Nonviolenza. Femminile plurale. 367



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 367 del 14 giugno 2011

 

In questo numero:

1. Associazione "Respirare": Con la forza della democrazia, con la forza della verita'

2. Una conferenza a Blera mercoledi' 15 giugno

3. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento

4. Contro la guerra una proposta agli enti locali

5. Hannah Arendt: Alcune considerazione su ideologia e totalitarismo

 

1. RIFLESSIONE. ASSOCIAZIONE "RESPIRARE": CON LA FORZA DELLA DEMOCRAZIA, CON LA FORZA DELLA VERITA'

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Con il risultato dei quattro referendum del 12-13 giugno 2011 il popolo italiano ha respinto alcune delle piu' scellerate decisioni governative degli ultimi anni.

Il popolo italiano ha respinto la criminale follia nucleare.

Il popolo italiano ha respinto la privatizzazione dell'acqua.

Il popolo italiano ha respinto la pretesa dei potenti di sottrarsi ai controlli di legalita'.

Con il voto referendario il popolo italiano ha difeso la biosfera casa comune dell'umanita' intera, ha difeso i beni comuni, ha difeso l'uguaglianza di ogni persona dinanzi alla legge, ha difeso i diritti umani di tutti gli esseri umani.

Con la forza della democrazia.

Con la forza della verita'.

Per l'umanita' intera.

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Coerentemente con questo pronunciamento si torni al rispetto integrale della Costituzione della Republica Italiana.

Cessi immediatamente la partecipazione italiana alle guerre terroriste e stragiste.

Cessi immediatamente la persecuzione razzista dei migranti.

Si adoperi l'Italia per la pace che salva le vite.

Si adoperi l'Italia perche' ad ogni essere umano sia riconosciuto il diritto alla vita.

Vi e' una sola umanita'. Vi e' una sola casa comune dell'umanita' intera.

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L'associazione "Respirare"

Viterbo, 14 giugno 2011

L'associazione "Respirare" e' stata promossa a Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto alla salute e la difesa dell'ambiente.

 

2. INCONTRI. UNA CONFERENZA A BLERA MERCOLEDI' 15 GIUGNO

[Dalle amiche e dagli amici della cooperativa "Il Vignale" di Blera (per contatti: tel. 3475988431 - 3478113696, e-mail: ilvignale at gmail.com) riceviamo e diffondiamo.

Alessandro Pizzi, docente di fisica e matematica, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza amministrativa sono diventati proverbiali, e' fortemente impegnato in campo educativo e nel volontariato, ha preso parte a molte iniziative di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i costruttori di pace"; ha promosso l'esperienza del corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte (istituto scolastico in cui ha lungamente insegnato); e' uno dei principali animatori del comitato che si oppone al mega-aeroporto a Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo; su sua iniziativa nel 2007 il congresso nazionale del Movimento Nonviolento ha approvato all'unanimita' una mozione per la riduzione del trasporto aereo. Sul tema del trasporto aereo, del suo impatto sugli ecosistemi locali e sull'ecosistema globale, e sui modelli di mobilita' in relazione ai modelli di sviluppo e ai diritti umani, ha tenuto rilevanti relazioni a vari convegni di studio; e rilevanti relazioni ha tenuto in vari convegni scientifici sui temi della sostenibilita' ambientale, delle scelte economiche ecocompatibili, dell'energia, della giustizia globale. Si veda anche una recente intervista in "Coi piedi per terra" n. 340]

 

Mercoledi' 15 giugno 2011, alle ore 17,30, presso la Biblioteca Comunale di Blera, in via Roma n. 61, la Cooperativa Agricola "Il Vignale" organizza una conferenza sul tema: "Ambiente, salute, energia: perche' rifiutare la follia nucleare".

Relatore il professor Alessandro Pizzi, docente di fisica e matematica, una delle figure piu' autorevoli dell'ambientalismo scientifico e delle buone pratiche amministrative nell'Alto Lazio.

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Cooperativa agricola "il Vignale"

per informazioni:  tel. 3475988431 - 3478113696: e-mail  ilvignale at gmail.com

Blera, 11 giugno 2011

 

3. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO

[Riproponiamo il seguente appello]

 

Giova ripetere le cose che e' giusto fare.

Tra le cose sicuramente ragionevoli e buone che una persona onesta che paga le tasse in Italia puo' fare, c'e' la scelta di destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.

"Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli". Cosi' recita la "carta programmatica" del movimento fondato da Aldo Capitini.

Sostenere il Movimento Nonviolento e' un modo semplice e chiaro, esplicito e netto, per opporsi alla guerra e al razzismo, per opporsi alle stragi e alle persecuzioni.

Per destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' sufficiente apporre la propria firma nell'apposito spazio del modulo per la dichiarazione dei redditi e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione: 93100500235.

Per contattare il Movimento Nonviolento, per saperne di piu' e contribuire ad esso anche in altri modi (ad esempio aderendovi): via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

4. INIZIATIVE. CONTRO LA GUERRA UNA PROPOSTA AGLI ENTI LOCALI

[Riproponiamo il seguente appello]

 

Proponiamo a tutte le persone amiche della nonviolenza di inviare al sindaco del Comune, al presidente della Provincia ed al presidente della Regione in cui si risiede, una lettera aperta (da diffondere quindi anche a tutti i membri del consiglio comunale, provinciale, regionale, ed ai mezzi d'informazione) con cui chiedere che l'assemblea dell'ente locale approvi una deliberazione recante il testo seguente o uno analogo.

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"Il Consiglio Comunale [Provinciale, Regionale] di ... ripudia la guerra, nemica dell'umanita'.

Il Consiglio Comunale [Provinciale, Regionale] di ... riconosce, rispetta e promuove la vita, la dignita' e i diritti di ogni essere umano.

Richiede al Governo e al Parlamento che cessi la partecipazione italiana alle guerre in corso.

Richiede al Governo e al Parlamento che si torni al rispetto della Costituzione della Repubblica Italiana.

Richiede al Governo e al Parlamento che l'Italia svolga una politica internazionale di pace con mezzi di pace, per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, per il riconoscimento e l'inveramento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

Solo la pace salva le vite".

 

5. MAESTRE. HANNAH ARENDT: ALCUNE CONSIDERAZIONI SU IDEOLOGIA E TOTALITARISMO

[Dal sito della Fondazione Roberto Franceschi (www.fondfranceschi.it) riprendiamo i seguenti estratti da Hannah Arendt, Il pensiero secondo. Pagine scelte, Bur-Rcs, Milano 1999, pp. 133-156 (sono brani ricavati da Le origini del totalitarismo).

Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005; Alois Prinz, Io, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1999, 2009. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

 

La pretesa scientifica

Le ideologie - "ismi" che, per la soddisfazione dei loro aderenti, possono spiegare ogni cosa e ogni avvenimento facendoli derivare da una singola premessa - sono un fenomeno molto recente e, per parecchi decenni, hanno avuto una parte trascurabile nella vita politica. Solo col senno di poi possiamo rintracciare in esse certi elementi che le hanno rese cosi' utili per il dominio totalitario, tanto che le loro grandi potenzialita' politiche non sono state scoperte prima di Hitler e Stalin.

Le ideologie sono note per il loro carattere scientifico: esse combinano l'approccio scientifico con risultati di rilevanza filosofica e pretendono di essere una filosofia scientifica. La parola "ideologia" sembra implicare che un'idea possa divenire materia di studio di una scienza, come gli animali lo sono per la zoologia, e che il suffisso -logia di ideologia, come in zoologia, non indichi altro che i logoi, le affermazioni scientifiche in proposito. Se cio' fosse vero, un'ideologia sarebbe in verita' una pseudoscienza e una pseudofilosofia, infrangendo al tempo stesso le limitazioni della scienza e quelle della filosofia. Il deismo, ad esempio, sarebbe l'ideologia che considera l'idea di Dio, di cui si occupa la filosofia nella maniera scientifica della teologia, per la quale Dio e' una realta' rivelata (una teologia che non si basasse sulla rivelazione come realta' data, e trattasse Dio come un'idea, non sarebbe meno folle di una zoologia non piu' sicura dell'esistenza fisica tangibile degli animali). Sappiamo pero' che questa e' soltanto una parte della verita'. Pur negando la rivelazione divina, il deismo non si limita a fare delle affermazioni "scientifiche" su un Dio che e' soltanto un'"idea", ma si serve dell'idea di Dio per spiegare il corso del mondo. Le "idee" degli ismi - la razza nel razzismo, Dio nel deismo ecc. - non costituiscono mai la materia delle ideologie e il suffisso -logia non indica mai semplicemente un insieme di affermazioni "scientifiche".

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La logica dell'idea

Un'ideologia e' letteralmente quello che sta a indicare: e' la logica di un'idea. La sua materia e' la storia, a cui l'"idea" e' applicata; il risultato di tale applicazione non e' un complesso di affermazioni su qualcosa che e', bensi' lo svolgimento di un processo che muta di continuo. L'ideologia tratta il corso degli avvenimenti come se seguisse la stessa "legge" dell'esposizione logica della sua "idea". Essa pretende di conoscere i misteri dell'intero processo storico - i segreti del passato, l'intrico del presente, le incertezze del futuro - in virtu' della logica inerente alla sua "idea".

Le ideologie non si interessano mai del miracolo dell'essere. Sono storiche, si occupano del divenire e del perire, dell'ascesa e del declino delle civilta', anche se cercano di spiegare la storia con qualche "legge di natura". La parola "razza" nel razzismo non denota una genuina curiosita' circa le razze umane come oggetto di esplorazione scientifica, ma e' l'"idea" mediante la quale il movimento della storia viene interpretato come un processo coerente.

L'"idea" di un'ideologia non e' l'eterna essenza di Platone, afferrata dagli occhi della mente, ne' il kantiano principio regolativo della ragione, ma e' diventata uno strumento di interpretazione. La storia non appare alla luce di un'idea (quindi sub specie di eternita' ideale al di la' del movimento storico), ma come qualcosa che puo' essere calcolato per mezzo di essa. Quel che adatta l'"idea" al nuovo ruolo e' la sua logica intrinseca, il processo che scaturisce da essa ed e' indipendente da qualsiasi fattore esterno. Il razzismo e' la convinzione che nel concetto di razza sia gia' contenuto un movimento; altrettanto dicasi del deismo per quanto concerne Dio.

Si suppone che il movimento della storia e il processo logico del concetto corrispondano l'uno all'altro, di modo che quanto avviene, avviene secondo la logica di un'idea. Tuttavia, l'unico movimento possibile nel regno della logica e' il processo di deduzione da una premessa. La logica dialettica, col suo procedere dalla tesi all'antitesi e poi alla sintesi, che a sua volta diventa la tesi del successivo movimento dialettico, non e' diversa in linea di principio, una volta che un'ideologia se ne impadronisca; la prima tesi diventa la premessa, e il vantaggio del congegno dialettico per la spiegazione ideologica e' che puo' giustificare le contraddizioni di fatto come stadi di un unico movimento coerente.

Appena la logica come movimento di pensiero - e non come suo necessario controllo - viene applicata a un'idea, questa si trasforma in una premessa. Le visioni ideologiche del mondo hanno compiuto questa operazione molto prima che diventasse cosi' fruttuosa per il ragionamento totalitario. La coercizione puramente negativa della logica, la messa al bando delle contraddizioni, diventava "produttiva", di modo che tutta una linea di pensiero poteva essere iniziata, e imposta alla mente, traendo conclusioni nella maniera della mera argomentazione. Questo processo argomentativo non poteva essere interrotto ne' da una nuova idea (che sarebbe stata un'altra premessa con una diversa serie di conseguenze) ne' da una nuova esperienza.

Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento della premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunche' dato che tutto e' compreso in questo processo coerente di deduzione logica. Il pericolo inerente al passaggio dall'inevitabile insicurezza del pensiero filosofico alla spiegazione totale di un'ideologia e della sua Weltanschauung non consiste tanto nel lasciarsi irretire da un'ipotesi spesso volgare, ma sempre acritica, quanto nell'abbandonare la liberta' implicita nella capacita' di pensare per la camicia di forza della logica, mediante la quale l'uomo puo' farsi violenza quasi con la stessa brutalita' usata da una forza esterna.

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L'ideologia e' impermeabile all'esperienza

Le Weltanschauungen del XIX secolo non erano di per se' totalitarie. E il razzismo e il comunismo non lo erano in linea di massima piu' delle altre; se sono diventati le ideologie determinanti del XX secolo, e' stato perche' gli elementi dell'esperienza su cui erano originariamente basati (la lotta fra le razze per il dominio del mondo, la lotta fra le classi per il potere nei vari paesi) si sono rivelati politicamente piu' importanti di quelli delle altre ideologie. In tal senso, la vittoria ideologica del razzismo e del comunismo su tutti gli altri ismi e' stata decisa prima che i movimenti totalitari se ne impadronissero. D'altronde, benche' tutte le ideologie contengano elementi totalitari, questi sono pienamente sviluppati soltanto da tali movimenti, e cio' suscita l'impressione erronea che solo il razzismo e il comunismo abbiano un carattere totalitario. La verita' e' piuttosto che la natura di ogni ideologia si e' rivelata esclusivamente nel ruolo da essa svolto nell'apparato del totalitarismo. A tale riguardo si notano tre elementi specificamente totalitari che sono comuni a qualsiasi tipo di pensiero ideologico.

Anzitutto, nella loro pretesa di spiegazione totale, le ideologie hanno la tendenza a spiegare non quel che e', ma quel che diviene, quel che nasce e muore. Esse si occupano in ogni caso soltanto dell'elemento di movimento, cioe' della storia nel senso usuale della parola. Sono sempre orientate verso la storia anche quando, come nel caso del razzismo, partono dalla premessa della natura; questa serve semplicemente a spiegare i fatti storici riducendoli a fatti naturali. Ci si ripromette di far luce su tutti gli avvenimenti storici, di ottenere una spiegazione totale del passato, una completa valutazione del presente, un'attendibile previsione del futuro.

In secondo luogo, il pensiero ideologico diventa indipendente da ogni esperienza, che non puo' comunicargli nulla di nuovo neppure se si tratta di un fatto appena accaduto. Emancipandosi cosi' dalla realta' percepita coi cinque sensi, esso insiste su una realta' "piu' vera", che e' nascosta dietro le cose percettibili, dominandole tutte, e che si avverte soltanto disponendo di un sesto senso. Questo e' fornito appunto dall'ideologia, da quel particolare indottrinamento che viene impartito negli istituti appositamente creati per l'educazione di "soldati politici", nelle Ordensburgen naziste o nelle scuole del Comintern e del Cominform. Anche la propaganda del movimento totalitario serve a staccare il pensiero dall'esperienza e dalla realta', sforzandosi sempre di attribuire un significato segreto a ogni avvenimento pubblico e un intento cospirativo a ogni atto politico. Una volta giunto al potere, il movimento procede a mutare la realta' secondo i suoi postulati ideologici. Il concetto di inimicizia viene sostituito da quello di congiura, e cio' produce una mentalita' che spinge a sospettare sempre qualcosa di diverso dietro l'esperienza del reale, dietro la realta' dell'inimicizia o dell'amicizia.

In terzo luogo, poiche' non hanno alcun potere di trasformare la realta', le ideologie ottengono tale emancipazione del pensiero dall'esperienza ricorrendo a certi metodi di dimostrazione. Esse ordinano i fatti in un meccanismo assolutamente logico che parte da una premessa accettata in modo assiologico, deducendone ogni altra cosa; procedendo cosi' con una coerenza che non esiste affatto nel regno della realta'. La deduzione puo' avvenire logicamente o dialetticamente; in entrambi i casi comporta un'argomentazione uniforme che, in quanto pensiero in termini di processo, dovrebbe essere in grado di comprendere il movimento dei processi sovrumani, naturali o storici. La comprensione ha luogo perche' l'intelletto imita, logicamente o dialetticamente, le leggi dei movimenti "scientificamente" accertati e con l'imitazione si inserisce in essi.

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La premessa dell'ideologia

Tale argomentazione, che e' sempre una specie di deduzione logica, si adegua perfettamente agli altri due elementi delle ideologie - quello del movimento e quello dell'emancipazione dalla realta' e dall'esperienza - perche' il suo movimento di pensiero non deriva dall'esperienza, ma si genera da se', e poggia su un unico punto tratto dalla realta' sperimentata e trasformato in una premessa assiomatica, rimanendo nel suo sviluppo completamente immune da qualsiasi esperienza ulteriore. Una volta stabilita la premessa, il punto di partenza, il pensiero ideologico rifiuta gli insegnamenti della realta'.

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La freddezza del ragionamento

Il metodo usato dai dittatori totalitari per trasformare le rispettive ideologie in armi con cui costringere ciascuno dei sudditi a mettersi al passo col movimento del terrore era poco appariscente. L'uno si vantava della "freddezza glaciale del ragionamento" (Hitler), l'altro dell'"inesorabilita' della sua dialettica", e spingevano le implicazioni a estremi di coerenza logica che, all'osservatore, apparivano ridicolmente "primitivi" e assurdi: una "classe in via di estinzione" consisteva di gente condannata a morte; le razze "inadatte a vivere" venivano sterminate. Chi ammetteva che esistevano "classi in via di estinzione" senza trarre da tale fatto la conseguenza dell'uccisione dei loro membri, o riconosceva che il diritto alla vita era legato alla razza senza trarre la conseguenza dell'eliminazione delle "razze inadatte", era semplicemente o uno stupido o un codardo.

Questa logicita' stringente, in quanto guida dell'azione, permea l'intera struttura dei movimenti e dei regimi totalitari. E' stata esclusivamente opera di Hitler e di Stalin che, pur non avendo aggiunto una sola idea nuova al bagaglio teorico e propagandistico dei loro movimenti, devono esser considerati per questa ragione ideologi della massima importanza.

A differenza dei loro predecessori, essi non erano piu' attratti principalmente dal contenuto originario dell'ideologia - la lotta di classe e lo sfruttamento degli operai, o il conflitto delle razze e la difesa dei popoli germanici - bensi' dal processo logico che da esso si poteva sviluppare. Secondo Stalin, ne' l'idea ne' l'oratoria, ma "l'irresistibile forza della logica soggiogava completamente l'uditorio" di Lenin.

Il potere che, secondo Marx, l'idea assumeva conquistando le masse veniva ora attribuito, non gia' all'idea stessa, bensi' al suo processo logico che, "al pari di un poderoso tentacolo, vi afferra da tutte le parti come in una morsa e dalla cui stretta siete impotenti a liberarvi; dovete arrendervi o rassegnarvi a una completa disfatta" (Discorso di Stalin del 28 gennaio 1924 - citato da Lenin, Selected Works, Mosca 1947, I, p. 33. E' interessante notare che la "logica" di Stalin e' fra le poche qualita' elogiate da Chruscev nel suo discorso demolitore al XX congresso). Solo quando era in gioco la realizzazione degli obiettivi ideologici, la societa' senza classi o la razza dominatrice, la sostanza originaria su cui le ideologie si basavano finche' dovevano rivolgersi alle masse - lo sfruttamento dei lavoratori o le aspirazioni nazionali della Germania - andava gradualmente perduta, distrutta, per cosi' dire, dal processo stesso. In conformita' alla "freddezza glaciale del ragionamento" e all'"irresistibile forza della logica", gli operai russi perdevano sotto il regime staliniano persino quei diritti che avevano strappato all'oppressione zarista e il popolo tedesco subiva uno stato di guerra permanente che non si curava affatto della sua sopravvivenza. E' nella natura della politica ideologica - e non un semplice tradimento commesso per interesse personale o smania di potere - che il vero contenuto dell'ideologia (la classe operaia o i popoli germanici), originariamente alla base dell'"idea" (la lotta di classe come legge della storia o la lotta delle razze come legge della natura), venga distrutto dalla logica con cui tale "idea" e' attuata.

La preparazione delle vittime e degli esecutori, che il regime totalitario richiede al posto del principio d'azione di Montesquieu, non e' l'ideologia stessa - il razzismo o il materialismo dialettico - ma la sua logicita' intrinseca.

L'argomento piu' persuasivo a tale riguardo, e caro a Hitler come a Stalin, era: non si puo' dire A senza dire B e C e cosi' via, sino alla fine dell'alfabeto. La forza coercitiva della logicita' sembra avere qui la sua fonte; deriva dal nostro timore di contraddirci. Le epurazioni staliniane riuscivano a ottenere dalle vittime la confessione di crimini che non avevano mai commesso facendo leva principalmente su tale timore e sul seguente ragionamento: siamo tutti d'accordo sulla premessa che la storia e' lotta di classe e sul ruolo del partito nella sua condotta. Tu sai bene percio' che, storicamente parlando, il partito ha sempre ragione (nelle parole di Trockij: "Si puo' aver ragione soltanto con e nel partito, perche' la storia non ha provveduto altro modo per essere nel giusto"). In conformita' al processo storico oggettivo il partito deve ora punire determinati crimini, che devono inevitabilmente avvenire in questo momento. Per questi crimini il partito ha bisogno di responsabili; puo' darsi che esso, pur conoscendo i crimini, non conosca assolutamente i colpevoli. Piu' importante dell'identita' di questi e', comunque, la punizione dei crimini, perche' senza di essa la storia, anziche' avanzare, sara' forse ostacolata nel suo corso. Quindi, o hai commesso i crimini o sei stato chiamato dal partito a fare la parte del criminale: in ogni caso sei diventato oggettivamente nemico del partito. Se non confessi, cessi di aiutare la storia tramite il partito e sei un nemico vero.

La forza del ragionamento sta in questa prospettiva: se rifiuti, contraddici te stesso e, con tale contraddizione, privi di ogni senso la tua vita.

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La tirannia della logicita' e la liberta'

Per la limitata mobilitazione popolare, di cui pure essi hanno ancora bisogno, i regimi totalitari contano sulla coercizione con cui ci facciamo violenza nel timore di perderci nelle contraddizioni. Questa coercizione interiore e' la tirannia della logicita', alla quale non si oppone altro che la grande capacita' umana di dare inizio a qualcosa di nuovo. La tirannia della logicita' comincia con la sottomissione della mente alla logica come processo senza fine, su cui l'uomo si basa per produrre le sue idee. Con tale sottomissione egli rinuncia alla sua liberta' interiore (come rinuncia alla sua liberta' di movimento quando si inchina a una tirannia esterna). La liberta' in quanto intima capacita' umana si identifica con la capacita' di cominciare, come la liberta' in quanto realta' politica si identifica con uno spazio di movimento fra gli uomini. Sull'inizio nessuna logica, nessuna deduzione cogente ha alcun potere, perche' la sua catena presuppone l'inizio, sotto forma di premessa. Come il ferreo vincolo del terrore e' inteso a impedire che, con la nascita di ogni nuovo essere umano, un nuovo inizio prenda vita e levi la sua voce nel mondo, cosi' la forza autocostrittiva della logicita' e' mobilitata affinche' nessuno cominci a pensare, un'attivita' che, essendo la piu' libera e pura fra quelle umane, e' l'esatto opposto del processo coercitivo della deduzione.

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La perdita delle relazioni costitutive

Il regime totalitario puo' esser sicuro solo nella misura in cui riesce a mobilitare la forza di volonta' dell'uomo per inserirlo in quel gigantesco movimento della storia o della natura che usa l'umanita' come suo materiale e non conosce ne' nascita ne' morte. La coercizione del terrore totale, che irreggimenta le masse di individui isolati e le sostiene in un mondo che per esse e' diventato un deserto, e la forza autocostrittiva della deduzione logica, che prepara ciascun individuo nel suo isolamento contro tutti gli altri, si completano a vicenda per far marciare il movimento. Come il terrore, anche nella sua forza pretotale, semplicemente tirannica, distrugge tutti i legami fra gli uomini, cosi' l'autocostrizione del pensiero ideologico distrugge tutti i legami con la realta'. La preparazione e' giunta a buon punto quando gli individui hanno perso il contatto coi loro simili e con la realta' che li circonda; perche', insieme con questo contatto, gli individui perdono la capacita' di esperienza e di pensiero. Il suddito ideale del regime totalitario non e' il nazista convinto o il comunista convinto, ma l'individuo per il quale la distinzione fra realta' e finzione, fra vero e falso, non esiste piu'.

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L'isolamento dell'io

Ritorniamo ora a un problema sollevato all'inizio di queste considerazioni: quale esperienza di base, nella convivenza umana, permea una forma di governo che ha la sua essenza nel terrore e il suo principio d'azione nella logicita' del pensiero ideologico? E' evidente che una simile combinazione non e' mai stata usata prima nelle varie forme di dominio politico, e che l'esperienza su cui essa si fonda deve essere umana e nota agli uomini, in quanto anche questo, che e' il piu' "originale" dei corpi politici, e' stato inventato dagli uomini e in qualche modo risponde ai loro bisogni.

Si e' spesso osservato che il terrore puo' imperare con assolutezza solo su individui isolati l'uno dall'altro e che quindi una delle prime preoccupazioni di ogni regime tirannico e' quella di creare tale isolamento. L'isolamento puo' essere l'inizio del terrore; ne e' certamente il terreno piu' fertile; ne e' sempre il risultato. Esso e', per cosi' dire, pretotalitario; la sua caratteristica e' l'impotenza, in quanto il potere deriva sempre da uomini che operano insieme, che "agiscono di concerto" (Burke); gli individui isolati sono impotenti per definizione.

L'isolamento e l'impotenza, cioe' la fondamentale incapacita' di agire, sono sempre stati tipici delle tirannidi. In queste, i contatti politici fra gli individui sono spezzati e le capacita' di azione e di potere frustrate. Ma non tutti i contatti sono interrotti, non tutte le capacita' umane distrutte. L'intera sfera della vita privata con le capacita' di esperienza, creazione e pensiero rimane intatta. Sappiamo ora che il ferreo vincolo del terrore totale non lascia alcuno spazio per tale sfera e che l'autocostrizione della logica totalitaria distrugge la capacita' umana di esperienza e di pensiero, oltre che quella di azione.

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L'estraniazione

Quel che si chiama isolamento nella sfera politica prende il nome di estraniazione nella sfera dei rapporti sociali. L'isolamento e l'estraniazione non sono la stessa cosa. Posso essere isolato - cioe' in una situazione in cui non posso agire perche' non c'e' nessuno disposto ad agire con me - senza essere estraniato; e posso essere estraniato - cioe' in una situazione in cui come persona mi sento abbandonato dal consorzio umano - senza essere isolato.

L'isolamento e' quel vicolo cieco in cui gli uomini si trovano spinti quando viene distrutta la sfera politica della loro vita, la sfera in cui essi operano insieme nel perseguimento di un interesse comune.

Ma, per quanto lesivo del potere e della capacita' di azione, esso lascia intatte le attivita' creative e, anzi, risponde a una loro esigenza. L'uomo, in quanto e' homo faber, tende a isolarsi con la sua opera, a lasciare temporaneamente il regno della politica. A differenza dell'azione (praxis) e della fatica bruta, la creazione (poiesis, la fabbricazione delle cose) viene sempre compiuta in un certo isolamento dalle faccende comuni, a prescindere dal fatto che ne risulti un pezzo artigianale o un'opera d'arte.

Nell'isolamento l'uomo rimane in contatto col mondo come artificio umano; solo quando viene distrutta la forma piu' eloquente di creativita', la capacita' di aggiungere qualcosa di proprio al mondo comune, l'isolamento diventa insopportabile. Cio' puo' avvenire in un mondo dove i principali valori sono dettati dalla fatica, dove tutte le attivita' umane sono state trasformate in fatica. In tali condizioni non rimane altro che lo sforzo bruto, compiuto per mantenersi in vita, dato che sono rotti i rapporti col mondo come artificio umano. L'individuo isolato, che ha perso il suo posto nel regno politico dell'azione, e' abbandonato anche dal mondo delle cose se e' considerato, non piu' un homo faber, ma un animal laborans il cui necessario "metabolismo con la natura" non interessa piu' nessuno. L'isolamento diventa allora estraniazione. La tirannide basata sull'isolamento lascia generalmente intatte le capacita' creative dell'uomo; ma la tirannide imposta a "uomini di fatica", ad esempio a un popolo di schiavi nell'antichita', diviene automaticamente un dominio esercitato su individui estraniati, oltre che isolati, e tende a essere totalitaria.

Mentre l'isolamento concerne solo l'aspetto politico della vita, l'estraniazione concerne la vita umana nel suo insieme. Il regime totalitario, al pari di ogni tirannide, non puo' certo esistere senza distruggere con l'isolamento le capacita' politiche degli uomini. Ma esso, come forma di governo, e' nuovo in quanto, lungi dall'accontentarsi dell'isolamento, distrugge anche la vita privata. Si basa sull'estraniazione, sul senso di non appartenenza al mondo, che e' fra le piu' radicali e disperate esperienze umane.

L'estraniazione, che e' il terreno comune del terrore, l'essenza del regime totalitario e, per l'ideologia, la preparazione degli esecutori e delle vittime, e' strettamente connessa allo sradicamento e alla superfluita' che, dopo essere stati la maledizione delle masse moderne fin dall'inizio della rivoluzione industriale, si sono aggravati col sorgere dell'imperialismo alla fine del secolo scorso e con lo sfacelo delle istituzioni politiche e delle tradizioni sociali della nostra epoca. Essere sradicati significa non avere un posto riconosciuto e garantito dagli altri; essere superflui significa non appartenere al mondo. Lo sradicamento puo' essere la condizione preliminare della superfluita', come l'isolamento puo' esserlo dell'estraniazione. Presa in se', prescindendo dalle sue recenti cause storiche e dal suo nuovo ruolo politico, l'estraniazione e' allo stesso tempo contraria alle esigenze fondamentali della condizione umana e una delle esperienze basilari della vita di ognuno. Persino l'esperienza del mondo materiale dipende dal nostro contatto con gli altri uomini, dal nostro senso comune che regola e controlla tutti gli altri sensi e senza il quale ognuno di noi resterebbe rinchiuso nella sua particolarita' di dati sensibili, di per se' inattendibili e ingannevoli. Solo perche' abbiamo il senso comune, cioe' solo perche' gli uomini, e non un uomo solo, abitano la terra, possiamo fidarci dell'esperienza immediata dei nostri sensi. Eppure, basta ricordare che un giorno dovremo lasciare questo mondo comune, che andra' avanti come prima e per la cui continuita' siamo superflui, per rendersi conto dell'estraniazione, del senso di abbandono da parte di tutto e di tutti.

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Estraniazione e solitudine

L'estraniazione non e' solitudine. La solitudine richiede che si sia soli, mentre l'estraniazione si fa sentire piu' acutamente in compagnia di altri. A parte alcune osservazioni di sfuggita - usualmente formulate in tono paradossale, come la frase di Catone (riferita da Cicerone, De republica I, 17): "mai ero meno solo di quando ero solo" o, meglio, "mai era meno estraniato di quando si trovava in solitudine" - sembra che Epitteto, lo schiavo filosofo di origine greca, sia stato il primo a distinguere tra estraniamento e solitudine. La sua scoperta fu in un certo senso accidentale, dato che il suo interesse era rivolto principalmente non alla solitudine o all'estraniazione, bensi' all'essere da solo (monos) nel senso dell'indipendenza assoluta. Stando a Epitteto (Dissertationes 3, 13), l'uomo estraniato (eremos) si trova circondato da altri con cui non puo' stabilire un contatto o alla cui ostilita' e' esposto. L'uomo solitario, invece, "puo' essere insieme con se stesso", perche' gli uomini hanno la capacita' di "parlare con se stessi". Nella solitudine, in altre parole, sono con me stesso, e percio' "due-in-uno", mentre nell'estraniazione sono effettivamente uno, abbandonato da tutti. La riflessione, in senso stretto, si svolge in solitudine ed e' un dialogo fra me e me; ma questo dialogo del "due-in-uno" non perde il contatto col mondo dei suoi simili, perche' essi sono rappresentati nell'io con cui conduco il dialogo del pensiero. Il problema della solitudine e' che questo "due-in-uno" ha bisogno degli altri per ridiventare uno: un individuo non scambiabile, la cui identita' non puo' mai essere confusa con quella altrui. Per la conferma della mia identita' io dipendo interamente dagli altri; ed e' la grande grazia della compagnia che fa del solitario un "tutto intero", salvandolo dal dialogo della riflessione in cui si rimane sempre equivoci, e ridandogli l'identita' che gli consente di parlare con l'unica voce di una persona non scambiabile.

La solitudine puo' diventare estraniazione; cio' avviene quando, chiuso completamente in me stesso, sono abbandonato dal mio io. I solitari corrono sempre il pericolo dell'estraniazione, quando non possono piu' trovare la grazia redimente della compagnia che li salva dalla dualita', dall'equivocita', dal dubbio. Storicamente e' come se soltanto nel XIX secolo questo pericolo fosse tanto aumentato da farsi notare. Esso e' venuto in piena luce quando i filosofi, per i quali soltanto la solitudine e' un modo di vita e una condizione di lavoro, non si sono piu' accontentati del fatto che "la filosofia e' solo per pochi" e hanno cominciato a ripetere che nessuno li comprendeva. Caratteristico a tale riguardo e' l'aneddoto che riporta le parole di Hegel sul letto di morte, parole che non si sarebbero potute mettere in bocca a nessun grande filosofo prima di lui: "Nessuno mi ha compreso tranne uno; e anche lui mi ha frainteso". Per contro, c'e' sempre la possibilita' che un uomo estraniato ritrovi se stesso e cominci il dialogo della solitudine. Cio' capita, sembra, a Nietzsche, a Sils Maria, quando concepi' Zarathustra. In due poesie ("Sils Maria" e "Aus hohen Bergen") egli parla della vuota attesa e dell'ansia dell'abbandonato, finche' d'improvviso "um Mittag war's, da wurde Eins zu Zwei... / Nun feiern wir, vereinten Siegs gewiss, / das Fest der Feste; / Freund Zarathustra kam, der Gast der Gaeste!" (Era mezzogiorno quando Uno divenne Due... Ed ora celebriamo, certi della vittoria unita, la festa delle feste; venne l'amico Zarathustra, l'ospite degli ospiti!).

Quel che rende l'estraniazione cosi' insopportabile e' la perdita del proprio io, che puo' essere realizzato nella solitudine, ma confermato nella sua identita' soltanto dalla compagnia fidata e fiduciosa dei propri simili. In tale situazione l'uomo perde la fede in se stesso come partner dei suoi pensieri e quella fiducia elementare nel mondo che e' necessaria per fare delle esperienze. Io e mondo, capacita' di pensiero ed esperienza vengono perduti nello stesso momento.

L'unica capacita' della mente umana che non ha bisogno dell'io, dell'altro o del mondo per funzionare e che e' indipendente dall'esperienza come dalla riflessione e' il ragionamento logico che ha la sua premessa nell'evidente. Le norme elementari dell'evidenza cogente, la tautologia della proposizione "due piu' due fanno quattro", non possono essere snaturate neppure in condizioni di assoluta estraniazione. E' l'unica "verita'" sicura su cui gli esseri umani possono ripiegare una volta persa la reciproca garanzia, il senso comune, di cui hanno bisogno per fare esperienza, vivere e conoscere la loro via in un mondo comune. Ma questa verita' e' vuota o, meglio, non e' affatto verita', perche' non rivela alcunche'. (Definire la coerenza come verita', alla maniera di certi logici moderni, significa negare l'esistenza della verita'). Nell'estraniazione l'evidente non e' piu' quindi un semplice mezzo dell'intelletto e comincia a essere produttivo, a sviluppare proprie linee di "pensiero". Che i processi mentali caratterizzati da una rigorosa logicita' evidente, da cui non c'e' manifestamente via di scampo, abbiano qualche attinenza con l'estraniazione, e' stato gia' osservato da Lutero (che non era probabilmente secondo a nessuno in fatto di esperienza nei fenomeni della solitudine e dell'estraniazione, e una volta ha osato affermare che "ci deve essere un Dio perche' l'uomo ha bisogno di un essere in cui confidare") in una nota poco conosciuta al passo della Bibbia in cui si dice che non e' bene che l'uomo sia solo. Un uomo estraniato, osserva Lutero, "deduce sempre una cosa dall'altra e pensa tutto per il peggio" ("Warum die Einsamkeit zu fliehen?", in Erbauliche Schriften).

L'estremismo dei movimenti totalitari, lungi dall'aver qualcosa a che fare col vero radicalismo, consiste in effetti in questo pensare "tutto per il peggio", in questo processo deduttivo che giunge sempre alle peggiori conclusioni possibili.

Quel che prepara cosi' bene gli uomini moderni al dominio totalitario e' l'estraniazione che da esperienza limite, usualmente subita in certe condizioni sociali marginali come la vecchiaia, e' diventata un'esperienza quotidiana delle masse crescenti del nostro secolo. L'inesorabile processo in cui il totalitarismo inserisce le masse da esso organizzate appare come un'evasione suicida da questa realta'. La "freddezza glaciale del ragionamento" e il "poderoso tentacolo" della dialettica che "vi afferra come in una morsa" si presentano come l'ultimo punto d'appoggio in un mondo dove non ci si puo' fidare di niente e di nessuno. E' l'intima coercizione, il cui unico contenuto consiste nell'evitare rigorosamente le contraddizioni, che sembra confermare l'identita' di un uomo al di fuori di ogni rapporto con altri. Essa lo adatta al ferreo vincolo del terrore anche quando e' solo, e il dominio totalitario non prova mai a lasciarlo solo tranne nella situazione estrema della reclusione cellulare. Distruggendo ogni spazio fra gli individui, comprimendoli l'uno con l'altro, si annientano anche le potenzialita' creative dell'isolamento; insegnando ed esaltando il ragionamento logico dell'estraniazione, in cui l'uomo sa di essere completamente perduto se lascia andare la prima premessa da cui prende l'avvio l'intero processo, si eliminano le già scarse probabilita' di una trasformazione dell'estraniazione in solitudine e della logica in pensiero. Se si confronta questa pratica con quella della tirannide, si ha l'impressione che si sia trovato il modo di mettere in moto il deserto, di scatenare una tempesta di sabbia capace di coprire ogni parte della terra abitata.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 367 del 14 giugno 2011

 

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