu non uccidere.
Poi, tornati a casa (ed alcuni forse ancora per le vie di Roma, e fors'anche in piazza, sia pure), ognuno e' tornato alle sue private miserie e ambiguita' - e tutti ne siamo in misura maggiore o minore piu' che maculati composti, ma quella parola e' stata detta, quel gesto e' stato compiuto. Ed e' stata un'epifania di verita', autentico un consentire e un'invocazione: tu non uccidere.
Detto da esseri umani forti solo della propria angoscia e fragilita', che e' l'angoscia e la fragilita' essenziale di ogni essere umano: tu non uccidere.
Detto a noi stessi prima che ad ogni altro: tu non uccidere.
Ma anche a tutti gli altri detto: e in primo luogo ai portatori di armi e di oppressione e di morte: tu non uccidere.
Questo e' stato detto affinche' fosse udito anche dagli esseri umani di cui alla resa dei conti tutti i gruppi criminali, tutti i terrorismi, tutte le guerriglie, tutti gli eserciti, tutti i governi sono composti: gli esseri umani che impongono la guerra e le stragi e le uccisioni, gli esseri umani che eseguono la guerra e le stragi e le uccisioni, gli esseri umani che guerra, stragi e uccisioni subendo ad esse soggiacciono altresi' nella forma dell'ulteriore riproduzione di nuove uccisioni, stragi, guerre, in una spirale che l'intera umanita' artiglia e trascina al disastro. A tutti costoro ha parlato la teoria di umiliati e offesi, ma non arresi, ma non rassegnati, di giovedi' scorso: tu non uccidere.
Per quanto paradossale possa sembrare, giovedi' scorso a Roma a me e' parso di intravedere, di presagire, di leggere nelle mie stesse viscere e nei visi dell'altra e dell'altro, di quante e di quanti erano li', quell'unica comunita' politica a cui oggi mi sentirei di aderire con tutto il cuore - e alla quale so che aderire non posso per quanto vi e' ineliminabilmente in me di oppressore in quanto di sesso maschile in una cultura e una storia ancora non riscattata, ancora troppo intrisa della violenza del sesso cui appartengo. Ma ieri l'ho pur vista, era li', luminosa e finanche - se posso osare questa metafora - numinosa: era la "societa' delle estranee" di Virginia Woolf.
Al di la' delle nostre individuali inadeguatezze e torpori e miserie giovedi' scorso a Roma ho vista l'unica via possibile alla pace, la proposta di Virginia Woolf, le cose che mi ha insegnato Lidia Menapace: la nonviolenza in cammino.
La coscienza che la pace comincia da noi, che noi per primi dobbiamo spezzare il fucile, che alla violenza dobbiamo opporre non altra violenza ma la forza piu' grande e piu' pura, perche' la piu' meticcia, perche' la piu' chenotica: la nonviolenza. Preferire piuttosto morire che uccidere, e forti di questo con voce sottile come vento tra i rovi, e con voce tonante come tempesta, questa supplica e questo comando testimoniare, recare, dare alla luce, e dinanzi allo specchio e nella piazza del mondo: tu non uccidere.
Non solo nei volti e nelle voci delle persone amiche con cui da piu' di trent'anni ci troviamo piu' o meno sovente a camminare insieme, ma nelle voci e nei volti di chi giovedi' scorso per la prima volta facendosi forza afferrava policromo uno straccio e per le vie si metteva in corteo, ho sentito questa coscienza, questa verita': che la nonviolenza e' in cammino, che solo essa puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
Un abbraccio ancora.
12. ANCORA UNA LETTERA AD ALCUNI AMICI
[... ad alcuni amici il 9 maggio 2004...]
Carissime e carissimi tutti,
tra i promotori e i complici della guerra e del terrorismo c'e' chi finge di stupirsi e di indignarsi per le mostruose torture perpetrate in Iraq dalle truppe occupanti sugli inermi prigionieri.
Fingendo di non sapere che la guerra si esegue attraverso l'uccidere e il terrorizzare. Fingendo di non sapere che la qualita' fondamentale al belligerante richiesta e marchiatagli indosso lungo e attraverso l'intero corso dell'addestramento militare impartitogli e' proprio la capacita' di disumanizzare il "nemico" (di percepirlo come non umano, di renderlo tale), e' proprio l'odio per l'altro essere umano che la guerra gli oppone, e' proprio la disponibilita' ad infierire su di lui fino a togliergli la vita, dimenticando che una e' l'umanita'.
La tortura e' parte costitutiva della guerra, sempre.
Per abolire la barbarie della tortura e' necessario (anche se non sufficiente, e' evidente) abolire la guerra. Cosi' come (e' altrettanto evidente) abolire la guerra e' necessario se si vuole davvero abolire la barbarie della pena di morte, volonta' solennemente enunciata e fin legiferata da molti stati, ma da tutti sistematicamente violata quando e in quanto ammettano il ricorso alla guerra ed a tal fine di armi ed eserciti si dotino.
*
Occorre, e' urgente, che la devastante guerra in corso cessi, ed essa puo' cessare solo con la fine dell'occupazione militare straniera in Iraq, sostituendola con un grande, doverosamente cospicuo e generoso intervento internazionale di aiuti umanitari, condotto con operatori disarmati e modalita' rigorosamente nonviolente, al servizio del popolo iracheno ed in guisa di necessario seppur inadeguato e tardivo risarcimento per le sofferenze ad esso inflitte dalla cosiddetta comunita' internazionale sia negli anni della complicita' con la dittatura, sia con le due guerre di cui l'ultima ancora perdura, l'embargo tra esse, ed infine quest'anno di smisurati e crescenti orrori protratti e ulteriori ed estremi.
Coloro che in questi giorni si dicono sorpresi e indignati e non muovono un dito affinche' la guerra cessi (ed essa - ripetiamolo - puo' cessare solo con la fine dell'occupazione militare, e solo con la sua cessazione - e grande e profondo un intervento nonviolento - si puo' sperare di fermare la crescita del terrorismo che essa sta alimentando vertiginosamente), invero meglio farebbero a tacere. Poiche' anche questa menzognera ed ipocrita sorpresa e questa sguaiatamente esibita indignazione, meramente retorica, palesemente posticcia, pretesamente autoassolutoria, e quindi infame e ripugnante quanto il ghigno malefico del carnefice, e' complice della guerra e del terrorismo, del terrorismo grande imperiale e degli stati, del terrorismo derivato e speculare dei gruppi assassini su scala ridotta alla propria misura fin artigianale ma non per questo meno atroce e pervasivo, e col terrorismo maggiore in tensione e sinergia nel provocare sempre piu' abissali escalazioni di dereismo e violenza, di male, di orrore, di barbarie onnicida.
*
Sono un cittadino italiano. Lo stato in cui vivo, ordinamento giuridico che mi garantisce diritti a cui tengo e privilegi enormi che non merito e non desidero e di cui pure in qualche modo fruisco (e che so essere pagati da altri esseri umani di altri popoli ed altri paesi con una poverta' e un'oppressione che sono coatte e funzionali e necessarie al mantenimento del privilegio e dello spreco qui nel nord ricco di rapina, vampiro e polluttore), questo stato di cui in quanto cittadino faccio parte e per una quota sia pur minuscola sono corresponsabile, questo paese di cui in quanto indigeno e abitatore sono parte e corresponsabile, sta cooperando all'occupazione militare dell'Iraq, quindi alla guerra, quindi al terrorismo.
Anche il mio silenzio e' complice delle torture, del terrore, della guerra, poiche' sono un cittadino italiano, e pur dotato di rilevanti diritti politici e quindi di non irrilevante politico potere non ho saputo adeguatamente effettualmente agire - e come me, e io insieme a loro, le tante ed i tanti che come me sentono e pensano e ardentemente vogliono, e sono, siamo senza dubbio la grande maggioranza del popolo italiano - per impedire dapprima e di poi far cessare la guerra, o almeno la partecipazione italiana ad essa, nonostante a favore di cio' che chiediamo, a favore della pace e dell'umanita', ci siano le leggi del nostro paese, leggi che governo, parlamento e capo dello stato hanno proditoriamente violato non opponendosi alla guerra in corso ed anzi mandando italiani ad uccidere e farsi uccidere cola' in guerra, e con essi, mandanti ed esecutori, decisori ed armigeri, quelle leggi - in primis la Costituzione della Repubblica Italiana stessa - parimenti hanno violato coloro che avendo potere di interdire la loro azione han lasciato che cosi' agissero, che alla partecipazione all'aggressione hanno contribuito, che hanno omesso di opporsi, o si sono opposti ma in misura inadeguata, in forme insufficienti o equivoche, non raggiungendo un esito cogente.
E tra essi, nella misura delle facolta' nostre, anche noi, non cosi' senza potere come ci pare di essere, come ignobilmente ci crogioliamo talora di dirci; non cosi' innocenti come a troppi piace oscenamente proclamarsi per colmo di insipienza e sicumera, per un obnubilamento che vieppiu' ci rende e ci manifesta corresponsabili della guerra e del terrore.
*
Nei giorni scorsi, che ho trascorso nel digiuno, mi sono chiesto ancora e ancora cosa dovessimo fare - di meglio, piuttosto che di piu', del poco e male fatto -, non ho trovato risposta ancora. O meglio, una sola, ma capisco che non piu' che enunciarla qui posso.
Ed e' quella che Alex Langer il buono, persuaso e persuasivo, fece accogliere in sede istituzionale europea molti anni fa, ma tuttora inattuata: l'istituzione e l'azione di corpi civili di pace in grado di effettuare interventi rigorosamente nonviolenti in aree di conflitto bellico dispiegato.
Piu' volte e in piu' luoghi si e' iniziata questa pratica - fin qui senza sostegni istituzionali e quindi solo su base e per scelta generosamente coraggiosamente volontaria - da parte di movimenti nonviolenti ed esperienze della societa' civile, e talvolta con esiti assai rimarchevoli nella misura delle forze impiegate, delle risorse disponibili.
Nella situazione irachena questo oggi occorrerebbe: una presenza internazionale di interposizione nonviolenta di massa di dimensioni tali da paralizzare i belligeranti.
Ed e' cosa alla quale, nella misura che nella concreta contingenza e' all'uopo necessaria (nella massa critica ma anche nella qualita' e potenza ermeneutica e percettiva, visibilita'-veggenza-profezia che il satyagraha richiede), siamo ancora inadeguati per motivi soggettivi e oggettivi, innanzitutto per il tremendo ritardo del movimento per la pace - nel suo complesso considerato, ma anche nelle parti di esso piu' vigili e coscienti, meno chiassose e piu' nitide, meno ambigue e piu' sollecite - nell'accogliere la nonviolenza come scelta decisiva per chiunque voglia impegnarsi per la pace e i diritti umani, per chiunque voglia lottare per il presente e il futuro dell'umanita'.
*
Ed in assenza della capacita' di adeguatamente praticare hic et nunc questa forma di intervento nonviolento (ma questo non significa rassegnarsi all'inerzia, significa lavorare ancor piu' tenacemente e limpidamente in questa prospettiva), mi pare che per cosi' dire in via subordinata un'altra cosa ci resterebbe ancora da fare, da fare qui, da fare subito, in Italia, oggi.
Ma anche questa proposta non sono capace di far piu' che ancora una volta soltanto dichiararla come esigenza ed appello, poiche' vedo bene tutte le difficolta' di metterla in atto. Ed ho piena contezza che essa e' ancora una proposta estrema, ma altre non ne vedo che per dimensione a fronte di cio' che l'ora richiede non siano troppo fuori scala e meschine e pusillanimi, ed almeno che essa venisse promossa, discussa, presa in seria considerazione vorrei.
E' lo sciopero generale contro la guerra, contro il terrorismo, contro la tortura. Lo sciopero generale che obblighi chi oggi governa il nostro paese violando la legge - e tutti ci trascina nella barbarie - a tornare al rispetto della legge; lo sciopero generale che imponga il ripristino della legalita' costituzionale, l'obbedienza all'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana che proibisce all'Italia di prender parte all'occupazione militare dell'Iraq. Lo sciopero generale per la fine della partecipazione italiana alla guerra. Lo sciopero generale come insurrezione morale nonviolenta del popolo italiano per richiamare all'umanita' le istituzioni del nostro ordinamento giuridico, per ricondurre all'umanita' la concreta azione politica internazionale italiana. Lo sciopero generale per difendere lo stato di diritto, la democrazia, i diritti umani, la nostra stessa qualita' di esseri umani, la nostra stessa umana dignita': e la vita e i diritti delle sorelle e dei fratelli iracheni e di quanti in Iraq ogni giorno subiscono sevizie e stragi, e quanti sono esposti ad essere brutalizzati e uccisi, e quanti sono esposti a divenire torturatori e assassini e degli assassini e dei torturatori complici.
Temo possa apparir del tutto velleitario il dirlo, e quindi ridicolo se la tragedia in corso il ridicolo consentisse, ma il dir altro temo sia nulla, o peggio. Lo sciopero generale occorre: in difesa della vita di tutti gli ostaggi della guerra e del terrore, compresi coloro che guerra e terrore praticano, vittime anch'essi oltre che carnefici; e in difesa della legalita' e della democrazia, della nostra medesima civile convivenza.
Perche' oggi gli assassini, i terroristi, e non solo per omissione di soccorso, tragicamente siamo anche noi, il popolo italiano "brava gente", il popolo italiano che una leadership gangsteristica, sprezzante di ogni legge ed ogni morale, ha ridotto a criminale parte belligerante - che gia' vittime ha mietuto, che gia' vittime ha subito - e abominevole pubblico plaudente, asservito nella narcosi ma nondimeno cannibale e compartecipe, di una guerra non solo delittuosa e scellerata come tutte le guerre, ma illegale secondo le stesse legislazioni costitutive e legittimatrici dei soggetti di essa promotori ed esecutori, che sta contribuendo alla catastrofe dell'umanita'.
*
Ed insieme una piu' profonda azione occorre: di crescita della nonviolenza come alternativa la piu' profonda e la piu' urgente, come proposta di gestione dei conflitti che consenta la fine delle guerre e degli eserciti e delle armi.
Quel lavoro di lunga lena cui molte e molti da anni dedicano le migliori energie loro e che oggi in Italia ha trovato un punto di convergenza e di sintesi provvisoria e dinamica nella proposta di Lidia Menapace all'Europa rivolta, proposta sull'impulso della quale molte persone amiche della nonviolenza si ritroveranno il 22 maggio su invito del Movimento Nonviolento (per ulteriori informazioni: www.nonviolenti.org) a un incontro che e' tra le poche cose coerenti, persuase e luminose che le operatrici e gli operatori di pace stanno promuovendo in questi giorni (come lo e' stata, a me e' parso, la marcia contro tutte le uccisioni svoltasi tra Castel Sant'Angelo e piazza S. Pietro il 29 aprile).
Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', l'umanita' tutta, l'umanita' altrui, la nostra medesima, l'umanita' di ciascuno.
Un caro saluto.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1233 del 3 aprile 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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