Telegrammi. 615
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- Date: Wed, 13 Jul 2011 00:21:25 +0200 (CEST)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 615 del 13 luglio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Ancora un italiano ucciso in Afghanistan. Cessi immediatamente l'illegale e insensata partecipazione italiana alla guerra
2. Alcuni testi del mese di febbraio 2005
3. Giuliana
4. Per Fernaldo Di Giammatteo
5. Giuliana
6. Una lettera al Ministro dell'Interno
7. La memoria delle Foibe
8. Cinque note sulle elezioni irachene
9. Giuliana, o dell'umanita'
10. Dalla parte delle vittime
11. Ogni vita umana, ogni umano corpo
12. Alcuni minimi opportuni schiarimenti su resistenza, guerriglia, terrorismo
13. Una dichiarazione di solidarieta'
14. Per Renzo Imbeni
15. Da Venezia una vittoria della nonviolenza, una vittoria dell'umanita'
16. Giuliana
17. La strage
18. Tre note su nonviolenza e lotta antimafia
19. In digiuno per Giuliana
20. Segnalazioni librarie
21. La "Carta" del Movimento Nonviolento
22. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. ANCORA UN ITALIANO UCCISO IN AFGHANISTAN. CESSI IMMEDIATAMENTE L'ILLEGALE E INSENSATA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA
Ancora un giovane soldato italiano ucciso in Afghanistan.
Dove prosegue una scellerata guerra alla quale l'Italia partecipa del tutto illegalmente, poiche' la Costituzione della Repubblica Italiana proibisce al nostro paese di prendervi parte.
Cessi questa strage insensata.
Cessi immediatamente l'illegale e insensata partecipazione italiana alla guerra. In Afghanistan come in Libia.
Si adoperi piuttosto l'Italia per la pace con mezzi di pace, per il disarmo, per la smilitarizzazione dei conflitti, per recare aiuti umanitari in modi esclusivamente pacifici, nel rispetto della legalita' costituzionale e del diritto internazionale, ed a promozione dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
La guerra e' un crimine contro l'umanita'.
Le armi uccidono.
Solo la pace salva le vite.
2. HERI DICEBAMUS. ALCUNI TESTI DEL MESE DI FEBBRAIO 2005
Riproponiamo alcuni testi apparsi sul nostro notiziario nel mese di febbraio 2005.
3. HERI DICEBAMUS. . GIULIANA
E' stata rapita in Iraq la nostra amica Giuliana Sgrena, persona buona, costruttrice di pace. Chiunque puo', faccia tutto il possibile affinche' torni libera, incolume, al piu' presto.
4. HERI DICEBAMUS. PER FERNALDO DI GIAMMATTEO
La scomparsa di Fernaldo Di Giammatteo e' un dolore grande. Tutte le persone che in Italia hanno amato il cinema come grande avventura conoscitiva, come esperienza che ha allargato l'area della coscienza, dell'opera di Fernaldo Di Giammatteo si sono nutrite, e massime di quell'intrapresa che sono i volumetti del Castoro cinema, la benemerita collana di monografie che ha alfabetizzato al vedere quanti prima sapevano solo leggere.
5. HERI DICEBAMUS. GIULIANA
Con le e gli studenti del corso di educazione alla pace del liceo di Orte mercoledi' abbiamo parlato di Giuliana, e del vivo nostro comune desiderio di saperla libera, incolume, presto.
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Non mi e' facile scrivere di lei, poiche' non e' facile controllare la piena di ricordi che risalgono a ben oltre vent'anni fa, "quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono", funzionario e segretario di federazione di un piccolo partito del movimento operaio che poi si suicido', il Pdup, e insieme gia' persuaso amico della nonviolenza, e le cose che penso oggi sono ancora le stesse che pensavo allora. Solo questo vorrei accennare: che nel movimento per la pace che allora sorse confluirono tante e diverse esperienze (la lotta contro le istituzioni totali e la lotta antinucleare, per esempio, nelle quali negli anni precedenti ero stato piu' coinvolto), e che anche grazie a quel movimento fu sconfitto il terrorismo - il duplice e forse triplice terrorismo - che aveva insanguinato l'Italia dalla fine degli anni sessanta; e che da quel movimento vennero non poche delle persone che animarono poi lungo gli anni ottanta l'esperienza del movimento antimafia. E sempre quel movimento pose allora all'intera cultura democratica l'esigenza della nonviolenza non piu' solo come testimonianza di pochi, ma come guida per l'azione di tutti, e come principio giuriscostituente. Fu poco ascoltato. Se ne vedono gli esiti.
A quel movimento per la pace piu' che ad ogni altra cosa associo la persona di Giuliana, che conobbi allora, piu' nel movimento che nel partito; a quel movimento per la pace che ereditava soprattutto dal femminismo - il femminismo che e' l'esperienza teorica e pratica decisiva e trainante della nonviolenza in cammino -, e che ci ha cambiato la vita, come ha scritto Raffaella Bolini in un intervento che riproduciamo in questo stesso foglio.
*
Poi, certo, ho grate anche ad esempio alcune lettere che ci siamo scambiati in cui ci segnalavamo le scrittrici arabe che amiamo di piu'. E su un giornale a diffondere il quale tra trenta e venticinque anni fa ho dedicato tutte, tutte le mie domeniche mattina, un giornale che da molti anni non riconosco piu', divenuto com'e' cosi' sciatto e confuso e talora fin equivoco e che pure resta l'unico giornale che riesco a leggere sia pur sbuffando, e su cui leggo ormai quasi solo le cose che scrivono i superstiti vecchi radiati alla cui scuola mi misi da giovane, le cose che scriveva Giuliana fino al 4 febbraio erano sempre le prime che cercavo. E che voglio continuare a cercare, quando sara' finalmente liberata.
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Perdonino i lettori queste memoriali confidenze, alle quali abitualmente non e' dedito l'estensore. Forse l'ansia per la vita e la liberta' di una persona amica (che e' insieme figura della vita e della liberta' di popoli interi: ed ogni essere umano ci sta a cuore) potra' giustificare aver scritto queste cose, averle scritte cosi', costi'.
Possa essere la liberazione di Giuliana, che desideriamo con ogni nostra fibra, un passo verso la sconfitta della guerra, del terrorismo, del "disordine costituito" che condanna a sofferenze immani e cruda morte cosi' tanta parte dell'umanita' che tu non puoi dirne, o pensarvi, senza sentirtene nell'imo del tuo essere straziato.
Possa l'agire quotidiano e persuaso di noi tutti essere veritieramente, consapevolmente, tenacemente orientato a contribuire a salvare la vita di Giuliana, di tutti gli ostaggi, di tutte le persone oppresse da guerra, da fame, da poteri criminali e dittature comunque travestite. Se limpido e coerente, se intransigente e nitido, se concreto e sincero, nessun gesto di pace e' inutile.
6. HERI DICEBAMUS. UNA LETTERA AL MINISTRO DELL'INTERNO
Al Ministro dell'Interno, e per opportuna conoscenza: al Presidente della Repubblica Italiana, al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri
*
Oggetto: proposta di inserire nei curricula formativi delle forze dell'ordine la conoscenza e l'uso delle risorse messe a disposizione dalla nonviolenza.
*
Egregio signor Ministro,
vorrei sottoporre alla sua attenzione la proposta di formare il personale delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse che la nonviolenza mette a disposizione particolarmente delle persone e delle strutture che devono operare in situazioni talora critiche e conflittuali in difesa dei diritti umani, della democrazia, del diritto, della civile convivenza, della sicurezza pubblica.
La nonviolenza e' un effettuale inveramento dei principi sanciti dalla Costituzione della Repubblica Italiana, cosi' come dalle principali carte giuridiche internazionali, tra cui - ovviamente, ed eminentemente - la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.
Sarebbe di enorme utilita' che tutti gli operatori addetti alla sicurezza pubblica, alla difesa dei diritti di tutte le persone, all'applicazione delle leggi del nostro ordinamento giuridico democratico, avessero nel loro bagaglio formativo e nella loro strumentazione operativa una adeguata conoscenza e capacita' di applicazione dei valori teoretici ed assiologici come delle tecniche ermeneutiche ed operative che la nonviolenza mette a disposizione.
Come forse le sara' gia' noto in alcune importanti citta' italiane gia' da tempo strutture adibite a compiti di polizia (come, ad esempio, Guardia di Finanza e Arma dei Carabinieri a Palermo, Corpo di Polizia Municipale a Milano) hanno avviato percorsi formativi alla conoscenza e all'uso della nonviolenza; analogamente in alcuni paesi stranieri tali esperienze sono da anni pienamente valorizzate nei curricula formativi dei corpi di polizia locali e nazionali.
Le sara' anche noto che gia' da anni parlamentari di tutte le forze politiche - sottolineo: di tutte le forze politiche - hanno promosso una proposta di legge tesa a sostenere l'introduzione dello studio della nonviolenza nella formazione degli operatori delle forze dell'ordine. Per opportuna conoscenza mi permetto di inviarle anche una documentazione essenziale al riguardo.
Ringraziandola per l'attenzione, ed auspicando un impegno suo, del suo Ministero, del Governo e del Parlamento, affinche' la nonviolenza possa divenire al piu' presto materia di studio e strumento di lavoro per le forze dell'ordine del nostro paese, la saluto cordialmente, e resto naturalmente a sua disposizione per ogni eventale chiarimento ed ulteriore informazione, cosi' come per metterle a disposizione ulteriore documentazione che potesse esserle utile.
7. HERI DICEBAMUS. LA MEMORIA DELLE FOIBE
Crimini inenarrabili furono commessi dai fascisti e dai loro complici, per un lungo, lungo lasso di tempo in quelle terre.
Poi la guerra mondiale, catastrofe delle catastrofi; e in tali tenebre luminosa l'epopea della Resistenza jugoslava, che fu esempio all'Europa intera.
E sul finire della guerra, e ancora a guerra finita, le vendette e le atrocita' fin insensate che ad ogni grande oppressione e ad ogni barbara guerra seguono, se la nonviolenza non riesce a impedirle.
Nulla dobbiamo dimenticare, e tutte le vittime sono nostre sorelle e fratelli, e ogni vittima - come ha scritto una volta e per sempre Heinrich Boell - ha il volto di Abele.
E tutte le stragi restano stragi, tutte le uccisioni restano uccisioni: prima vi erano esseri umani vivi e palpitanti, poi al loro posto il dolore, la morte, il male non piu' medicabile; umanita' vi era, poi solo carne straziata, desolazione, annichilimento del bene della vita.
Ma sarebbe cattiva, malvagia memoria, quella usata per occultare questa decisiva verita': che dalla parte dei nazifascisti vi era la disumanita' assoluta, dalla parte della Resistenza l'umanita' intera. Intera: anche per l'umanita' di coloro che erano dalla parte del fascismo la Resistenza europea si e' battuta, ed ha vinto, per riscattare la dignita', la qualita' umana di tutti e di ciascuno, per dare a tutti il diritto di vivere, di vivere in pace, di vivere degna una vita. Le atrocita' che anche combattenti della Resistenza hanno talora commesso, rese ancora piu' tragiche e orribili dalla flagrante contraddizione tra la loro natura criminale e il senso e i fini della Resistenza, certo deturpano ma non hanno il potere di mutare questa fondamentale verita'.
Non e' buona memoria quella che alimenta nuove vendette, nuove violenze, nuove menzogne, nuove complicita' con l'uccidere; e' buona memoria quella che al male sempre si oppone, che al soffrire cerca di rimediare sempre, che l'uccidere sempre contrasta, che al fascismo resiste, ancora, sempre; "ora e sempre", come ha scritto Piero Calamandrei.
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Cosi' non ci appassiona il tanto cianciare di questi giorni in cui ancora una volta si strumentalizzano le vittime come il soldato morto di quella ballata brechtiana.
Ci appassiona invece, e ci commuove, la memoria e la parola dei nostri personali amici profughi, persone che hanno sofferto e che occorrerebbe che tutti ascoltassero poiche' molte cose dicono di grande saggezza: che sempre ci hanno detto di non volere vendette, ma verita' e giustizia, pace e dialogo, convivenza.
Cosi' la memoria di questa tragedia, come di ogni tragedia, e' cosa buona e giusta, e deve essere memoria operante, ortativa all'impegno contro ogni razzismo, contro ogni espulsione, contro ogni uccisione.
Deve essere memoria operante ad esempio nel persuaderci ad accogliere tutti i migranti in fuga da fame e guerre e dittature, a riconoscere a tutte e tutti coloro che ne hanno diritto quell'asilo che la nostra Costituzione ci fa obbligo di garantire a tutti e tutte.
E' buona memoria delle vittime delle foibe ad esempio abolire la scellerata legge Bossi-Fini, e' buona memoria delle vittime delle foibe abolire i campi di concentramento che prima della Bossi-Fini gia' nuovamente istitui' la quanto a questo non meno scellerata legge Turco-Napolitano.
E' buona memoria delle vittime delle foibe sentire vergogna della guerra del 1999, che continua ad uccidere ancora, con gli effetti dell'uranio impoverito, e non solo.
*
Ha scritto una autorevole personalita' della nonviolenza come Luciano Capitini: "A causa della mia eta' ho saputo, a suo tempo, tutto - o quasi - sulle foibe, e su tutto l'insieme di argomenti correlati; se ne parlava, e si ascoltavano sia i reduci dalla guerra in Jugoslavia, sia i profughi, che si erano sparsi per tutta l'Italia. Si sapeva proprio quanto oggi ci viene riproposto (mi riferisco all'orribile eccidio e le "infoibazioni" di tanti italiani), ma poi, ad un certo punto, e' stato come se il tema fosse ormai superato, e non se ne e' parlato piu'... Come sempre succede, il silenzio e' stato controproducente, ed ha impedito che si andasse a fondo della questione, e che se ne parlasse completamente, comprendendo, cioe', anche gli antefatti. Perche' salta agli occhi che oggi si vuole parlare del massacro come di un crimine assurdo, senza motivazione alcuna, ne' precedenti... Naturalmente questa e' una parte della verita' storica, l'altra faccia della medaglia consiste nel fatto che noi, italiani, avevamo aggredito, oppresso e controllato poliziescamente la popolazione innocente. I nostri soldati, rientrati, alla fine, da quel settore di guerra, ci raccontavano fatti vergognosissimi, la realta' storica consisteva, e consiste, nel tentativo di appropriarci di una fetta di territorio di una nazione che non ci aveva minimamente provocati... Quando le sorti della guerra volsero a nostro sfavore parve logico agli jugoslavi ripagarci di pari moneta, e per buona misura aggiunsero la "pulizia etnica" consistente nella eliminazione di tanti italiani che cola' risiedevano, chi da poco, chi da tanti anni. Tale eccidio...".
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Tutti gli eccidi contrastare tu devi, e tutte le violenze, e le menzogne tutte; ma per contrastare le violenze tutte devi - come suggeriva Helder Camara - ricostruirne la genealogia, per non riprodurle ancora; ed e' alla radice che devi andare, e cominciare da li' la necessaria opera di bonifica. E' quello che ci hanno insegnato le piu' grandi esperienze di pace degli ultimi decenni: dalle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, alla Commissione per la verita' e la riconciliazione in Sudafrica, alle Donne in nero ovunque.
8. HERI DICEBAMUS. CINQUE NOTE SULLE ELEZIONI IRACHENE
1. A chi taglia le teste preferiremo sempre chi le teste le conta.
Agli assassini preferiamo gli elettori. Agli eserciti i seggi elettorali.
E' cosi' strano?
2. Ai kurdi, agli sciiti, agli oppositori politici perseguitati dal regime di Saddam Hussein (anche, volta a volta, con la complicita' diretta o cinica l'indifferenza del nostro paese), si doveva davvero negare il diritto di votare avendone essi finalmente l'occasione?
3. Certo, in regime di occupazione militare straniera (un regime di occupazione responsabile di stragi, torture, orrori inenarrabili, e del terrorismo allevatore e maestro) le elezioni sono meno democratiche che altrove: ma e' piu' democratico impedirle?
4. La nostra azione per la pace, contro l'imperialismo razzista e stragista, contro tutti i terrorismi (di stato, di gruppo, individuali), la nostra azione per i diritti umani di tutti gli esseri umani (e primo tra tutti il diritto a non essere uccisi), sarebbe di gran lunga piu' credibile ed efficace se taluni autoproclamati rappresentanti del movimento per la pace - ancora una volta preda di una retorica dereistica - evitassero di dire le sciocchezze che continuano irresponsabilmente a ripetere contro la pratica delle elezioni per costituire istituzioni rappresentative e come modalita' di partecipazione democratica.
5. Questo pensiamo, ed e' perche' pensiamo questo e mai siamo stati corrivi con il razzismo e il totalitarismo impliciti di chi non rispetta il diritto di voto altrui quando l'inveramento e gli esiti di esso non corrispondono ai suoi desiderata, che ci permettiamo ancora una volta di dire: no alla guerra; no all'occupazione militare; no a tutti gli eserciti; no a tutti i terrorismi; no a tutte le uccisioni. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
9. HERI DICEBAMUS. GIULIANA, O DELL'UMANITA'
Si faccia tutti tutto il possibile per salvarle la vita.
Noi che sempre abbiamo ritenuto illegale e criminale la guerra e l'occupazione militare, noi che sempre abbiamo ritenuto illegale e criminale la partecipazione italiana alla guerra e all'occupazione militare, noi che a tutti i terrorismi ci opponiamo, noi che a tutte le uccisioni ci opponiamo, chiediamo a tutti di fare tutto il possibile per salvarle la vita.
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Si faccia tutti tutto il possibile per salvarle la vita.
E poiche' nulla deve essere lasciato intentato anche questo vogliamo dire, qualora la nostra voce, per avventura, in qualche modo potesse giungere a chi l'ha sequestrata e ne minaccia la vita.
Se i rapitori fossero patrioti iracheni o fedeli musulmani, che la liberino subito, poiche' questo e' il dovere dei patrioti, poiche' questo e' il dovere dei musulmani.
Se i rapitori fossero criminali comuni, che la liberino subito, poiche' verra' pure il giorno che dei loro atti dovranno rispondere.
Se i rapitori fossero al soldo di poteri occulti, che la liberino subito, poiche' nulla resta occulto per sempre.
Se i rapitori fossero solo degli sciagurati abietti assassini, e nessun appello alla comune umanita' potesse toccarli, e nessuna interiore paura del redde rationem, che la liberino subito, poiche' a tutti e' dato di cambiare vita, e salvando l'altrui salvare la propria.
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Si faccia tutti tutto il possibile per salvarle la vita.
Al governo italiano chiediamo di fare un gesto grande: salvare una vita.
A quanti in Iraq hanno posizioni di potere e di influenza chiediamo di fare un gesto grande: salvare una vita.
Alle persone amiche, nostre e della nonviolenza, che vivono qui in Italia, chiediamo di fare un gesto comune: il 19 febbraio essere a Roma, e ancora prima e dopo su tutte le piazze d'Italia, per dire ancora una volta: no alla guerra, no al regime di occupazione militare, no a tutte le dittature, no a tutti i terrorismi. Lasciate libera Giuliana, lasciate libera Florence, lasciate liberi tutti gli ostaggi, lasciate libero tutto il popolo iracheno.
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Si faccia tutti tutto il possibile per salvarle la vita.
10. HERI DICEBAMUS. DALLA PARTE DELLE VITTIME
Dalla parte delle vittime, la parte dell'umanita'.
La parte di Giuliana, la parte delle donne, la parte del popolo iracheno oppresso.
Contro tutte le guerre, le dittature, i terrorismi.
Questo ci pare dicesse ieri la voce del cuore di Roma, questa verita' essenziale: tu non uccidere.
Ogni vittima ha il volto di Abele. Nessun essere umano e' un'isola.
11. HERI DICEBAMUS. OGNI VITA UMANA, OGNI UMANO CORPO
Ogni vita umana e' un valore infinito. Questo sanno tutte le grandi tradizioni religiose e filosofiche del mondo.
Ogni umano corpo e' tempio e verita', inseparabile dalla scintilla che lo anima: una persona e' il suo corpo, e l'integrita' di quel corpo e' l'integrita' di quella persona.
E cosi' chi attenta anche a una sola vita umana, chi attenta anche a un solo corpo umano, lacera l'umanita' intera, nelle sue stesse carni affonda lo strale, tutto distrugge, nulla mai potra' liberare, nulla mai riscattare, nessuna verita' e giustizia attingere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita': questo concordi attestano le grandi tradizioni religiose e filosofiche del mondo, questo attesta il sentire di ogni essere umano esposto al dolore, al male, alla morte.
12. HERI DICEBAMUS. ALCUNI MINIMI OPPORTUNI SCHIARIMENTI SU RESISTENZA, GUERRIGLIA, TERRORISMO
Sara' forse opportuno tentare di contribuire a fare un po' di luce su un groviglio di questioni la cui disamina chiara e distinta e' assolutamente necessaria.
Resistenza, guerriglia e terrorismo sono tre concetti ed oggetti diversi, ma che possono avere contatti ed intrecci profondi tra loro.
Ma si puo' dire anche altrimenti: questi tre oggetti e concetti possono essere variamente connessi, ma non sono affatto una stessa ed unica cosa.
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Per resistenza nel linguaggio storiografico e politologico si intende in sostanza il soggetto e l'azione dell'opporsi a un regime oppressivo: in quanto tale essa trova legittimita' nell'estensione del principio giuridico della legittima difesa, e sempre in quanto tale essa puo' estrinsecarsi in forme assai diversificate: la forma piu' rigorosa, coerente, limpida e intransigente di resistenza e' senza dubbio la resistenza nonviolenta, poiche' essa si oppone nel modo piu' nitido e concreto alla violenza dell'oppressione, ripudiando finanche e anzitutto di riprodurla sia pure in parte nel proprio agire.
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Per guerriglia si intende in sostanza un'attivita' di tipo militare, quindi fondata sull'uccidere persone, che si oppone a un potere oppressivo che dispone di un apparato militare superiore tale da precludere al soggetto che pratica la guerriglia la possibilita' di contrapporglisi in battaglia in campo aperto nelle forme di un esercito regolare e di una guerra condotta "simmetricamente", ovvero con modalita' speculari.
La guerriglia puo' anche essere una delle forme attraverso cui si esercita una attivita' di resistenza, ma non e' ne' l'unica, ne' la principale.
Inoltre la guerriglia puo' essere praticata anche da soggetti che non stanno resistendo a un'oppressione, ma che un'oppressione vogliono instaurare, o che vogliono semplicemente rovesciare un ordinamento giuridico, anche legittimo e democratico.
Il nocciolo della questione a noi pare che sia il seguente: la guerriglia e' comunque un'attivita' militare, fondata quindi sull'uccidere esseri umani; in quanto tale essa riproduce la violenza degli eserciti e della guerra, e' schiava del male dell'uccidere. Possono essersi date nel corso della storia situazioni tali per cui a persone di volonta' buona si impose la terribile necessita' di essere disposti ad uccidere (oltre che ad essere uccise), ma si tratta appunto di una coazione: uccidere resta sempre un male. Le migliori intenzioni non mutano il fatto che quando una persona viene uccisa, e' stata privata del diritto fondamentale senza del quale nessun altro diritto si da', il diritto a vivere, inerente a tutti gli esseri umani; quando si accetta di uccidere anche una sola persona, si viola l'unico principio che fonda l'umana convivenza: tu non uccidere, poiche' tutti - come te - hanno diritto a vivere.
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Per terrorismo si intendono atti ordinati a terrorizzare qualcuno per annientarne la volonta', per annichilirne la liberta', per cancellarne la dignita'.
Al repertorio degli atti di terrorismo hanno attinto ed attingono tuttora a piene mani stati, istituzioni, movimenti, gruppi organizzati di varia natura e finalita', e naturalmente anche singoli (anch'essi con identita', status e caratteristiche diversificatissime: dall'imprenditore che assolda il sicario che uccidera' Chico Mendes, al suicida che compie una strage su un autobus).
Soggetti diversissimi, e in nessun modo omologabili, hanno fatto uso del terrorismo. E' terrorista il regime giacobino; e' terrorista il regime hitleriano e quello staliniano; e' terrorista il bombardamento di Dresda e la bomba di Hiroshima; e' terrorista il comandante partigiano quando fa fucilare il partigiano che ha commesso un crimine; e' terrorista il soldato dell'esercito israeliano quando spezza le braccia dei ragazzi palestinesi della prima intifada; e' terrorista il combattente suicida-stragista palestinese o ceceno; e' terrorista il militare dell'esercito americano torturatore e stragista ad Abu Ghraib e a Falluja; sono terroristi i tagliagole del fondamentalismo islamico; sono terroristi gli stragisti dell'11 settembre 2001; sono terroristi gli assassini di Quattrocchi e di Baldoni; e' terrorista la mafia; sono terroristi i dipendenti dello stato italiano che hanno commesso le torture a Bolzaneto; e' terrorista un ordinamento giuridico quando prevede ed irroga la sanzione della pena capitale; e' terrorista il pater familias che picchia coniuge e figli.
E' evidente che questi soggetti sono tutti diversissimi l'uno dall'altro, non omologabili, e che le loro azioni vanno anche interpretate muovendo da un'analisi contestuale, ricostruendo le eziologie, anzi le genealogie e le costellazioni di eventi, discernendo, comprendendo tutto senza nulla giustificare.
E' evidente che la Resistenza al nazifascismo restera' sempre cosa buona e giusta anche se nel corso di essa, nel contesto della ferocia e della barbarie della guerra dal nazifascismo scatenata, possono essersi dati singoli episodi finanche di atrocita'; e che la condanna morale, dolorosa, netta e ineludibile di quegli episodi non inficia il valore globale, assoluto e complessivo, della Resistenza. Cosi' come e' evidente che il fatto che uno stato democratico possa commettere in alcuni apparati e situazioni e momenti atti terroristici non lo rende affatto terrorista tout court, e che la condanna di quegli atti di terrorismo non implica che quello stato in quanto tale possa essere equiparato a una dittatura. Cosi' come e' evidente che chi per legittima difesa di se' e di molti di fronte all'aggressore assassino si trova ad uccidere quell'aggressore assassino non avendo saputo o potuto trovare alternative per difendere come e' suo diritto la vita sua e quella di molti, non e' ipso facto un criminale anche se, uccidendo, un crimine - il piu' orribile dei crimini - ha commesso. Nell'interpretazione degli eventi sempre e' necessario l'esercizio delle facolta' di analisi e di sintesi, la capacita' di saper distinguere e la capacita' di saper riassumere e contestualizzare. E nella riflessione politica e morale sempre e' necessario quell'atteggiamento che Simone Weil chiamava attenzione, e che in un indimenticabile luogo del Chisciotte in cui si tratta di cosa sia giustizia e di come la si debba amministrare viene chiamato misericordia. Quella misericordia che possa sempre ispirare i nostri atti ed i nostri giudizi.
Ma resta il fatto che un atto di terrorismo e' un atto di terrorismo, e le vittime restano vittime, i carnefici carnefici, gli assassini assassini, e tanto l'umanita' delle vittime quanto quella dei carnefici e degli assassini ne viene vulnerata, e con esse l'umanita' intera.
Mai il terrorismo puo' essere ammesso. Mai. Ove e' il terrorismo, l'umanita' muore tra le sofferenze piu' atroci. Ove e' il terrorismo non vi e' gia' piu' piena e limpida e forte resistenza, poiche' una resistenza autentica, veritiera e verificante, e' sempre resistenza contro l'inumano in nome della comune umanita'.
E' ben vero che pure esso terrorismo ha avuto fin nel capolavoro di Hegel la sua oscena magnificazione - in quelle tremende pagine, certo "splendide di forza e di genio", della Fenomenologia dello spirito in cui si analizza la dialettica servo-padrone e con essa le dinamiche della morte e della paura e dell'asservimento -, e che quindi nella cultura moderna esso ha costituito non solo una diffusa prassi criminale di poteri sia criminali che legittimi, ma finanche un referente accettato e un criterio introiettato da tante "anime belle" che non riflettono mai sulle conseguenze empiriche dei ragionamenti astratti e cosi' diventano complici e serve - e sovente altresi' mandanti e mentori - degli assassini.
E' ben vero che esso ha una sua perversa efficacia, di cui si fanno forti non solo i sostenitori di tutti i totalitarismi, i razzismi, le dittature di sesso, di casta e di classe; ma anche tutti gli assertori di regimi e ideologie fondate sulla supina accettazione del criterio che esseri umani debbano essere asserviti ad altri, che esseri umani debbano essere ridotti a merce e cosa e funzione in pro di altri, che esseri umani debbano accettare una diminuzione di se' perche' altri possano godere di un surplus di beni e servizi.
E' ben vero che esso sembra essere lo strumento principe di regolazione delle relazioni internazionali nel disordine costituito oggi dominante.
Ma e' pur vero che tanta ingiustizia, tanta vilta', tanti sofismi, debbono pur essere affrontati, smascherati e vinti, se vogliamo che l'umanita' trovi una via di scampo dalla distretta presente.
Mai il terrorismo puo' essere ammesso. Mai. Ove e' il terrorismo, l'umanita' muore tra le sofferenze piu' atroci. Ove e' il terrorismo l'umanita' e' annientata, tutto cio' per cui vale la pena lottare e' distrutto per sempre nello strazio e nell'orrore.
*
E' giunto il momento di riassumere.
1. Talvolta una resistenza puo' essere anche guerrigliera, ma non necessariamente; dal punto di vista del diritto oggi vigente sul piano interno ed internazionale, essendo la resistenza un'estensione della legittima difesa, essa puo' essere legittima anche estrinsecandosi in forma militare; ma dal punto di vista della nonviolenza la guerriglia consistendo dell'uccidere persone rientra nell'ambito dell'attivita' militare, cioe' dell'uccidere, e come tale va ripudiata sempre, come vanno ripudiati tutti gli eserciti e tutte le guerre. Sempre.
Talvolta una resistenza, pur legittima, puo' essere anche - in alcune circostanze e fasi - terrorista; ed e' un male sempre, un male assoluto, un male che distrugge la qualita' e corrode la legittimita' stessa di quella resistenza.
Una resistenza puo' ben essere giusta (e sovente, quasi sempre, le resistenze lo sono; e sempre lo sono in quanto e nella misura in cui si oppongono in nome dell'umanita' a un'oppressione inumana), ma occorre che essa pratichi anche la coerenza tra i mezzi e i fini, e quella coerenza di tutte le coerenze che e' il rispetto della vita e dell'incolumita' e dignita' delle persone, senza di cui crolla la possibilita' stessa dell'umana convivenza, senza di cui non si da' liberazione dall'oppressione.
2. Una guerriglia puo' anche avere validi motivi, ed essere pienamente legittima dal punto di vista giuridico. Ma in quanto attivita' militare, quindi ordinata all'uccidere, essa giammai e' giustificabile dal punto di vista della nonviolenza laddove vi sia la possibilita' - e vi e' sempre la possibilita' - di scegliere la lotta nonviolenta per opporsi alla violenza.
3. Il terrorismo e' un crimine scellerato e sciagurata un'infamia sempre.
Il terrorismo e' nella sua essenza non altro che guerra senza piu' limiti. E la guerra e' nella sua essenza non altro che terrorismo dispiegato nelle forme piu' massive.
Il terrorismo e' nemico dell'umana convivenza, esso e' la morte incistata in una vita che gia' non e' piu' vita; solo la nonviolenza si oppone in modo adeguato al terrorismo; solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
4. Certo, la storia e' il regno del relativo, e il giudizio morale appunto consiste nella capacita' di cogliere le relazioni, le dialettiche, i nessi, le condizioni e le costellazioni entro cui l'agire si colloca, si forma (e si deforma, si trasforma). Per i borbonici i garibaldini non erano gli eroi che sono per noi; chi volesse ridurre la vicenda storica del cristianesimo alle atrocita' dell'inquisizione e dei roghi commetterebbe duplice un misfatto pur denunciando una fattuale verita'. Nel giudicare degli eventi e delle loro interazioni occorre umilta', saggezza, misericordia. Ma appunto occorre misericordia: ripudio assoluto della violenza assassina, ripudio assoluto della sua riproduzione indipendentemente dalle maschere con cui si presenta.
Scegliamo la nonviolenza poiche' solo chi e' senza peccato potrebbe scagliare la pietra che infrange il volto dell'altra e dell'altro: e nessuno di noi e' senza peccato, e se qualcuna o qualcuno di noi fosse senza peccato per cio' stesso a maggior ragione rifiuterebbe di scagliare la pietra, che e' commissione di male, peccato quindi - se questo termine ci e' lecito qui usare. Scegliamo la nonviolenza perche' solo con la nonviolenza si salva il volto dell'altra e dell'altro, che nella sua infinita differenza, nella sua assoluta preziosa unicita', e' il nostro stesso volto, la nostra stessa domanda, la nostra stessa speranza di vivere, di non essere uccisi, di essere riconosciuti esseri umani.
5. Chiamiamo nonviolenza la via che si oppone a tutte la uccisioni, a tutti i terrorismi, a tutte le guerre, a tutte le oppressioni. Chiamiamo nonviolenza la scelta di restituire tutta l'umanita' a tutti gli esseri umani, ovvero di restituire tutti gli esseri umani a tutta l'umanita'.
13. HERI DICEBAMUS. UNA DICHIARAZIONE DI SOLIDARIETA'
Carissimo Mao e carissimi tutti che sarete in corte d'appello a Venezia il 24 febbraio,
nell'impossibilita' di essere fisicamente presente, vorrei comunque testimoniarvi con questa lettera la mia solidarieta' e la mia ammirazione per la vostra azione nonviolenta del 1991.
Avendo avuto la ventura di essere una delle persone che per aver espresso in forme rigorosamente nonviolente la propria opposizione alla guerra ed aver cercato di promuovere una piu' vasta opposizione nonviolenta alla guerra, ebbi l'onore di essere anch'io processato nel '91, come poi anche nel '99 (con esito fortunatamente entrambe le volte a me favorevole), sento una ancora piu' intensa empatia col vostro agire.
Nel 2003 nel nostro notiziario quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" pubblicammo tra altri analoghi i due testi che trascrivo in calce a questa lettera, e che mi sembra esprimano adeguatamente cio' che penso, credo, sento.
Grazie di quanto avete fatto, e un forte abbraccio dal vostro
*
Allegato 1. Da "La nonviolenza e' in cammino" n. 516 del 23 febbraio 2003
Un'istigazione a non delinquere
Del dovere morale e civile di fermare i treni che recano armi per la guerra che si va preparando.
Un'istigazione a non delinquere: ovvero a rispettare la Costituzione, a salvare vite umane, a fermare la macchina bellica con l'azione diretta nonviolenta.
E' la Costituzione della Repubblica Italiana che dice ai cittadini italiani: "ripudia la guerra".
E' uno dei suoi principi fondamentali; e' il valore supremo che afferma nell'ambito delle relazioni internazionali: "ripudia la guerra".
Se ad essa Costituzione il governo, il parlamento, il capo dello Stato fossero restati fedeli, se non avessero infranto un solenne giuramento in forza del quale sono legittimati ad esercitare il potere loro attribuito, se non avessero violato la legalita' nella forma piu' flagrante e gravida di sciagurate conseguenze, gli attuali trasporti di materiale bellico in territorio italiano da parte di chi una guerra illegale e criminale scelleratamente prepara ed ha gia' reiteratamente proditoriamente annunciato, ebbene, non avrebbero potuto aver luogo, sarebbero stati proibiti dalle pubbliche autorita' in nome della legge.
Quei materiali bellici - se non li si fermera' - di qui a poco saranno utilizzati per commettere crimini di guerra e crimini contro l'umanita'.
Il loro uso - se non lo si impedira' - provochera' la morte di innumerevoli innocenti.
Il loro transito nel nostro territorio rende l'Italia favoreggiatrice degli stragisti.
Permettere che giungano a destinazione vuol dire rendersi complici della guerra onnicida, vuol dire violare il comando supremo della nostra Costituzione: "ripudia la guerra".
E dunque e' giusto e necessario bloccare con l'azione diretta nonviolenta i treni che recano gli strumenti della morte, le armi delle stragi annunciate.
E dunque e' un atto di fedelta', di rispetto e di inveramento della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico impedire che le armi efficienti alla guerra illegale e criminale possano giungere a destinazione, possano essere usate, possano colpire i loro viventi umani bersagli.
Su quei binari a fermare quei treni che trasportano armi ci dovrebbe essere il capo dello Stato della Costituzione supremo garante, ci dovrebbe essere ogni pubblico ufficiale che alla Costituzione ha giurato fedelta'.
Se loro non ci sono, cio' va a loro infamia.
Ci sono invece dei cittadini italiani che con questa azione diretta nonviolenta si stanno impegnando per salvare delle vite umane, stanno difendendo la dignita' del nostro popolo e la legge fondamentale del nostro paese, stanno obbedendo alla Costituzione, stanno adempiendo a un dovere di legalita' e di umanita'.
Si renda loro onore e li si aiuti.
Con queste righe, non potendo oggi essere li' fisicamente, vogliamo dichiarare la nostra persuasa condivisione dell'azione diretta nonviolenta per fermare i carichi di armi destinati alla guerra illegale e criminale. E vogliamo dichiarare che intendiamo condividere le conseguenze che per aver realizzato una rigorosa e doverosa azione diretta nonviolenta ai protagonisti di essa, in quanto si atterranno scrupolosamente ai principi della nonviolenza, deriveranno.
E vogliamo invitare ancora una volta tutti a sostenere ogni azione diretta nonviolenta che nel rigoroso rispetto della incolumita' e della dignita' di ogni essere umano si opponga concretamente, limpidamente e intransigentemente alla macchina bellica, e con cio' sia di adempimento al dovere di salvare delle vite umane in pericolo, sia di adempimento al dovere sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana: "ripudia la guerra".
*
Allegato 2. Da "La nonviolenza e' in cammino" n. 517 del 24 febbraio 2003
Blues del treno della morte
[Raccontava nella presentazione parlata l'anonimo autore di questo blues che aveva cominciato il suo impegno politico quando aveva quattordici anni, bloccando treni occupando binari in nome della dignita' di ogni essere umano; e aggiungeva che da allora non aveva piu' smesso di lottare, e sempre piu' si era accostato alla nonviolenza all'ascolto di Mohandas Gandhi, di Martin Luther King, del movimento delle donne; e affermava di pensare che se in Europa nella prima meta' del Novecento tanta piu' gente si fosse messa sui binari, tante stragi e tanti orrori sarebbero stati evitati; poi tossiva, si schiariva la voce, cominciava a maltrattare la chitarra, e diceva, accennando una subito soffocata intonazione, all'incirca le parole seguenti (la traduzione, frettolosa, e' del nostro collaboratore Benito D'Ippolito - che e' anche l'estensore di questa breve nota di presentazione)]
E tu fermalo il treno della morte
col tuo corpo disarmato sui binari
con la voce che si oppone all'urlo roco
delle bombe, delle fruste al vile schiocco.
E tu fermalo il treno della morte
sono pochi gli oppressori, innumerevoli
le vittime, non possono arrestarci
se tutti insieme ce li riprendiamo i diritti, la terra, la vita.
E tu fermalo il treno della morte
con la tua persona fragile sconfiggi
gli apparati e gli strumenti della guerra
e salva il mondo con la tua persona fragile.
E tu fermalo il treno della morte
perche' tu, cosi' indifeso, puoi fermarlo
col tuo corpo, la tua voce, la speranza
che sa unire tante braccia, e sa fermarlo
maledetto il treno nero della morte.
E tu fermalo e cosi' ferma la guerra.
14. HERI DICEBAMUS. PER RENZO IMBENI
La scomparsa di Renzo Imbeni ci priva di un amico e di un compagno di lotta.
Militante politico e pubblico amministratore di straordinario rigore e infinita generosita', acuto interprete dei segni dei tempi, uomo di pace e sempre piu', sempre piu' profondamente, sempre piu' consapevolmente, sempre piu' soavemente amico della nonviolenza.
Scrisse per questo foglio interventi di cui ancora gli siamo grati, ma di tutta la sua vita gli siamo grati.
15. HERI DICEBAMUS. PEPPE SINI: DA VENEZIA UNA VITTORIA DELLA NONVIOLENZA, UNA VITTORIA DELL'UMANITA'
La sentenza emessa il 24 febbraio 2005 dalla Corte d'Appello di Venezia, che conferma pienamente la sentenza di primo grado di piena assoluzione degli amici della nonviolenza che nel 1991 avevano bloccato un treno che trasportava armi per la guerra del Golfo, ha un grande valore, per molti motivi.
Nei prossimi giorni offriremo una piu' ampia documentazione e svolgeremo una piu' approfondita riflessione, ma fin d'ora vogliamo mettere in evidenza alcuni elementi a nostro avviso cruciali.
1. Avevano ragione gli amici della nonviolenza: col loro tentativo di impedire ad armi assassine di giungere sul teatro della guerra stragista essi obbedivano al principio fondamentale, e valore supremo, sancito dall'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, che ripudiando la guerra invera il principio basilare dell'intera civilta' umana: il dovere di non uccidere altri esseri umani.
2. Avevano ragione gli amici della nonviolenza: con la nonviolenza si puo' e si deve opporsi alle uccisioni. Se invece di 17 testimoni in una stazione ferroviaria dalle parti di Verona, milioni di persone in tante parti del mondo avessero fatto un analogo gesto limpido e concreto, un'analoga azione rigorosamente nonviolenta, avessero impedito la costruzione, il trasporto, l'uso di strumenti assassini, quante vite umane sarebbero state salvate, allora, oggi.
3. Avevano ragione gli amici della nonviolenza: la nonviolenza e' piu' forte. Se invece di persistere in equivoci, ambiguita', abulia e menzogne come sovente massivamente accade, almeno le persone sinceramente convinte che la pace e' preferibile alla guerra, il convivere preferibile all'assassinare, si decidessero infine della necessita' di fare la scelta della nonviolenza, e si desse quindi un movimento di massa consapevolmente, persuasamente, e quindi persuasivamente nonviolento, capace di costituire corpi civili di pace, capace di realizzare la difesa popolare nonviolenta, capace di fermare il tristo lavoro delle fabbriche d'armi e la sanguinaria operativita' delle strutture assassine, capace di rendere la nonviolenza azione collettiva e sentimento comune di dignita' e serieta' dinanzi alla vita propria ed altrui, principio giuriscostituente e riconoscimento di umanita' per tutti gli esseri umani, ebbene, quante vite potremmo salvare, quante dittature abbattere, quanti crimini impedire: abolire le guerre, abolire ogni terrorismo, sconfiggere ogni organizzazione criminale sarebbe allora possibile.
4. Avevano ragione gli amici della nonviolenza: la nonviolenza e' la via. La via su cui molte e molti si sono gia' messi: come ebbe a scrivere una volta Aldo Capitini: "la nonviolenza e' il varco attuale della storia". Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
5. I magistrati veneziani, come gia' quelli veronesi a suo tempo, questo hanno colto: nell'azione nonviolenta hanno visto all'opera la cittadinanza democratica, lo stato di diritto come costume morale e impegno civile incarnato nell'attiva responsabilita' delle persone, l'inveramento della Costituzione del nostro paese, e della carta dell'Onu, e della Dichiarazione universale dei diritti umani del '48; in quei diciassette cittadini italiani che fermavano il treno della morte hanno riconosciuto le antiche virtu' repubblicane cui ci chiamava Giacomo Leopardi, l'eredita' grande della Resistenza, il cielo stellato e la legge morale. E hanno saputo sentenziare che quell'agire non e' reato ma diritto, amore e non disprezzo della legge. Reato e' uccidere, delitto e' la guerra, crimine la produzione e l'uso delle armi che sopprimono umane esistenze. Nell'azione diretta nonviolenta di diciassette cittadini italiani che fermano un carico di armi che di li' a poco avrebbero menato strage di vite umane, nell'azione diretta nonviolenta di diciassette cittadini italiani che fermano un carico di armi per salvare cosi' quelle vite umane dalle armi minacciate di morte, quei giudici hanno saputo riconoscere la verita' e la giustizia in azione, il diritto legale, il dovere morale. E lo hanno sentenziato, in nome del popolo italiano, in nome dell'umanita'.
16. HERI DICEBAMUS. GIULIANA
Cosi' tante voci si son levate a chiedere che Giuliana sia salvata. Cosi' tante voci che par di sentire la voce dell'umanita' intera. Che chiede che cessino le uccisioni, tutte; che chiede che cessino le guerre, tutte. La voce che dice le cose che sempre ha detto Giuliana, volto e figura dell'intera umanita'.
17. HERI DICEBAMUS. LA STRAGE
In Iraq, in Colombia, in Israele. Una strage dopo l'altra. E solo la nonviolenza puo' farle cessare.
E insieme a tutte le altre vittime di eccidi oggi le persone amiche della nonviolenza piangono anche Luis Eduardo Guerra, fondatore della comunita' di pace di San Jose' de Apartado', una delle piu' rilevanti esperienze della nonviolenza in cammino.
Un cammino lungo, faticoso, e necessario: poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
18. HERI DICEBAMUS. TRE NOTE SU NONVIOLENZA E LOTTA ANTIMAFIA
1. E' preziosa la riflessione che gli amici del "Centro impastato" di Palermo e con essi alcuni amici della nonviolenza siciliani stanno svolgendo sul contributo della nonviolenza alla lotta antimafia. Un contributo che storicamente e' gia' stato enorme e che a parere di chi scrive e' e sara' decisivo, poiche' solo una lotta nonviolenta di massa puo' sconfiggere la mafia.
2. Chi scrive queste righe da molti anni propugna la tesi che la parte piu' cospicua della mobilitazione popolare contro la mafia e' stata nonviolenta, e consapevolmente nonviolenta. E' stata lotta nonviolenta quella del movimento contadino; e' stata lotta nonviolenta quella di Danilo Dolci; e' stata lotta nonviolenta quella delle donne; e' stata lotta nonviolenta quella della societa' civile che particolarmente negli anni ottanta sostenne uno scontro durissimo con il sistema di potere mafioso; e' stata lotta nonviolenta quella de "I Siciliani" come quella di don Pino Puglisi.
Sono documento di queste esperienze, oltre ai libri di e su Danilo Dolci, alcuni ormai classici lavori di Umberto Santino e delle ricercatrici e ricercatori militanti del Centro Impastato, il lavoro di Pippo Fava e de "I Siciliani", alcuni libri di Nando dalla Chiesa, molti libri di donne e particolarmente alcuni ineludibili volumi di Renate Siebert.
3. A fronte di questo dato storico negli ultimi tre decenni e' mancato sovente sia nella pubblicistica di area nonviolenta, sia in quella del movimento antimafia, un riconoscimento di questa realta', ed una comprensione dei rispettivi lessici e delle comuni esperienze. Nella stampa di area nonviolenta si sono talora scritte cose a dir poco astratte - nonostante la fulgida testimonianza della figura e dell'opera di Danilo -; nella pubblicistica impegnata contro la mafia spesso il concetto stesso di nonviolenza e' stato del tutto ignorato (e ancora oggi, anche da parte di studiosi autorevoli, della nonviolenza viene presentata una versione pressoche' caricaturale, che non tiene conto della pluralita', varieta' e ricchezza delle sue dimensioni, delle sue tradizioni, delle sue estrinsecazioni). Invero lo stesso dibattito in corso, avviato dall'articolo di Enzo Sanfilippo che abbiamo presentato a suo tempo, e sviluppato ora da alcuni interventi che presenteremo via via ai lettori, offre forse talora un'immagine inadeguata della realta', con qualche limite di genericita', astrattezza e riduzionismo. C'e' molto lavoro da fare, ragione di piu' per mettercisi d'impegno.
19. HERI DICEBAMUS. IN DIGIUNO PER GIULIANA
Iniziera' martedi' un corale digiuno per la liberazione di Giuliana Sgrena e di tutte le persone la cui vita e liberta' la guerra e il terrore e la violenza minacciano.
Un digiuno: che e' di tutte le tecniche della nonviolenza quella estrema, quella che piu' va alla radice, l'ultima, la decisiva. Un digiuno: che a tutte e tutti ricorda di quale comune sostanza noi si sia fatti: come tutte e tutti si sia esposti alla fame, al dolore, alla paura, alla morte. Un digiuno: che tutte le grandi tradizioni di pensiero, religiose e filosofiche, riconoscono come esperienza principe di illimpidimento, come risposta a un appello ineludibile, come momento di un cammino di verita'.
Per contrastare la guerra e le stragi, per opporsi a tutti i terrori e a tutte le violenze, con la forza della nonviolenza, con la responsabilita' dinanzi al volto altrui, con la solidarieta' che l'intero genere umano deve a ogni singolo essere umano.
Un digiuno: che possa essere anche per molte e molti occasione di un incontro con la nonviolenza, di fuoriuscita da complicita' ed ambiguita' scellerate, di riconoscimento di umanita'.
E consapevolezza, infine, che nessuna azione per la pace e la giustizia puo' avere buon esito se non e' condotta con mezzi e spirito di pace e di giustizia: nessuna azione per la pace serve a nulla, se non si fa la scelta della nonviolenza. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', l'umanita' di tutte e di tutti, l'umanita' di ciascuna e ciascuno.
20. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Erri De Luca, Le sante dello scandalo, Giuntina, Firenze 2011, pp. 64, euro 8,50.
*
Riletture
- Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli, Milano 1999, 2002, pp. 816.
21. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
22. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 615 del 13 luglio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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