Coi piedi per terra. 551



 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 551 del primo maggio 2012

 

In questo numero:

1. Il primo maggio, con Alfio Pannega

2. Una commemorazione di Alfio Pannega in occasione della prima festa popolare del quartiere del Carmine a Viterbo il 24 luglio 2010

 

1. OGGI. IL PRIMO MAGGIO, CON ALFIO PANNEGA

 

Il primo maggio e' il giorno in cui abbiamo reso l'estremo saluto ad Alfio Pannega due anni fa.

Ed e' il giorno della lotta e della solidarieta' del movimento degli sfruttati e degli oppressi, movimento di cui Alfio Pannega e' stato un simbolo, un esempio, una guida.

Cosi' per noi nel giorno del primo maggio sono una cosa sola il ricordo di Alfio e la lotta del movimento di liberazione dell'umanita' dalle catene dello sfruttamento e dell'oppressione; la fedelta' ad Alfio e la fedelta' all'umanita' in cammino per realizzare la dignita' di tutti e di ciascuno, la solidarieta' che tutte e tutti raggiunge e congiunge e sostiene, l'uguaglianza di diritti e di doveri, il mutuo soccorso e la messa in comune dei beni di un mondo che e' il mondo di tutti senza eccezioni; il programma dell'98: liberte', egalite', fraternite'; l'internazionale futura umanita'.

Nel nome e nel ricordo di Alfio, la lotta continua: fino alla vittoria dell'umanita': da ciascuno secondo le sue capacita', a ciascuno secondo i suoi bisogni.

*

Mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' eserciti, mai piu' armi.

Mai piu' razzismo, mai piu' persecuzioni: tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

Mai piu' sfruttamento, mai piu' oppressione: una sola umanita'.

Mai piu' devastazione del l'unico mondo comune all'umanita' intera.

Mai piu' fascismo, mai piu' maschilismo, mai piu' sciovinismo.

Viva il primo maggio, viva la lotta del movimento delle oppresse e degli oppressi, viva il compagno Alfio Pannega.

 

2. MEMORIA. UNA COMMEMORAZIONE DI ALFIO PANNEGA IN OCCASIONE DELLA PRIMA FESTA POPOLARE DEL QUARTIERE DEL CARMINE A VITERBO IL 24 LUGLIO 2010

[Ricostruita a memoria, questa e' la trama delle principali riflessioni svolte a braccio nella commemorazione di Alfio Pannega in occasione della prima festa popolare del quartiere del Carmine a Viterbo il 24 luglio 2010.

Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i  motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi fa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti]

 

1. Provo sempre un profondo imbarazzo quando mi si chiede di ricordare persone che ho conosciuto e che non sono piu' in vita. Poiche' so che l'altrui ricordo non puo' riuscire a rendere loro giustizia: perche' la memoria col tempo si affievolisce e si offusca, il ricordo per progressive rielaborazioni si semplifica e riduce, e quel che si narra gia' non e' piu' il ricordo sorgivo, ma via via sempre piu' il ricordo di cio' che si e' gia' narrato; e nel racconto si perde sovente l'essenziale di quel volto, di quella voce, di quell'incontro, di quella vicenda, di quel cammino. Cosi' accade che quella persona che abbiamo conosciuto vitale, sfaccettata, ricca di mille tratti cangianti e fin contraddittori, nel descriverla si finisce con l'intagliarla e ridurla a una maschera mortuaria, irrigidendola in un monumento di pietra sia pure dal gesto nobile e il volto olimpico, ma quella persona non era cosi', era anche infiniti altri gesti e parole e posture ed espressioni e relazioni e smarrimenti, in un rapporto col mondo che era mobile e vario, fluido e mutevole sempre.

Eppure non conosco altro modo per rendere omaggio a un vecchio amico e compagno di lotte e di ragionamenti che tenerne vivo il ricordo parlandone cosi', alla buona, con altri amici che lo conobbero - per lungo tratto di vita o in un breve incontro - e con tanti che non potranno conoscerlo piu' se non attraverso il racconto di chi resta.

E mi commuove che in questa prima festa popolare del quartiere del Carmine, promossa dal centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di cui Alfio e' stato l'anima, il nostro incontro che e' insieme di convivialita' e di riflessione si apra nel ricordo di Alfio Pannega, che molte persone che qui vivono conoscevano e amavano, e che sanno che per tutte loro Alfio aveva una parola amichevole, un motto frizzante, una solidarieta' sincera, un'amista' che neppure la morte cancella.

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2. Mi e' capitato, come capita a tutti nella vita, di incontrare persone che mi hanno lasciato un dono impegnativo, che mi hanno recato un messaggio ineludibile; che mi hanno fatto sapere, capire qualcosa di decisivo, qualcosa che riguardava la mia stessa vita, qualcosa che mi ha aiutato a capire il mondo, a volere il bene e a lottare contro il male.

E poiche' sono ormai invecchiato anch'io, gia' molti di questi messaggeri il cui messaggio ho ascoltato e ha parlato al mio cuore sono morti. E per cosi' dire la loro morte mi impegna ad essere ora io stesso un testimone di quel loro messaggio, a tramandarne l'eco, il riverbero che ne ho trattenuto.

Se mi volgo indietro ricordo con infinita gratitudine tra questi messaggeri del bene che mi hanno parlato Primo Levi e Vittorio Emanuele Giuntella, che resistettero nel lager; ricordo Achille Poleggi e Sauro Sorbini, che sono la storia della Viterbo migliore, popolare e antifascista, repubblicana, socialista e libertaria, che hanno saputo combattere la menzogna e l'ingiustizia quando tanti, troppi altri cedevano; Alfio Pannega e' stato uno di questi messaggeri del bene, di questi messaggeri della verita', di questi testimoni della dignita' umana, di questi combattenti della buona battaglia.

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3. Ho raccontato in altre circostanze alcuni aspetti della sua persona, ed alcuni episodi della nostra amicizia, che nel rimembrarli sempre mi commuovono; ma oggi non vorrei raccontare episodi solenni o patetici, aneddoti e detti esemplari.

Oggi vorrei semplicemente, sobriamente, in poche parole, condividere con voi la rievocazione di alcuni tratti del suo carattere di cui non sempre si sottolinea adeguatamente la fecondita' e la pregnanza.

E vorrei anche dire di una mia preoccupazione.

Ed infine vorrei altresi' esprimere un fermo mio convincimento, un'intima persuasione: che Alfio sia ancora segno di contraddizione ed appello alla lotta, testimonianza vivente del dovere di ogni essere umano di essere di aiuto all'umanita' intera, con il braccio e con il cuor - per dirla con il linguaggio dei libretti d'opera.

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4. Innanzitutto vorrei ricordare questo tratto luminoso del suo carattere, che incantava chiunque lo incontrava sia pur per un attimo solo: la sua inesausta gioia di vivere.

Alfio Pannega era una persona felice, e non solo felice, ma allegra, a cui piaceva fare festa, giocare, ballare, godere di ogni innocente piacere. Sapeva scherzare e sapeva ridere anche di se stesso. Anche quando giocava il ruolo del burbero benefico sempre nelle sue uscite sentivi l'autoironia della persona che molte esperienze aveva attraversato e sa che tutte le persone hanno bisogno di tenerezza ed hanno diritto alla misericordia.

E cosi' non solo nelle amicizie era fedele fino all'abnegazione, ma nei confronti di chiunque - di chiunque, anche il viandante sconosciuto, anche l'ospite oscuro, e finanche la persona di cui a buon diritto si poteva diffidare o da cui si eran subiti torti - sapeva essere generoso, generoso di una generosita' incondizionata, felice dell'altrui felicita'.

Sapeva che la sua generosita' migliorava le altre persone, migliorava il mondo. Ed anche nei confronti di coloro che gli avevano fatto del male sapeva essere compassionevole: combatteva il male, e cercava di salvare le persone, di indurle ad elevarsi, a liberarsi dalla cattiveria, dalla cattivita'.

Era intransigente nel contrastare il potente che opprime, poiche' era fermo come una torre e duro come la pietra nell'opporsi al male, ma verso l'essere umano sempre sapeva trovare il modo di interloquire, con gentilezza soave.

Amava la vita ed era felice della sua vita, che non era stata una vita facile, una vita comoda, al contrario; ma era stata una vita nobile, una vita degna, una vita luminosa: era stata una vita di poverta', di lavori umili e faticosi, di duro sfruttamento subito, anche di indicibili stenti - per molti anni con la madre amatissima aveva abitato in una grotta -; ed anche di profonda ed amarissima incomprensione da pare di tanti che pur pretendevano di conoscerlo e di spacciarsi per suoi amici ed invece con i loro pregiudizi lo riducevano ad uno stereotipo astratto, a una maschera vuota, e ne sfruttavano la bonta' senza conoscerne e quindi senza riconoscerne i meriti e le virtu' grandi.

Ma questa sua vita di poverta' lui aveva saputo colmarla di mlle tesori: l'aveva colmata di amore, di generosita', di dignita' splendente, di morale e civile virtu'; di antifascismo come scelta e modo di vita, di resistenza ad ogni ideologia della menzogna e ad ogni prassi dell'oppressione; di "ironia che resiste e contesa che dura" per dirla con le parole del poeta della Verifica dei poteri.

Era una vita spoglia, essenziale, ed insieme ricca, preziosa. Una vita orgogliosamente proletaria, orgogliosamente antifascista, orgogliosamente nonviolenta.

La vita di un essere umano cosi' come l'umanita' dovrebbe essere.

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5. E insieme al suo amore per la vita vorrei ricordare il suo inesauribile amore per il mondo: tutto il mondo, tutta la vita, tutte le persone, tutte le creature viventi. In un atteggiamento di appassionata meraviglia, di franca gratitudine, di intimo dialogo.

In primo luogo, un inesauribile amore per la bellezza della natura. Che conosceva cosi' intimamente per esperienza concreta e per meditazione profonda, per studi condotti sui libri e soprattutto per studo condotto nella relazione vitale, a tu per tu, col gran libro dell'universo. Ed e' indimenticabile la sua profonda, vibratile empatia, oltre che con le persone, con gli animali, e con le piante.

In secondo luogo, un inesauribile amore per il lavoro umano, per la perizia, l'arte dell'artigiano, il mestiere di chi sa fare le cose e delle cose e del mondo sa prendersi cura. E conosceva tutti i mestieri e si era cimentato in tutte le prove: aveva la sapienza del contadino, dell'operaio e dell'artigiano, di chi sapeva seminare e accudire le piante e parimenti sapeva riciclare tutti gli scarti della societa' dei consumi.

In terzo luogo, un inesauribile amore per il sapere come esito prezioso di tutte le esperienze di tutti gli esseri umani della storia del mondo.

Ed in quarto luogo e conclusivamente vorrei ricordare il suo inesauribile amore per la poesia, che sapeva cogliere ovunque.

Il giorno della sua scomparsa, quando al culmine del dolore e dello smarrimento gli amici piu' stretti ci incontrammo al centro sociale per le tristi incombenze dei funerali, nell'annuncio mortuario poi affisso per le vie della citta' a caratterizzarlo queste due parole volemmo fossero scritte insieme al suo nome: compagno e poeta.

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6. Quest'uomo e' stato, per me e per molti, un maestro di verita' e di virtu'. E tale resta, anzi confido che nel corso del tempo sempre piu' la citta' si rendera' conto di questo suo magistero esercitato nell'umilta' e nella condivisione, nella poverta' e nell'ospitalita', senza cattedre e senza prosopopea. Senza opprimere nessuno, ed anzi a tutti recando soccorso ogni volte che ne ebbe la possibilita'.

Alfio Pannega e' stato maestro di un'etica della resistenza, della responsabilita' e del prendersi cura degli altri.

Maestro di un'etica, una pratica dell'ospitalita' e della generosita'.

Maestro di un'etica, una pratica dell'opposizione nitida e intransigente all'ingiustizia.

Maestro di un'etica, una pratica della solidarieta' egualitaria.

Maestro di un'etica, una pratica della compassione attiva e degnificante.

E tutto cio' nella piu' limpida semplicita', esercitando nell'essenzialita' che e' propria dei poveri una benevolenza, una compassione senza limiti. Che molti frutti continuera' a dare ancora.

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7. Accennavo all'inizio, e voglio ora dirlo in modo piu' ampio e articolato, che certo si corre il rischio di mummificare Alfio, di irrigidirlo in una maschera, in un monumento muto, in una immaginetta devozionale; il rischio di pietrificarlo, di raggelarlo, e quindi di spegnerlo ed imprigionarlo in una posa, lui che volle sempre essere libero come il vento.

E poiche' per tutta la sua vita ha dovuto subire questa pretesa di ridurlo a bozzetto strapaesano, a figurina oleografica, almeno noi quel medesimo errore, sia pure con intenti e in direzione opposti, non dobbiamo commetterlo.

E ad esempio trovo che non gli renda giustizia monumentalizzarlo, impagliarlo nel ruolo di "poeta" facendo riferimento solamente ai versi che ci ha lasciato, alle improvvisazioni a braccio (con l'arte dei poeti popolari delle nostre campagne - Alfio era uno di loro -, che cantano ottave perfette nel metro, nella lingua e alla scuola dei poemi cavallereschi quattro-cinquecenteschi), alle declamazioni dei classici che piu' amava - Dante su tutti -: certi tratti legnosi, meccanici, del suo declamare i classici che amava e del suo improvvisare a voce o scrivere versi, non gli rendono giustizia; la poesia di Alfio e' stata molto piu' che nelle sue liriche (alcuni tratti delle quali io trovo sublimi) nelle sue scelte di vita, nell'esempio che ha dato costante; certo, ora ci restano quelle poche poesie (la maggior parte delle quali raccolte anni fa in un ciclostilato e quest'anno in un volume a stampa che molto lo rese felice negli ultimi mesi di vita), qualche intervista e qualche registrazione - perlopiu' casuale - di sue declamazioni e suoi interventi a iniziative diverse; ma io credo che un piu' fedele ritratto di Alfio e della sua prassi poetica - e della sua azione educativa e civilizzatrice - lo avremo quando le persone che hanno vissuto con lui in questi diciassette anni di centro sociale occupato autogestito avranno composto il mosaico delle loro testimonianze in forma di autoanalisi popolare (la formula di Danilo Dolci, il grande combattente e maieuta nonviolento) restituendo ognuna l'immagine di Alfio che ha colto e condiviso, a formare collettivamente un piu' adeguato ritratto dell'uomo, del compagno di lotte, del poeta integrale.

Cosi' come non gli rende giustizia, ma anzi a me sembra lo umili se proposto come totalizzante e decontestualizzato, lo stereotipo del linguaggio colorito e il repertorio delle frasi celebri. Certo, Alfio aveva anche un linguaggio colorito, e certe sue frasi lapidarie agevolmente, agilmente s'incidevano nella memoria degli interlocutori e - passando di bocca in bocca - nella memoria collettiva e nell'immaginario mitico della citta'. Ma quel linguaggio colorito era solo il prestito espressivo dell'ambiente in cui aveva vissuto; nella sua anima e nelle sue amicizie e nei suoi gesti e nelle sue scelte parlava anche e innanzitutto una lingua raffinata e sobria, nitida e rigorosa, quella di Dante, e attraverso Dante la lingua di Francesca e di Farinata e di Ulisse e di Ugolino come Dante ce li ha consegnati: una lingua volta a volta dolce e dolente, e solenne ed eroica, la lingua che nel suo stesso dirsi esorta alla virtu' e alla conoscenza, ed amorevolmente si piega a confortare tutti i feriti dalla vita, e ad indicare la venusta' del mondo e di ogni persona che in esso e' vissuta, vive e vivra'.

*

8. E adesso vorrei dire di quella che per me e' la chiave interpretativa privilegiata per cogliere il miracolo della vita e dell'opera di questa persona, e rivelare quello che sovente mi accade di percepire essere un segreto inaspettato per tante persone che pur credevano di conoscerlo questo uomo buono e schivo, generoso e modesto nel suo fare il bene: la sua consapevolezza politica.

La sua consapevolezza politica, e la sua acutezza politica, la sua capacita' di comprensione politica del mondo e dei compiti dell'ora, dei doveri di ogni persona decente.

So che molti stentano a crederlo quando lo dico (e magari sospettano che io inconsciamente o strumentalmente proietti in lui qualcosa di mio, che e' nel mio essere e sentire piuttosto che nella persona al cui ascolto mi collocai, con cui interloquii da pari, e di cui qui parlo), ma Alfio Pannega e' stato un militante politico straordinariamente consapevole. Certo, a modo suo e nelle forme in cui le sue scelte di vita e le condizioni in cui ha vissuto glielo hanno consentito.

Or mi sovviene, e qui vorrei narrare, un'antica conversazione, credo degli anni '70 o '80, quando scoprii quale Alfio Pannega autentico si celasse sotto la scorza dell'Alfio Pannega della vulgata e dell'immaginario collettivo. Mi capito' di poterci parlare a quattr'occhi per ore una volta, la prima volta, e mi si squaderno' la ricchezza e la complessita' di idee e la finezza di comprensione e di interpretazione dell'uomo.

Ci conoscevamo gia', ma per me allora lui era solo quel personaggio storico della Viterbo popolare cosi' come veniva rappresentato nello stereotipato discorso comune: un personaggio commovente nella sua profonda umanita', ma cui non si prestava ascolto a lungo; ed io ero all'epoca un militante e - chiedo venia - dirigente politico della sinistra, non solo autorevole per rigore morale e capacita' organizzative e di leadership, ma cui si riconosceva - come dire - grande cultura e un temibile acume.

Ebbi allora la fortuna e l'intelligenza di voler lungamente parlare con Alfio, di volerlo ascoltare davvero e davvero discuterci; non per sentirmi ripetere l'aneddotica di cui solitamente veniva richiesto, ma per ragionare con lui - come si dice - "della vita e della morte", del senso e dei fini del nostro politico agire di militanti egualitari, solidali, accudenti, rivoluzionari quindi.

Seppi da allora e non dimenticai piu' che l'approccio paternalistico con cui molti gli si accostavano era un errore e un oltraggio, che quell'uomo era non solo un militante consapevole del movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell'umanita', ma che le sue stesse scelte di vita, pur cosi' fortemente condizionate dalle condizioni oggettive di oppressione di classe, erano altresi' scelte reali, ovvero volizioni autentiche: scelte di resistenza, antifascismo in atto, rivoluzione socialista e libertaria che comincia, spirito dell'utopia e principio speranza che si fa ortopedia del camminare eretti - per usare le formule di Ernst Bloch -, la speranza egualitaria e liberatrice cosi' come l'avevano pensata e praticata Spartaco e Rosa Luxemburg e Franco Basaglia. E, last but not least, che la qualita' della sua riflessione politica era di un elevato livello morale ed intellettuale, assai al di sopra delle formule pappagallescamente ripetute all'epoca da tanti che s'impancavano a guide e profeti e poi si e' visto che fine hanno fatto nel gran teatro del mondo e nella palude della societa' dello spettacolo e del generalizzato asservimento.

Io so che Alfio Pannega, quali che fossero i suoi limiti esperienziali ed espressivi, e' stato un militante del movimento operaio di una profondita' di sguardo e di una saldezza di giudizio che coloro che pretendevano di rappresentarlo neppure si sognavano.

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9. Ma detto questo ancora una cosa mi resta da dire, ed e' quella che per me conta di piu', e che ho gia' ripetuto cosi' tante volte che forse per molte persone che mi ascoltano oggi sara' noiosa: e' accaduto ad Alfio un miracolo che non a tutti capita: di aver vissuto per cosi' dire due vite; a un certo punto, gia' anziano, la sua vita ha avuto l'occasione di un mutamento radicale: quando pareva gia' condannato a una vecchiaia di stenti e di solitudine, di malanni crescenti e di crescente vuoto e di incombente istituzionalizzazione, avvenne che di colpo si trovo' intorno tante persone con cui condivise gli ultimi due decenni di vita in un rapporto di straordinaria vicinanza e intensita'.

Non si tratto' di una metamorfosi nel suo modo di essere, poiche' resto' vieppiu' se stesso, ma di un'intensificazione profonda e di una vasta apertura relazionale si', poiche' ebbe finalmente modo di esprimersi in un contesto capace di comprenderlo, di riconoscerlo, e di porsi alla sua scuola. Senza paternalismi, senza subalternita', in eguaglianza di dignita' e di diritti, e proprio per questo naturalmente riconoscendo ad Alfio un magistero, una saggezza, una sapienza, un'autorevolezza che precedentemente gli era stata tenacemente negata da una citta' sorda e stordita.

Era l'11 luglio 1993, e con l'occupazione dell'ex-gazometro nella Valle di Faul, un'area abbandonata confinante con la minuscola casa di Alfio, Alfio entro' trionfalmente nella vita dei giovani e meno giovani occupanti, e loro entrarono nella sua.

Alfio divenne il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" ed il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" divenne Alfio. Non fu un processo ovvio, ne' lineare, ma sempre piu' l'esperienza di un uomo d'eta' e d'infinite odissiache e qoheletiche vicissitudini a lungo emarginato, e l'esperienza di un gruppo di giovani fiduciosi e ribelli, divennero una cosa sola: un'esperienza di solidarieta' e di lotta per i diritti che da allora ad oggi e' stata e resta - tra mille difficolta', limiti e contraddizioni, certo - una delle cose piu' appassionanti di questa citta'.

E non c'e' bisogno che io qui ricordi adesso le sue ultime lotte per i diritti di tutti: sono lotte che la gente del Carmine conosce bene, perche' sono le stesse che ogni giorno chi vive in questo quartiere popolare deve combattere: per un ambiente vivibile, per il diritto al lavoro, alla casa, all'assistenza, alla salute, al sapere, al rispetto della dignita' propria e di tutti. Sono le lotte della gente del Carmine, sono le lotte del centro sociale, sono le lotte dell'umanita' intera.

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10. E questo discorso non si conclude quindi in tono elegiaco e dimesso, nello smorzarsi della voce, acquietandosi, e per cosi' dire consegnando Alfio al silenzio. Al contrario, questo discorso si conclude in forma di rivendicazione e di appello, di enunciazione di una contraddizione - che e' sociale e politica - e di invito all'arduo operare per il bene comune, alla lotta contro l'iniquita' e le strutture di dominio in cui essa si deposita e cristallizza a gravare sulla vita degli esseri umani.

Alfio Pannega e' ancora segno di contraddizione, spina nella carne, appello alla lotta.

La sua memoria convoca e scuote. La sua figura interpella al giudizio e all'azione collettiva solidale e liberatrice.

A chi vorrebbe inchiodarlo nel silenzio dei trapassati, noi diciamo che Alfio ha vissuto ed e' morto da persona felice perche' giammai arresa alla menzogna e all'ingiustizia, da persona generosa e quindi non riconciliata, costruttrice di pace e quindi non pacificata. Una persona mai rassegnata, mai silenziata. Un resistente.

La memoria di Alfio e' la memoria di un combattente nonviolento contro l'oppressione di classe, contro il razzismo, contro la devastazione della biosfera.

Non permettiamo che sia dimenticato, e non permettiamo che la sua memoria sia sfigurata.

Se permettessimo che la sua testimonianza e la sua lotta finissero con la sua scomparsa, allora e solo allora sarebbe morto per sempre, e il senso e l'impegno e la speranza della sua vita e della sua lotta e del suo insegnamento sarebbero per sempre annichiliti.

Queste cose in questa piazza in questa giornata di convivialita' metteva conto che fossero dette, perche' questa festa popolare, come Alfio l'avrebbe voluta e come i suoi compagni del centro sociale l'hanno organizzata insieme a tante persone del quartiere alle quali anch'io esprimo la mia gratitudine, non e' una festa dell'oblio e dello stordimento, ma una festa della coscienza e della conoscenza, del riconoscimento e della riconoscenza.

Alfio e' ancora un nostro maestro. Alfio e' ancora un nostro compagno. Alfio e' ancora vivo finche' tu resisti.

 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

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Numero 551 del primo maggio 2012

 

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