Archivi. 108
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- Date: Wed, 13 Feb 2013 07:18:23 +0100 (CET)
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)
Numero 108 del 13 febbraio 2013
In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di novembre 2005
2. Da Norimberga a Teheran
3. Claudio
4. I fatti di Falluja
5. Un crimine
6. La secessione
7. Una lettera del 27 aprile 2004
8. Una lettera del 5 maggio 2004
9. Una lettera del 9 maggio 2004
1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI NOVEMBRE 2005
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di novembre 2005.
2. DA NORIMBERGA A TEHERAN
Sarebbe bello se potessimo sottovalutare le minacce genocide ripetutamente, pubblicamente, fin solennemente enunciate dal presidente iraniano.
Sarebbe bello se potessimo pensare, come sembrano pensare molti, che si tratti soltanto di un rigurgito di un passato ormai disfatto, come le guerre puniche o le storie di Erodoto; di una esercitazione meramente rettorica e del tutto dereistica; di un fantasima, una larva, in incubo che le prime luci dell'alba dissiperanno.
Sarebbe bello. Ma non e' cosi'.
*
Perche' quelle minacce, che riprendono, aggiornano e organizzano per il presente e per il futuro un programma che oggi pochi capi di stato e di governo piu' s'attentano a dichiarare dinanzi alle telecamere e ai videofonini del villaggio globale, ma che molti lasciano inciso nei libri di testo delle scuole di ogni ordine e grado, nei programmi di partito e di governo, e - massime - nei cassetti piu' intimi del loro sentire e volere, ebbene, quelle minacce sono reali, meditate e concrete, e costituiscono la chiave di volta di un disegno ideologico e di un'azione di governo e internazionale tutt'altro che peregrina, intesa non solo e non tanto alla costruzione del consenso e alla manipolazione delle masse a livello locale e regionale, ma alla promozione e all'esercizio di una effettuale egemonia politica (intendendo con cio' sia la dimensione delle alleanze di convenienza tra gruppi di potere, sia il vincolo indotto dall'imposizione e dall'accettazione di una rete di strategie discorsive e quindi di rappresentazioni mentali massivamente persuasive e obbliganti) di dimensioni che si vogliono fin planetarie, incrociando tradizioni culturali diverse e per molti aspetti divergenti, ma unificate da quella volonta' di potenza e dominio fino all'annientamento dell'altro che Hannah Arendt, Elias Canetti e Tzvetan Todorov piu' di altri ci sembra abbiano adeguatamente indagato in alcuni cruciali aspetti.
*
Quelle minacce sono un programma di governo, un programma di politica internazionale, un programma strategico e culturale globale. Ed hanno un'area di ascolto, un "bacino di utenza" di vastita' immensa. Che mette insieme il razzismo classico europeo (il fascismo della romanita' - che nessuno seppe cogliere con altrettanta chiarezza di Simone Weil -; "il fardello dell'uomo bianco" del colonialismo rapinatore, belligeno e onnicida; le farneticazioni assassine che da Chamberlain e Gobineau giungono ai diligenti esecutori degli ordini dell'ordine hitleriano); il nazionalismo dei pogrom e del knut; il cosiddetto islamismo radicale (utilizzando questa formula per designare ovviamente altra cosa dall'islam come cultura e tradizione religiosa, bensi' la ricezione destorificante e l'abuso perverso e infine criminale di quella religione a fini di potere politico e ideologico totalitario); l'antisemitismo cristiano contro cui quasi solo Giovanni XXIII volle battersi e che ancora feroce perdura; l'apartheid che e' oggi ideologia e politica comune soprattutto dell'Unione Europea e degli Usa nei confronti del resto dell'umanita'; il totalitarismo che attosca tanta parte della cosiddetta sinistra radicale e parte non piccola del cosiddetto movimento per la pace. E si potrebbe continuare. E nel fondo, nel cupo fondo, quell'ideologia e quel potere patriarcale che dimidia e denega l'umanita' intera, che forse nessuno seppe denunciare con la chiarezza con cui lo fece Virginia Woolf nelle Tre ghinee.
*
La crescita del razzismo, la pratica delle "pulizie etniche" e la diffusione dell'apartheid e del totalitarismo sono il dato saliente di questa fase storica: non residui del passato, ma politica dominante e largamente condivisa dai gruppi di potere che dominano ovunque nel mondo; una politica disumanata e sterminista che l'umanita' tutta aggredisce.
Le minacce del presidente iraniano cavalcano, esplicitano e potenziano questa tendenza che inabissa l'umanita' nella barbarie, nella catastrofe.
La difesa del diritto di Israele ad esistere, nel momento in cui quel paese e la sua popolazione sono ancora una volta esplicitamente, concretamente, effettualmente minacciati di distruzione e sterminio, e' un dovere morale e civile di ogni persona, dell'umanita' intera. Chi non se ne rende conto, o finge di non rendersene conto, si e' gia' arreso - o peggio - alla ripresa della Shoah.
*
Per contrapporsi alla politica del razzismo, dell'apartheid, del genocidio, occorre una politica che inveri l'affermazione del riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani; occorre la scelta della Resistenza la piu' nitida e la piu' intransigente contro tutte le oppressioni e le menzogne, contro tutte le guerre e le uccisioni, contro tutte le minacce e le violenze: occorre la scelta teoretica e pratica, metodologica ed empirica, morale e politica, omnicratica e giuriscostituente della nonviolenza.
3. CLAUDIO
Nella notte fra lunedi' e martedi' e' deceduto il nostro fraterno amico e compagno di lotte Claudio Dian, dopo aver tenuto testa per anni a una malattia terribile e inesorabile.
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L'esperienza del dolore - come anche l'attraversamento delle contraddizioni, degli scacchi, degli erramenti, gli smarrimenti e le disillusioni, e la coscienza del limite e dei limiti, la cognizione della fallacia, della debolezza e della fragilita' - lo aveva reso sempre piu' solidale e sempre piu' saggio, sempre piu' attento ai bisogni delle persone, e a quel bisogno dei bisogni che e' il riconoscimento della dignita' di ciascuna persona: la dignita', per l'inveramento della quale occorrono il pane e le rose, e occorre il tuo ascolto e il tuo braccio, il tuo sguardo e la tua voce.
Quante volte ci siamo trovati con Claudio a cercar di cavare qualcuno dalle botole e dai baratri, e quante iniziative di solidarieta' concreta insieme abbiamo pensato e condotto, e questo e' costruire la pace: salvare le vite, aiutare le persone, difendere l'umanita', agire la condivisione, far dono dei pochi pani e dei pochi pesci che ci sono, e il gesto del dono gia' li moltiplica.
Bastera' dire che finche' l'artiglio della malattia non gli tolse ogni forza, e' stato uno degli animatori dell'esperienza del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo: un'esperienza che - pur tra limiti, contraddizioni, ambivalenze e talora fin regressioni - nei suoi tratti piu' peculiari, e nei suoi passi piu' profondi, si e' caratterizzata per la scelta della nonviolenza, la scelta meditata, consapevole, ardua e decisa della nonviolenza.
*
Ci stringiamo adesso ad Antonietta, la sua meravigliosa compagna, e a Giselle, la loro dolcissima figlia: fino alla fine Antonietta e Giselle gli sono state vicino con una sollecitudine, un'abnegazione, una generosita' che si riverberano sulla stessa persona di Claudio: per quanta sofferenza abbia dovuto sostenere, un uomo che e' stato cosi' amato ha vissuto una vita felice e lascia un'eredita' stupenda di bonta' che a tutto resiste, di umanita' che nessuno abbandona al male e alla morte, ma tutte e tutti vuole salvare, tenere insieme, recare con se'. In quest'avventura notturna e paurosa che e' la vita di ogni persona, trovare qualcuno che ti riconosce, che ti vuole bene, e' tutto: non altro che questo e' la civilta' umana.
4. I FATTI DI FALLUJA
Questo sapevo gia', che a Falluja
stragi sono state commesse, stragi.
Poco m'interessa che gli assassini
dicano oggi di averle commesse
nel rispetto delle leggi e dei trattati.
Quali leggi, quali trattati?
Da quando e' legge l'omicidio, da quando
si contratta il macello di carne umana?
Chi sottoscrive con una stretta
di mano che altri venga trucidato?
Chi vende, a quale titolo, a quale
giusto prezzo nel libero mercato
la morte altrui? Chi
osa ancora dire che uccidere
e' cosa buona e giusta?
Di cosa stiamo discutendo, se una strage
e' piu' o meno gradevole, piu' o meno
conforme alle regole del gioco?
Ma quale gioco e' questo dalla lunga
coda di sangue, quale norma presiede
a questa catena di fiamme e di gelo
e di dolore che restera' nei secoli?
Dicono
che e' da vedere se a Falluja il macellaio
uso' armi da duello o da tonnara.
Per quelli per cui questo cambia qualcosa
solo pena profonda proviamo.
Una strage resta una strage.
E sempre agli assassini il servo ossequio
del lurco e dell'inetto e il cavillare
rende piu' facile continuare a uccidere.
Di cosa, dunque, stiamo discutendo?
Non e' gia' tutto chiaro cio' che e' vero?
Tutte le armi sono di sterminio.
Tutte le guerre sono terroriste.
Tutti gli eserciti abolire occorre.
5. UN CRIMINE
Il Senato della Repubblica ridotto a bivacco di manipoli.
La Costituzione fatta a pezzi da un'orda di barbari.
I martiri della Resistenza assassinati la seconda volta.
6. LA SECESSIONE
"tutti fra se confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angoscie"
(Giacomo Leopardi, La ginestra, vv. 130-134)
Quando eravamo sui banchi di scuola, ci insegno' la sora Amalia che federare significa unire soggetti diversi in un medesimo patto, costruire solidarieta', formare piu' ampie alleanze, ampliare le comunita', riconoscersi reciprocamente umanita', reciprocamente prestarsi aita.
Usciti dalle scuole basse ed entrati garzoni in tipografia certi nostri vecchi maestri ci spiegarono che da Cattaneo a Proudhon a Spinelli i federalisti miravano ad unire l'umanita' intera secondo giustizia e liberta'. E sempre ci piacque questo dire. Poi, finito il lavoro, tutti si andava insieme all'osteria dei refrattari a tracannar fojette e poi cantare le canzoni di Pietro Gori, la Marsigliese e l'Internazionale.
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Una cricca golpista di criminali e fiduciari dei poteri criminali, di revanscisti del ventennio e di Salo', di razzisti spudorati e di ladroni di stato di lungo corso, forte della sotterranea complicita' di tanta parte del ceto politico e della narcosi dei piu', ha ora fatto a pezzi la Costituzione della Repubblica Italiana, negando in radice quel principio di uguaglianza fra tutti i cittadini che e' uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, uno dei valori supremi che fu giurato dai sopravvissuti alla carneficina della seconda guerra mondiale; quell'uguaglianza di diritti fra tutti gli esseri umani che invera l'affermazione della dignita' di ogni essere umano, per cui tante e tanti scelsero la via della Resistenza fino al martirio.
Chi ha fatto strame della Costituzione, se ne rendesse conto o no, insipiente o infame, non solo ai viventi e ai venturi ha recato nocumento, ma ai morti altresi' oltraggio.
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Alla scuola della sora Amalia per un'operazione di tal genere c'era un aggettivo tecnico preciso: secessionista. Che designa l'azione esattamente opposta al federare. E in questa precisa vicenda e' l'azione sordida e meschina di chi nega altrui dignita', accoglienza, riconoscimento di umanita'. Il gesto laido e protervo dell'egoista, del razzista, dello schiavista. L'immonda divisa del vampiro, del "me ne frego", del "mors tua, vita mea", del vocino che esce dalla carrozza e dice "Avanti, alo': cchi mmore more".
E a definir la "ratio" che a questa operazione presiede, e gli effetti che essa provoca e sancisce, e l'ideologia e la prassi che ne sono motrici e fine, ce n'era un altro di aggettivo, un aggettivo che quando indossa i suoi abiti di rappresentanza si panneggia in una camicia bruna.
7. UNA LETTERA DEL 27 APRILE 2004
Se un nostro umile e limpido gesto puo' contribuire a salvare delle vite umane, quel gesto dobbiamo farlo. E' un gesto non solo onorevole, ma giusto, ma buono.
Cosi' di tutto cuore, senza esitazioni, senza distinguo e senza sofismi, anch'io rispondo di si' all'appello dei familiari dei tre giovani italiani rapiti e minacciati di morte. E manifestero' con loro la speranza e l'impegno contro tutte le uccisioni.
Quando diciamo di essere contro la guerra e contro il terrorismo cosa altro diciamo se non che siamo contro tutte le uccisioni?
Ci tireremo forse indietro proprio quando un nostro gesto, onorevole, giusto e buono, puo' contribuire a salvare delle vite umane e indicare una via nonviolenta di intervento nel conflitto, di questo presente orribile conflitto che tutti ci lacera e coinvolge?
Se della necessita' morale e intellettuale della nostra opposizione alla guerra e al terrorismo, alle stragi e alle uccisioni, eravamo convinti gia' prima, oggi dobbiamo esserlo ancor piu'.
Senza ipocrisie, senza abulie, senza ambiguita'.
*
Del ripudio della menzogna
Capisco i dubbi e le esitazioni di tanti. Ma non accetto le menzogne e il cinismo.
Con parole che sento insufficienti e non di rado insincere sento parlare in questi giorni di ricatti e di terrorismo.
Ma la guerra e' il primo e il principe degli atti di terrorismo, che tutti gli altri incuba ed alleva; l'occupazione militare dell'Iraq che si prolunga da oltre un anno con il suo corteggio di stragi e devastazioni e' con tutta evidenza un crimine immane e spregevole un ricatto; i carri e i mitra americani (e degli stati loro tributari, e dei governi mercenari, tra cui quello italiano) tengono ostaggio l'intero popolo iracheno, ed incessanti seminano morte.
I terroristi rapitori dei giovani nostri concittadini, gli assassini di uno di loro, riproducono e proseguono nella misura dei loro mezzi un crimine e un orrore piu' vasto, un crimine e un orrore di cui anche il nostro stato, il nostro paese, ed infine - e suo malgrado - il nostro stesso popolo e' complice.
*
Della nostra vergogna
Non esser riusciti lungo un anno a far quasi nulla contro la guerra (e le poche cose fatte, sovente purtroppo vacue e confuse, reticenti e ambigue, talora persino inquinate) ha reso il movimento pacifista del nostro paese avversario inetto ed in certi momenti ed atteggiamenti talora quasi paradossale complice del governo, del parlamento e del presidente della Repubblica fedifraghi e felloni, cioe' delle istituzioni che sciaguratamente l'Italia in guerra hanno precipitato, tradendo il proprio mandato e il giuramento fatto sulla Costituzione della Repubblica Italiana, violando per sempre la legge su cui la civile convivenza del nostro paese si fonda, facendo morire anche degli italiani, ed altri italiani rendendo assassini; tutti inabissandoci nell'illegalita' e nel crimine, nel terrore e nella barbarie.
Un'orgia di sangue. Di cui non si vede la fine. E non se ne vede la fine per responsabilita' anche nostra. Non solo dei sanguinari che governano il mondo e il nostro stesso paese, sciagurati fuorilegge che fanno quel che pensano e che loro conviene. Nostra di noi che avremmo dovuto fermarli e non lo abbiamo fatto. Nostra di noi che dovevamo difendere la legalita' costituzionale e il diritto internazionale e non lo abbiamo fatto. Nostra di noi che dovevamo difendere la democrazia, il civile condursi e convivere, il diritto alla vita che inerisce ad ogni essere umano, e non lo abbiamo fatto. Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti.
E' anche la nostra incertezza interiore ed effettuale inadeguatezza, che fa crescere il duplice crimine della guerra e del terrorismo che la guerra imita e riproduce ed espande vieppiu'. Dovevamo fermarli e non lo abbiamo fatto. Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti.
Perche' non lo abbiamo fatto? Perche' non siamo riusciti? Per la piu' semplice ed essenziale delle ragioni: perche' neppure noi, nel nostro agire comune e condiviso come ampio e plurale movimento per la pace, abbiamo saputo fare in pienezza e in profondita' la scelta della nonviolenza, la scelta teorica e pratica della nonviolenza, la scelta esistenziale e politica della nonviolenza, la scelta assiologica e giuriscostituente della nonviolenza.
Non siamo ancora un persuaso movimento per la pace, e non essendo un persuaso movimento per la pace non siamo neppure un persuasivo movimento contro la guerra. Perche' c'e' un solo modo per essere un movimento per la pace che possa la guerra sconfiggere: e questo solo modo e' la scelta della nonviolenza. La nonviolenza dei forti, la nonviolenza che nitida e intransigente si oppone a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutti gli armati, a tutti i terrorismi, a tutte le uccisioni.
Anche le nostre mani sono sporche di sangue.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
*
Dal silenzio al digiuno
Per quanto riguarda la mia personale, di responsabilita', per piccola cosa che essa possa essere, ho deciso di uscire dal silenzio che mi sono imposto da mesi per prender le distanze dal rumore di fondo che non mi persuade, dalle troppe stoltezze e scelleraggini dette e fatte anche nel campo pacifista da chi pretende di rappresentarci e ci sfigura; e per cercare una piu' essenziale misura, una piu' esatta disciplina.
Da quel silenzio esco ora per dire una parola, per esprimere un voto, dichiararmi a favore di un gesto per salvare tutte le vite umane che salvate possono essere, a cominciare da quei tre giovani nostri concittadini in Iraq. Un gesto che e' di pace e per la pace, coerente nella forma e nel contenuto, nei mezzi e nei fini, un gesto nonviolento che a partire da noi testimoni la necessita' e la possibilita' che cessi la guerra, che cessi l'occupazione militare, che cessi il terrorismo, a cominciare dall'Iraq.
E per veder piu' chiaro in me al digiuno della parola, al silenzio, sostituisco a cominciare da ora un altro e piu' alto, piu' severo digiuno, dell'alimentazione. Un digiuno gandhiano, misero segno di condivisione di un dolore e di assunzione di una penosa e ineludibile responsabilita', e ancora nitido gesto di pace e di reciproco riconoscimento di umanita'; un digiuno gandhiano, non per ricattare, non per adire i mass-media, ma per condividere una sofferenza che altre vite afferra e strozza, per illimpidire il mio sentire e il mio fare, per vedere piu' chiaro, per cercare una via all'agire che occorre, per rispondere al compito dell'ora.
8. UNA LETTERA DEL 5 MAGGIO 2004
Vorrei con voi condividere queste poche modeste impressioni sulla giornata dello scorso giovedi', cui non mi pare abbian reso giustizia molti pubblici commenti anche benintenzionati.
Le persone che, rispondendo all'appello dei familiare di tre giovani la cui vita e' in estremo pericolo, si sono messe in cammino giovedi' 29 aprile tra Castel Sant'Angelo e piazza San Pietro a Roma, hanno realizzato quella che a me e' parsa una delle piu' belle e limpide e profonde e luminose manifestazione per la pace in Italia dalla marcia Perugia-Assisi del 2000.
Proprio perche' persone cosi' diverse, proprio perche' persone decisesi ciascuna per conto proprio, proprio perche' l'appello a cui rispondevano non scaturiva per una volta da cartelli di sigle, da quartieri generali o comitati centrali, dalle infinite burocrazie e siano pure quelle del volontariato, ma da donne e uomini nel dolore.
Non sono mancate - come sempre accade quando si manifesta pubblicamente nella forma del corteo a Roma, e troppe telecamere istigano gli incorreggibili volponi e talune anime le piu' ingenue a inopportune esibizioni - piccinerie e spiacevolezze, ma sono state per una volta del tutto marginali, futili, evanescenti.
Vi era, cosi' ho sentito, la comprensione e l'affermazione di un ragionamento chiaro e nitido un sentimento, e la scelta di un comportamento netto e finalmente non piu' equivocabile: si e' stati li' con una volonta' precisa e decisa: fermare la mano degli assassini, perche' esseri umani cessino di uccidere esseri umani: esseri umani le vittime, ed esseri umani gli assassini, anch'essi vittime. Una comune umanita' tutti ci lega e degnifica e sostanzia: per questo giammai devi uccidere. Per questo il primo e l'ultimo comandamento di tutte le grandi tradizioni di pensiero dell'umanita' e' racchiuso nella formula bella: tu non uccidere.
Per questo le forme piu' vive di questa giornata a me pare siano state il povero camminare e il denudato silenzio che convoca al colloquio corale, quell'essenza misteriosa e fragrante che molti di noi chiamano preghiera (ed anche agli altri, anche a me, evoca l'incontro del cielo stellato e della legge morale), l'invito alla benevolenza; il grido straziato e supplice, ma splendente di dignita', ma fermo come roccia, alla misericordia: la misericordia che l'intera umanita' deve a ciascun essere umano. La misericordia che ogni essere umano deve all'umanita' intera. Tu non uccidere.
La ciarla sui ricatti e le provocazioni, i sofismi dei retori, le nequizie degli irresponsabili e degli ipocriti e dei violenti (coloro che la guerra e il terrorismo e le uccisioni promuovono, eseguono, avallano) non scalfiscono ne' corrodono questa elementare verita': giovedi' scorso a Roma persone in cammino questo hanno detto, e lo hanno detto consapevoli di dire una parola vera, libera e franca, concreta e impegnativa: tu non uccidere.
Poi, tornati a casa (ed alcuni forse ancora per le vie di Roma, e fors'anche in piazza, sia pure), ognuno e' tornato alle sue private miserie e ambiguita' - e tutti ne siamo in misura maggiore o minore piu' che maculati composti, ma quella parola e' stata detta, quel gesto e' stato compiuto. Ed e' stata un'epifania di verita', autentico un consentire e un'invocazione: tu non uccidere.
Detto da esseri umani forti solo della propria angoscia e fragilita', che e' l'angoscia e la fragilita' essenziale di ogni essere umano: tu non uccidere.
Detto a noi stessi prima che ad ogni altro: tu non uccidere.
Ma anche a tutti gli altri detto: e in primo luogo ai portatori di armi e di oppressione e di morte: tu non uccidere.
Questo e' stato detto affinche' fosse udito anche dagli esseri umani di cui alla resa dei conti tutti i gruppi criminali, tutti i terrorismi, tutte le guerriglie, tutti gli eserciti, tutti i governi sono composti: gli esseri umani che impongono la guerra e le stragi e le uccisioni, gli esseri umani che eseguono la guerra e le stragi e le uccisioni, gli esseri umani che guerra, stragi e uccisioni subendo ad esse soggiacciono altresi' nella forma dell'ulteriore riproduzione di nuove uccisioni, stragi, guerre, in una spirale che l'intera umanita' artiglia e trascina al disastro. A tutti costoro ha parlato la teoria di umiliati e offesi, ma non arresi, ma non rassegnati, di giovedi' scorso: tu non uccidere.
Per quanto paradossale possa sembrare, giovedi' scorso a Roma a me e' parso di intravedere, di presagire, di leggere nelle mie stesse viscere e nei visi dell'altra e dell'altro, di quante e di quanti erano li', quell'unica comunita' politica a cui oggi mi sentirei di aderire con tutto il cuore - e alla quale so che aderire non posso per quanto vi e' ineliminabilmente in me di oppressore in quanto di sesso maschile in una cultura e una storia ancora non riscattata, ancora troppo intrisa della violenza del sesso cui appartengo. Ma ieri l'ho pur vista, era li', luminosa e finanche - se posso osare questa metafora - numinosa: era la "societa' delle estranee" di Virginia Woolf.
Al di la' delle nostre individuali inadeguatezze e torpori e miserie giovedi' scorso a Roma ho vista l'unica via possibile alla pace, la proposta di Virginia Woolf, le cose che mi ha insegnato Lidia Menapace: la nonviolenza in cammino.
La coscienza che la pace comincia da noi, che noi per primi dobbiamo spezzare il fucile, che alla violenza dobbiamo opporre non altra violenza ma la forza piu' grande e piu' pura, perche' la piu' meticcia, perche' la piu' chenotica: la nonviolenza. Preferire piuttosto morire che uccidere, e forti di questo con voce sottile come vento tra i rovi, e con voce tonante come tempesta, questa supplica e questo comando testimoniare, recare, dare alla luce, e dinanzi allo specchio e nella piazza del mondo: tu non uccidere.
Non solo nei volti e nelle voci delle persone amiche con cui da piu' di trent'anni ci troviamo piu' o meno sovente a camminare insieme, ma nelle voci e nei volti di chi giovedi' scorso per la prima volta facendosi forza afferrava policromo uno straccio e per le vie si metteva in corteo, ho sentito questa coscienza, questa verita': che la nonviolenza e' in cammino, che solo essa puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
9. UNA LETTERA DEL 9 MAGGIO 2004
Tra i promotori e i complici della guerra e del terrorismo c'e' chi finge di stupirsi e di indignarsi per le mostruose torture perpetrate in Iraq dalle truppe occupanti sugli inermi prigionieri.
Fingendo di non sapere che la guerra si esegue attraverso l'uccidere e il terrorizzare. Fingendo di non sapere che la qualita' fondamentale al belligerante richiesta e marchiatagli indosso lungo e attraverso l'intero corso dell'addestramento militare impartitogli e' proprio la capacita' di disumanizzare il "nemico" (di percepirlo come non umano, di renderlo tale), e' proprio l'odio per l'altro essere umano che la guerra gli oppone, e' proprio la disponibilita' ad infierire su di lui fino a togliergli la vita, dimenticando che una e' l'umanita'.
La tortura e' parte costitutiva della guerra, sempre.
Per abolire la barbarie della tortura e' necessario (anche se non sufficiente, e' evidente) abolire la guerra. Cosi' come (e' altrettanto evidente) abolire la guerra e' necessario se si vuole davvero abolire la barbarie della pena di morte, volonta' solennemente enunciata e fin legiferata da molti stati, ma da tutti sistematicamente violata quando e in quanto ammettano il ricorso alla guerra ed a tal fine di armi ed eserciti si dotino.
*
Occorre, e' urgente, che la devastante guerra in corso cessi, ed essa puo' cessare solo con la fine dell'occupazione militare straniera in Iraq, sostituendola con un grande, doverosamente cospicuo e generoso intervento internazionale di aiuti umanitari, condotto con operatori disarmati e modalita' rigorosamente nonviolente, al servizio del popolo iracheno ed in guisa di necessario seppur inadeguato e tardivo risarcimento per le sofferenze ad esso inflitte dalla cosiddetta comunita' internazionale sia negli anni della complicita' con la dittatura, sia con le due guerre di cui l'ultima ancora perdura, l'embargo tra esse, ed infine quest'anno di smisurati e crescenti orrori protratti e ulteriori ed estremi.
Coloro che in questi giorni si dicono sorpresi e indignati e non muovono un dito affinche' la guerra cessi (ed essa - ripetiamolo - puo' cessare solo con la fine dell'occupazione militare, e solo con la sua cessazione - e grande e profondo un intervento nonviolento - si puo' sperare di fermare la crescita del terrorismo che essa sta alimentando vertiginosamente), invero meglio farebbero a tacere. Poiche' anche questa menzognera ed ipocrita sorpresa e questa sguaiatamente esibita indignazione, meramente retorica, palesemente posticcia, pretesamente autoassolutoria, e quindi infame e ripugnante quanto il ghigno malefico del carnefice, e' complice della guerra e del terrorismo, del terrorismo grande imperiale e degli stati, del terrorismo derivato e speculare dei gruppi assassini su scala ridotta alla propria misura fin artigianale ma non per questo meno atroce e pervasivo, e col terrorismo maggiore in tensione e sinergia nel provocare sempre piu' abissali escalazioni di dereismo e violenza, di male, di orrore, di barbarie onnicida.
*
Sono un cittadino italiano. Lo stato in cui vivo, ordinamento giuridico che mi garantisce diritti a cui tengo e privilegi enormi che non merito e non desidero e di cui pure in qualche modo fruisco (e che so essere pagati da altri esseri umani di altri popoli ed altri paesi con una poverta' e un'oppressione che sono coatte e funzionali e necessarie al mantenimento del privilegio e dello spreco qui nel nord ricco di rapina, vampiro e polluttore), questo stato di cui in quanto cittadino faccio parte e per una quota sia pur minuscola sono corresponsabile, questo paese di cui in quanto indigeno e abitatore sono parte e corresponsabile, sta cooperando all'occupazione militare dell'Iraq, quindi alla guerra, quindi al terrorismo.
Anche il mio silenzio e' complice delle torture, del terrore, della guerra, poiche' sono un cittadino italiano, e pur dotato di rilevanti diritti politici e quindi di non irrilevante politico potere non ho saputo adeguatamente effettualmente agire - e come me, e io insieme a loro, le tante ed i tanti che come me sentono e pensano e ardentemente vogliono, e sono, siamo senza dubbio la grande maggioranza del popolo italiano - per impedire dapprima e di poi far cessare la guerra, o almeno la partecipazione italiana ad essa, nonostante a favore di cio' che chiediamo, a favore della pace e dell'umanita', ci siano le leggi del nostro paese, leggi che governo, parlamento e capo dello stato hanno proditoriamente violato non opponendosi alla guerra in corso ed anzi mandando italiani ad uccidere e farsi uccidere cola' in guerra, e con essi, mandanti ed esecutori, decisori ed armigeri, quelle leggi - in primis la Costituzione della Repubblica Italiana stessa - parimenti hanno violato coloro che avendo potere di interdire la loro azione han lasciato che cosi' agissero, che alla partecipazione all'aggressione hanno contribuito, che hanno omesso di opporsi, o si sono opposti ma in misura inadeguata, in forme insufficienti o equivoche, non raggiungendo un esito cogente.
E tra essi, nella misura delle facolta' nostre, anche noi, non cosi' senza potere come ci pare di essere, come ignobilmente ci crogioliamo talora di dirci; non cosi' innocenti come a troppi piace oscenamente proclamarsi per colmo di insipienza e sicumera, per un obnubilamento che vieppiu' ci rende e ci manifesta corresponsabili della guerra e del terrore.
*
Nei giorni scorsi, che ho trascorso nel digiuno, mi sono chiesto ancora e ancora cosa dovessimo fare - di meglio, piuttosto che di piu', del poco e male fatto -, non ho trovato risposta ancora. O meglio, una sola, ma capisco che non piu' che enunciarla qui posso.
Ed e' quella che Alex Langer il buono, persuaso e persuasivo, fece accogliere in sede istituzionale europea molti anni fa, ma tuttora inattuata: l'istituzione e l'azione di corpi civili di pace in grado di effettuare interventi rigorosamente nonviolenti in aree di conflitto bellico dispiegato.
Piu' volte e in piu' luoghi si e' iniziata questa pratica - fin qui senza sostegni istituzionali e quindi solo su base e per scelta generosamente coraggiosamente volontaria - da parte di movimenti nonviolenti ed esperienze della societa' civile, e talvolta con esiti assai rimarchevoli nella misura delle forze impiegate, delle risorse disponibili.
Nella situazione irachena questo oggi occorrerebbe: una presenza internazionale di interposizione nonviolenta di massa di dimensioni tali da paralizzare i belligeranti.
Ed e' cosa alla quale, nella misura che nella concreta contingenza e' all'uopo necessaria (nella massa critica ma anche nella qualita' e potenza ermeneutica e percettiva, visibilita'-veggenza-profezia che il satyagraha richiede), siamo ancora inadeguati per motivi soggettivi e oggettivi, innanzitutto per il tremendo ritardo del movimento per la pace - nel suo complesso considerato, ma anche nelle parti di esso piu' vigili e coscienti, meno chiassose e piu' nitide, meno ambigue e piu' sollecite - nell'accogliere la nonviolenza come scelta decisiva per chiunque voglia impegnarsi per la pace e i diritti umani, per chiunque voglia lottare per il presente e il futuro dell'umanita'.
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Ed in assenza della capacita' di adeguatamente praticare hic et nunc questa forma di intervento nonviolento (ma questo non significa rassegnarsi all'inerzia, significa lavorare ancor piu' tenacemente e limpidamente in questa prospettiva), mi pare che per cosi' dire in via subordinata un'altra cosa ci resterebbe ancora da fare, da fare qui, da fare subito, in Italia, oggi.
Ma anche questa proposta non sono capace di far piu' che ancora una volta soltanto dichiararla come esigenza ed appello, poiche' vedo bene tutte le difficolta' di metterla in atto. Ed ho piena contezza che essa e' ancora una proposta estrema, ma altre non ne vedo che per dimensione a fronte di cio' che l'ora richiede non siano troppo fuori scala e meschine e pusillanimi, ed almeno che essa venisse promossa, discussa, presa in seria considerazione vorrei.
E' lo sciopero generale contro la guerra, contro il terrorismo, contro la tortura. Lo sciopero generale che obblighi chi oggi governa il nostro paese violando la legge - e tutti ci trascina nella barbarie - a tornare al rispetto della legge; lo sciopero generale che imponga il ripristino della legalita' costituzionale, l'obbedienza all'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana che proibisce all'Italia di prender parte all'occupazione militare dell'Iraq. Lo sciopero generale per la fine della partecipazione italiana alla guerra. Lo sciopero generale come insurrezione morale nonviolenta del popolo italiano per richiamare all'umanita' le istituzioni del nostro ordinamento giuridico, per ricondurre all'umanita' la concreta azione politica internazionale italiana. Lo sciopero generale per difendere lo stato di diritto, la democrazia, i diritti umani, la nostra stessa qualita' di esseri umani, la nostra stessa umana dignita': e la vita e i diritti delle sorelle e dei fratelli iracheni e di quanti in Iraq ogni giorno subiscono sevizie e stragi, e quanti sono esposti ad essere brutalizzati e uccisi, e quanti sono esposti a divenire torturatori e assassini e degli assassini e dei torturatori complici.
Temo possa apparir del tutto velleitario il dirlo, e quindi ridicolo se la tragedia in corso il ridicolo consentisse, ma il dir altro temo sia nulla, o peggio. Lo sciopero generale occorre: in difesa della vita di tutti gli ostaggi della guerra e del terrore, compresi coloro che guerra e terrore praticano, vittime anch'essi oltre che carnefici; e in difesa della legalita' e della democrazia, della nostra medesima civile convivenza. Perche' oggi gli assassini, i terroristi, e non solo per omissione di soccorso, tragicamente siamo anche noi, il popolo italiano "brava gente", il popolo italiano che una leadership gangsteristica, sprezzante di ogni legge ed ogni morale, ha ridotto a criminale parte belligerante - che gia' vittime ha mietuto, che gia' vittime ha subito - e abominevole pubblico plaudente, asservito nella narcosi ma nondimeno cannibale e compartecipe, di una guerra non solo delittuosa e scellerata come tutte le guerre, ma illegale secondo le stesse legislazioni costitutive e legittimatrici dei soggetti di essa promotori ed esecutori, che sta contribuendo alla catastrofe dell'umanita'.
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Ed insieme una piu' profonda azione occorre: di crescita della nonviolenza come alternativa la piu' profonda e la piu' urgente, come proposta di gestione dei conflitti che consenta la fine delle guerre e degli eserciti e delle armi.
Quel lavoro di lunga lena cui molte e molti da anni dedicano le migliori energie loro e che oggi in Italia ha trovato un punto di convergenza e di sintesi provvisoria e dinamica nella proposta di Lidia Menapace all'Europa rivolta, proposta sull'impulso della quale molte persone amiche della nonviolenza si ritroveranno il 22 maggio su invito del Movimento Nonviolento (per ulteriori informazioni: www.nonviolenti.org) a un incontro che e' tra le poche cose coerenti, persuase e luminose che le operatrici e gli operatori di pace stanno promuovendo in questi giorni (come lo e' stata, a me e' parso, la marcia contro tutte le uccisioni svoltasi tra Castel Sant'Angelo e piazza S. Pietro il 29 aprile).
Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', l'umanita' tutta, l'umanita' altrui, la nostra medesima, l'umanita' di ciascuno.
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)
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Numero 108 del 13 febbraio 2013
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