Archivi. 111



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

Numero 111 del 16 febbraio 2013

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di novembre 2002 (parte seconda)

2. Un sonetto improvvisato durante la commemorazione di Vinoba a Viterbo il 15 novembre 2002

3. Sugli arresti di alcuni giovani e sull'amore per la verita'

4. Le amare esperienze scolastiche di Giobbe Santabarbara: Odradek

5. Opporsi alla guerra

6. Una preghiera a padre Angelo Cavagna, giunto al ventesimo giorno di digiuno...

7. Un invito alla lettura di alcuni libri di Renate Siebert

8. Per Francesco De Martino

9. Tre glosse ai precedenti articoli di Gerardo e di Flores d'Arcais

10. Le domande senza risposta di Brontolo: sovversivi ed anime belle

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI NOVEMBRE 2002 (PARTE SECONDA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di novembre 2002.

 

2. UN SONETTO IMPROVVISATO DURANTE LA COMMEMORAZIONE DI VINOBA A VITERBO IL 15 NOVEMBRE 2002

 

Tre cose di Vinoba reco incise

- un motto, un movimento, una campagna -

nel cuore, e voglio che mi sian divise

stemma e cartiglio, antiche qual montagna.

 

Vittoria al mondo, il motto che conquise

ingenti masse a lottar senza lagna

perche' sia pace a tutti  in chiare guise;

tirandoli su' per la cuticagna

 

il movimento per l'elevazione

di tutti, amore che ogni cosa ingloba;

e il dono della terra, forte azione.

 

Lo sguardo limpido, la vita proba

il camminar persona in comunione:

l'eredita' feconda di Vinoba.

 

3. SUGLI ARRESTI DI ALCUNI GIOVANI E SULL'AMORE PER LA VERITA'

 

Primo: noi rispettiamo la magistratura, ne rispettiamo l'indipendenza, ne riconosciamo il ruolo insostituibile.

Secondo: noi non sappiamo di quali prove la magistratura disponga nei confronti dei giovani arrestati con l'azione notturna di alcune ore fa. Ma ci chiediamo se quegli arresti erano necessari: ci chiediamo se vi era il pericolo di fuga degli imputati, se vi era il pericolo dell'inquinamento delle prove da parte degli imputati, se vi era il pericolo di reiterazione di eventuali gravi reati da parte degli imputati. Se questi pericoli non vi erano, l'arresto e' ingiusto e moralmente inaccettabile.

Terzo: tutti sono sottoposti alle leggi, ma quindi anche alla protezione che le leggi a tutti gli esseri umani offrono: chiediamo per gli arrestati di adesso, come anche per tutte le persone sottoposte a procedimenti e a pene, il rispetto integrale dei diritti umani previsto dall'ordinamento giuridico del nostro paese (tra cui l'incolumita' psicofisica e la liberta' di pensiero e di espressione).

Quarto: noi non sappiamo se gli imputati abbiano commesso atti di violenza e crimini perseguibili ai sensi di legge, e proprio questo ci par di capire che l'azione giudiziaria debba accertare secondo le procedure previste.

Quinto: ma passando dal piano del diritto a quello della morale, alcune considerazioni ulteriori sono necessarie se vogliamo essere, come dobbiamo, amici della verita' piu' che di Platone. Noi non dimentichiamo che almeno taluno degli imputati ha sovente espresso opinioni irresponsabili e compiuto gesti - sia pur solo "simbolici" a suo avviso - sciagurati; una cosa e' difendere i diritti umani di tutti, un'altra cosa e' aderire alle loro posizioni. E noi a quelle opinioni violentiste ed irresponsabili ci opponiamo nel modo piu' energico.

Noi crediamo che inviare pallottole a persone che svolgono pubblici incarichi sia peggio che un'idiozia pubblicitaria, sia un atto di teppismo; noi crediamo che fare in televisione (fameliche, cannibaliche televisioni sempre a caccia di scempiaggini) "dichiarazioni di guerra" allo stato italiano sia peggio che una porcheria, sia un contributo allo scatenamento della violenza; noi crediamo che non si possa essere ambigui su questo: hic et nunc si e' movimento per la pace, si e' movimento per la giustizia, solo se si fa la scelta della nonviolenza.

Noi non crediamo che chi propugna le posizioni sostenute da taluno delle persone oggi vittima di un provvedimento di arresto (che ci pare, per quel poco che sappiamo, non convincente e non necessario, quindi ingiusto alla luce delle imputazioni cosi' come la stampa le ha fin qui rese note) sia un nostro compagno di lotta: e' un nostro avversario. La nostra lotta o e' contro tutte le violenze, o non e' nulla.

E sarebbe ora che su questo tutti si assumessero le proprie responsabilita' e la si facese finita con le posizioni ambigue che in ultima analisi riproducono e rafforzano l'oppressione, l'ingiustizia, la violenza di un ordine iniquo del mondo.

 

4. LE AMARE ESPERIENZE SCOLASTICHE DI GIOBBE SANTABARBARA: ODRADEK

 

Un giorno qualunque in un liceo qualunque: uno studente acuto, vivace, fortemente assertivo, con piglio di leader, mi spiega seccato che "non possiamo aspettare che i terroristi ci attacchino di nuovo", e che quindi "occorre colpire subito". Colpire chi? Colpire come? Colpire perche'? E cosa significa che "non possiamo aspettare"? E di quali "terrroristi" stiamo parlando?

Ma prima facciamo un passo indietro.

*

Stavo invitando gli studenti di quella classe a riflettere seriamente e onestamente sulle conseguenze logiche degli argomenti che i propagandisti della guerra adducono in pro delle stragi che alcuni stati si apprestano a compiere. Ed all'incirca dicevo cosi':

a) Se si sostiene che il fatto che un regime abbia aiutato gruppi terroristici a commettere stragi sia ragion sufficiente a bombardare la popolazione del paese da quel regime dominato, allora essendo il governo e gli apparati degli Stati Uniti d'America certissimamente responsabili di aver sostenuto il golpe cileno dell'11 settembre 1973 (ed inifinite altre efferatezze) dovrebbero innanzitutto bombardare se stessi.

b) Se si sostiene che il possesso o l'intenzione di procurarsi armi di sterminio di massa da parte di un regime sia ragion sufficiente a bombardare la popolazione del paese da quel regime dominato, allora essendo il governo e gli apparati degli Stati Uniti d'America certissimamente detentori ed utilizzatori di esse (contro popolazioni civili innocenti ed inermi a Hiroshima e Nagasaki), dovrebbero innanzitutto bombardare se stessi.

c) Se si sostiene - e giustamente - che le stragi terroristiche di vittime innocenti sono una disumana mostruosita', allora la guerra, che di ripetute stragi terroristiche di vittime innocenti consiste, e' mostruosita' delle mostruosita', terrorismo del terrorismo.

d) Se si sostiene che la presenza in un paese di gruppi criminali sia ragion sufficiente a bombardare la popolazione di quel paese, allora l'Italia in cui allignano mafia, 'ndrangheta e camorra (di cui innanzitutto il popolo italiano e' vittima), dovrebbe essere bombardata da noi stessi e dai nostri stessi alleati (che cosi' bombarderebbero proprio le vittime di mafia, 'ndrangheta e camorra).

e) Se si sostiene che la complicita' coi poteri occulti e criminali da parte di un governo sia ragion sufficiente a bombardare la popolazione del paese che esso governa, esiste un paese al mondo in cui non si siano dati sciagurati fenomeni di contiguita' tra i poteri politici e i poteri occulti e criminali? E che si dovrebbe dire ad esempio di un paese, l'Italia, governato da un ex-aderente alla loggia P2? O di un paese, gli Stati Uniti d'America, il cui governo ha finanziato lungamente e lautamente i gruppi armati da cui emerge Al Quaeda?

f) Se si sostiene che il legame tra poteri economici legali dominanti e poteri criminali sia ragion sufficiente a bombardare la popolazione del paese ove quei poteri economici hanno le loro basi, esiste un paese al mondo in cui non si siano dati sciagurati fenomeni di contiguita' tra poteri economici legali dominanti e poteri criminali? Chi ha creato, finanziato e addestrato gli squadroni della morte in tutta l'America Latina? Chi ha fornito attraverso gli appalti pubblici le risorse per l'accumulazione originaria di capitale attraverso cui la mafia ha preso slancio alla conquista dei mercati illegali transnazionali?

g) Se si sostiene che al terrorismo si possa contrapporrre la guerra, questo non implica aggiungere a una strage infinite stragi? Non e' forse la magnificazione, l'ingigantimento del terrorismo (e dunque il trionfo e l'apoteosi del terrorismo)?

*

Ma quella obiezione sposta il ragionamento su di un altro versante, non meno importante: ci invita a riflettere sul significato di una formula aberrante come quella della "guerra preventiva". E quindi su questo occorre riflettere. Ho proposto questo schema di ragionamento:

a) e' una conquista degli ordinamenti giuridici evoluti che un soggetto possa essere punito per un reato che ha commesso, non per un reato che non ha commesso. Io posso anche sospettare che il benzinaio all'angolo potrebbe nottetempo andare a incendiare il Louvre, ma finche' non ho prove certe di questo non posso chiederne l'arresto come piromane. O anche: posso sospettare che qualunque cacciatore in quanto detentore di un fucile potrebbe un domani spararmi addosso poiche' alla caccia mi oppongo, ma finche' non ho prove certe che un attentato omicida alla mia persona stia preparando non posso certo chiamare il 113.

b) la "guerra preventiva" e' un assurdo giuridico, morale e logico, poiche' e' lo scatenamento di stragi con la motivazioni che altri potrebbero in futuro scatenare stragi. Riducendo la questione ai minimi termini e' pretendere di poter commettere omicidi in nome del fatto che altri potrebbero in futuro commettere omicidi. Una specie di faida a cronologia invertita. Con questa logica qualunque criminale rivendicherebbe l'impunita', poiche' chi puo' dire che la sua vittima se fosse restata viva non avrebbe potuto un giorno uccidere il suo uccisore magari investendolo in un incidente stradale?

c) E ancora: cosa significa "non possiamo aspettare"? Se completiamo la frase col suo contenuto implicito essa dice: non aspettiamo che altri uccidano, uccidiamo noi per primi. E' un pensiero aberrante, criminogeno e criminale, del tutto subalterno alla logica dell'uccidere, antitetico al criterio fondamentale della civilta', ovvero la scelta della convivenza tra gli esseri umani, il riconoscimento del diritto alla vita di ogni essere umano. Ha scritto memorabilmente don Lorenzo Milani, e noi non ci stancheremo giammai di ripeterlo: "in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa".

d) E naturalmente non vi e' alcun bisogno di aggiungere che la cosidddetta "guerra contro il terrorismo" non solo non e' efficiente contro i terroristi, ma in quanto uccide vittime innocenti e' essa stessa terrorismo e la spirale terroristica alimenta in una escalation di vittime, di stragi, di odio, di vendette.

Ma fermiamoci qui per adesso.

*

Mi avvedo che il mio argomentare non ha minimamente scalfito la posizione dell'interlocutore che replica duro che io sarei "dimentico delle nostre vittime" (questa formula ambigua: "le nostre vittime" sono quelle che subiamo o quelle che facciamo? O ambedue? E cosa significa "nostre" in questo contesto?) e opponendomi alla guerra sarei "oggettivamente" (l'avverbio preferito di Stalin) complice dei terroristi.

Provo a proseguire la discussione, accettando questo ennesimo spostamento del discorso, che e' passato dall'astratto del "colpire subito" all'accusa personale di "intelligenza col nemico". Non si dovrebbe accettare questo slittamento, ma insomma, se si insegna nelle scuole occorre recare testimonianza personale, poiche' come diceva sempre don Milani per fare una buona scuola piu' che le tecniche conta l'esempio.

E per mia fortuna sono uno di quelli che quando l'Italia forniva armi al regime iracheno ero tra i promotori di azioni nonviolente che quel business assassino denunciavano; e sono uno di quelli che quando regimi dittatoriali dell'est e del sud opprimevano - come tutora in tanta parte del mondo avviene - le popolazioni da essi dominate, nei limiti delle mie possibilita' non ho fatto mancare la mai protesta e il mio aiuto agli oppressi, mentre i poteri politici ed economici che oggi voglio scatenare la guerra facevano ricchi profitti in combutta con quei regimi; e sono uno di quelli che ha preso parte alla lotta contro i poteri criminali e che al terrorismo sempre si e' opposto (anche quando una parte non piccola della popolazione di questo paese era ignava o peggio indulgente).

Perche' sono un amico della nonviolenza, e credo che ad ogni violenza opporsi occorra. Cosicche' credo di avere, come si dice, "le carte in regola" per dire ad un tempo no alla guerra, no al terrorismo e no alle dittature. E proporre vie di pace e di giustizia, di gestione nonviolenta dei conflitti, di costruzione di civile convivenza nell'unica terra che abbiamo e che e' di tutta l'umanita'.

*

Ma quello studente non l'ho persuaso a un supplemento di rfilessione. Lo vedo saldo nella sua pietrificata certezza, lo vedo dallo sguardo scintillante, dal sorriso beffardo, dalla postura rigida del corpo. Non ho saputo trovare una via di comunicazione, non ho saputo abbattere il muro. Me ne cruccio ancora. Posso solo sperare che voglia proseguire un dialogo, posso solo sperare che voglia cercare ancora.

 

5. OPPORSI ALLA GUERRA

[Questo articolo e' apparso, col titolo "Ogni vittima ha il volto di Abele" sul numero 24 dell'ottobre 2002 del  bimestrale di informazioni dell'Associazione Piccola Opera papa Giovanni di Reggio Calabria "Oltre news"]

 

Ma c'e' veramente bisogno di discutere per scegliere tra la pace e la guerra?

La guerra, ha scritto Gandhi, consiste sempre ed essenzialmente nella commissione di omicidi di massa. C'e' qualcuno che puo' ragionevolmente affermare che commettere omicidi di massa possa essere giusto e necessario?

Non solo: spiego' una volta l'indimenticabile Ernesto Balducci che dopo Hiroshima noi sappiamo tre verita', le "tre verità di Hiroshima", prima non percepite dall'umanita':

- la prima: che le sorti dell'umanita' intera sono ormai unificate e nessuno si illuda che il crimine commesso contro alcuni esseri umani non riguardi anche lui;

- la seconda: che nell'eta' atomica - ovvero nel tempo in cui esistono armi in grado di distruggere l'intera civilta' umana - il desiderio razionale della pace e l'istinto primordiale della sopravvivenza vengono ormai a coincidere (altro che le ciance sulla naturale aggressivita' dell'uomo; ragione ed istinto comandano ormai una cosa sola: impedire la guerra, salvare l'umanita' e con essa, come parte di essa, noi stessi);

- la terza: che la guerra, considerata nei secoli passati come "extrema ratio", ultimo modo di affrontare i conflitti, e' ormai uscita per sempre dalla sfera della razionalita', ed e' quindi il nemico primo dell'umanita', non una delle modalita' alternative con cui affrontare i conflitti, ma proprio cio' che innanzitutto ed assolutamente occorre evitare che avvenga.

Questa e' la situazione se la guardiamo con sguardo non offuscato dagli schermi della propaganda narcotica e obnubilatrice: da un lato vi e' l'umanita' piagata e sofferente, dall'altro l'uccidere, la violenza, la guerra, il pericolo che l'intera civilta' umana sia annichilita. "E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana?", e' la domanda aspra e definitiva con cui Lorenzo Milani conclude la sua lettera ai giudici del 18 ottobre 1965. Sono passati tanti anni, e' ancora la nostra domanda.

*

Ha detto memorabilmente una volta quell'uomo di infinita bonta' che era Heinrich Boell, che ogni vittima ha il volto di Abele. Ogni vittima ha il tuo volto, ogni vittima ha il volto innocente dell'umanita' intera. Vorremo o no cercare di impedire che Abele sia ancora e ancora ucciso?

E dunque dobbiamo opporci alla guerra, di una opposizione incondizionata, poiche' di tutti i crimini, di tutti gli atti di terrorismo, di tutti i massacri, la guerra e' il culmine, la manifestazione piu' vasta e profonda e spaventosa, orrore che altri orrori genera in una catena senza fine.

Opporsi alla guerra: non e' solo convincimento morale di ogni persona dal retto sentire, ma legge codificata nella Carta delle Nazioni Unite, costituitesi appunto per impedire il ritorno del flagello della guerra; ed e' legge codificata nei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, che all'art. 11 "ripudia la guerra" con parole solenni ed inequivocabili.

Cosicche' opporsi alla guerra e' diritto e dovere riconosciuto dalle coscienze e dalle costituzioni, dalle leggi scritte nei codici e dalla legge non scritta ma incisa nell'anima di ogni essere umano: tu non uccidere.

Opporsi alla guerra e' impegno diuturno: implica opporsi altresi' agli strumenti della guerra e alle radici della guerra, all'ingiustizia e alla menzogna; ed implica azioni concrete di umana solidarieta', contro la fame e contro la miseria, contro la violenza e contro ogni umiliazione e denegazione dell'umana dignita'. Implica un impegno coerente e costante.

Richiede, e' questo il nostro convincimento, la scelta della nonviolenza, che e' la forma di lotta piu' limpida ed intransigente contro tutte le violenze, per l'affermazione della dignita' di ogni essere umano, per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.

 

6. UNA PREGHIERA A PADRE ANGELO CAVAGNA, GIUNTO AL VENTESIMO GIORNO DI DIGIUNO PER UNA FINANZIARIA DI PACE E LA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA. IN FORMA DI SONETTO CAUDATO CON UN VERSO DANTESCO IN CHIUSA

[Padre Angelo Cavagna, fondatore e presidente del Gavci (una delle piu' prestigiose ed attive organizzazioni umanitarie), infaticabile promotore di iniziative di pace, di solidarieta' e di nonviolenza, e' giunto al ventesimo giorno di sciopero della fame "per una finanziaria di pace", per la promozione della difesa popolare nonviolenta, contro la guerra e contro le armi. Intorno alla sua testimonianza si sta coagulando un crescente movimento di presa di coscienza, di testimonianza, di pubblica manifestazione che denuncia l'iniquita' dei sempre piu' gravi e profondi tagli alle spese sociali e del sempre piu' inaccettabile aumento delle spese militari nel bilancio dello stato italiano. Il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ha scritto ad Angelo Cavagna la seguente lettera aperta "in forma di sonetto caudato con un verso dantesco in chiusa" (e il verso e' quello di Par. XIV, 33, con una minima modifica e che Dante ci perdoni), per ringraziarlo ed insieme pregarlo di interrompere la sua azione nonviolenta prima che possa avere gravi ireversibili conseguenze sulla sua stessa vita...]

 

Si', angelo vuol dire messaggero

e Angelo Cavagna da molti anni

e' annunziatore e costruttore fiero

e mite di giustizia e pace. Sganni

 

la sua testimonianza chi del nero

mortifero potere gli empi inganni

subisce ancora; e sveli il nudo vero:

la guerra reca solo morte e affanni

 

all'umanita' intera, e avere armi

e' gia' la guerra, e' gia' preparar stragi.

Dei laudatori della morte i carmi

 

nessuno ascolti, e gli atti dei malvagi

contrasti ognuno. Solo se disarmi

l'umanita' la salvi dai naufragi.

 

Accogli i miei suffragi

ed interrompi, Angelo, il digiuno

"ch'ad ogni merto sara' giusto muno".

 

7. UN INVITO ALLA LETTURA DI ALCUNI LIBRI DI RENATE SIEBERT

[Riproduciamo qui una nostra scheda realizzata e diffusa primieramente nell'agosto 2000.

Renate Siebert, sociologa di origine tedesca, nata a Kassel nel 1942, allieva di Theodor W. Adorno, vive e lavora nell'Italia meridionale, dove insegna Sociologia del mutamento presso l'Universita' di Calabria. Opere di Renate Siebert: Frantz Fanon e la teoria dei rapporti tra colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano 1970; Interferenze, Feltrinelli, Milano 1979 (in collaborazione con Laura Balbo); Le ali di un elefante, Angeli, Milano 1984; E' femmina pero' e' bella, Rosenberg & Sellier, Torino 1991; Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, poi Est, Milano 1997; La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Mafia e quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996; Andare ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia Djebar); Cenerentola non abita piu' qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999; (a cura di) Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000.

Segnaliamo alcune altre opere di autrici ed autori vari su alcuni temi particolarmente considerati nei libri oggetto di questa scheda: Roberto Alajmo, Un lenzuolo contro la mafia, Gelka, Palermo 1993; Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1987; Antonia Cascio, Anna Puglisi (a cura di), Con e contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta antimafia, dossier, Centro Impastato, Palermo 1986; Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Donne contro la mafia, dossier, Centro Impastato, Palermo 1989; Birgit Kienzle, Maria Teresa Galluzzo, Frauen gegen die Mafia, Rowohlt, Hamburg 1990; Angela Lanza, Donne contro la mafia. L'esperienza del digiuno a Palermo, Datanews, Roma 1994; Liliana Madeo, Donne di mafia, Mondadori, Milano 1994, poi Baldini & Castoldi, Milano 1997; Emilia Midrio Bonsignore, Silenzi eccellenti, La Luna, Palermo 1994; Marina Pino, Le signore della droga, La Luna, Palermo 1988; Anna Puglisi, Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990; Sandra Rizza, Una ragazza contro la mafia. Rita Atria, La Luna, Palermo 1993; Rosaria Schifani, Felice Cavallaro, Lettera ai mafiosi. Vi perdono ma inginocchiatevi, Pironti, Napoli 1992; vari altri materiali sono disponibili presso il Centro Impastato di Palermo]

 

Nota su Renate Siebert, Le donne, la mafia

Questo testo (Renate Siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, ristampato nella Est, Milano 1997) costituisce una vasta ricerca di grande valore.

L'autrice, sociologa di origine tedesca, gia allieva di Adorno, intellettuale impegnata, che insegna presso l'Universita' della Calabria, vi e' mossa "da un bisogno molto intimo, privato, personale. Quello di capire in che mondo vivo giorno per giorno e quali siano i confini, i lembi estremi di cio' di cui la mia coscienza possa farsi carico"; ma si leggano tutte le pp. 9-12, che evidenziano la forza (e l'urgenza interiore) dell'impegno, e la lucidita' (ed il coinvolgimento profondo) dell'analisi.

Del resto l'autrice ha lavorato con donne e uomini protagonisti del movimento antimafia - quello piu' intenso e di base, piu' limpido e militante (si veda l'elenco dei ringraziamenti alla pp. 21-22), e le decine di pagine conclusive dedicate alle esperienze organizzate di lotta contro la mafia documentano con efficacia come l'autrice sia ad esse legata ed interna, non solo osservatrice partecipante, ma militante che condivide.

"Voglio comprendere a partire da un punto di vista di donna e voglio dare voce alle donne che per un motivo o per l'altro si sono trovate invischiate in faccende di mafia. Cerco di unire l'ascolto dell'esperienza soggettiva della mafia con un'analisi teorica. Si tratta quindi di una interpretazione che e' intessuta anche della mia soggettivita', oltre che di quella delle donne e degli uomini che sono entrati a far parte di questo libro. In un certo senso non mi sento sola in questa impresa: il modo di osservare e molte delle categorie di analisi di cui mi sono servita sono patrimonio del movimento delle donne a cui devo molta parte della mia formazione teorica", scrive programmaticamente (pp. 17-18), e ci pare che il libro raggiunga lo scopo enunciato.

Il libro si articola in tre parti.

La prima, che indaga "La mafia attraverso il prisma di genere", si articola in cinque capitoli: 1. Una società di soli uomini (I riti di iniziazione; Caccia e banchetti; Violenza rupestre; Un gruppo esoterico?); 2. La famiglia (L'uso strumentale delle reti parentali; Apparire ed essere; Onore, vergogna, vendetta; La trasmissione); 3. La donna (Mito e realta'; Amore e sessualita'; Diffidenza; Donne o madri?); 4. La morte (Il potere; La coazione a uccidere; La "banalita' del male"; Il prezzo della vita); 5. Eros contro Thanatos (La qualita' della vita; Ripartire da se'; Rita Atria: non dimenticare; Rosetta Cerminara: una storia esemplare).

La seconda parte, "Le donne con la mafia", dipana l'analisi in tre capitoli: 1. Emancipazione? (Estraneita' e complicita'; Imprenditrici, prestanomi, intermediarie; Mafiosa? no, solo moglie); 2. Subordinazione e sfruttamento (Le corriere della droga; Le madri spacciatrici; Donne e bambini assassinati); 3. Complicita' palesi ("Nonna eroina"; Le donne dei boss; Il fascino discreto della violenza).

La terza e piu' ampia parte, che conclude il libro, e' su "Le donne contro la mafia", e si sviluppa lungo altri cinque capitoli: 1. Le emozioni come risorsa (Le parole sono pietre; Troppo sangue, non c'e' amore qui; "Familismo morale"); 2. Madri, sorelle e vedove in lutto: donne sole (La mafia "in casa mia"; Emarginate nel proprio ambiente; Abbandonate dalle istituzioni); 3. Donne di "uomini contro la mafia" (Vite blindate; Vite tra un "prima" e un "dopo"; Il lascito dell'etica professionale); 4. Donne e sequestri (La vita come moneta di scambio; Il coraggio di Angela Casella; Contro la ragion di stato); 5 "Tra uccidere e morire c'e' una terza via, vivere" (I Centri e le Associazioni; Il Pensiero materno in piazza: i lenzuoli...; ... e il digiuno).

E' un libro che raccomandiamo caldamente.

*

Nota su Renate Siebert, La mafia, la morte e il ricordo

Questo prezioso libriccino di una cinquantina di pagine di piccolo formato di Renate Siebert (La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995, con una postfazione di Anna Rossi-Doria) costituisce un denso contributo ad una riflessione ineludibile. L'autrice vi mette a frutto e per cosi' dire vi condensa alcuni temi continuamente riemergenti dalla sua vasta ricerca edita nel 1994.

"Ricordare persone scomparse, elaborare il lutto della loro perdita, rievoca inevitabilmente le circostanze della loro vita, le cause della loro morte. La memoria di morti violente, in particolare, costringe al confronto con la possibilita' che esse avrebbero potuto essere evitate. Il ricordo del sacrificio di queste vite pone questioni di responsabilita', offre parametri di giudizio sul corso degli eventi e insinua il dubbio che cio' che e' avvenuto avrebbe potuto anche svolgersi diversamente" (p. 7). E segue una citazione di Marcuse: "Ricordare e' un modo di dissociarsi dai fatti come sono"; ricordare e' una forma di lotta contro la violenza. La memoria contro l'oblio, l'umano che si batte contro l'inumano, il vivo contro l'inerte; la memoria come resistenza: su cui hanno scritto pagine indimenticabili Primo Levi ed Elias Canetti.

Citiamo qualche passo (ma tutto il libro si legge d'un fiato ed a procedere per excerpta ci par di straziarlo).

"Ai vivi, nei confronti dei morti, rimane il lascito del dolore, della memoria e dell'elaborazione del lutto. Tradizionalmente, e in particolare nel Meridione, sono innanzitutto le donne che intrattengono una relazione vitale con i morti" (p. 17).

"Il potere mafioso, per definizione, e' totalitario: annullando diritti individuali e collettivi, cancellando la separazione tra pubblico e privato, la mafia controlla e domina attraverso il terrore e la paura. Prima di uccidere i corpi, la strategia mafiosa mira ad uccidere l'anima degli individui. Attraverso l'angoscia la mafia mina l'integrita' della persona, corrode identita' individuali e collettive basate su diritti e doveri ben delimitati e garantiti" (pp. 19-20).

"La presunzione mafiosa di esercitare un potere totale, oltre il presente, investe il passato, la memoria. L'analogia con un regime a carattere totalitario colpisce: la mafia tende a riscrivere la storia, ogniqualvolta l'assetto di potere al suo interno muta. E parimenti la memoria delle vittime viene denigrata, cancellata. L'accanimento della mafia contro lapidi e segni commemorativi ne e' segno, ma svela anche un'intima debolezza dei carnefici" (pp. 24-25).

Cosicche': "Il lavoro del lutto, da elaborazione intima e personale, in questo contesto tende a farsi politico, diventa anche ricostruzione di memoria sociale" (pp. 25-26).

Ma "Cosi' come non dimenticare rappresenta un imperativo etico delle vittime, le istituzioni - insieme a molti cittadini indifferenti - appaiono, al contrario, interessate all'oblio" (p. 27).

"Una pietra miliare del dominio mafioso e dell'ideologia che esso ha prodotto, e' l'omerta', la qualita' del silenzio che s'identifica con la vera "omineita'" (...): la negazione della comunicazione". "E' significativo che la presa di parola - la trasgressione della legge dell'omerta'" da parte delle donne "rappresenti un punto di svolta decisivo". "E' stata una lotta comune di donne contro la mafia che in questi anni ha reso possibile che lo choc della morte violenta si sia potuto trasformare in esperienza. Prendere la parola, vincere riservatezza e pudore - ma anche l'opportunismo dell'ambiente sociale - mobilita le forze di Eros [l'amore] contro Thanatos [la morte]" (pp. 34-35).

Evidenti in questo caldo e denso saggio la meditazione di Hannah Arendt, la riflessione psicoanalitica (riletta anche attraverso gli esiti francofortesi, e quelli piu' militanti: Marcuse), e il lavoro comune col Centro Impastato, ed in particolare le coordinate di Umberto Santino, le ricerche di Anna Puglisi.

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Nota su Renate Siebert, Mafia e quotidianita'

Il libro fa parte di una collana divulgativa dal titolo "Due punti", che in volumetti agili ma non meramente giornalistici, propone "un saggio per riflettere" e "un manuale per capire (non e' questa la sede per discutere dell'efficacia della formula).

Nella misura della collana, il volumetto di Renate Siebert (Mafia e quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996) in 128 pagine offre una serie di riflessioni, di strumenti analitici, di percorsi di approfondimento, in una scrittura tersa, controllata, che convoca il lettore all'attenzione e ad interrogarsi su cio' che lui stesso possa e debba fare.

Il tema, col taglio che ad esso da' l'autrice, e' tuttora dei meno esplorati in questo ambito di ricerche: non che manchino ricerche sociologiche ormai classiche (come Blok, gli Schneider, ad esempio), ne' mancano ricostruzioni di tipo cronistico e testimoniale (ad esempio Lodato, ma molti altri autori sarebbero da citare, e tra essi Nando dalla Chiesa in alcuni suoi libri finissimi), ed infine vi sono lavori omogenei alla ricerca della Siebert (come quelli condotti - insieme alla Siebert, anche - dal Centro Impastato); eppure questo libriccino introduttivo si raccomanda per chiarezza e semplicita', nel suo genere e' nitido e perspicuo.

Del resto la Siebert dispone di una strumentazione di prim'ordine: la formazione francofortese, l'impegno con e l'analisi dei movimenti di lotta dei colonizzati (ed in particolare la riflessione di Fanon, e la straordinaria lucidita' delle donne della rivoluzione algerina e dell'opposizione all'integralismo), l'esperienza del femminismo e del pensiero delle donne, ed una serie di riferimenti impliciti ma presenti da Hannah Arendt a certe grandi scuole e suggestioni novecentesche fino alle esperienze che una docente dell'Universita' di Calabria non puo' ignorare e che chiameremo per semplificare demartiniane (intendendo cosi' quella prassi scientifica che e' ad un tempo azione politica e scelta di classe, scelta di lotta per il riscatto di chi subisce oppressione accogliendo criticamente il suo punto di vista perche' ermeneuticamente fecondo e condividendo il suo destino ed il suo impegno perche' alla violenza giugulatrice tu devi resistere, e anche da te, dal piu' semplice dei tuoi gesti, dipende difendere e salvare l'umanita' tutta).

 

8. PER FRANCESCO DE MARTINO

 

Fummo avversari della politica di Nenni e sua. Fummo felici che la sinistra unita lo portasse al senato. E quando la repubblica lo volle a vita senatore fummo orgogliosi della repubblica italiana.

Vi fu in Italia una sinistra che era fatta di persone generose e oneste, la sinistra di Anna Kuliscioff, di Giuseppe Di Vittorio, di Piero Gobetti, di Antonio Gramsci, di Tomaso Serra, di Danilo Dolci, di Lorenzo Milani, di Giorgiana Masi, di Luce Fabbri. O per dirla con una formula che fu del Maquis francese: "il partito dei fucilati". Persone che possono aver sbagliato, ma sempre convinti che difendere e onorare l'umanita' fosse il primo dovere e che per questo dovere tutta la loro vita offrirono, senza illusioni ne' desideri di ricompense in questo o in alcun altro mondo.

Di questa sinistra anche Francesco De Martino, da Giustizia e Liberta' alla sinistra unita, ha fatto parte.

Ed e' uno dei nostri.

 

9. TRE GLOSSE AI PRECEDENTI ARTICOLI DI GERARDO E DI FLORES D'ARCAIS

 

Primo: se non fossi d'accordo su parte essenziale del contenuto di questi articoli non li riprodurrei in questo foglio che esce sotto la mia responsabilita' (il che ovviamente mi espone con gli autori di tutti gli articoli ad essere imputato di diffamazione a mezzo stampa, imputazione per la quale da tre decenni subisco e ho tuttora in corso numerosi processi penali e civili intentatimi da politicanti e pubblici amministratori corrotti, imprenditori legati ad affari e poteri criminali, rappresentanti di poteri occulti, faccendieri di affari sporchi e gruppi mafiosi).

*

Secondo: alla luce di quel poco che ancor oggi sappiamo delle indagini, mi pare di poter confermare l'impressione che la detenzione preventiva di alcuni militanti di gruppi impegnati contro i crimini della globalizzazione neoliberista sia non adeguatamente motivata, e quindi possa e debba essere ritenuta ingiusta.

E mi pare altresi' di dover confermare che la magistratura debba essere rispettata nel suo lavoro sempre, non solo quando colpisce gli avversari politici. Naturalmente rispettare il lavoro della magistratura non significa non criticare l'operato dei magistrati, o la gestione delle inchieste. Le critiche sono non solo legittime, ma necessarie ed utili all'accertamento stesso della verita' dei fatti. Ed infine: nessuno a questo mondo e' infallibile, e personalmente ho visto troppi processi, sia dal  banco degli imputati che dai banchi del pubblico, per non sapere che anche in questo ambito gli errori sono possibili e frequenti, troppo frequenti, troppo terribilmente frequenti.

*

Terzo: ma quel che trovo sbagliato ed irresponsabile in molti interventi di varie persone e strutture in questi giorni, ed anche purtroppo in certi insufficientemente meditati passaggi degli interventi di Gerardo, che e' un luminoso maestro e un amico carissimo, e di Flores d'Arcais, la cui attivita' di studioso e di operatore culturale di stupendo impegno civile ammiro profondamente, e' il rischio che essi passaggi ed esse formulazioni siano interpretati come un appiattimento delle posizioni tale per cui o si e' solidali condividendo le posizioni e le responsabilita' degli arrestati o si e' - lasciate che prolunghi cio' che e' implicito - qualcosa di simile a degli idioti, o dei mascalzoni. E questa e' una scempiaggine che, implicita o esplicita, non accetto.

*

Sono con tutto il cuore schierato da sempre in difesa dei diritti umani di tutti.

Alcune delle cose spacciate per scoperte odiernissime che in questi ultimi anni sono ripetute da molti giovani personalmente le penso e le dico e le scrivo da tre decenni.

Chi mi conosce sa che ho pur pagato qualche prezzo per restare su posizioni rigorose mentre altri chiudevano un occhio su fatti su cui un occhio non si poteva chiudere, o davano l'assalto alla diligenza dei soldi pubblici (con quali soldi si pagano gli stipendi dei burocrati dei partiti democratici e di molte apprezzabilissime ong?), o facevano la scalata alle redazioni prestigiose ed alle alte cattedre (che per solito, ahime', non si fa senza qualche patronage o cordata).

E poiche' negli anni '70 ero gia' un militante in Italia ricordo bene quante persone furono assassinate anche per l'irresponsabilita' di molti che dicevano "brucia, ragazzo, brucia" o che escogitavano e propalavano motivi per giustificare i deliranti inneggiamenti alla violenza che poi i piu' stupidi prendevano sul serio (dovrebbe essere resa obbligatoria la lettura dei Fratelli Karamazov in tutte le scuole e nelle pubbliche piazze, penso da allora).

E detto tutto questo mi prendo il privilegio di dire:

a) difendiamo i diritti umani degli arrestati, e credo - per quel poco che ne so - ingiustamente arrestati, ed auspichiamo la loro scarcerazione in attesa del processo, se non vi siano i gravissimi motivi che l'ordinamento prevede perche' una persona sia detenuta prima di una condanna;

b) contrastiamo ogni ideologia e prassi favorevole alle violenza; e se facciamo questo diciamo anche che certi proclami e pratiche dei cosiddetti "Disobbedienti" sono inammissibili, e che i loro "leader" non sono nostri compagni di lotta, ma nostri avversari, e  tra i nostri avversari piu' netti;

c) la si pianti tutti di gridare slogan insensati inneggianti alla "sovversione"; se lo dice Gerardo, che e' uno degli uomini piu' buoni del mondo, tutti sappiamo che intende una cosa buona e giusta, ovvero il rovesciamento di tutte le ingiustizie e le sopraffazioni, un generoso venire in soccorso di tutti gli oppressi e i sofferenti; ma la stessa parola ha per altri ben altro significato, e cosi' come abbiamo il dovere di opporci alla prassi eversiva di Bossi e Berlusconi, mi si permettera' di dire che mi oppongo anche a quella di chi usa le spranghe e la menzogna e il militarismo e insomma la violenza pensando che cosi' costruisce "un mondo diverso possibile" ed invece col suo agire contribuisce alla ricostituzione di quel mondo di cui fu teorico e ministro quel Giovanni Gentile - ahilui - che faceva l'elogio della "filosofia col manganello";

d) non ci lanciamo in proclami insensati che pretendono di far credere che in Italia ogni residuo barlume di liberta' sia gia' spento; e soprattutto non si lancino in cio' persone (e non parlo certo di Gerardo, e naturalmente non mi riferisco adesso qui neppure a Flores d'Arcais) che in questo paese godono di privilegi enormi. E' in corso in Italia una lotta assai grave e profonda tra l'eversione di destra al potere e il campo che vuol difendere la democrazia, la legalita' costituzionale, lo stato di diritto, i diritti umani (non necessariamente in quest'ordine, e non necessariamente tutti tutte queste cose, lo so: ma sono comunque un medesimo campo); non aiutiamo l'eversione al potere consentendo al suo attacco alla magistratura, alla Costituzione, all'ordinamento giuridico democratico, ai diritti umani. Non diamo per persa una lotta che e' in corso;

e) ed ancora: non proponiamo iniziative folli: solo chi gode di enormi privilegi puo' proporre di "autodenunciarsi", moltissime delle persone migliori vivono gia' una situazione cosi' esposta che a simili iniziative non possono consentire; e moltissimi giovani ingenui potrebbero essere messi nei guai da appelli irresponsabili;

f) ed infine, per non farla troppo lunga: nessuno pretenda di avere la verita' in tasca: esprima le proprie opinioni limitandosi a quanto sa ed a quanto sinceramente ritiene, poiche' potrebbe accadere - e voglio sperare e credere che cosi' non sia - che domani si potrebbe venire a sapere che alcuni gravi reati (concreti ed effettivamente avvenuti) davvero siano stati commessi anche da persone insospettabili di tanto, e da povero vecchierello ricordo come negli anni '70 amici carissimi ed autorevolissimi si sbracciavano a negare che tizio o caio potessero essere responsabili di questo o quello, e la realta' aronianamente li smenti'.

*

Auguro di tutto cuore agli arrestati di essere liberati al piu' presto, poiche' cosi' come recita un fondamentale principio giuridico li considero innocenti finche' una loro eventuale colpevolezza di qualche effettivo reato non dovesse essere provata.

E spero che l'attivita' della magistratura giunga a conclusioni certe al piu' presto.

E chiedo a tutti di misurare le parole e di farla finita con atteggiamenti irresponsabili.

E chiedo a quanti sono impegnati nel movimento per la pace, per i diritti umani a tutti gli esseri umani, e contro l'ingiustizia globale, di prendere una posizione netta contro la violenza.

Personalmente poi credo che se non si fa la scelta della nonviolenza non si puo' lottare efficacemente contro la violenza, il sessismo, il razzismo, lo sfruttamento, l'inquinamento e la guerra. Ma anche senza pretendere che altri facciano questa scelta nonviolenta che e' la mia, ebbene, almeno la scelta di opporsi alla violenza tutti coloro che vogliono difendere l'umanita' dalla catastrofe devono farla; la scelta di opporsi alla violenza: davvero "senza se e senza ma".

 

10. LE DOMANDE SENZA RISPOSTA DI BRONTOLO: SOVVERSIVI ED ANIME BELLE

 

I. Quando vedo tanti bravi giovani sfilare per le vie al delirante motto di "siamo tutti sovversivi" mi chiedo se stiano manifestando l'intenzione di iscriversi tutti a Forza Italia o alla Lega.

II. A sentire tante brave persone che fino a ieri ritenevo sane di mente autodenunciarsi e proporre ad altri di autodenunciarsi per sovversione e per condivisione di gravi fatti di violenza giustamente configurati come reati (sebbene le fattispecie sotto cui siano stati qualificati almeno a me appaiano quantomeno discutibili, ma quel che piu' conta e' la sostanza dei fatti, non la denominazione che ad essi si attribuisce) ed attribuiti a torto o a ragione a persone agli arresti (che vanno ritenute innocenti finche' non si sia dimostrato che siano colpevoli di qualcosa; e la cui scarcerazione, in attesa del processo, auguro sia prossima: nessuno dovrebbe essere detenuto prima di una sentenza di condanna se non vi sono gravissimi motivi), mi vien da controproporre: non sarebbe meglio autodenunciarsi per eccesso di retorica e obnubilamento dei sensi e dell'intelletto? Poiche' autodenunciarsi per reati non commessi configura il reato di autocalunnia, e dichiararsi complici di ipotizzati gravi atti di violenza non mi pare che sia il modo per costruire "un mondo diverso" migliore del mondo attuale.

III. Vorrei acquistare anch'io la sfera di cristallo che evidentemente tanti possiedono per essere certi che nessuno degli imputati abbia giammai promosso o commesso atti di violenza (soprattutto alla luce di certe fin rumorose dichiarazioni di taluno di essi in passato). Dove la vendono?

IV. Molto controvoglia ma per senso del dovere ho letto alcune centinaia di pagine dell'ordinanza della Procura di Cosenza, disponibile integalmente nel sito della Rai (www.rainews24.it): non l'ho letta tutta; ma suggerirei a tutti coloro che in questi giorni stanno facendo dichiarazioni a dir poco avventate e sovente deliranti o in palese malafede che forse farebbero bene a darvi un'occhiata.

V. Ritengo un dovere dfendere i diritti umani di tutti; invece indurre tante brave ed ingenue persone ad autodenunciarsi dichiarandosi correi di fatti di cui spero che invece gli imputati vorranno dichiararsi innocenti, non mi pare un dovere, e neppure un diritto, ma una infamia e una idiozia. Che questa infamia sia commessa da illustri personalita' non ne muta la natura di infamia e di idiozia.

VI. Se non fermiamo subito la deriva di parte non piccola del movimento per la pace e la giustizia verso la catastrofe intellettuale e morale in corso, se non ristabiliamo subito il criterio del rispetto della verita' e il criterio dell'opposizione assoluta alla violenza, se non si esce subito dalle mostruose ambiguita' in cui tanti pretesi "leader" (proclamati tali non da procedure democratiche nel movimento, poiche' questo movimento per la pace e la giustizia giustamente non ha e non deve avere ne' "capi" ne' "politburo"; ma in parte per selezione di macchine burocratiche e lobbies neppure granche' trasparenti, e fondamentalmente per decisione dei mass-media, cioe' dal potere mediatico autoritario contro cui si dice che ci si batte) si voltolano da troppo tempo, temo che la fine nel tragico oltre che nel ridicolo sia prossima.

VII. Certi errori li abbiamo gia' visti trent'anni fa, e ad essi seguirono orrori. Cerchiamo di evitare gli uni per impedire che seguano gli altri.

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

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Numero 111 del 16 febbraio 2013

 

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