Coi piedi per terra. 473



 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 473 del 20 luglio 2011

 

In questo numero:

1. Alcuni estratti da "L'odio per l'Occidente" di Jean Ziegler (parte seconda e conclusiva)

2. Contro la guerra una proposta agli enti locali

3. "Rete No War" e "U.S. Citizens for Peace & Justice": Contro la guerra in Libia un appello ai membri non belligeranti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu

 

1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "L'ODIO PER L'OCCIDENTE" DI JEAN ZIEGLER (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)

[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Jean Ziegler, L'odio per l'occidente, Marco Tropea Editore, Milano 2010 (ed. or. La haine de l'Occident, 2008).

Jean Ziegler (1934), sociologo, docente, parlamentare svizzero, membro della commissione del consiglio consultivo Onu per i diritti umani e relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all'alimentazione, ha denunciato nelle sue opere i rapporti tra capitale finanziario, governi, poteri criminali, neocolonialismo, sfruttamento Nord/Sud. Tra le opere di Jean Ziegler: Sociologie de la nouvelle Afrique, Gallimard, Paris 1964; Sociologie et contestation, essai sur la societe' mythique, Gallimard, Paris 1969; Le pouvoir africain, Seuil, Paris 1973, 1979; Les vivants et la mort. Essai de sociologie, Seuil, Paris 1975 (tr. it. I vivi e la morte, Mondadori, Milano 1978); (con Delia Castelnuovo-Frigessi, Heinz Hollenstein, Rudolph H. Strahm), Une Suisse au-dessus de tout soupcon, Seuil, Paris 1976, 1983 (tr. it. Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto, Mondadori, Milano 1976, 1978); Main basse sur l'Afrique, Seuil, Paris 1978, 1980 (tr. it. Le mani sull'Africa, Mondadori, Milano 1979); Retournez les fusils! Manuel de sociologie d'opposition, Seuil, Paris, 1980, 1981, 1991 (tr. it. Il come e il perche', Mondadori, Milano 1981); Contre l'ordre du monde. Les rebelles, Seuil, Paris 1983; Vive le pouvoir! Ou les delices de la raison d'Etat, Seuil, Paris 1985; La victoire des vaincus, oppression et resistance culturelle, Seuil, Paris, 1988 (tr. it. La vittoria dei vinti, Sonda, Torino-Milano 1992); La Suisse lave plus blanc, Seuil, Paris 1990 (tr. it. La Svizzera lava piu' bianco, Mondadori, Milano 1990); (con Claude Pichois), Baudelaire, Il Mulino, Bologna 1990; Le bonheur d'etre suisse, Seuil e Fayard, Paris 1993 (tr. it. La felicita' di essere svizzeri, Mondadori, Milano 1994); L'or du Maniema, Seuil, Paris 1996 (tr. it. L'oro del Maniema, Tropea, Milano 2001); La Suisse, l'or et les morts, Seuil, Paris 1997, 1998 (tr. it. La Svizzera, l'oro e i morti, Mondadori, Milano 1997); Les seigneurs du crime, Seuil, Paris 1998, 1999 (tr. it. I signori del crimine, Marco Tropea, Milano 1998); La faim dans le mond expliquee a' mon fils, 1999 (tr. it. La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Pratiche, Milano 1999, Net, Milano 2002); (con Sally-Anne Way, Christophe Golay), Le droit a l'alimentation, 2002 (tr. it. Dalla parte dei deboli. Il diritto all'alimentazione Marco Tropea, Milano 2004); Les nouveaux maitres du monde et ceux qui leur resistent, Fayard, Paris 2002; La privatizzazione del mondo, Tropea, Milano 2003; Dalla parte dei deboli. Il diritto all'alimentazione, Tropea, Milano 2004, Net, Milano 2005; L'empire de la honte, Fayard, Paris 2005 (tr. it. L'impero della vergogna, Tropea, Milano 2006); La haine de l'Occident, Albin Michel, Paris 2008 (tr. it. L'odio per l'Occidente, Tropea, Milano 2010)]

 

Da pagina 28

Dal gennaio del 2006, in Bolivia, Evo Morales Ayma, un contadino aymara, occupa il palazzo Quemado. E' il primo presidente indio di un paese del Sudamerica dopo la devastazione spagnola del XV secolo.

Morales ha provocato un terremoto nell'ordine del mondo e ha inflitto all'Occidente una grave sconfitta. La resurrezione identitaria delle popolazioni aymara, quechua, moxo, guarani' mette in circolazione inaudite energie di lotta, di resistenza e di creazione. Nella quinta parte verranno analizzati gli effetti della rinascita boliviana a livello continentale. Si trattera' di prenderne l'esatta misura: la valorizzazione permanente della politica e della cultura indigene, effetto dell'odio per l'Occidente, e' compatibile con i principi universali del diritto?

Stretta in una morsa tra la doppiezza del linguaggio dell'Occidente e l'odio dei popoli del Sud, la comunita' internazionale non riesce a imporsi, le Nazioni Unite sono allo sfascio e l'assenza di dialogo getta il pianeta in un pericolo mortale.

Da 42 anni, dunque, la Conferenza sul disarmo risulta paralizzata, la proliferazione di armi nucleari sempre piu' micidiali continua.

Nel settembre del 2000, 192 capi di Stato e di governo si sono riuniti a New York e hanno fissato gli "obiettivi del Millennio" (Millenium goals), volti a eliminare gradualmente la sottoalimentazione e la fame, le epidemie e la miseria estrema in cui vivono due miliardi di esseri umani. Ma a tutt'oggi non e' stato fatto alcun progresso in questa direzione.

All'inizio del nuovo millennio, su un pianeta che trabocca di ricchezze, ogni cinque secondi un bambino di meno di dieci anni muore di malattia o di fame.

Ovunque infuria la guerra economica.

L'umiliazione, l'esclusione, l'angoscia per il futuro sono il destino di centinaia di milioni di esseri umani, soprattutto nell'emisfero Sud. Per loro la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Carta delle Nazioni Unite sono solo parole vuote.

In che modo si puo' responsabilizzare l'Occidente e obbligarlo a rispettare i propri stessi valori? Come si puo' disinnescare l'odio del Sud? In quali condizioni concrete si puo' avviare un dialogo?

Che cosa si puo' fare per costruire una societa' planetaria riconciliata, giusta, rispettosa delle identita', delle memorie e del diritto di ognuno alla vita?

Il mio libro vorrebbe mettere in moto forze in grado di dare un contributo alla soluzione di questi problemi per tentare di porre fine alla tragedia.

*

Da pagina 99. In India, in Cina

A questo punto sorge un'obiezione.

Potenti oligarchie finanziarie si sono imposte nel Sud del mondo. Oligarchie che praticano un capitalismo imitativo spietato accumulando ricchezze astronomiche. I loro fondi di investimento controllano quote importanti della Societe' generale in Francia, dell'Ubs in Svizzera e di molte altre grandi banche d'affari occidentali.

La nascita di queste oligarchie del Sud non contraddice allora la tesi del sistema di sfruttamento globalizzato dominato dall'Occidente? Come si fa a parlare di onnipotenza dell'Occidente quando India e Cina, per esempio, registrano una crescita annuale del loro prodotto interno lordo pari, per la prima, al 9,8 per cento, e per la seconda al 12 per cento?

L'obiezione non regge.

La multipolarita' del capitalismo finanziario globalizzato e' un inganno. Ovunque siano all'opera oligarchie capitalistiche si ritrovano gli stessi metodi: massimizzazione e monopolizzazione del profitto, distruzione delle leggi statali, iper-sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro umano, e questo anche quando le oligarchie sono attraversate da conflitti e tra esse domina una concorrenza estrema.

Ecco perche', del resto, i popoli del Sud odiano le oligarchie locali allo stesso titolo e per le stesse ragioni per le quali odiano l'Occidente. Per quanto potenti siano, le oligarchie del Sud riproducono, in effetti, il sistema mondiale di dominio e di sfruttamento introdotto dagli occidentali.

I piu' potenti oligarchi del Sud abitano a Londra, Parigi, New York o Ginevra. Nell'aprile del 2008, la stampa finanziaria britannica ha pubblicato la lista dei cento residenti piu' ricchi del Regno Unito. Il primo inglese compare solo al ventunesimo posto. Un magnate indiano dell'acciaio occupa il primo.

L'influenza delle oligarchie del Sud nel sistema capitalista mondiale cresce costantemente. Nello spazio di sette anni (2001-2008), a livello mondiale, la percentuale delle imprese multinazionali originarie del Sud tra le prime mille societa' quotate in borsa e' passata dal 5 al 19 per cento.

Esaminiamo il caso dell'India, e in particolare quello di Hyderabad, nel Sud del paese. Nelle immediate vicinanze di questa stupenda citta', rumorosa, sudicia e millenaria, il governo dell'Andhra Pradesh ha fatto costruire cinque "zone di espansione economica". Viali interminabili a sei corsie, palazzi di vetro e di cemento, parchi sontuosi, hotel di lusso mai visti prima. Il primo edificio di "Cyberabad" e' stato costruito nel 2000.

Microsoft ha fatto di "Cyberabad" il suo secondo centro mondiale di sviluppo. A fianco del suo palazzo sorgono le sedi di Dell, Ibm, Google, Oracle, Capgemini, ma anche potenti societa' indiane come Satyam, Infoys, Wipro e Tata si sono istallate nell'una o nell'altra delle cinque zone.

Le grandi banche internazionali hanno seguito i giganti delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Tic). L'Ubs impiega qui duemilaquattrocento persone, l'Hsbc ancora di piu'. All'inizio del 2008, piu' di 1.500 societa' di proporzioni mondiali hanno aperto una sede a Hyderabad e il loro numero e' in continua crescita.

I privilegi concessi dal governo dell'Andhra Pradesh ai signori mondiali dell'elettronica e delle banche non sono disprezzabili: terreni gratuiti, franchigia fiscale per dieci anni, soppressione delle imposte doganali sul materiale d'importazione, esenzione dalle imposte o dalle tasse sui salari dei dipendenti stranieri, fornitura di energia elettrica a una tariffa prossima allo zero, ispezione del lavoro ridotta al minimo.

Nell'aeroporto intercontinentale della citta' atterrano voli diretti provenienti da Londra.

In base ai dati del 2008, piu' di centomila persone lavorano a Hyderabad, la maggior parte delle quali per un salario incredibilmente basso. Mentre l'Indian School of Business, fondata nel 2002, si classifica gia' al ventesimo posto nella lista delle migliori scuole di economia del mondo.

Nelle corti scalcinate della citta' vecchia o nei terreni incolti che circondano le "zone di espansione economica" spuntano fragili tende, i ripari di plastica dei poveri dove decine di migliaia di famiglie vegetano nella piu' totale poverta'. L'aria e' satura del fumo acre dei fuochi su cui bolle una magra zuppa, arricchita con i resti di cibo raggranellati nei bidoni delle immondizie delle "zone".

Quasi la meta' delle persone piu' gravemente (e permanentemente) sottoalimentate del pianeta vive nelle bidonville di Mumbay, Calcutta, Nuova Delhi, nelle tribal areas o nelle campagne dell'Orissa, dell'Uttar Pradesh o del Bengala. In tutto 382 milioni di persone, su un totale mondiale di 854 milioni, soffrono in queste regioni per la mancanza di cibo regolare e sufficiente.

I terreni impoveriti esigono sempre piu' concimi, il clima e' duro, gli insetti minacciano continuamente di distruggere gli scarsi raccolti. E' necessario il ricorso ai pesticidi.

L'Unione Indiana non si occupa in nessun modo di questa agricoltura di sussistenza. Di fatto non esiste alcun sistema di sovvenzioni per facilitare l'acquisto di concimi e pesticidi. I contadini dunque devono pagare il prezzo (esorbitante per la maggior parte di loro) imposto dalle societa' transcontinentali dell'agrochimica.

Per ottenere i prestiti non possono che rivolgersi all'usuraio del villaggio.

Danilo Ramos, Segretario generale filippino dell'Asian Peasant Coalition (Apc, la Coalizione asiatica dei contadini), scrive, in una comunicazione ufficiale all'Omc, Organizzazione mondiale del commercio: "Tra il 2001 e il 2007, 125mila contadini indiani impoveriti dalla liberalizzazione dell'agricoltura si sono suicidati".

Il suicidio e' preceduto da uno strano rituale.

Per diversi giorni il contadino si isola dalla famiglia e non lascia piu' la sua capanna. Non parla piu', non mangia piu'.

La moglie e i figli non possono fare altro che assistere al crollo, angosciati e impotenti.

Poi, un mattino, al levar del sole, si alza, esce e inghiotte del pesticida. Come se volesse perire per effetto della sostanza che lo ha rovinato. Muore lentamente e tra grandi sofferenze.

I contadini sopportano queste sofferenze come per punirsi per non essere stati capaci di nutrire i figli, la moglie, i genitori. E' la vergogna a ucciderli.

Molti contadini si suicidano anche nella speranza di liberare la propria famiglia dalla schiavitu' del debito, ma nella maggior parte dei casi questa speranza e' vana: l'usuraio fa ben presto requisire il piccolo appezzamento di terra, i pozzi e la capanna. La vedova e i figli ne verranno espulsi e andranno a raggiungere l'esercito dei morti di fame degli slum di Calcutta, Mumbay o Delhi.

Nel 2007 l'India figurava al 128esimo posto nella lista stilata dal Pnus in base all'indice di sviluppo umano.

Spostiamoci ora in Cina.

Nel 1983, il primo ministro Deng Xiaoping decreto' l'integrazione della Cina nel sistema capitalista occidentale, apri' il paese agli investimenti stranieri, liberalizzo' i prezzi, privatizzo' decine di migliaia di fabbriche e imprese di servizi, aboli' gradualmente la protezione sociale dei lavoratori.

La popolazione resistette. Nel maggio del 1989, migliaia di operai e studenti eressero delle barricate su piazza Tienanmen, nel cuore di Pechino, reclamando il rispetto dei diritti democratici. All'alba del 4 giugno i blindati distrussero le barricate e aprirono il fuoco sulla folla. Si contarono quasi settemila morti e migliaia di feriti; Deng Xiaoping proclamo' la legge marziale. In tutto il paese venne in seguito organizzata una vera e propria caccia all'uomo, seguita da decine di migliaia di esecuzioni.

Oggi, l'oligarchia finanziaria cinese e' reclutata quasi esclusivamente tra le famiglie regnanti del Partito comunista, non esistono sindacati indipendenti e lo sciopero e' considerato un "crimine economico".

Come ci si puo' dunque stupire che da allora piu' di cento milioni di cinesi non abbiano un lavoro fisso ne' un salario decente? Sono per la maggior parte migranti originari delle regioni interne, senza alcuna possibilita' di accedere ai servizi sanitari e alla scolarizzazione. Fanno parte di quella che il governo definisce "popolazione fluttuante".

In Cina le rivolte sociali vengono duramente represse. I poliziotti appartenenti a un corpo di polizia speciale, noti come Chengguan, imperversano nelle campagne e sono famosi per la loro brutalita'.

A seguito di una protesta di contadini della provincia di Hubei contro i danni provocati da una discarica a cielo aperto, i Chengguan hanno massacrato uomini, donne e bambini.

Un coraggioso cittadino di nome Wei Wenhua ha filmato la scena e diffuso clandestinamente le immagini: il 7 gennaio 2008 e' morto a seguito delle percosse subite da parte dei Chengguan.

Nelle fabbriche cinesi e in particolare in quelle situate nelle "zone industriali di esportazione", le condizioni di lavoro sono spesso inumane e la protezione delle lavoratrici e dei lavoratori praticamente inesistente. Per sostenere la competizione con altre "zone industriali di esportazione" (in Corea del Sud, a Taiwan, in Thailandia, nel Bangladesh, eccetera), il governo cinese mantiene i salari vicino al minimo vitale (subsistence level secondo il "New York Times").

L'eta' minima per lavorare in fabbrica e' sedici anni e una giornata di lavoro dura 14-16 ore.

Molte fabbriche che lavorano per societa' multinazionali straniere si sono concentrate nel delta del fiume delle Perle, nella provincia del Guangdong, non lontano da Hong Kong. David Barboza, del "New York Times", che ha condotto un'inchiesta nella regione, scrive: "Sono quarantamila le dita dei lavoratori schiacciate o recise ogni anno in queste fabbriche!".

La Cina detiene anche il record mondiale delle esecuzioni capitali.

*

Da pagina 114

Prendiamo il caso di Karima Abu Dalal, trentaquattro anni, madre di cinque figli, malata di un cancro (linfoma di Hodgkin) diagnosticato nel 2006. Prima della chiusura del confine, nel giugno del 2007, aveva potuto beneficiare di un trapianto di midollo osseo e di un trattamento di chemio e di radioterapia in Egitto. In agosto la sua salute era migliorata a seguito di due cicli intensivi di chemioterapia a Nablus, in Cisgiordania. Il pesante trattamento avrebbe dovuto proseguire in novembre, ma le sue domande di autorizzazione a lasciare Gaza sono state respinte dalle autorita' militari israeliane. Nel suo caso, l'Alta corte di giustizia israeliana ha rifiutato anche una richiesta avanzata dalla sezione israeliana dell'Ong Physicians for Human Rights (Medici per i diritti umani). I giudici dell'Alta corte hanno ritenuto che non vi fosse "alcuna ragione di intervenire".

Questo tipo di giudizio puo' costare la vita, oltre a Karima Abu Dalal, a un gran numero di altri malati che non possono essere curati a Gaza in stato d'assedio.

Il governo di Tel Aviv sostiene che il blocco e' giustificato dai tiri di razzi Qassam nel sud di Israele da parte della resistenza palestinese. Ma chi puo' ignorare che la punizione collettiva di una popolazione civile e' vietata dal diritto internazionale? E chi puo' ignorare che l'odio per l'Occidente trova sempre nuovo alimento in queste pratiche?

Il Consiglio per i diritti umani convoca dunque una sessione straordinaria per il 23 e il 24 gennaio 2008. La sua presidenza prevede la turnazione, e tra il giugno 2007 e il giugno 2008 il presidente era l'ambasciatore rumeno Doni Romulus Costea.

Costea e' stato l'interprete ufficiale di Nicolae Ceausescu. Alla caduta del dittatore si e' miracolosamente convertito alla democrazia. Come molti suoi colleghi diplomatici venuti dall'Est, Costea e' anche un fedele servitore del Dipartimento di Stato di Washington.

Dal 23 al 27 gennaio 2008, si riuniva a Davos il Forum economico mondiale. Il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, vi si sarebbe recato il 24. Ma il 23 era ancora a Ginevra.

Per dare maggiore visibilita' e peso diplomatico alla sessione straordinaria del Consiglio per i diritti umani, i membri del Movimento dei non-allineati chiesero a Costea di invitare il Segretario generale.

La risposta di Costea e' no. "Non e' il caso che il Segretario generale conferisca [con la sua presenza] una qualche credibilita' a questa riunione". Come dire che l'Occidente non sollevava alcuna obiezione contro la punizione collettiva inflitta ai palestinesi.

Gli ambasciatori dell'Unione Europea si rifiutarono, in effetti, di condannare il blocco.

Per quanto riguarda poi Sua Eccellenza l'elegante Warren W. Tichenor, ambasciatore degli Stati Uniti e proprietario di un'emittente televisiva nel sud del Texas, boicotto' semplicemente la sessione.

La mattina di lunedi' 3 marzo 2008, il Consiglio per i diritti umani dell'Onu ha aperto la sua settima sessione ordinaria nella grande sala dell'Assemblea al Palazzo delle Nazioni di Ginevra.

Sugli schermi televisivi passavano immagini insopportabili provenienti da Gaza, bombardata dall'aviazione e dall'artiglieria israeliane. Bambini dilaniati, donne uccise, il numero di morti e feriti gravi non faceva che crescere di ora in ora. Il ministro israeliano della difesa aveva previsto, per i giorni successivi, un'importante operazione militare a Gaza annunciando la propria intenzione di dividere il territorio in tre parti.

Vista la densita' della popolazione in quell'area, e date le condizioni dell'assedio, una simile operazione costituisce una pura e semplice violazione del diritto umanitario nei termini della IV Convenzione di Ginevra. Il pretesto per organizzare l'operazione era stato un tiro di razzi Qassam da parte dei resistenti palestinesi.

La Mezzaluna Rossa palestinese e l'Unwra (l'agenzia Onu per l'aiuto ai profughi palestinesi) contarono 162 palestinesi uccisi, tra cui 58 bambini di meno di dodici anni, molte donne e tre neonati. Piu' di quattrocento persone dovettero subire un'amputazione delle braccia o delle gambe a causa delle bombe e degli obici.

Elegante ed eloquente nel suo tailleur nero, la segretaria di Stato francese per i diritti umani, Rama Yade, prese la parola verso le 16 tenendo un lungo discorso sulla Dichiarazione universale dei diritti umani e la vocazione della Francia. Secondo Rama Yade, la Francia ha inventato i diritti umani, deve dunque farsene garante ovunque nel mondo, ma sui bombardamenti a Gaza, sui bambini morti bruciati, non dice una sola parola.

Bisogna qui rendere omaggio al ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, che gode a giusto titolo di un prestigio personale e di una credibilita' internazionale notevoli. Nel governo di Francois Fillon, occupa, come si sa, una posizione a parte. Saggiamente, rifiuto' di partecipare alla commedia occidentale del 3 marzo a Ginevra. Arrivato in mattinata, si accontento' di pranzare discretamente con Ban Ki-moon all'hotel Intercontinental prima di ripartire per Parigi.

Nel corso del suo intervento, Rama Yade affronto' inoltre la questione dei fatti accaduti durante la Conferenza internazionale contro il razzismo a Durban, nel 2001, denunciando "le derive e gli eccessi" che avevano segnato quel vertice.

Al discorso della segretaria di Stato segui' una conferenza stampa. Ai giornalisti che le chiedevano quali fossero le "derive" a cui si riferiva, disse, con un candore disarmante: "Non posso rispondervi, non ero a Durban".

Qualche minuto dopo, Jamil Jade, corrispondente dell' Estado de Sao Paulo, gli chiese se avrebbe incontrato Micheline Calmy-Rey. Risposta di Rama Yade: "Chi e'?". Pazientemente un giornalista le spiego': "Micheline Calmy-Rey e' ministro degli Esteri della Svizzera, lo stato che ospita il Consiglio per i diritti umani".

Presso le Nazioni Unite a Ginevra, la Francia ha una delegazione diplomatica folta e competente. Di fronte alle altre delegazioni e alla stampa, i suoi diplomatici tentarono di correggere la disastrosa impressione prodotta da Rama Yade sostenendo che se non aveva fatto cenno ai massacri israeliani era perche' in ogni caso la Francia era impotente di fronte alle azioni del governo di Tel Aviv.

Falso! L'articolo 2 dell'accordo di libero scambio tra l'Unione Europea e Israele, firmato nel giugno del 2000, prevede che il rispetto dei diritti umani sia la condizione preliminare alla sua entrata in vigore. Piu' del 65 per cento delle esportazioni israeliane sono dirette in uno dei 27 Stati dell'Unione Europea. In altre parole, di fronte alla flagrante violazione dei diritti umani da parte di Tel Aviv, la Francia avrebbe potuto senza problemi chiedere la sospensione di queste importazioni.

Due settimane di sospensione... e i generali israeliani sarebbero senz'altro stati ricondotti alla ragione.

Dal 27 dicembre 2008 al 20 gennaio 2009, l'aviazione, la marina, i blindati e l'artiglieria israeliani hanno bombardato il ghetto sovrappopolato di Gaza. Risultato: piu' di 1.400 morti e oltre seimila mutilati, ustionati e amputati, in maggioranza donne, bambini e uomini anziani. Amnesty International, il Comitato internazionale della Croce rossa e le Nazioni Unite hanno segnalato numerose esecuzioni di civili, tiri contro le ambulanze e altri crimini di guerra commessi dalle forze armate istraeliane.

Dall'interno di Israele anche alcuni coraggiosi intellettuali come Michel Warschawski, Ilan Pappe, Gideon Levy e Lea Tsemel hanno denunciato bombardamenti contro scuole e ospedali.

Israele e' il quarto esportatore di armi da guerra al mondo. Come contro il Libano nell'estate del 2006, Israele ha testato le sue armi piu' recenti sui palestinesi di Gaza. Per molti osservatori la scelta di sperimentare le nuove armi sulle popolazioni civili e' una delle cause principali anche dell'aggressione contro Gaza.

Un'arma in particolare, che porta il nome di Dime (Dense Insert Metal Explosive), e' stata utilizzata contro i campi di rifugiati densamente popolati. Si tratta di un obice pieno di piccole palline metalliche contenenti cobalto, tungsteno, nichel e ferro. La forza esplosiva del Dime e' dirompente. Lanciato dall'artiglieria o da un aereo l'obice si disintegra a circa dieci metri dal suolo.

Un medico norvegese dell'ospedale al-Shifa dichiaro' al quotidiano "Le Monde" del 13 gennaio 2009: "Se l'esplosione avviene a due metri dal suolo le particelle liberate tagliano il corpo umano a meta'; se invece fuoriescono a otto metri di altezza sono le gambe e le braccia ad essere colpite. La vittima ha l'impressione di essere investita da migliaia di aghi arroventati".

A Gaza, l'aviazione e l'artiglieria israeliane hanno sperimentato inoltre nuovi obici e bombe che liberano fosforo bianco provocando spaventose ustioni su donne, bambini e uomini palestinesi.

Ben presto, ne sono certo, tutte queste nuove armi "miracolose" verranno pubblicizzate dai prospetti di vendita di Tel Aviv.

Il 12 gennaio 2009 il Consiglio per i diritti umani dell'Onu ha convocato una sessione straordinaria.

Richard Falk, relatore speciale per i territori occupati e professore di diritto internazionale dell'Universita' di Princeton, noto e rispettato in tutto il mondo, ha presentato un rapporto dettagliato sui crimini di guerra e i crimini contro l'umanita' commessi da Israele.

La risoluzione del Consiglio ha chiesto la fine immediata dei massacri e condannato allo stesso tempo il lancio di razzi su Israele da parte di Hamas.

Le ambasciatrici e gli ambasciatori occidentali - compresi quelli italiani - si sono rifiutati di votare la risoluzione.

Un pomeriggio di marzo, mi trovavo all'ottavo piano dell'edificio di vetro scuro e cemento che ospita, a Ginevra, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e discutevo con l'alto commissario Antonio Gutierrez.

Fuori nevicava. Sull'avenue de France, il ghiaccio paralizzava il traffico.

Parlavamo dell'impasse in cui si trovava il Consiglio per i diritti umani che in quel momento teneva la sua terza sessione ordinaria al Palazzo delle Nazioni, a pochi metri dall'Alto commissariato.

Chiesi a Gutierrez: "Perche' tanti rappresentanti colti e intelligenti dei paesi del Sud rifiutano di collaborare con gli occidentali in materia di diritti umani?".

Ex primo ministro del Portogallo, ed ex presidente dell'Internazionale socialista, cattolico praticante, Antonio Gutierrez e' un uomo di grande indipendenza di spirito, affabile e intelligente. Il suo sguardo indugio' sul Palazzo delle Nazioni poi mi disse: "E' il conto che ci presentano per l'Iraq e la Palestina".

 

2. INIZIATIVE. CONTRO LA GUERRA UNA PROPOSTA AGLI ENTI LOCALI

[Riproponiamo il seguente appello]

 

Proponiamo a tutte le persone amiche della nonviolenza di inviare al sindaco del Comune, al presidente della Provincia ed al presidente della Regione in cui si risiede, una lettera aperta (da diffondere quindi anche a tutti i membri del consiglio comunale, provinciale, regionale, ed ai mezzi d'informazione) con cui chiedere che l'assemblea dell'ente locale approvi una deliberazione recante il testo seguente o uno analogo.

*

"Il Consiglio Comunale [Provinciale, Regionale] di ... ripudia la guerra, nemica dell'umanita'.

Il Consiglio Comunale [Provinciale, Regionale] di ... riconosce, rispetta e promuove la vita, la dignita' e i diritti di ogni essere umano.

Richiede al Governo e al Parlamento che cessi la partecipazione italiana alle guerre in corso.

Richiede al Governo e al Parlamento che si torni al rispetto della Costituzione della Repubblica Italiana.

Richiede al Governo e al Parlamento che l'Italia svolga una politica internazionale di pace con mezzi di pace, per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, per il riconoscimento e l'inveramento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

Solo la pace salva le vite".

 

3. APPELLI. "RETE NO WAR" E "U.S. CITIZENS FOR PEACE & JUSTICE": CONTRO LA GUERRA IN LIBIA UN APPELLO AI MEMBRI NON BELLIGERANTI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU

[Riproponiamo il seguente appello che abbiamo ricevuto dalle amiche e dagli amici di "U.S. Citizens for Peace & Justice" di Roma (per contatti: e-mail: info at peaceandjustice.it, sito: www.peaceandjustice.it), e da altre amiche ed altri amici ancora]

 

Stop alla guerra Nato in Libia: scriviamo ai membri non belligeranti del Consiglio di Sicurezza Onu.

Campagna e-mail promossa dalla "Rete No War" e da "U.S. Citizens for Peace & Justice - Rome".

Alcuni paesi della Nato, in alleanza con alcune petromonarchie del Golfo, stanno conducendo da tre mesi in Libia una guerra illegale a sostegno di una delle due fazioni armate che si affrontano; una guerra fondata su informazioni false, portata pervicacemente avanti con vittime dirette e indirette; una guerra che continua malgrado le tante occasioni negoziali

disponibili fin dall'inizio.

Che fare? La pressione popolare nei confronti dei paesi Nato e' certo necessaria, ma non basta. Potrebbe essere utile, se attuata in massa, una campagna di e-mail dirette a paesi non belligeranti e membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, chiedendo loro di agire. Molti di quei paesi hanno gia' manifestato volonta' negoziali e potrebbero utilizzare come strumento di pressione questo appoggio popolare da parte di cittadini di paesi Nato. Gia' agli inizi di marzo, Fidel Castro chiede - invano - ai popoli e ai governi

di appoggiare la proposta di mediazione del Venezuela, approvata dai paesi dell'Alleanza Alba.

Per questa ragione i gruppi "Rete No War" e "U.S. Citizens for Peace & Justice - Rome" hanno consegnato un analogo appello ad alcune ambasciate a Roma.

Ecco come partecipare alla campagna, semplicemente, con una e-mail. Basta mandare il testo qui sotto (in inglese) nel corpo del messaggio agli indirizzi e-mail di: Russia, Cina, India, Sudafrica, Nigeria, Gabon, Bosnia Erzegovina, Libano, Colombia, Portogallo, Germania.

Per ulteriori informazioni su questa iniziativa, scrivete a: boylan at interfree.it o mari.liberazioni at yahoo.it oppure visitate i siti: www.radiocittaperta.it, www.disarmiamoli.org, www.peaceandjustice.it

*

e-mail delle rappresentanze dei paesi: ChinaMissionUN at Gmail.com, rusun at un.int, India at un.int, portugal at un.int, contact at lebanonun.org, chinesemission at yahoo.com, delbrasonu at delbrasonu.org, siumara at delbrasonu.org, bihun at mfa.gov.ba, colombia at colombiaun.org, pmun.newyork at dirco.gov.za,  perm.mission at nigerdeleg.org, aumission_ny at yahoo.com, presidentrsa at po.gov.za, info at new-york-un.diplo.de, dsatsia at gabon-un.org, LamamraR at africa-union.org, waneg at africa-union.org, JoinerDJ at africa-union.org, gabon at un.int, Nigeria at un.int, unsc-nowar at gmx.com

*

Nell'oggetto della e-mail scrivere:

Pleare stop Nato war in Libya. Appeal to non-belligerant members of the U. N. Security Council

*

Testo da inviare:

We appeal to non-belligerent members of the U. N. Security Council

to put an end to the misuse of U. N. Security Council Resolution 1973 to influence the internal affairs of Libya through warfare, by revoking it, and to press for a peaceful resolution of the conflict in Libya, backing the African Union's central role in this context.

We thank those countries that have tried, and are still trying, to work towards peace.

Our appeal is based on the following:

- the military intervention in Libya undertaken by some Nato members has now gone far beyond the provisions of Security Council Resolution 1973, and is based on hyped-up accounts of defenseless citizens being massacred by their government, while the truth is that, in Libya, there is an on-going and intense internal armed conflict;

- we are aware of the economic and geo-strategic interests that lie behind the war in Libya and, in particular, behind Nato support of one of the two armed factions;

- Nato military intervention in Libya has killed (and is continuing to kill) countless civilians, as well harming and endangering the civilian population, including migrants and refugees, in various other ways;

- the belief that, at this stage, only non-belligerent countries - and particularly those with U.N. Security Council voting rights - can

successfully bring a peaceful end to the conflict through negotiations and by implementing the opening paragraph of U.N. Security Council Resolution 1973, which calls for an immediate ceasefire.

Respectfully yours,

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

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Numero 473 del 20 luglio 2011

 

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