Archivi. 142



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

Numero 142 del 19 marzo 2013

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di agosto 2005 (parte prima)

2. Una frettolosissima lettera

3. Una immodesta proposta

4. Breve un commento ad un profilo breve

5. "No al nucleare, civile e militare"

6. Da una lettera di Margite all'amico suo Misone, a proposito delle prossime elezioni politiche

7. Dopo Hiroshima: una minima bibliografia essenziale

8. Quello che resta

9. Una ragionevole proposta

10. Della mitezza

11. Come vorrei che fosse scritto questo notiziario

12. Da una lettera al caro amico Gioffredo Rudello

13. Come fare un buon notiziario in dieci facili lezioni

14. E allora?

15. Lo stile, lo stilo

16. Ruggero, fratello

17. Indovinala grillo

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI AGOSTO 2005 (PARTE PRIMA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di agosto 2005.

 

2. UNA FRETTOLOSISSIMA LETTERA

 

Nel dibattito interno di quel partito si continua sovente a non capire - o meglio: a fingere di non capire, anche da parte di persone di notevole valore che pure avrebbero la strumentazione adeguata se solo volessero farne uso, ma qui a mio parere c'e' una scelta a priori di non voler capire, di non voler riconoscere - che il concetto di nonviolenza non solo designa altra cosa dalla passivita', dall'astensione, dalla rassegnazione, dalla fuga, dalla resa e dalla vilta', ma anzi definisce e propone proprio l'esatto contrario di queste forme di complicita' effettuale con la violenza.

La nonviolenza in senso proprio, nella sua peculiarita' e pienezza, e' la lotta la piu' nitida e la piu' intransigente, la piu' concreta e la piu' energica, la piu' consapevole e la piu' rischiaratrice, contro ogni violenza; la lotta che della violenza tutto combatte e rigetta, anche il riprodurla nel proprio sentire ed agire.

Se non e' questo, la nonviolenza e' polvere, ombra, nulla.

E non e' casuale che proprio il movimento delle donne sia l'esperienza principe, la corrente calda, l'anello forte della nonviolenza in cammino.

*

Cosi' come non e' casuale che e' nella storia della presa di coscienza e delle lotte del movimento operaio che sono state elaborate e praticate massivamente la gran parte delle ragioni teoriche, delle metodologie organizzative e progettuali, delle tecniche deliberative ed operative, dei programmi economici, sociali e politici della nonviolenza; e che scelte implicitamente ma inequivocabilmente nonviolente caratterizzino le parti a mio avviso piu' feconde delle analisi e delle proposte d'azione marxiane (e non solo nell'ambito della critica e della lotta contro le teorie ingenuamente insurrezionaliste e contro le azioni ferocemente ed insensatamente terroristiche).

I rigurgiti di piu' arcaiche tradizioni cospirative nichiliste, le frequenti riproposizioni di disperate insorgenze luddiste (in cui certo e' presente l'esigenza di un altro modello di sviluppo, ma che finiscono in una resa al sistema di potere laddove non si prefiguri un'alternativa: si veda invece come ad esempio Gandhi in un contesto di lotte che potevano dar luogo ad esiti meramente distruttivi trovo' l'alternativa - il "programma costruttivo" - ad esempio nella proposta dell'uso condiviso, personale e massivo ad un tempo, del filatoio a mano come base per lo swaraj), le derive violentiste di ispirazione soreliana, e il progetto leninista in cui l'apparato del partito s'insedia totalitariamente sulla classe e sulla societa', non sono ne' la corrente calda, ne' l'esperienza principale della storia del movimento operaio; come non lo e' l'operazione burocratica e l'impostazione positivistica della seconda internazionale che non casualmente precipita nella catastrofe dello sciovinismo e quindi del voto a favore dei crediti di guerra allo scatenarsi del primo conflitto mondiale.

La corrente calda e la tradizione luminosa del movimento operaio e dei movimenti di liberazione ad esso intrecciatisi e' nella rivendicazione intransigente e concreta della dignita' di ogni essere umano, nell'internazionalismo che unifica l'umanita' intera in una medesima solidarieta' (il programma politico rivoluzionario della Ginestra di Leopardi, prima ancora che del Manifesto del '48), nel ripudio di ogni guerra e di ogni uccisione. Tutto cio' noi qui e oggi lo chiamiamo nonviolenza.

*

Sarebbe bene che volendo discutere di nonviolenza tutte e tutti - e massime chi ha ruoli di rappresentanza e direzione in organizzazioni politiche - si avesse l'umilta' di informarsi del fatto che il bel termine capitiniano "nonviolenza" traduce unificandoli i due termini gandhiani di "ahimsa" e "satyagraha", che hanno un campo semantico ricchissimo e certo complesso, ma non equivocabile, banalizzabile, o peggio sfigurabile nell'esatto contrario di cio' che significano.

 

3. UNA IMMODESTA PROPOSTA

 

Forse se ci adoperassimo per far cessare la guerra, per abolire gli eserciti, per cessare di produrre armi, per ripudiare la violenza, staremmo tutti piu' sicuri.

Forse se la smettessimo di rapinare i popoli del sud del mondo, di vampirizzare persone e ridurle a sfruttati e sfruttate, a fame e miseria; se la smettessimo di devastare la biosfera: allora vi sarebbe certo meno disprezzo, meno odio e meno paura.

Forse se prendessimo sul serio le cose ragionevoli che tutti sovente diciamo, e invece di limitarci a dirle le facessimo pure, saremmo tutti piu' felici, e salveremmo il mondo.

*

Forse, se rispettassimo e aiutassimo le altre persone, e ci prendessimo insieme cura dell'unico mondo di tutti...

 

4. BREVE UN COMMENTO AD UN PROFILO BREVE

 

Quando finalmente lessi "Praga e' sola" ero gia' nel "Manifesto" che all'epoca era un gruppo politico impegnato in un difficile processo di unificazione con la sinistra socialista (e, a monte, azionista) guidata da Vittorio Foa, unificazione che fini' come tutte quelle nella nuova sinistra degli anni settanta: lacerazioni, traumi e contumelie, cannibalismi e ruggini che solo il tempo, artefice sovrano, ha saputo poi domare e ricomporre.

E nel "Manifesto" ero entrato perche' due cose mi avevano convinto su tutte: il sostegno all'opposizione di sinistra che si batteva contro i regimi totalitari delle societa' postrivoluzionarie nei paesi cosiddetti "del socialismo reale"; l'opposizione alle pratiche autoritarie nel dibattito e nella presa delle decisioni: due cose che erano una sola, perche' come scrissero una volta i surrealisti rivoluzionari non si puo' difendere la liberta' altrove se non la si difende anche qui, e non la si puo' difendere qui se non la si difende anche altrove. Senza usare il lessico della nonviolenza, nel "Manifesto" allora se ne faceva esperienza teorica e pratica.

Lessi con gioia concentrata e famelica, rapita e rapace, la collezione del "Manifesto" mensile, ormai un po' ingiallita, nella sede del partito da esso figliato (il "Pdup per il comunismo", dal nome quasi impronunciabile, ed in cui divenni - come si diceva allora con formula scandalosamente ipocrita e insieme sarcasticamente ossimorica - "rivoluzionario di professione"); la sede della federazione provinciale che poi divenne anche, per lunghi e non facili anni, la mia abitazione a riunioni finite (ma forse sarebbe meglio dire accampamento, ci si contentava allora di poco).

Mi capita non di rado, oggi, di essere in disaccordo con quanto scrive la Rossanda. E me ne cruccio (ma non e' cosi' grave: di solito almeno su qualcosa sono in disaccordo con tutti oltre che con me stesso). Mi pare ad esempio che non abbia colto come la nonviolenza sia l'inveramento ed il salto di qualita' concettuale, linguistico ed operativo oggi necessario dell'esperienza dei movimenti di liberazione che nel marxismo trovarono un nutrimento.

A un secolo e mezzo dal Manifesto del '48, in un mondo per tanti versi mutato anche grazie alla lotta di chi impugno' quello smilzo libretto come un formidabile strumento di liberazione del pensiero e del mondo da antiche e recenti catene, e che ha conosciuto tragedie ed orrori commessi anche in nome di quel programma di liberazione, ma che ha conosciuto anche consapevolezze e lotte ulteriori un secolo e mezzo fa dal moro e dall'angelo suo amico non sentite centrali (e penso al movimento delle donne - cuore della nonviolenza in cammino -, penso alla coscienza ecologista), o si fa la scelta della nonviolenza, o vi e' il rischio che sia travolta e annichilita anche la corrente calda della tradizione del movimento operaio, del pensiero socialista, della rivoluzione per abolire l'alienazione e a tutte e tutti riconoscere il diritto a una vita dignitosa, a ciascuna e ciascuno chiedendo secondo le sue capacita' e a ciascuno e ciascuna offrendo secondo i bisogni suoi.

Socialismo o barbarie, fu un nostro antico motto, oggi esso si traduce nell'ancor piu' apocalittica divisa: o nonviolenza o non esistenza.

Resta, la Rossanda, la maestra grande cui non sapremmo giammai rinunciare.

Ma quanto ci sarebbe grato se anche la sua voce e la sua penna dedicassero piu' attenzione a cio' che diciamo quando diciamo nonviolenza. E poi che continui pure a sferzarci, dacche' sa farlo cosi' bene.

 

5. "NO AL NUCLEARE, CIVILE E MILITARE"

 

Ero giovane, ero un militante rivoluzionario, ero povero. Quell'inverno faceva cosi' freddo che quando non c'erano riunioni o iniziative andavo a leggere alla sala d'aspetto della stazione ferroviaria, per riscaldarmi. Li' lessi Opera aperta di Eco (o era Apocalittici e integrati? non ricordo bene), e quel saggio in cui polemizzava con Anders sulla televisione, leggendo il quale mi convinceva sempre piu' che proprio Anders avesse ragione. Passarono forse anni. Trovai L'uomo e' antiquato su una bancarella.

Lo lessi d'un fiato. Mi persuase per sempre. Poi cercai tutte le altre opere, me ne sfamai con fauci di lupo, ma questa e' un'altra storia.

Guenther Anders e' il filosofo che piu' di ogni altro ha saputo cogliere quelle che Balducci ha chiamato "le verita' di Hiroshima", che piu' di ogni altro ci ha detto la verita' sull'ora presente, e quale fosse - quale sia - la lotta da condurre.

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Se la memoria non m'inganna l'incipit di Hiroshima mon amour di Resnais e' folgorante, come anche quel suo documentario Nuit et bruillard di qualche anno prima: il ricordo di Auschwitz e quello di Hiroshima credo siano gli eventi che piu' hanno segnato le mie scelte di vita, e credo di molte e molti altri: il lager (e il gulag), la guerra sterminatrice, il totalitarismo che in vita e in morte riduce le donne e gli uomini in niente, in scoria, in tormento infinito e infinito silenzio. Anni dopo dedicai anch'io un brano (quella cosa che viene sbranata) della mia vita a cercare di dare una mano alla lotta di Nelson Mandela (e di Benny Nato, questo indimenticabile generoso amico, sublime un eroe della mitezza che resiste): mi parve che in quella resistenza, la lotta di un popolo per abbattere l'apartheid, si stava lottando contro Auschwitz e contro Hiroshima; sentii che in Sud Africa si stava combattendo per salvare l'umanita' intera dal trionfo hitleriano. Il giorno che Mandela usci' dal carcere mi parve si aprisse una speranza grande, che la successiva straordinaria vicenda della Commissione per la verita' e la riconciliazione ha confermato. Ma non c'era da farsi illusioni, la lotta sarebbe continuata ancora a lungo. Piu' che mai oggi, che sembra che Hitler sia ancora una volta riemerso dall'inferno, "a luta continua".

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Ero a Pian dei Cangani, campagna di Montalto di Castro, nel 1977 a quella prima manifestazione contro la decisione di costruire li' una centrale nucleare. C'ero ancora anche dieci anni dopo - nel frattempo: Cernobyl - all'ultima davanti ai cancelli: quando la carica di ragazzini in divisa mi stropiccio' - diciamo cosi' - non poco (e mi fece - diciamo cosi' - per un attimo temere che mi rompessero la testa per sempre). Ma l'avemmo vinta noi, vincemmo il referendum, il nucleare almeno qui si fermo'.

Nel mezzo: l'esperienza del movimento contro gli euromissili, Comiso; e la nascita della nuova ecologia (e il rapido declino di gran parte delle sue rappresentanze politiche e istituzionali in carrierismo e clientele, arraffamento e complicita').

Poi il crollo dei regimi totalitari all'est, che cosi' fervidamente noi comunisti di sinistra dell'ovest senza esitazioni solidali coi dissidenti avevamo desiderato; e l'immediato riciclaggio dei settori peggiori delle nomenklature nelle mafie restate al potere; e il trionfo del capitalismo piu' rapace e assassino su scala planetaria.

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Talora mi capita di incontrare i vecchi compagni di allora, quelli ancora vivi e che non hanno ceduto (ogni anno qualcuno ci lascia: Dario Paccino or non e' guari). Non c'e' bisogno tra noi di molte parole. Basta un sorriso.

Non ci hanno piegati. Non ci piegheranno oggi. Il dottor Stranamore non ha ancora vinto.

Mi chiedono talvolta amici piu' giovani (che temo ci percepiscano come animali antidiluviani inaspriti contro tutto e tutti - e non capiscono perche' disprezziamo chi per far carriera fa morire la gente, chi pontifica a mane e a sera riscuote l'obolo della complicita' col male, chi indossa il candido vello e sotto reca irsuto l'abito del vorace, e ci ripugnano anche le condotte di tanti che pure si dicono per la pace e albergano palese la foia del dominio, che sempre e' assassina), perche' abbiamo tenuto duro, per quale motivo non abbiamo mai voluto "fare il compromesso". Per questo, rispondo: perche' non abbiamo saputo, o potuto, o voluto dimenticare Auschwitz; non abbiamo voluto, o potuto, o saputo dimenticare Hiroshima.

Come potremmo?

E a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutte le armi, a tutti i campi di concentramento, a tutte le torture, a tutte le uccisioni: siamo restati per sempre nemici.

Non e' per candore che abbiamo scelto la nonviolenza, ma per una interiore, imperiosa, rigorosa necessita' di non tradire le vittime, di non tradire l'umanita'.

Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

6. DA UNA LETTERA DI MARGITE ALL'AMICO SUO MISONE, A PROPOSITO DELLE PROSSIME ELEZIONI POLITICHE

 

Mio carissimo amico, e della nonviolenza ancora,

perdonate se mi permetto di dire due parole (veramente non vorrei divenisse un'abitudine): credo che rispetto alle prossime elezioni politiche sarebbe ora che le persone amiche della nonviolenza uscissero dalla delega e dalla subalternita'.

Trovo bizzarro che anche persone non malvage desiderino continuare a presentarsi per cosi' dire col cappello in mano a chi ha riaperto i campi di concentramento in Italia e negato il diritto di voto nelle elezioni amministrative agli immigrati pur regolarmente residenti (la coalizione del governo Prodi), a chi ha trascinato l'Italia nella guerra dei Balcani (il governo D'Alema), a chi (Rifondazione) non ha esitato per miseri interessi di bottega a contribuire a far vincere il blocco berlusconiano con tutto quel che di nefando ne e' conseguito.

E trovo che sarebbe onesto dire cio' che tutti quelli che siamo vecchi del mestiere sappiamo: che pensare di imporre vincoli a priori ai singoli parlamentari e' un'ingenuita' in flagrante contraddizione con il criterio decisivo della democrazia parlamentare, quello dell'essere eletti i rappresentanti del popolo senza vincoli di mandato, ovvero di poter deliberare sempre secondo coscienza e non per ordine altrui o per negozi giuridici variamente in precedenza sottoscritti.

*

E quindi che fare?

La mia personale opinione e' che non le singole persone amiche della nonviolenza, ma le organizzazioni che alla nonviolenza si richiamano con provata fedelta' e verificabile rigore (in Italia forse solo Movimento nonviolento e Movimento internazionale della riconciliazione) dovrebbero proporre alla coalizione antifascista  - in incontri bilaterali coi crismi dell'ufficialita', non secondo le ignobili e antidemocratiche formule della societa' dello spettacolo - non qualche generico proclama o qualche impegno che poi finirebbe nel calderone degli infiniti altri che si contraggono in questi casi con pressoche' ogni lobby, ma alcune scelte precise verificabili prima (ripeto: prima) delle elezioni: che potrebbero essere ad esempio le seguenti:

1. scrivere a chiare lettere nel programma di governo la scelta della nonviolenza come principio informatore di scelte politiche concrete fondamentali in materia di sicurezza, difesa, cooperazione internazionale, rappresentanza democratica, legalita' e diritti umani, modello di sviluppo;

2. impegnarsi a candidare persone (in pari numero dell'uno e dell'altro sesso) che per la loro storia personale possano garantire di rappresentare posizioni coerenti con la scelta nonviolenta (dalla nonmenzogna all'opposizione alla guerra, dal disarmo al riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani, eccetera).

Il resto mi sembrerebbe ben poco interessante, anzi temo alquanto equivoco.

Scusate la frettolosita' (e la conseguente schematicita' e rozzezza di un ragionamento qui appena sbozzato in poche parole).

Vogliate credermi vostro umilissimo, devotissimo obbedientissimo eccetera

 

7. DOPO HIROSHIMA: UNA MINIMA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

- Svetlana Aleksievic, Preghiera per Cernobyl', Edizioni e/o, Roma 2002, 2004.

- Guenther Anders, Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961.

- Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, Linea d'ombra, Milano 1992.

- Murray Bookchin, L'ecologia della liberta', Edizioni Antistato, Milano 1984, Eleuthera, Milano 1986, 1988.

- Adriano Buzzati-Traverso, Morte nucleare in Italia, Laterza, Roma-Bari 1982.

- Barry Commoner, Far pace col pianeta, Garzanti, Milano 1990.

- Friedrich Duerrenmatt, I fisici, Einaudi, Torino 1972, 1975.

- Franco Fornari, Psicanalisi della situazione atomica, Rizzoli, Milano 1970.

- Heinrich Jaenecke, L'apocalisse atomica, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1991.

- Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi, Torino 1958, 1982.

- Robert Jungk, La grande macchina, Einaudi, Torino 1968.

- Robert Jungk, L'uomo del millennio, Einaudi, Torino 1975.

- Robert Jungk, Lo stato atomico, Einaudi, Torino 1978, 1980.

- Robert Jungk, L'onda pacifista, Garzanti, Milano 1984.

- Dario Paccino, L'imbroglio ecologico, Einaudi, Torino 1972.

- Dario Paccino, La trappola della scienza, La Salamandra, Milano 1979.

- Arundhati Roy, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002.

- Bertrand Russell, Autobiografia, 3 voll., Longanesi, Milano 1969-1971.

- Vandana Shiva, Terra madre, Utet, Torino 2002.

- Naomi Shohno, L'eredita' di Hiroshima, Cittadella Editrice, Assisi 1988.

- Enzo Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, Garzanti, Milano 1984, 1992.

 

8. QUELLO CHE RESTA

 

Questo resta, dopo Auschwitz e dopo Hiroshima: la scelta della nonviolenza.

Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

9. UNA RAGIONEVOLE PROPOSTA

Una ragionevole proposta che da anni questo foglio propugna: cessare di far morire nel Mediterraneo le persone che in fuga da guerre, da fame, da dittature, cercano di giungere nel nostro paese sperando trovarvi accoglienza: quell'asilo che e' loro diritto ottenere, quell'asilo che e' nostro dovere offrire.

Ed invece qui trovano morte o schiavitu', prigionia ed espulsione verso quegli stessi luoghi da cui fuggivano per salvarsi la vita.

Non e' questo che afferma la nostra legge fondamentale. Poiche' l'articolo 10, comma terzo, della Costituzione della Repubblica Italiana recita invece: "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge". E questa e' la legge. Benedetta legge, la legge buona di un paese civile per secoli oppresso, un paese che ha conosciuto le invasioni e le dittature, il paese di un popolo che ha conosciuto nelle proprie carni il dolore dell'esilio dei suoi figli migliori nell'ora - nei secoli - della lotta contro la dominazione straniera prima, e contro il fascismo poi; e il dolore delll'emigrazione: esperienza di milioni di donne e uomini italiani.

Abbattuto il fascismo, tra i principi fondamentali della Costituzione italiana furono scritte quelle parole, con piena cognizione di causa. E quelle parole sono la nostra legge. Una legge benedetta.

E dunque, che fare? Certo non lasciar naufragare la povera gente; certo non recludere chi nessun reato ha commesso; certo non lasciar nelle mani dei poteri mafiosi le persone che qui giungono; certo non riconsegnare a regimi assassini le loro vittime fuggiasche.

E dunque, che fare? Gia' sai la risposta: la risposta scritta nella legge fondamentale della Repubblica Italiana scaturita dalla Resistenza; la risposta statuita nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; la risposta che e' incisa nella tua stessa coscienza.

Tra far morire delle persone o salvar loro la vita, non dovrebbe essere difficile sapere quale sia la scelta giusta.

 

10. DELLA MITEZZA

[Da "Azione nonviolenta" n. 8-9 dell'agosto-settembre 2005...]

 

Alcune forse non inopportune premesse

Cio' su cui di seguito si approssimano alcune interrogative riflessioni richiede altresi' alcuni chiarimenti preliminari.

Mitezza e nonviolenza naturalmente non coincidono, si puo' essere persone amiche della nonviolenza senza essere affatto persone miti (anche tra le piu' note e fin celebrate, pochissime persone amiche della nonviolenza ed impegnate in lotte nonviolente sono state anche miti, sebbene qui si cerchera' di argomentare che solo scegliendo la mitezza si possa essere buoni ed efficaci militanti nonviolenti), e si puo' naturalmente essere persone miti senza per questo aver nulla a che fare con la nonviolenza.

Non solo: vorremmo mettere in guardia anche rispetto all'espressione "personalita' nonviolenta", che e' una formula utile per intendersi e nei suoi limiti felice, ma che a rigore, cioe' se interpretata rigidamente, designa qualcosa che semplicemente non esiste.

Inoltre: chi scrive queste righe non crede che esistano persone nonviolente, ma solo persone amiche della nonviolenza: il termine "nonviolento/a" puo' ben essere - a precise condizioni - un adeguato aggettivo, ma mai un pronome.

Crede anche che la mitezza sia una qualita' morale che si apprende e si affina (o si logora) nell'esercizio, e non una essenza metafisica.

Infine: ritiene che il concetto stesso di nonviolenza sia complesso e pluridimensionale e di assai ardua definizione (la riflessione consapevole sulla nonviolenza, quantunque essa sia "antica come le montagne", e' ancora agli inizi ed in impetuoso creativo svolgimento tale per cui ogni persona che ad essa si accosta ed ogni esperienza che ad essa si richiama apporta nuovi originali preziosi contributi teoretici ed empirici, euristici ed applicativi); qui di seguito lo si utilizzera' nel senso specifico proposto da Aldo Capitini, come equivalente sintetico dei due concetti gandhiani di ahimsa e satyagraha, ovvero - per dirla assai rozzamente - come scelta di non nuocere e come legame con il permanentemente vero che fonda e promuove l'azione buona, cioe' l'azione che si oppone alla violenza, l'azione che salva, l'azione che libera, l'azione che guarisce, l'azione che accomuna.

Ma ancora una cosa va detta, ed e' questa: la nonviolenza e' gestione del conflitto: senza lotta non si da' nonviolenza; senza incontro con l'altro non si da' nonviolenza, senza riconoscimento dell'altro non si da' nonviolenza, senza conflitto con l'altro non si da' nonviolenza, senza comunicazione con l'altro non si da' nonviolenza: la nonviolenza e' sempre relazionale, contestuale e dialogica a un tempo. Parlare di nonviolenza al di fuori della lotta nonviolenta (che beninteso puo' anche essere solo - e sempre e' comunque anche - lotta interiore) e' mera retorica.

*

Una minima definizione

Proporremmo la seguente definizione, provvisoria e parziale, complessa e dialettica, di mitezza: una qualita' morale, ovvero un modo di condursi nelle relazioni con le altre persone e con il mondo, che tiene insieme fermezza nel buono e nel vero e umilta' personale, benevolenza non sorda ma anche non cieca, comprensione e carita' ma insieme limpida e intransigente difesa della dignita' altrui e propria, amore per la giustizia ed insieme coscienza del limite e della propria ed altrui fallibilita', un onesto ascoltare e ascoltarsi che si traduca in un operare giusto e misericordioso.

Ovvero la mitezza come contrario sia dell'iracondia che dell'accidia, come opposto della presunzione, del pregiudizio e della prepotenza.

*

Dieci tesi sul rapporto tra mitezza e nonviolenza

Nell'articolare il rapporto tra mitezza e nonviolenza proporremmo quindi le seguenti tesi.

I. Per resistere al male senza lasciarsene contaminare e' bene esercitare la virtu' della mitezza. Senza mitezza la resistenza e' fragile, la violenza invade la persona.

II. Per agire il conflitto senza esserne travolti e' bene esercitare la virtu' della mitezza. Senza mitezza il conflitto e' lacerante, la violenza disgrega la persona.

III. Solo la mitezza sa essere misericordiosa. E un'azione buona e giusta ma senza misericordia e' gia' meno buona e meno giusta.

IV. Solo nella mitezza si puo' istituire una convivenza tra persone libere ed eguali in dignita' e diritti; una societa' non oppressiva, non autoritaria, non alienante; una comunita' che non omologhi o peggio annienti le preziose diversita' di cui ogni persona consiste ed e' portatrice.

V. La mitezza si fonda sulla coscienza della dimensione tragica della vita. Chi e' frivolo, cosi' come chi e' cinico, non e' adeguato ai compiti dell'ora, non sa essere responsabile, non sa essere solidale.

VI. Non si puo' essere persone amiche della nonviolenza se non ci si esercita nella virtu' della mitezza. Proprio perche' la nonviolenza e' conflitto, a maggior ragione le persone che nella lotta nonviolenta si impegnano hanno il dovere di scegliere la mitezza. Promuovere il conflitto, resistere all'ingiustizia, contrastare il male, e' inane senza mitezza. La mitezza e' la virtù principe del combattente satyagrahi.

VII. Virtu' relazionale per eccellenza, la mitezza e' terapeutica, socializzante, giuriscostituente. La persona mite mitiga le altre persone, disinquina le relazioni, da' sollievo agli attori coinvolti nel conflitto. Ma non solo: la mitezza e' altresi' virtu' politica e puo' essere finanche principio di organizzazione giuridica.

VIII. La mitezza s'impara, e s'impara passando attraverso le prove del dolore e dello smarrimento. Non si nasce miti, lo si diventa scegliendolo.

IX. "Beati i miti, poiche' erediteranno la terra" (Matteo, V, 4): interpreto cosi': solo la scelta della mitezza puo' salvare un mondo che va insieme trasformato e conservato, difeso e rovesciato, restituito e redento. Solo la nonviolenza nella sua pienezza (non solo insieme di scelte logiche, epistemologiche, assiologiche, esistenziali; non solo insieme di tecniche ermeneutiche, metodologiche, deliberative, operative; non solo azione e progetto politico e sociale: ma insieme di insiemi) puo' salvare l'umanita'.

X. E' nel momento della lotta che si prefigura e quindi si decide l'esito di essa. Una lotta contro l'ingiustizia condotta senza mitezza non e' una lotta contro l'ingiustizia, poiche' ingiustizia riproduce; una lotta per la pace senza mitezza non e' una lotta per la pace, poiche' pace non costruisce. La mitezza e' liberazione dall'oppressione. La nonviolenza e' solo in cammino.

*

Due amici

Quando penso alla mitezza subito mi vengono in mente Primo Levi ed Alexander Langer.

Due persone che resistevano, due persone che non opprimevano. Due persone gentili e magnanime.

Due persone che conoscevano la tragedia, ma che la tragedia non aveva reso feroci bensi' ancor più benevole, limpide, rigorose, essenziali.

Quando penso all'umanita' come dovrebbe essere subito mi vengono in mente Primo Levi ed Alexander Langer.

La fragilita' delle persone e del mondo: e tu abbine cura.

La resistenza che e' da opporre al male: e tu resisti.

*

Per approfondire

Innanzitutto il dialogo sulla mitezza tra Norberto Bobbio e Giuliano Pontara, dialogo che si puo' leggere in Norberto Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Linea d'ombra, Milano 1994, alle pp. 11-51; e naturalmente cfr. anche Giuliano Pontara, La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996, particolarmente alle pp. 61-63.

Di Primo Levi occorrerebbe leggere tutto (nell'edizione delle Opere, Einaudi, Torino 1997, in due volumi), ma almeno Se questo e' un uomo e I sommersi e i salvati.

Di Alexander Langer l'antologia degli scritti piu' ampia e rappresentativa e' Il viaggiatore leggero, Sellerio, Palermo 1996.

Come e' noto, nelle grandi tradizioni culturali indiane e cinesi, ma anche nelle grandi tradizioni culturali occidentali - sia quelle religiose in senso stretto: l'ebraismo, il cristianesimo, l'islam; sia quelle piu' late: la grecita', l'umanesimo, la laicita', il pensiero delle donne - vi sono molti fulgidi esempi sia di figure e di condotte miti, sia di riflessioni sulla mitezza dense e complesse.

Volendo proporre qualche testo e figura esemplare: il discorso della montagna in Luca e Matteo, le figure di Averroe', Francesco d'Assisi, Thomas More, Etty Hillesum.

E volendo ricordare qualche persona che vi ha riflettuto con lucidita' e pieta' grandi: Simone Weil e Hannah Arendt, Aldo Capitini ed Emmanuel Levinas.

Somme figure di resistenti miti sono emerse nella lotta contro il totalitarismo e nella resistenza contro il sistema concentrazionario. Ricordano donne e uomini che seppero difendere l'umanita' di fronte all'estremo due fondamentali libri di Tzvetan Todorov: Face a' l'extreme, Seuil, Paris 1991, 1994 (seconda edizione rivista), e Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001.

Sul versante giuridico cfr. almeno Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene (da leggere nell'edizione curata da Franco Venturi, Einaudi, Torino 1965, 1994), e Gustavo Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992; ma soprattutto l'esperienza della Commissione per la verita' e la riconciliazione sudafricana.

Sulle lacerazioni, i drammi e gli scacchi della mitezza hanno scritto pagine terribili e magnifiche Dostoevskij e Tolstoj.

 

11. COME VORREI CHE FOSSE SCRITTO QUESTO NOTIZIARIO

 

Che fosse scritto in una lingua bella, che si potesse cantare a viva voce.

*

Che ogni frase, che ogni parola vi fosse concreta e nutriente, sincera e benefica, guaritrice. Che ogni notizia vi fosse veritiera e necessaria e soccorritrice, ed ogni opinione vi fosse limpida, integra, preziosa.

*

Che non vi fossero mai parole che non si capiscono, che tutte le sigle venissero sciolte, che tutte le parole straniere venissero tradotte, che tutte le parole difficili venissero spiegate.

*

Che non vi fosse mai neppure l'ombra del turpiloquio, che leggendolo ad alta voce vi si trovassero solo parole che non avresti vergogna di pronunciare davanti ai tuoi genitori.

*

Che non vi si offendesse mai nessuno. Nessuno. Che vi si dicesse sempre la verita', ma mai ad alcuno si recasse ingiuria.

*

Che vi si scrivesse in modo piano, senza artifici, senza gesti, senza grida: che non vi fosse mai un'interiezione, un'impennata, un ammiccamento, un fischio.

*

Che vi fossero sempre un ugual numero di articoli firmati da donne e da uomini. Che almeno qui il fascismo dei maschi non prevalesse ancora.

*

Che di ogni notizia si verificasse l'attendibilita', che si citassero sempre le fonti, che mai si desse spazio alla menzogna, all'esagerazione, all'omissione che inganna o suggestiona, al trucco retorico, alla propaganda e alla sciatteria che rendono servi e vili.

*

Che tutto venisse sottoposto a critica, che ogni obiezione venisse considerata, che mai si usasse la logica della caserma. Che mai vi apparissero formule grottesche e indecenti come "senza se e senza ma". Che mai vi comparisse la parola disonesta.

*

Che ogni cosa che vi venisse pubblicata fosse una esortazione al bene, ogni giudizio generoso. Che neppure una riga fosse superflua, vuota. Che sempre dopo la lettura di un testo si possa dire: ora sono una persona migliore; o anche: ho conosciuto una persona buona; o ancora: questi strumenti aiuteranno l'arte mia, mi saranno di giovamento nel mio compito, allevieranno la mia fatica e le mie pene; o infine: queste cose dovevo sapere, ragionare, discutere, poiche' queste cose sono anche affar mio.

*

Come parlare, come scrivere, anche ascoltare, anche leggere e' un agire, un fare, una leva potente che puo' sollevare uno e molti, e spostare intero il mondo. E talora condurre a salvezza o a rovina.

*

Si parla, si scrive, perche' esistono gli altri. Si parla, si scrive, perche' esistano gli altri.

*

Scrivere male induce a pensare male. Dissipare parole deteriora il mondo. Solo questa giustificazione trovai alla brama e all'esercizio di scrivere: di combattere contro il male e la morte. Scegliere ancora la misericordia.

 

12. DA UNA LETTERA AL CARO AMICO GIOFFREDO RUDELLO

 

Ah, se questi intellettuali

prima di parlare di nonviolenza

volessero capire di cosa parlano, s'informassero

sul significato delle parole che usano

volessero conoscere le storiche esperienze

e teoretiche le avventure

di ahimsa e satyagraha, e solo allora

si alzassero in piedi nell'assemblea e per una volta

tacessero.

 

Ah, se queste persone amiche

della nonviolenza volessero per una volta

seguire quel saggio di Pericle consiglio.

 

Ah, se tu, ed io, e il buon Omero matematico persiano

potessimo una buona volta

trovare la verita' che da' pace

in un buon bicchiere di vino.

 

13. COME FARE UN BUON NOTIZIARIO IN DIECI FACILI LEZIONI

 

Una premessa, una volta per tutte

Si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

E' un'idea di ascendenza leopardiana: se ben ricordo, una volte deve aver detto o scritto che per avere una buona biblioteca bastava che non ci fossero le opere di X (ahime', nella mia leopardilatria per anni e anni mi sono rigorosamente astenuto dal leggere le opere di X, poi trovai su una bancarella i due candidi volumi dell'edizione sansoniana, e mi ci immersi, e trovai che aveva ragione Giacomo Debenedetti, come sempre. Corollario: neanche Leopardi va preso alla lettera quando esprime i suoi malumori. Corollario del corollario: per altri autori vale invece l'opposto principio: che solo quando esprimono i loro malumori vale la pena di ascoltarli).

Ma come puo' essere un buon notiziario un foglio bianco? Per due motivi almeno: primo, poiche' il silenzio e' preferibile al frastuono, e gia' l'invito al silenzio e' una parola profonda. Secondo: perche' un foglio bianco chiede all'interlocutore di esprimersi lui: lo chiama alla presa di parola, lo convoca alla responsabilita'.

O anche, altrimenti: che su quel foglio restato bianco chi di solito legge possa scrivere le sue parole d'amore e di sconforto, o disegnare la sua luna e il suo pozzo, o registrare il suo silenzio, nel vuoto ritrovando il suo sguardo, la sua propria voce, e' assai piu' che un buon notiziario.

*

1. Non pubblicare nulla di autori che abbiano fatto uso di violenza e inganno, o se ne siano fatti apologeti.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

2. Non pubblicare nulla che sia falso o esagerato o reticente.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

3. Non pubblicare nulla che sia solo sperpero di tempo.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

4. Non pubblicare nulla che sporchi o offenda.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

5. Non pubblicare nulla che sia scritto male.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

6. Non pubblicare nulla che sia confuso o poco chiaro.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

7. Non pubblicare nulla che emargini o umili o frastorni anche un solo lettore o una sola lettrice.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

8. Non pubblicare nulla che possa suonare piaggeria, o divertimento, o meschinita'.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

9. Non pubblicare nulla che non sia ordinato alla lotta contro il male, che non sia adeguato alla lotta contro il male, che non sia consapevole e persuasivo del dovere e dell'urgenza della lotta contro il male; non pubblicare nulla che non contrasti la violenza nel modo piu' nitido e piu' intransigente; non pubblicare nulla che non difenda nel modo piu' intransigente e nitido l'umana dignita'.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

10. Non pubblicare nulla che possa suonare come un ordine o un codice o un dogma, ad esempio un decalogo.

Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.

*

Una postilla, naturalmente

Ed anche questo si potrebbe dire: non pubblicare nulla.

Risparmia il tuo e di tutti spazio e tempo, e foreste, e respiro, l'Amazzonia fuori e dentro di te.

Ma non sia il tuo silenzio complicita'. Meglio il silenzio che il rumore di fondo che copre ed occulta il lavoro dei carnefici nella stanza della tortura; ma meglio l'urlo di dolore che il silenzio di fronte alla violenza, alla menzogna, all'ingiustizia. Della parola usa per chiamare alla lotta contro ogni oppressione, contro ogni vilta'.

 

14. E ALLORA?

 

Forse non avevamo capito bene, stavamo scherzando?

Quando i presidenti di alcune Regioni si sono riuniti - alcune settmane fa - per esprimere esplicitamente la loro opposizione all'esistenza di luoghi di prigionia e di sevizie come i campi di concentramento istituiti dalla legge cosiddetta Turco-Napolitano e confermati dalla legge cosiddetta Bossi-Fini, istituzioni totali flagrantemente violatrici di fondamentali diritti umani, del dettato costituzionale, della dichiarazione universale dei diritti umani, delle basi stesse delle stato di diritto oltre che del comune sentimento di umanita', ebbene, credevamo che quell'iniziativa non fosse solo spettacolo, che si stesse parlando sul serio ed alle buone parole sarebbero seguite azioni buone, coerenti, doverose. Non che fosse una comparsata e poi tutti in vacanza.

E quindi vogliamo chiederlo qui in modo piano ed esplicito: cosa stanno facendo di pratico, di istituzionale, di giuridisdizionalmente cogente e di operativamente effettuale quei presidenti di quelle Regioni che finalmente si sono accorti dello scandalo dei campi di concentramento nel nostro paese, in cui vengono private di liberta' e di diritti persone che non hanno commesso reati e che avrebbero invece pieno diritto a solidarieta' e assistenza, oltre a quel riconoscimento di umanita' che a tutte e tutti e' sempre dovuto?

Poiche' nel rispetto delle funzioni istituzionali di ciascuna articolazione dello stato quei campi di concentramenti il Parlamento non poteva deliberarli, il presidente della Repubblica non doveva sottoscriverli, la magistratura costituzionale doveva abolirli, i sindaci dei Comuni nel cui territorio hanno sede dovevano proibirli, e nell'ambito delle attribuzioni loro delegate e proprie le Regioni e chi ne detiene la rappresentanza dovevano riconoscerli fuorilegge e non autorizzarne l'esistenza in riferimento alle competenze loro proprie se non altro - ad esempio - in materia di sanita' (ovvero di diritto alla salute, e quindi alla vita e alla dignita'). Invece i campi di concentramento sono ancora li'. Con la complicita' di tanti pubblici ufficiali immemori del loro dovere di fedelta' a quanto recita la Costituzione della Repubblica Italiana (per non dir delle leggi non scritte ma incise nella coscienza di ogni essere umano). Dallo scorso decennio, quattro governi fa (Prodi, D'Alema, Amato, Berlusconi).

Era parso anche a noi che - meglio tardi che mai - qualche settimana fa i presidenti di alcune Regioni (tra cui non manca chi sedeva in Parlamento quando le norme che hanno fatto rinascere in Italia queste strutture di hitleriana e staliniana memoria venivano legiferate) avessero preso coscienza di uno scandalo orrendo, e avessero intenzione di adoperarsi per mettervi fine. Era cosi'? Piacerebbe saperlo. O forse non avevamo capito bene, e si stava solo scherzando? Macabro scherzo, invero, e strana pieta'.

 

15. LO STILE, LO STILO

 

Per piu' di un motivo mi ha vivamente toccato e commosso il testo di Valeria Ando' che apriva il notiziario del 19 maggio scorso, e che in questi mesi ho piu' volte riletto e meditato. Con levita' e intensita' ad un tempo - la luminosa forza della pietas - questioni ineludibili ci pone.

Il rispetto per le persone: se non siamo capaci di rispettare le persone, di quale nonviolenza, di quale pace, di quale diritto, di quale liberazione mai andiamo cianciando?

La cura per le parole: se non siamo capaci di usare le parole con onesta' e saggezza, con scienza e coscienza, con misura e con misericordia, perche' qualcuno ci dovrebbe ascoltare? Se solo di parole disponendo di esse usiamo per azzannare, siamo poi davvero dissimili da chi disponendo di una lama accoltella, di un'arma da fuoco fa fuoco?

Da Primo Levi ho imparato che non devi mai schernire nessuno, che non devi mai travisare nessuno, che non devi mai ingannare nessuno.

Con amarezza e con indignazione prendo atto che anche tra le persone impegnate per la pace e i diritti non poche ve ne sono che quasi non riescono a  scrivere riga senza offendere altrui; non poche ve ne sono che corrompono le loro buone ragioni condendole con una sordita' assoluta per le ragioni altrui, e un disprezzo per gli altri non meno disumanante di quello al quale affermano che vorrebbero opporsi; non poche ve ne sono che fanno uso dell'ingiuria e della menzogna senza il menomo sussulto.

E so bene che tanta, tantissima parte della pubblicistica che si pretende contro la guerra e per la pace e' scritta in un linguaggio che non a caso si chiama da caserma: da caserma, con quel che la definizione implica.

Mi offende l'insulto rivolto a chicchessia: dalla bocca che lo proferisce vedo guizzare una vipera, e provo pena per chi la reca in seno.

Mi si dice: la fai tanto lunga per quattro intemperanze verbali, ma cosa vuoi che siano rispetto alle stragi che ogni giorno reca in ferale dono. Ma io so che queste stragi cominciarono con idee e parole, Hitler comincio' coi comizi, poi giunsero i lager.

 

16. RUGGERO, FRATELLO

 

La tragica scomparsa di frere Roger, una morte cosi' gandhiana come gandhiana e' stata la sua vita, tutti ci lascia sbigottiti e sgomenti, sopraffatti dal mistero del dolore.

Frere Roger, l'anima di Taize', generoso e mite volto dell'ecumenismo che invita tutti a schiudersi a tutti, a prendersi cura dell'altra persona.

E' sempre uno scandalo la morte. Ma ogni vita e' un fiore inestinguibile. E la vita di frere Roger, sequela, dono, fidente apertura all'altro nel rispetto della sua alterita', vicinanza che non soffoca ma sostiene e si fa sostenere (come sapeva quell'infallibile Qohelet, come sapeva quell'Hannah Arendt che colse nella pluralita' il nucleo prezioso dell'essere degli esseri umani nel mondo), misericordia e responsabilita', e' un segnavia e un appello e una prova di cui ogni persona di volonta' buona continuera' ad essergli grata.

 

17. INDOVINALA GRILLO

 

Com'e' che quando si e' all'opposizione si vuole la pace e quando si e' al governo si fa la guerra?

*

Com'e' che quando si e' all'opposizione si difendono i diritti umani e quando si e' al governo si aprono i campi di concentramento?

*

Com'e' che quando si e' all'opposizione si difendono i "beni comuni" e quando si e' al governo li si privatizza e devasta?

*

Com'e' che a dispetto di questa barbaccia bianca sei ancora cosi' grullo da far certe domande? Tu resterai straccione finche' campi.

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 142 del 19 marzo 2013

 

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