Nonviolenza. Femminile plurale. 392



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 392 del 14 luglio 2011

 

In questo numero:

1. Opporsi alla guerra e al razzismo

2. Alcuni testi del mese di marzo 2005 (parte prima)

3. Giuliana, o della nonviolenza

4. Per Mario Luzi

5. La nonviolenza e' lotta

6. "Nonviolenza. Femminile plurale"

7. Angelino

8. Giuliana

9. Dai loro frutti

10. Nicola Calipari, uno di noi

11. Giuliana e' libera

12. Sull'assenza in Italia di un movimento per la pace

13. Giuliana, Nicola, Florence, l'umanita'

14. Sabato, a scuola

15. Tre note sul saggio di Anna Bravo

16. Anni Settanta

17. Di alcuni temi di un saggio di Anna Bravo

18. Bolzaneto

19. Alcune note sulla ricezione del saggio di Anna Bravo

 

1. EDITORIALE. OPPORSI ALLA GUERRA E AL RAZZISMO

 

Opporsi alla guerra e al razzismo.

Far cessare subito la partecipazione italiana alle guerre terroriste e stragiste in Afghanistan e in Libia.

Abrogare subito tutte le misure schiaviste e assassine del colpo di stato razzista che negano a milioni di esseri umani i fondamentali diritti umani.

Tornare alla legalita' costituzionale.

Tornare alla democrazia.

Tornare alla civilta'.

Tornare al rispetto del fondamentale diritto di tutti gli esseri umani a non essere uccisi.

Opporsi alla guerra e al razzismo.

 

2. HERI DICEBAMUS. ALCUNI TESTI DEL MESE DI MARZO 2005 (PARTE PRIMA)

 

Riproponiamo alcuni testi apparsi sul nostro notiziario nel mese di marzo 2005.

 

3. HERI DICEBAMUS. GIULIANA, O DELLA NONVIOLENZA

 

Continua il sequestro, continuano il terrore e le stragi, continua l'occupazione militare, continua la guerra.

Solo la scelta della nonviolenza puo' far cessare tutto cio': far cessare la guerra, far cessare l'occupazione militare, far cessare le stragi e il terrore, far cessare questo e gli altri sequestri.

Finche' ci si illude che vi possa essere pace e rispetto della dignita' umana usando mezzi come le armi e la guerra, le torture e i rapimenti, i suicidi e gli omicidi, la violenza e la complicita' con la violenza, l'ingiustizia e la complicita' con l'ingiustizia, mai avremo pace e rispetto dell'umana dignita'. Solo la scelta della nonviolenza costruisce la pace, invera la dignita' umana di tutti gli esseri umani e dell'umanita' intera.

Chi vuol lottare per la pace e la giustizia, e non fa la scelta della nonviolenza, non lotta per la pace e la giustizia. Questo dobbiamo dire chiaro e forte. Ad ogni logica, apparato, strumento di morte opporci dobbiamo. La nonviolenza e' l'unica via per la liberazione dell'umanita', per la convivenza dell'umanita', per contrastare il male e la morte.

La scelta della nonviolenza, la scelta di stare dalla parte delle vittime, la scelta della verita', della forza della verita' che libera, ahimsa, satyagraha: la scelta di Giuliana.

 

4. HERI DICEBAMUS. PER MARIO LUZI

 

Vi sono poesie di Mario Luzi che reco in me come lampe, lame di verita', che straziano e illuminano a un tempo. Ogni volta che rileggo Presso il Bisenzio, o La notte lava la mente, o la Richiesta d'asilo d'un pellegrino a Viterbo, sento che e' della nostra, della mia stessa esistenza che quella voce dice, e piango ancora.

O Mario, grazie, grazie ancora, grazie per sempre.

 

5. HERI DICEBAMUS. LA NONVIOLENZA E' LOTTA

[... un brano da un testo piu' volte ripubblicato su questo foglio]

 

Rompere la complicita'

Alla base della nonviolenza vi e' la consapevolezza che il potere ingiusto ed oppressivo si regge anche sulla complicita' delle vittime e degli indifferenti: la nonviolenza e' in primo luogo un appello a rompere la complicita' con l'ingiustizia, a toglierle il consenso, ad uscire dalla passivita', a prendersi la propria responsabilita', a lottare per la verita' e la giustizia.

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La nonviolenza e' lotta

E' lotta contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro la menzogna. E' lotta perche' ogni essere umano sia riconosciuto nella sua dignita'; e' lotta contro ogni forma di sopraffazione; e' lotta di liberazione per l'uguaglianza di tutti nel rispetto e nella valorizzazione della diversita' di ognuno. E' la forma di lotta piu' profonda, quella che va piu' alla radice delle questioni che affronta. E' lotta contro il potere violento, cui si oppone nel modo piu' completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di riprodurre violenza. Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi. Tra la lotta e il suo risultato c'e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta. Chi lotta per la liberazione di tutti, deve usare metodi coerenti. Chi lotta per l'uguaglianza deve usare metodi che tutti possano usare. Chi lotta per la verita' e la giustizia deve lottare nel rispetto della verita' e della giustizia. E' lotta contro il male, non contro le persone. E' lotta per difendere e liberare, per salvare e per convincere, e non per umiliare o annientare altre persone. E' lotta fatta da esseri umani che non dimenticano di essere tali. Che non si abbrutiscono, che non vogliono fare del male, bensi' contrastare il male. E' lotta per l'umanita'. La nonviolenza e' il contrario della vilta'. E' il rifiuto di subire l'ingiustizia; e' il rifiuto di ogni ingiustizia, sia di quella contro di me, sia di quelle contro altri. La nonviolenza e' lotta. E' lotta per la verita', e' lotta per la giustizia, e' lotta di liberazione e di solidarieta', e' lotta contro ogni oppressione.

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Otto brevi caratterizzazioni della nonviolenza

La nonviolenza e' forte: puo' opporsi efficacemente alla forza delle armi; puo' sfidare coerentemente i piu' grandi poteri del mondo.

La nonviolenza e' umile: non richiede attitudini eccezionali, pose monumentali, proclami retorici; non richiede ingenti risorse fisiche o finanziarie; richiede limpidezza di condotta ed assunzione di responsabilita'.

La nonviolenza e' concreta: interviene realmente nel conflitto; porta la pace e la giustizia nel suo stesso porsi; si oppone ugualmente alla vigliaccheria ed alla violenza; educa alla dignita' umana.

La nonviolenza e' coerente: e' l'unico modo coerente di lottare contro la violenza; e' l'unico modo coerente di affermare la dignita' di ogni essere umano; e' l'unico modo coerente per ridurre l'ingiustizia e il dolore nel mondo.

La nonviolenza e' il potere di tutti: poiche' tutti possono lottare con la nonviolenza, poiche' la nonviolenza fa appello a tutti, poiche' la nonviolenza rispetta la dignita' di tutti e di ciascuno.

La nonviolenza e' adesione alla verita', e' forza della verita': da Gandhi a Capitini gli amici della nonviolenza sanno che essa e' incompatibile con la menzogna, con i sotterfugi, con gli intrighi e le doppiezze: la nonviolenza e' l'amore per la verita' che irrompe nell'agire politico e sociale, e' il principio responsabilita' (il rispondere al volto dell'altro che muto e sofferente ti interroga - Levinas -, il farsi carico del mondo e dell'umanita' - Jonas -) che si rende operare autentico; e' la critica della ragion pratica che si fa movimento di solidarieta' e di liberazione.

La nonviolenza e' lotta come amore: lotta integrale contro l'ingiustizia e la menzogna, lotta integrale per la comunicazione e la dignita', lotta integrale contro la violenza; lotta integrale per i diritti umani, lotta integrale per un'umanita' di eguali, liberi e fraterni.

La nonviolenza e' utopia concreta, principio speranza, ortopedia del camminare eretti: abbiamo usato queste tre formule del filosofo Ernst Bloch per significare che la nonviolenza e' concreta azione e concreto progetto politico e sociale di dignita' umana e difesa della biosfera; che la nonviolenza e' inveramento della speranza in una lotta coerente e che nel suo stesso farsi e' liberante; che la nonviolenza e' affermazione ed istituzione del diritto e dei diritti, legalita' e democrazia in cammino.

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Quattro regole di condotta per l'azione diretta nonviolenta

I. A un'iniziativa nonviolenta possono partecipare solo le persone che accettano incondizionatamente di attenersi alle regole della nonviolenza.

II. Tutti i partecipanti devono saper comunicare parlando con chiarezza, con tranquillita', con rispetto per tutti, e senza mai offendere nessuno.

III. Tutti i partecipanti devono conoscere perfettamente senso, fini, modalita' e conseguenze dell'azione diretta nonviolenta; devono averne piena conoscenza, e devono esserne completamente convinti; in particolare sottolineiamo la necessita' di essere pienamente informati e consapevoli delle conseguenze cui ogni singolo partecipante puo' andare incontro, conseguenze che vanno accettate pacificamente e onestamente, ed alle quali nessuno deve cercare di sottrarsi.

IV. Tutti devono rispettare i seguenti princìpi della nonviolenza: a) non fare del male a nessuno (se una sola persona dice o fa delle stupidaggini, o una sola persona si fa male, l'azione diretta nonviolenta e' irrimediabilmente e totalmente fallita, e deve essere immediatamente sospesa); b) spiegare a tutti (amici, autorita', interlocutori, interpositori, eventuali oppositori) cosa si intende fare, e che l'azione diretta nonviolenta non e' rivolta contro qualcuno, ma contro la violenza; c) dire sempre e solo la verita'; d) fare solo le cose decise prima insieme con il metodo del consenso ed annunciate pubblicamente (cioe' a tutti note e da tutti condivise); nessuno deve prendere iniziative personali di nessun genere; la nonviolenza richiede lealta' e disciplina; e) assumersi la responsabilita' delle proprie azioni e quindi subire anche le conseguenze che ne derivano; f) mantenere una condotta nonviolenta anche di fronte all'eventuale violenza altrui.

Chi non accetta queste regole non puo' partecipare all'azione diretta nonviolenta, poiche' sarebbe di pericolo per se', per gli altri e per la riuscita dell'iniziativa che deve essere, appunto, rigorosamente nonviolenta. Per poter partecipare ad un'azione diretta nonviolenta e' necessario aver partecipato prima alla discussione ed all'organizzazione che ha portato alla sua decisione e realizzazione, ed e' altresì assolutamente indispensabile aver partecipato ad un training di addestramento alla nonviolenza.

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Necessita' dell'addestramento alla nonviolenza

La nonviolenza non e' ne' un atteggiamento spontaneo, ne' un banale "volersi bene"; bensi':

a) una meditata scelta etico-politica di trasformazione delle relazioni personali e sociali,

b) un insieme di tecniche di lotta rigorose ed assai elaborate,

c) una strategia di lotta profondamente caratterizzata,

d) un progetto di relazioni umane e politiche radicalmente alternativo a quelle dominanti.

Quindi la nonviolenza non è affatto "spontanea", va conosciuta e coltivata.

Nessuno si sorprende se un soldato deve addestrarsi, nessuno si sorprende se un medico deve studiare: ebbene, la nonviolenza richiede un addestramento e uno studio non inferiori ma superiori a quelli richiesti al soldato ed al medico. Senza studio non e' possibile comprendere la nonviolenza; senza addestramento non e' possibile condurre l'azione nonviolenta. Proprio perche' la nonviolenza e' una proposta morale, sociale e politica di lotta di liberazione che nel suo stesso farsi inveri la dignita' umana di ognuno e di tutti, essa richiede un impegno di conoscenza, di preparazione, di discussione, di consapevolezza e di capacita' critica e autocritica assolutamente superiore a quello richiesto in altre forme di organizzazione, in altri ambiti di studio, in altre proposte di azione.

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I diritti umani, presi sul serio

Scegliamo la nonviolenza perche' essa e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che si prefigge nel suo stesso svolgersi il rispetto dei diritti umani di tutti, non solo di coloro che partecipano all'azione, ma anche di coloro che la subiscono. La nonviolenza non rinvia la realizzazione dei diritti umani ad un futuro successivo alla conclusione della lotta, essa realizza i diritti umani nel corso stesso della lotta. La nonviolenza non nega umanita' agli avversari con cui lotta, essa riconosce l'umanita' degli avversari con cui lotta. La nonviolenza e' lotta intransigente per affermare la dignita' umana di tutti e per affermarla subito. Essa e' nei suoi metodi e nel suo svolgersi coerente con i suoi fini: poiche' il fine e' la dignita' umana e la liberazione dall'oppressione, la lotta nonviolenta nel suo stesso svolgimento deve realizzare la dignita' di tutti e prefigurare la liberazione di tutti. Per questo diciamo che la nonviolenza e' lotta come amore.

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La liberazione umana, subito

Inoltre scegliamo la nonviolenza perche' essa e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che realizza nel suo stesso farsi una forma autentica di democrazia diretta, rapporti egualitari e non gerarchici, che prefigura gia' nella sua organizzazione relazioni umane e sociali liberate e liberanti; perche' consente la partecipazione di tutti ed abolisce rapporti di potere e di oppressione. Per questo essa adotta il metodo del consenso, per questo essa non e' solo una forma di lotta ma anche una occasione di costruzione di rapporti umani solidali; per questo nella nonviolenza si richiede una piena limpidezza di comportamenti e una forte lealta' nei confronti di tutti, di sottoporre tutto alla discussione comune, e di scegliere sempre e solo gli obiettivi e le forme di lotta che tutti i partecipanti condividono.

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La nonviolenza e' gestione del conflitto

La nonviolenza e' gestione del conflitto, la cui esistenza essa riconosce e valorizza. La nonviolenza non e' una visione idilliaca ed illusoria, quindi narcotizzante, dei rapporti sociali; ma la consapevolezza della conflittualita' degli ideali e degli interessi, delle situazioni esistenziali e delle relazioni sociali, dei rapporti economici e politici, degli assetti culturali e ideologici. Essa si propone di intervenire nel conflitto e di farlo umanizzando il conflitto, valorizzandone la dimensione morale e conoscitiva, gestendolo in modo da renderlo fecondo di rapporti umani piu' giusti, lottando incessantemente contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro l'inganno. Si puo' essere nonviolenti solo nel conflitto, si puo' essere nonviolenti solo se si lotta per la giustizia. Gli indifferenti, coloro che chiudono gli occhi, chi se ne sta chiuso in casa sua, non hanno nulla a che vedere con la nonviolenza. La nonviolenza e' lotta integrale e intransigente contro l'ingiustizia. La nonviolenza e' il contrario della vilta', il contrario dell'egoismo, il contrario della passivita', il contrario del motto fascista "me ne frego". La nonviolenza e' quella specifica forma di gestione del conflitto che ripudia la violenza e si propone come fine precipuo di combatterla e di abolirla.

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La nonviolenza e' ripudio assoluto della violenza

La nonviolenza e' opposizione assoluta alla violenza: non ammette complicita', meschinita' o sotterfugi. La nonviolenza smaschera e ripudia i sofismi sulla "violenza buona", sulla "guerra giusta", e simili infamie: la nonviolenza si oppone sempre e comunque alla guerra e alla violenza. Ovviamente gli amici della nonviolenza riconoscono agli oppressi il diritto di legittima difesa; ovviamente gli amici della nonviolenza hanno la capacita' di ricostruire i rapporti di causa ed effetto che producono l'oppressione e la violenza, e si battono in primo luogo contro le cause e le condizioni strutturali che producono ingiustizia, sopraffazione, sofferenza, violenza. Lo stesso Gandhi era esplicito nel dichiarare che di fronte alla violenza la cosa peggiore e' la vilta', e che se non si ha la forza di resistere con la nonviolenza, gli oppressi hanno il dovere di resistere comunque; ma aggiungeva che la nonviolenza e' incomparabilmente piu' forte e migliore della resistenza violenta, e che occorre avere la forza di scegliere sempre e comunque la nonviolenza. Noi riteniamo che vi siano argomentazioni ineludibili che ci convincono a ripudiare la violenza come metodo di lotta; argomenti che ci persuadono quindi ad ammettere solo la nonviolenza come metodo di lotta.

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Per la critica della violenza

Elenchiamo alcune ragioni essenziali per cui occorre essere rigidamente contro la violenza. Citiamo da Giuliano Pontara, voce Nonviolenza, in AA. VV., Dizionario di politica, Tea, Milano 1992.

I. il primo argomento "mette in risalto il processo di escalation storica della violenza. Secondo questo argomento, l'uso della violenza (...) ha sempre portato a nuove e piu' vaste forme di violenza in una spirale che ha condotto alle due ultime guerre mondiali e che rischia oggi di finire nella distruzione dell'intero genere umano";

II. il secondo argomento "mette in risalto le tendenze disumanizzanti e brutalizzanti connesse con la violenza" per cui chi ne fa uso diventa progressivamente sempre piu' insensibile alle sofferenze ed al sacrificio di vite che provoca;

III. il terzo argomento "concerne il depauperamento del fine cui l'impiego di essa puo' condurre (...). I mezzi violenti corrompono il fine, anche quello piu' buono";

IV. il quarto argomento "sottolinea come la violenza organizzata favorisca l'emergere e l'insediamento in posti sempre piu' importanti della societa', di individui e gruppi autoritari (...). L'impiego della violenza organizzata conduce prima o poi sempre al militarismo";

V. il quinto argomento "mette in evidenza il processo per cui le istituzioni necessariamente chiuse, gerarchiche, autoritarie, connesse con l'uso organizzato della violenza, tendono a diventare componenti stabili e integrali del movimento o della societa' che ricorre ad essa (...). 'La scienza della guerra porta alla dittatura' (Gandhi)".

A questi argomenti da parte nostra ne vorremmo aggiungere altri due:

VI. un argomento, per cosi' dire, di tipo epistemologico: siamo contro la violenza perche' siamo fallibili, possiamo sbagliarci nei nostri giudizi e nelle nostre decisioni, e quindi e' preferibile non esercitare violenza per imporre fini che potremmo successivamente scoprire essere sbagliati;

VII. soprattutto siamo contro la violenza perche' il male fatto e' irreversibile (al riguardo Primo Levi ha scritto pagine indimenticabili soprattutto nel suo ultimo libro I sommersi e i salvati).

Agli argomenti contro la violenza Pontara aggiunge opportunamente un ultimo decisivo ragionamento: "I fautori della dottrina nonviolenta sono coscienti che ogni condanna della violenza come strumento di lotta politica rischia di diventare un esercizio di sterile moralismo se non e' accompagnata da una seria proposta di istituzioni e mezzi di lotta alternativi. Di qui la loro proposta dell'alternativa satyagraha o della lotta nonviolenta positiva, in base alla duplice tesi a) della sua praticabilita' anche a livello di massa e in situazioni conflittuali acute, e b) della sua efficacia come strumento di lotta" per la realizzazione di una societa' fondata sulla dignita' della persona, il benessere di tutti, la salvaguardia dell'ambiente.

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Perche' ci diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti"

Ci diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti" perche', come spiegava Aldo Capitini, dobbiamo essere modesti e realistici: la nonviolenza e' un ideale cui tendere, un ideale assai impegnativo, una pratica da verificare giorno per giorno nella vita quotidiana, nei rapporti interpersonali come nelle grandi lotte necessarie; e solo nella verifica quotidiana per un verso, e nel momento piu' aspro della lotta, per l'altro, si evidenzia la nostra capacita' di attenerci ad essa, di esserne creativamente gli artefici; quindi evitiamo di sembrare sbruffoni, e consideriamoci per quello che siamo: donne e uomini in ricerca, per un'umanita' di liberi ed eguali, appunto: amici della nonviolenza.

 

6. HERI DICEBAMUS. "NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE"

 

Dopo la favorevole accoglienza da parte di lettrici e lettori del supplemento domenicale "La domenica della nonviolenza", da domani intendiamo avviare le pubblicazioni di un secondo supplemento settimanale, che uscira' il giovedi', dal titolo "Nonviolenza. Femminile plurale", particolarmente dedicato allo svolgimento e alla verificazione di una delle fondamentali idee-guida proposte da questo nostro notiziario quotidiano: che il pensiero e le prassi del movimento di liberazione delle donne - ma anche il sentire, il pensare, l'agire delle donne tout court -, nelle sue variegate articolazioni e dialettiche, costituisca l'esperienza teoretica e storica piu' rilevante ed aggettante, e per cosi' dire la "corrente calda", di cio' che chiamiamo nonviolenza in cammino.

 

7. HERI DICEBAMUS. ANGELINO

 

E' deceduto alcuni giorni fa Angelo La Bella. Militante comunista, organizzatore delle occupazioni delle terre nel dopoguerra e per questo perseguitato e imprigionato, parlamentare della repubblica, per piu' decenni sindaco di Civitella d'Agliano, presidente a Viterbo dell'Associazione nazionale partigiani, pubblicista brillante, persona buona, gentile, generosa, fino alla fine dei suoi giorni impegnato per la pace e la dignita' umana. Come capita a molte persone buone fu nel suo generoso impegno sovente settario e talora come tutti commise degli errori di valutazione: ma sempre per generosita', nella convinzione di difendere i diritti altrui, la dignita' di tutti, la verita' che e' una, la causa del popolo, la causa della giustizia, per la liberazione degli oppressi.

Gli ho voluto bene, e lui ne ha voluto a me, non solo le infinite volte in cui fummo compagni di lotta, ma anche quando ci contrappose dieci anni fa un durissimo contrasto, poiche' io pensavo (ed ottenni, con una faticosa, aspra e lacerante lotta) che se un assessore del suo partito agiva male andasse senza esitazioni allontanato dalla gestione della cosa pubblica, e lui riteneva impossibile che un assessore del suo partito avesse mal agito (quanti vecchi militanti comunisti ho conosciuto che sempre questa presunzione mantennero, che il partito per definizione non sbagliasse mai, e per questo chiusero sovente gli occhi talora persino dinanzi a palesi nequizie e sordidezze e infamie quando commesse dal e per il partito).

L'ultima volta che ci incontrammo ci salutammo abbracciandoci ancora, commossi; mi parve di vedere nei suoi occhi delle lacrime, e forse lui ne vide nei miei.

Ci lascia una persona buona e degna, dall'animo grande, ferma la voce e salda la postura, possano nascerne cento altre a prendere il suo posto nella lotta che e' ancora da condurre per un'umanita' di libere e liberi, di diverse e diversi ed eguali, per l'affermazione di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

A Rosa e agli altri familiari forte un abbraccio.

 

8. HERI DICEBAMUS. GIULIANA

 

Come tutto e' inadeguato dinanzi al dolore di una persona. Come tutto e' inadeguato dinanzi alla morte, alla guerra, al terrore, al crimine.

E come tutto e' necessario quel che la morte, la guerra, il terrore, il crimine, il dolore finanche di una persona contrasta.

La nonviolenza e' questo: sollecitudine per ogni persona, opposizione a tutte le uccisioni, a  tutte le oppressioni, a tutte le violenze. La nonviolenza e' questo: sapere che tu, proprio tu, hai il potere di mutare i rapporti di forza tra il male e il bene. La nonviolenza e' questo: per quanto e' in tuo potere fa' quel che puoi, fa' quel che devi, per salvare la vita di Giuliana, di Florence, di tutte le persone minacciate e oppresse dalla guerra, dal terrorismo, dal crimine, dall'ingiustizia che semina morte.

 

9. HERI DICEBAMUS. DAI LORO FRUTTI

 

Confesso il mio pregiudizio e la mia ignoranza.

Ho letto tardi, poco e male gli scritti di don Giussani.

Non lo lessi quando ero giovane, non lo lessi nella mia maturita', lo ho letto solo adesso che mi sento ormai un povero vecchierello sopravvissuto a stagioni ed esperienze cui pure dedicai non picciola parte delle forze mie.

I pochi libri di Giussani che ho letto credo siano solo un minimo riverbero della persona, che certo dovette avere un fascino grande e forte una fede. Ho conosciuto altre persone che poco o nulla hanno voluto scrivere, o che molto hanno scritto ma nei loro scritti poco o nulla hanno deposto di quel che piu' valeva tra i doni che recavano, ed erano anime magne. Molte sue pagine mi lasciano freddo, molte non di rado mi trovano in profondo dissenso; ma non mancano di quelle che amo, che amo rileggere, ove sento un vento che respira, che soffia, che vibra, che fischia e che grida, e trascina. Da quelle pagine intuisco un'anima grande.

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Ho combattuto contro taluni suoi eredi e sodali, li combatto ancora. Li ho combattuti perche' li ho percepiti complici del sistema di potere contro cui non solo ogni bennato ingegno, non solo ogni anima non vile, ma ogni ragionevole persona combattere deve. Erano i complici di Andreotti e della politica collusa con pratiche e patti scellerati, poteri criminali, e turpitudini finanche innominabili; erano i complici degli affari loschi dello squalo Sbardella, erano i complici di mille e mille malefatte, di mille e mille malaffari. Che si siano sovente di poi arruolati nelle truppe berlusconiane, dalla banda del piduista in carriera schierandosi, nulla di piu' ovvio.

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Ma nulla del mio pensiero omettere volendo, aggiungero' anche che non solo non mi piace l'agire degli allievi di successo per quanto hanno poi fatto, non mi piace neppure l'argomentare del padre fondatore di Cielle. Non mi piace quella fede tetragona e catafratta che trovo in intima contraddizione con cio' che del cristianesimo piu' mi commuove: quel messaggio di amore incondizionato che e' l'antitesi assoluta di chi erige pire e accende roghi. In non pochi adepti di Cielle, come del resto non solo in non pochi loro correligionari  ma anche altresi' in adepti - che so - dei partiti comunisti passati e presenti, ho sovente sentito una disponibilita' a negare il diritto di esistere all'altro nella sua assoluta alterita', la pretesa di essere il tutto fuori di cui il nulla solo residua; truce disponibilita', demente pretesa, di una totalitaria ideologia e pratica figlia, che mi fa temere per la mia stessa esistenza di povero eretico iscrittosi fin dall'adolescenza, forse per aver letto troppo presto Leopardi e Cervantes, i tragici greci e Marx, a quel "partito dei perplessi" di cui diceva Norberto Bobbio, che e' ancor oggi il mio.

 

10. HERI DICEBAMUS. NICOLA CALIPARI, UNO DI NOI

 

Scrivo queste righe quando ancora giungono drammatiche e confuse le notizie dall'Iraq su quanto e' avvenuto dopo la liberazione di Giuliana Sgrena.

"Una di noi" e' stato il motto che in questo mese ha accompagnato l'ansia di tante e tanti per la vita di Giuliana.

Uno di noi e' anche il funzionario che le ha salvato due volte la vita, la seconda volta perdendo la propria.

Nicola Calipari, uno di noi, ucciso dalla guerra, dalla guerra che e' il trionfo del terrorismo, il piu' grande dei terrorismi, di terrorismo generatrice.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

11. HERI DICEBAMUS. GIULIANA E' LIBERA

 

Giuliana Sgrena e' stata liberata. Quale sconfinata gioia.

Florence Aubenas, e l'intero popolo iracheno, ancora no. Quale sconfinata angoscia.

Cosi' tanto ancora vi e' da fare, ma una cosa cosi' bella e' pur accaduta.

Una si' bella cosa e' accaduta quindi, ma cosi' tanto e' ancora da fare.

Orsu'.

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Una persona e' stata salvata. Un'altra ha perso la vita.

La felicita' per la vita salvata si mescola al dolore per la vita persa.

Quante persone dovranno ancora morire?

Quanto sangue ancora dovra' scorrere prima che si spezzino tutte le armi, si riconosca che una e' l'umanita'?

 

12. HERI DICEBAMUS. SULL'ASSENZA IN ITALIA DI UN MOVIMENTO PER LA PACE

 

In Italia non c'e' un movimento per la pace, ma solo un movimento contro la guerra; ma non essendo questo movimento contro la guerra anche un movimento per la pace esso non riesce neppure ad essere un movimento contro la guerra, e  prova ne e' che la guerra continua e che l'Italia di essa e' complice tra i principali, al fianco dei suoi sanguinari protagonisti: gli eserciti terroristi di Bush e Blair, i terroristi del fondamentalismo onnicida e del regime nazista di Saddam Hussein.

Perche' in Italia non c'e' un movimento per la pace? Per la piu' semplice delle ragioni, perche' per essere soggetti costruttori di pace occorre fare la scelta della nonviolenza.

Invece si e' preferita l'ambiguita', l'ammucchiata con gli squadristi da corteo, il collaborazionismo con i giammai pentiti bombardieri del '99, la subalternita' - fosca, ignobile subalternita' - al governo dell'ammiratore del duce, dell'amico di Craxi tesserato da Gelli, del razzista che canta il Nabucco mentre legifera nuove deportazioni.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', solo la nonviolenza si oppone alla guerra e al terrorismo. E ai ciarlatani dalle variopinte casacche, ai sadici dalle algide uniformi, a coloro che non hanno ancora capito che una e la stessa e' la lotta contro il maschilismo, l'autoritarismo, il fascismo, la guerra.

 

13. HERI DICEBAMUS. GIULIANA, NICOLA, FLORENCE, L'UMANITA'

 

E' viva, e' salva, Giuliana Sgrena.

Nicola Calipari non e' piu' vivo; ucciso, solo dopo la sua morte l'intero popolo italiano ha saputo della sua esistenza, del suo impegno, del suo valore, del suo eroismo: l'eroismo di chi salva le vite altrui, l'unico autentico eroismo.

Nulla sappiamo di Florence Aubenas, ancora prigioniera dei suoi rapitori.

Di fronte a tutto cio' tante dichiarazioni che dalla sera di venerdi' si susseguono quanto ci appaiono inadeguate, meschine, prive di serieta'.

Di fronte a tutto cio' solo questo ancora una volta vogliamo dire: che un solo dovere accomuna tutte le persone: salvare le vite, non uccidere. E dunque a tutte le uccisioni, a tutti i terrorismi, a tutte le stragi, a tutte le guerre opporsi bisogna.

 

14. HERI DICEBAMUS. SABATO, A SCUOLA

 

La mattina del 5 marzo, al liceo scientifico di Tuscania, con i ragazzi della quinta B e della quinta A, in piedi in silenzio rendiamo omaggio a Nicola Calipari.

Il volto di quest'uomo che salva le vite, il volto di quest'uomo assassinato, dico, questo e' il volto della nonviolenza. E questa e' scuola vera, la sola che vale.

 

15. HERI DICEBAMUS. TRE NOTE SUL SAGGIO DI ANNA BRAVO

 

La prima: il femminismo, i femminismi, e piu' ampiamente: il pensiero e le prassi delle donne, sono la "corrente calda" della nonviolenza in cammino. Lo stesso saggio di Anna Bravo ne e' la conferma in atto, e ne sono conferma i molti interventi di donne che a questa acuta, acuminata e sollecitante proposta di riflessione di Anna Bravo hanno risposto - in forme e toni e stili variegati assai, ed esprimendo opinioni assai diversificate e sovente divergenti - in questi ultimi mesi, interventi alcuni dei quali abbiamo gia' pubblicato anche su questo foglio. Se, come crediamo, la nonviolenza e' quella teoria-prassi di solidarieta' e di liberazione che afferma la dignita' umana di ogni essere umano, la coerenza tra i mezzi e fini, la scelta della verita', concretamente agita, sperimentale, contestuale, aperta, ebbene, le esperienze di pensiero e di azione delle donne sono exemplum atque figura e principale motore storico e teoretico della nonviolenza come progetto politico-sociale e come modalita' relazionale; come scommessa, struttura e trama esistenziale, e come scelta logico-assiologica, ermeneutica, metodologica ed operativa.

La seconda: la nonviolenza e' la scelta necessaria per condurre hic et nunc la lotta contro le immani violenze che stanno devastando il mondo. La scelta necessaria. E urgente. Chi pensa di poter lottare per la pace, la giustizia e la dignita' umana con metodi che la violenza riproducono, in verita' non sta lottando per la dignita' umana, la giustizia e la pace, ma coopera alla catastrofe riproducendo, provocando, perpetuando e magnificando l'iniquita' dominante.

La terza: dalle esperienze e dalle riflessioni del movimento delle donne, e dalle concrete esistenze, elaborazione e pratiche dalle donne agite (a partire almeno da Saffo: prima costruttrice e animatrice di una comunita' di pace e di nonviolenza, prima promotrice di una cultura della solidarieta', della liberazione e dell'amore come paradigma educativo e principio di organizzazione sociale), abbiamo tutti imparato qualcosa, qualcosa di cruciale e ineludibile, poiche' quelle esperienze e riflessioni parlano a tutta l'umanita' e fanno scuola in primo luogo alle persone di genere maschile eredi e corresponsabili di millenni di oppressione che hanno negato piena qualita' umana a meta' dell'intera umanita' (e proprio alla meta' che l'umanita' concretamente riproduce e fa esistere ancora), e quindi all'umanita' intera: dimidiandola, mutilandola, accecandola, sbranandola infine.

E' persuasione di questo foglio che la scelta della nonviolenza sia una necessita' ormai evidente per tutte le persone ragionevoli; e' persuasione di questo foglio che della nonviolenza il pensiero e le pratiche delle donne siano il referente storico, epistemologico ed esperienziale decisivo.

 

16. HERI DICEBAMUS. ANNI SETTANTA

 

Nel frattempo infuriava non sale o grandine, ma piombo e sangue. Fummo di quelli che allora si accostarono con sempre maggior consapevolezza e saldezza alla nonviolenza, sentimmo che la nonviolenza era l'"aggiunta" (cosi' Capitini) indispensabile al "sogno di una cosa", al progetto di liiberazione per cui ci battevamo. Non abbiamo mai cambiato idea. Abbiamo sempre saputo che l'unico partito a cui potevamo aderire era ed e' quello delle vittime. Abbiamo sempre saputo che l'unico programma politico a cui potevamo aderire era ed e' quello che al primo punto recita: tu non uccidere, tu salva le vite umane. Il programma di Giacomo Leopardi, il programma di Virginia Woolf, il programma di Simone Weil, il programma di Albert Camus, il programma di Hannah Arendt.

 

17. HERI DICEBAMUS. DI ALCUNI TEMI DI UN SAGGIO DI ANNA BRAVO

 

Il saggio di Anna Bravo che abbiamo riprodotto nei numeri 862-864 di questo foglio, e  su cui si e' gia' sviluppato in queste settimane un appassionato dibattito (delle questioni che contano appassionatamente si discute) che vorremmo proseguisse e si approfondisse, pone una molteplicita' di temi di straordinaria rilevanza e densita', ciascuno dei quali merita una riflessione appropriata. Proviamo ad elencarne alcuni.

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Il tema della memoria e dell'empatia (e anche dell'immaginazione anticipatrice).

Il tema della nascita e il tema dell'aborto, e quindi della vita, della sua formazione e interruzione, e quindi della morte, tema che evoca per un verso anche quelli della temporalita', della relazione, del formarsi della persona umana attraverso un lungo tragitto non meramente biologico; per un altro verso quelli dello scacco, del dolore, del concrescere di un vivente in un altro vivente e dell'esposizione al rischio e al fallimento di un progetto esistenziale; per un altro verso ancora il nesso e i distinguo tra materia vivente, organismo umano, persona. Il tema del mettere al mondo il mondo, della maternita' come evento decisivo della vicenda umana nella sua dimensione storica e nella sua dimensione esistenziale, nella sua fisica concretezza e nella sua materialita' culturale; nel nodo che lega psiche e soma; individuo, genere e specie; vita, caducita' e storia.

Il tema del legiferare, e della formazione e delle funzioni del diritto e del potere e della regolazione delle interazioni nello spazio pubblico, e dei legami e delle differenze tra campo politico, giuridico, morale, esistenziale.

Il tema della violenza e della politica. Che e' anche il tema della sofferenza, della condivisione, dell'oppressione, del riconoscimento; della totalita' e del nulla che parimenti annientano; e del relativo e del qualcosa, della relazione e dell'alterita', che parimenti aprono al rischio, al varco, all'abisso, alla salvezza forse, alla responsabilita' sempre.

Il tema della sofferenza, anche della vita non umana, e della cura per il mondo. E quindi del rapporto tra persona e cosmo, tra umanita' e natura.

Il tema delle difficolta' della storiografia quando s'intreccia con i vissuti.

*

E soprattutto, e decisivo, il tema del sentire, del pensare, dell'agire delle donne, ed in particolare del femminismo, che e' stato non solo per tutte, ma per tutti una seconda nascita (cosi' Anna Bravo), un taglio (cosi' Ida Dominijanni), una cesura che rompe il continuum ma insieme scandisce e ricompone, e una novitas che ha cambiato la vita, consentito e avviato l'esodo e la liberazione da tragiche aporie, aperto percorsi inediti di felicita' possibile, di solidarieta' creaturale e creativa.

Il pensiero e la prassi delle donne, e soprattutto del movimento delle donne nelle sue molteplici esperienze ed espressioni - dei femminismi, per dirla in una parola -, che e' l'esperienza storica, epistemologica ed assiologica decisiva e trainante, cruciale e aggettante, di cio' che chiamiamo la nonviolenza in cammino: ovvero la nonviolenza come scelta e prassi insieme di trasformazione sociale e di riconoscimento esistenziale, metodologia ermeneutica ed esperienza relazionale, infinita e responsiva apertura all'alterita', liberazione pensata e agita - concretamente, contestualmente, dialetticamente/dialogicamente - nella plenitudine del principio responsabilita', dell'eguaglianza da costruire fondandola nel riconoscimento delle differenze, dell'umanizzazione dell'umanita'.

Il tema della nonviolenza, quindi, che con la riflessione e le esperienze delle donne si intreccia, e per cosi' dire nella teoria e nella prassi delle donne ha trovato il suo luogo di massima emersione, disvelamento, verifica, elaborazione.

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Vorremmo che la ricchezza e pluralita' di proposte di ricerca, di riflessione, di interrogazione che il saggio di Anna Bravo offre e suscita non venisse sepolta dalla pervasiva pressione del sistema dei mass-media (della societa' dello spettacolo) che predilige e sollecita letture schematiche e frettolose per cercar di costruire polemiche sensazionalistiche e indurre pronunciamenti sommari. Laddove invece il saggio di Anna Bravo propone e richiede una ricerca comune che richiede, ancora una volta, capacita' di ascolto profondo in dialogica apertura, l'attenzione di cui diceva Simone Weil, l'amore per il mondo di cui diceva Hannah Arendt, il cuore pensante di Etty Hillesum, la stanza e le ghinee di Virginia.

De te fabula narratur. Questa storia parla di noi.

 

18. HERI DICEBAMUS. BOLZANETO

 

Un manipolo di sadici rapisce molti uomini e donne, spesso poco piu' che ragazzi.

Li porta nella camera delle torture. Minaccia, umilia, sevizia, rompe corpi ed anime per sempre.

Non e' la Russia di Stalin, non e' il Cile di Pinochet, non e' l'Uganda di Amin, non e' la Cambogia di Pol Pot, non e' Guantanamo, non e' Abu Ghraib. E' Genova, nel 2001. E il manipolo dei sadici agiva in nome e per conto dello Stato italiano.

Ma per le leggi dello Stato italiano, come per la coscienza di ogni essere umano, quella condotta era un crimine, un crimine orribile. E il comma quarto dell'articolo 13 della Costituzione della Repubblica Italiana non lascia adito a dubbi: "E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di liberta'".

"Meditate che questo e stato", ha scritto una volta per sempre Primo Levi. Dinanzi alla violenza scatenata non si puo' fingere che non ci riguardi, essa riguarda sempre l'umanita' intera.

E proprio perche' da persone amiche della nonviolenza abbiamo sempre sostenuto senza esitazione gli operatori delle forze dell'ordine nella lotta contro il crimine, per la sicurezza di tutte le persone, in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani; e proprio perche' da persone amiche della nonviolenza abbiamo sempre denunciato e contrastato i violenti, gli squadristi e i provocatori al male sovente infiltrati fin nei movimenti che si dicono di pace ma che non sono movimenti di pace finche' non decidono di opporsi sempre alla violenza assassina, finche' non scelgono la nonviolenza; proprio perche' da persone amiche della nonviolenza ci sta a cuore la difesa dello stato di diritto e delle istituzioni democratiche, della civile convivenza e del retto condursi, delle leggi quando sono - come devono essere sempre - il sostegno del debole e il soccorso dell'oppresso, della democrazia come metodo e come sistema; proprio per questo a maggior ragione possiamo e dobbiamo chiedere verita' e giustizia, piena verita' e compiuta giustizia, anche per quanto accaduto a Genova nel 2001. Senza esitazioni, senza ambiguita'. La verita', la giustizia, la misericordia: la comune umanita'.

 

19. HERI DICEBAMUS. ALCUNE NOTE SULLA RICEZIONE DEL SAGGIO DI ANNA BRAVO

 

Sul saggio di Anna Bravo, "Noi e la violenza. Trent'anni per pensarci" [pubblicato nella bella rivista della Societa' delle storiche "Genesis", nel fascicolo attualmente in libreria; e riprodotto anche su questo foglio nei numeri 862-864] in queste settimane su alcuni quotidiani e alcuni siti internet si e' avviato un ampio e vivace dibattito, che speriamo prosegua, si approfondisca, contribuisca vieppiu' alla comune riflessione.

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Sulla ricezione giornalistica

Non sorprende la spiacevole circostanza che la discussione su taluni giornali sia stata - per la pressione stessa del contesto dato dal sistema dei mass-media - non poco impoverita e forzata dalle strategie discorsive ed editoriali proprie della comunicazione e dell'intrapresa giornalistica tanto commerciale quanto propagandistica, e dalle implicazioni ideologiche e pratiche presupposte e veicolate dal medium "giornale", dalla modalita' di proposizione e fruizione dei testi di cui consiste, con le notissime conseguenze: frettolosita' e quindi scarsa attenzione, eccessiva semplificazione, polarizzazione esasperata, spettacolarizzazione, surplus di gesto retorico, frequente dirottamento dell'attenzione di chi legge da cio' che conta e interroga a cio' che e' coloritura e scorza, da cio' che impegna  a cio' che devia, scilicet: diverte. Abbiamo sovente la sensazione che dopo la televisione il giornale quotidiano sia il luogo peggiore per discutere di argomenti che richiedono invece tempo, ascolto, attenzione, una riflessione palesemente non riducibile a quei letti di Procuste. Ed abbiamo altresi' la sensazione che tanta parte della catastrofe intellettuale (oltre che morale) della sinistra italiana dipenda dalla sua subalternita' al discorso dei mass-media attraverso cui il sistema di potere dominante esercita tanta parte della sua potenza e prepotenza in forma narcotica e manipolatrice: lo sapeva e lo scriveva gia' l'internazionale situazionista decenni fa, che quella sinistra che discute solo di cio' di cui si discute in televisione non serve a nulla, anzi, serve - e' asservita - al peggio.

Sensazionalismo e costruzione dello scandalo, sollecitazione di pronunciamenti sommari, manipolazione paratestuale, sono funzionali a una prassi di rimozione degli spazi di riflessione comune; ed infatti dopo il clamore che in quanto clamore poco perdura, segue l'oblio all'inseguimento del prossimo scoop. Mentre invece vi sono temi di cui occorre discutere a lungo, in una conricerca dialogica che presuppone in primo luogo la comprensione tra chi parla, possibile solo se reciprocamente ci si ascolta. Quel lavoro di attenzione, di ascolto, di cura, che e' una delle lezioni grandi che il femminismo ha donato in eredita' feconda a tutte e tutti.

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Sulla ricezione nei siti internet

Rispetto ai quotidiani miglior veicolo per questa riflessione polifonica quand'anche dissonante - e finanche talora seriale, nel senso della scuola di Vienna -, sono stati fin qui alcuni siti, in particolare - se non quasi esclusivamente - quelli animati da donne, che sono in assoluto la cosa migliore che si trova nella rete telematica, al confronto dei quali la generalita' degli altri siti di riflessione, di documentazione, di informazione danno l'impressione della fiera delle vanita' e dell'orgia delle trivialita', della stupidita' e delle aberrazioni, ovvero del fascismo in atto (e questo vale anche per la maggior parte dei siti cosiddetti "di movimento": in cui trovi ad ogni pie' sospinto linguaggi e concetti degni del Socing orwelliano).

Dispiace che anche i siti pacifisti gestiti perlopiu' da maschi quasi non si siano accorti che nel dibattito sviluppatosi intorno al saggio di Anna Bravo si sta discutendo di questioni decisive per una cultura della pace e della dignita' umana; e dispiace che molti autoproclamati "mediattivisti" (qualunque cosa cio' voglia dire) non abbiano ancora colto due elementari verita': che non si da' piu' possibilita' di lotta effettuale per la pace, la giustizia, i diritti umani e la difesa della biosfera se non si fa la scelta teorica e pratica della nonviolenza; e non si da' accostamento alla nonviolenza senza collocarsi all'ascolto del pensiero, delle esperienze, delle pratiche delle donne e dei movimenti delle donne, dei femminismi.

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Nelle prossime settimane

Vedremo nelle prossime settimane come si sviluppera' la riflessione anche sulle riviste, luogo per piu' versi piu' propizio a un miglior ascolto reciproco, a un piu' meditato ed aperto e maieutico dialogare.

E vedremo se i contributi che gia' molte hanno dato alla riflessione proposta da Anna Bravo, insieme al testo che tale dibattito ha promosso, riusciranno a fruttificare in ulteriore acquisto per tutte e tutti, promuovendo e trovando svolgimento in quelle modalita' di comunicazione e di relazione che piu' contano: l'incontro "vis-a'-vis" nelle conversazioni pubbliche e private in cui persone in carne ed ossa si accostano e si parlano negli occhi guardandosi.

Poiche' ci pare che il testo di Anna Bravo meriti una discussione approfondita sia nel suo insieme, sia anche - e a nostro avviso soprattutto - nello specifico della pluralita' di questioni che pone, che vanno esaminate nelle loro peculiarita' oltre che nel loro intreccio; temi e nessi su cui la discussione e' aperta e su cui deve esercitarsi la pratica ermeneutica della verificazione ovvero della (popperiana) falsificazione, come anche del fecondo fraintendimento (Bloom), o infine pure del detournement (per tornare ancora a Debord).

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Sulla struttura del saggio

E finanche per quanto concerne la sua struttura, la sua organizzazione stilistica oltre che argomentativa, ci sembra che il saggio di Anna Bravo meriti di essere considerato e discusso: una struttura che ci pare che tenga - se possiamo servirci ancora una volta di un riferimento alla teoria e alla prassi musicale - di alcune caratteristiche tipiche della "forma sonata".

E' infatti probabile che l'attenzione che il testo ha suscitato dipenda, oltre che da talune circostanze contingenti - come l'interesse giornalistico col suo inevitabile portato di ipersemplificazione distorcente; come il momento storico, con una destra patriarcale, neofascista e razzista, bellicosa e sciovinista, all'attacco (non a caso una destra al potere che cumula caratteristiche il cui nesso coglieva e contro cui si batteva Virginia Woolf nelle Tre ghinee); e oltre che dalla effettuale schiettezza e fin durezza con cui alcune questioni sono poste; soprattutto dall'aver intrecciato in un medesimo testo-contesto tre-quattro temi (la memoria e il silenzio, l'aborto e la sofferenza, la violenza e la politica, il femminismo come rottura e come rinascita; ma ovviamente altri temi ed altre costellazioni tra essi il testo propone all'ermeneutica) su cui invero molto si e' scritto anche negli scorsi decenni, ma forse mai intrecciandoli cosi', e questo intreccio apre interrogazioni e percorsi di ricerca impegnativi, accidentati, perigliosi, forse finanche abissali, ma sicuramente non rimuovibili con un'alzata di spalle o una difesa d'ufficio hegeliana.

Certo, un saggio e' per antonomasia il luogo della ricerca, dell'incertezza, del provvisorio e del carente, della domanda che cerca di creare uno spazio a una ricerca che quella domanda potrebbe finanche destituire di ogni valore; ed alcune formulazioni dell'autrice possono anche essere sembrate a taluna o taluno "prima facie" insostenibili: ma anche su questa insostenibilita' - nella sua polivalenza semantica - interrogarci dobbiamo.

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Presa di parola, lavoro analitico, timore e tremore, secretum

La forza appassionata con cui il dibattito e' divampato, dando luogo anche a pronunciamenti aggressivi e giudizi trancianti, non credo dipenda solo da cattive abitudini, credo segnali piuttosto un'urgenza autentica, e un'esigenza profonda.

L'irruenza di taluni interventi, anche nella loro palese ingenerosita', mi sembra sia segno per cosi' dire dell'irruzione nello spazio della discussione pubblica di una riflessione che sentiamo irrinunciabile, in cui "ne va di noi", della nostra storia, del nostro agire, del nostro sentire: il sentire, il consentire; i sentimenti, l'empatia.

Analogamente la sbrigativita' di taluni interventi nella discussione, talvolta cosi' evidentemente autoreferenziali, da' talvolta l'impressione come di voler esorcizzare un dolore, e quasi operare una forclusione: ma a un ascolto piu' profondo ci pare di cogliere un piu' denso sofferto lavoro di elaborazione analitica che ancora forse trova modo di espressione solo entro forme altre di condivisione, di relazione; altre rispetto alla scrittura storiografica, al dibattito giornalistico, al cannibalismo dei mass-media che sempre e' in agguato ove parliamo di cio' che ci sta a cuore, di cio' che e' mobile, di cio' che tiene dello specchio e dell'enigma, in timore e tremore, del nostro intimo e comune secretum.

*

Il silenzio dei maschi, come se tutto cio' non ci riguardasse

In verita' cio' che piu' mi colpisce nel dibattito suscitato dal saggio di Anna Bravo non e' il silenzio delle donne, e' il silenzio degli uomini, l'indifferenza degli uomini.

Che copre col suo rombo sordo e cupo il crimine del patriarcato, del fascismo, della guerra che tuttora perdurano, ancora una volta i tre elementi il cui nesso denunciava Virginia Woolf scrivendo sul finire delgi anni trenta del secolo scorso quella lettera in cui spiegava la destinazione delle misere sue tre ghinee: una lettera che ho semrpe sentito indirizzata a noi, aggettante sui nodi del nostro presente.

Mi colpisce la stolta indifferenza del movimento per la pace nei suoi luoghi piu' noti e nelle sue figure piu' celebrate, pressoche' tutti ferreamente quand'anche inconsapevolmente maschili e maschilisti: forse perche' questa discussione mette a nudo interiori dissidi e incertezze (il maschilismo, l'autoritarismo e il militarismo dei manifestanti professionali viriloidi e fin squadristi prediletti dai mass-media e dai partiti - e dalle aziende-partito - che pressoche' tutti, in maggiore o minore misura, ereditano dell'organizzazione burocratica staliniana riproducendone l'ideologia e i meccanismi; la falsa coscienza o l'intima angoscia dei religiosi maschi di varie appartenenze che avvertono una loro collocazione ambigua, come persone sinceramente di pace e insieme parte e funzionari di strutture sovente tuttora in cospicua misura cupamente patriarcali, ferocemente misogine, non di rado con marcate caratteristiche fin dittatoriali e totalitarie; l'ipocrisia di chi si colloca o aspira a inserirsi nel mainstream delle "multinazionali del bene", quel lato oscuro del mondo delle onlus e delle ong che troppi astrattamente mitizzano in blocco senza rendersi conto di cio' di cui stanno parlando; e si potrebbe continuare).

*

Quattro tesi

Mi colpisce che tanta parte delle persone che si sentono movimento per la pace, per la giustizia, per i diritti, non colgano queste cose che a me paiono decisive, e che concludendo queste brevi, esplorative e provvisorie note vorrei ancora una volta riassumere in forma di tesi:

I. Che il femminismo (il pensiero e le pratiche delle donne, il movimento di liberazione delle donne, i femminismi nelle loro varie articolazioni e dialettiche; da Simone de Beauvoir a Vandana Shiva, da Simone Weil a Assia Djebar, da Rosa Luxemburg a Luce Irigaray, da Hannah Arendt a Rigoberta Menchu', da Edith Stein a Wangari Maathai) e' l'esperienza storica decisiva del Novecento nell'indicare una via d'uscita dalla catastrofe dell'umanita'; che solo a partire dalle esperienze e riflessioni di cui esso consiste e che esso ha suscitato si possono costruire relazioni orientate alla convivenza, al rispetto e alla promozione di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani, di riconoscimento di umanita' per l'umanita' intera e per ciascuna persona.

II. Che il femminismo e' quindi, proprio perche' smaschera e dissolve la pretesa totalitaria del pensiero unico patriarcale, proprio perche' riconosce le differenze e non le annichila, proprio perche' e' vettore storico della lotta contro ogni oppressione nei confronti delle persone e della natura, e' anche "corrente calda" ed esperienza cruciale di cio' che chiamiamo nonviolenza in cammino.

III. Che la scelta della nonviolenza, come ebbe a scrivere una volta Aldo Capitini, e' il varco attuale della storia: di fronte all'immensa mole di male che insensati erigono i poteri apparentemente piu' forti del mondo, che la civilta' umana stanno precipitando nel baratro, occorre sapere che la nonviolenza e' piu' forte, che essa puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe, che essa puo' non solo resistere all'orrore attraverso le mille sue pratiche, ma costruire fin d'ora relazioni di convivenza, relazioni di giustizia, relazioni di liberta'. La nonviolenza e' in cammino, ma ha bisogno del contributo di tutte e tutti per affrontare e sconfiggere le concrezioni di male dominanti, le strutture dell'ingiustizia e della menzogna, dello sfruttamento e dell'alienazione, della guerra e del terrore, della paura e della morte.

IV. La nonviolenza e' in cammino, ma e' un cammino di cui tanta parte e' la capacita' di ascolto dell'altra persona, dell'altra e dell'altro, della vita e del mondo; e' la capacita' di rispondere al volto altrui che muto e sofferente ti interroga; e' la responsabilita' "per amore del mondo". Di questa disposizione ad essere "cuore pensante" (Etty Hillesum, certo), a prendersi reciprocamente cura, a "mettere al mondo il mondo", le donne e il pensiero e la pratica delle donne - e quindi il femminismo, i femminismi - sono il soggetto storico e culturale decisivo.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 392 del 14 luglio 2011

 

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