Telegrammi. 564
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- Date: Mon, 23 May 2011 00:29:24 +0200 (CEST)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 564 del 23 maggio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Movimento Nonviolento: Cinquantottesimo giorno di digiuno nonviolento collettivo a staffetta per opporsi alla guerra e al nucleare
2. Si e' svolto il 22 maggio a Viterbo un incontro di formazione nonviolenta
3. Alcuni estratti da "Finanzcapitalismo" di Luciano Gallino (parte seconda e conclusiva)
4. Per sostenere il Movimento Nonviolento
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. INIZIATIVE. MOVIMENTO NONVIOLENTO: CINQUANTOTTESIMO GIORNO DI DIGIUNO NONVIOLENTO COLLETTIVO A STAFFETTA PER OPPORSI ALLA GUERRA E AL NUCLEARE
[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]
Sono oltre 150 le amiche e gli amici della nonviolenza che hanno finora aderito al digiuno promosso dal Movimento Nonviolento "per opporsi alla guerra e al nucleare".
Questa iniziativa nonviolenta prosegue dal 27 marzo scorso, e nuovi aderenti hanno gia' annunciato la loro partecipazione almeno fino a lunedi' 30 maggio. Ma altri ancora si stanno aggiungendo, e si proseguira' oltre. Si digiuna in ogni parte d'Italia, da Trieste a Palermo, da Torino a Venezia, da Verona a Bari.
La nonviolenza e' contagiosa; abbiamo iniziato con un digiuno di 48 ore, che sta proseguendo da 58 giorni.
Chi desidera aderire al digiuno lo puo' comunicare a: azionenonviolenta at sis.it (indicare nome, cognome, citta', giorno o giorni di digiuno).
2. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 22 MAGGIO A VITERBO UN INCONTRO DI FORMAZIONE NONVIOLENTA
[Riceviamo e diffondiamo]
Domenica 22 maggio 2011 presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo si e' svolto un nuovo incontro del percorso di formazione e informazione nonviolenta che prosegue settimanalmente dal 2009.
La prima parte dell'incontro e' stata dedicata alla prosecuzione dell'analisi di recenti gravi episodi di violenza a Viterbo e del fenomeno del neofascismo in aree giovanili; temi su cui e' necessario promuovere una adeguata presa di coscienza e un adeguato impegno nonviolento.
Nella seconda parte dell'incontro e' stata ancora una volta espressa la piu' decisa opposizione alla guerra e al razzismo, ed e' stato ancora una volta espresso l'impegno a promuovere ulteriori incontri e iniziative per la pace e i diritti umani di tutti gli esseri umani.
La terza parte dell'incontro e' stata dedicata al sostegno ai referendum, analizzando con preoccupazione la situazione attuale e rinnovando l'impegno a promuovere ulteriori iniziative di informazione e sensibilizzazione per il si' a tutti i quesiti referendari, contro il nucleare, per l'acqua bene comune e diritto umano, per la legalita' costituzionale contro il golpe berlusconiano.
La quarta e principale parte dell'incontro - protrattasi per alcune ore - e' stata dedicata alla lettura di testi di Ryszard Kapuscinski e di Amos Oz, ed alle riflessioni che ne sono scaturite.
Nel corso dell'incontro si e' riflettuto anche sull'andamento di alcune iniziative in corso, e particolarmente di quella per il diritto allo studio avviata da tempo; e sono state anche annunciate alcune prossime iniziative di studio e in difesa della biosfera e del diritto alla salute.
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Le persone partecipanti all'incontro
Viterbo, 22 maggio 2011
3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "FINANZCAPITALISMO" DI LUCIANO GALLINO (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, La civilta' del denaro in crisi, Einaudi, Torino 2011]
Da pagina 133
Capitolo sesto
Come opera la mega-macchina del finanzcapitalismo
Modi di operare del finanzcapitalismo: una sintesi.
Al di la' delle componenti strutturali richiamate sin dal primo capitolo - il sistema bancocentrico, la finanza ombra e gli investitori istituzionali -, il sistema economico e finanziario del finanzcapitalismo, la sua mega-macchina, differisce profondamente da quello del capitalismo industriale anche per via di una serie di modi di operare. Vediamo in breve i piu' rilevanti.
Primo modo di operare. Contrariamente a quanto si suole affermare, i mercati borsistici ed extra-borsistici non contribuiscono affatto in misura significativa al finanziamento dell'investimento produttivo mediante l'emissione di azioni nuove. In Usa, nel periodo della maggior espansione borsistica di tutti i tempi, 1982-2000, le emissioni nette di azioni sono state negative. Ad onta dell'ipersviluppo dei mercati finanziari, al presente le imprese si finanziano in prevalenza per mezzo di diversi strumenti sul mercato del credito e dell'autofinanziamento, ossia trattenendo per se' i profitti. Il "capitalismo dei mercati finanziari" genera soprattutto l'accumulazione di capitale entro se stesso. E' per questa via che e' giunto ad assumere un peso dominante sull'economia mondiale.
Secondo modo di operare. Sono state create e diffuse con eccezionale rapidita' immense quantita' di titoli "compositi", "strutturati" o "sintetici" che non hanno nulla a che fare con le azioni, le obbligazioni e nemmeno i derivati di tipo tradizionale. Sono derivati di un genere interamente nuovo, che equivale per molti aspetti alla creazione di denaro di cui si parlera' piu' avanti. Con la loro proliferazione incontrollata il mercato mondiale dei titoli finanziari ha subito una trasformazione radicale, sia per le dimensioni che per le modalita' di funzionamento. Secondo dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, il mercato ovvero il volume degli scambi degli strumenti derivati ammontava globalmente, nel 2008, a 1285 trilioni di dollari, o se si preferisce a 1,3 quadrilioni, con un balzo del 600 per cento rispetto a dieci anni prima. Questa somma equivaleva a 21,4 volte il Pil mondiale dell'anno, che era di 60 trilioni. Basta questo dato a comprovare per un verso la completa separazione funzionale e strutturale dell'economia finanziaria dall'economia reale, per un altro il dominio schiacciante acquisito dalla prima sulla seconda.
Terzo modo di operare. Le maggiori banche hanno notevolmente ridotto l'incidenza dei prestiti alle imprese sui propri attivi per dedicarsi ad altre attivita', con preferenza per quelle fuori bilancio. Nei soli Stati Uniti, gli attivi formati da prestiti commerciali e industriali delle 18 maggiori banche sono scesi dal 20,6 per cento sul totale nel 1992 al 10,9 nel 2008. Questo dato trova puntuale riscontro nella quota dei prestiti sul totale del ricorso a strumenti creditizi da parte delle imprese, scesa dal 26 per cento nel 1985 al 10 per cento circa nel 2005. In pari tempo le banche hanno accresciuto di oltre sei volte il reddito totale dovuto ad attivita' non registrate in bilancio; reddito composto da commissioni, plusvalenze del commercio di titoli, margini ritagliati da operazioni di fusioni e acquisizioni di imprese e altro. Per l'insieme delle banche, il reddito da attivita' fuori bilancio non costituito da interessi e' pertanto salito dal 7 per cento del 1980 al 44 per cento del 2007. In sostanza, nel nuovo sistema finanziario le banche hanno rinunciato in gran parte alla loro basilare funzione di prestiti a imprese e famiglie per concentrarsi invece sul commercio di titoli e divise e sulla speculazione condotti sia in proprio, sia per conto di imprese e detentori di grandi patrimoni. L'insieme di queste attivita' ha consentito alle banche di operare con un sempre piu' elevato effetto leva, che come sappiamo e' il rapporto tra capitale proprio e capitale mobilizzato per compiere determinate operazioni, in genere senza che la leva sia pubblicamente visibile.
Quarto modo di operare. Si e' verificata in appena una ventina d'anni una massiccia concentrazione di capitale in pochi grandi gruppi, sia nel settore bancario che nella gestione del risparmio privato. [...]
Quinto modo di operare. In forza dei capitali gestiti e dell'alto grado di concentrazione finanziaria, in appena una ventina d'anni, dal 1990 in poi, gli investitori istituzionali sono diventati una potenza economica capace di influenzare in modo determinante il governo delle imprese. [...]
Sesto modo di operare. La concorrenza degli investitori istituzionali per catturare la maggior quota possibile del risparmio privato ha spinto le banche a creare esse stesse grandi famiglie di fondi di investimento. [...]
Settimo modo di operare. Nell'economia del finanzcapitalismo le grandi imprese subiscono, per un verso, la pressione degli investitori istituzionali, i quali come si ricordava sopra richiedono alle imprese di cui detengono azioni un rendimento sul capitale dell'ordine del 15 per cento - il famoso Roe, Return on equity - anche quando l'economia cresce a un tasso cinque o sei volte inferiore. Per un altro verso esse debbono far fronte al fatto che le operazioni finanziarie rendono assai piu' che non le attivita' produttive. [...]
Ottavo modo di operare. Si calcola che almeno l'80 per cento dei 110-120 trilioni di dollari di azioni scambiati annualmente sulle borse mondiali, per tacere dei derivati scambiati in via breve tra privati (gli Otc), nonche' del traffico monetario, perseguano unicamente finalita' speculative. [...]
Nono modo di operare. Il predominio sui mercati finanziari dell'attivita' speculativa a brevissimo termine, e con maggior ragione nel caso del commercio automatizzato di titoli, ha accresciuto in misura sostanziale la irresponsabilita' sociale degli investimenti. [...]
Decimo modo di operare. In forza dei suddetti modi di operare, il sistema finanziario del finanzcapitalismo ha fatto grandemente salire il rapporto tra il debito interno totale dei paesi sviluppati e il Pil. Si constata infatti che verso il 1980 il debito complessivo di enti finanziari, settore privato non finanziario, amministrazione pubblica e famiglie nella maggior parte dei paesi sviluppati equivaleva a circa il 150 per cento del Pil. Nel 2007 ha toccato in essi quota 250, e quota 350 negli Stati Uniti. [...]
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Da pagina 252
Capitolo decimo
Riforme finanziarie che i cittadini dovrebbero richiedere
L'architettura del sistema finanziario mondiale, quale si e' sviluppata dagli anni '80 a oggi, presenta una serie di gravi difetti strutturali. Essi hanno fortemente contribuito alla crisi che si e' manifestata a partire dall'estate 2007, e ne stanno preparando una ancora piu' grave, a meno che non vengano effettuate entro un tempo ragionevole delle riforme mirate a vasti interventi di ristrutturazione. Sono i cittadini che dovrebbero richiederle ai parlamenti nazionali, al Parlamento di Strasburgo, alla Commissione Europea. Se non saranno loro a levare la voce, nel senso hirschmanniano dell'espressione gia' ricordato, le lobby della finanza riusciranno ad annacquare sino all'insignificanza qualsiasi riforma tocchi i loro interessi e il sistema che li sostiene, diretto a finanziarizzare il mondo quali che siano i rischi di un disastro finale. Non e' una figura retorica. Secondo quanto racconta nel suo libro il ministro tedesco delle Finanze di allora, Peer Steinbrueck, che ebbe un ruolo importante nel gestire la crisi in contatto con il governo americano, nell'autunno 2008 il mondo si trovo' davvero sull'orlo dell'abisso. Ossia di un crollo generale dell'economia nei cinque continenti, inclusi finanza e industria, servizi e scambi commerciali.
Si tratta dunque di questioni che sono vitali per i cittadini, ma di cui perfino la politica, che dovrebbe tutelarli e orientarli, sembra essere all'oscuro. Provero' qui a delineare alcune semplici riforme ad uso di coloro che gradissero qualche lume in merito. Per comprendere la ratio di tali proposte di riforma occorrera' prima di tutto mettere in luce quali sono i principali difetti dell'architettura del sistema finanziario mondiale. Al termine dovrebbe apparire di per se' evidente la necessita' di riforme di vario genere dell'architettura finanziaria che i cittadini dovrebbero richiedere al nostro governo di appoggiare, e alla Ue di introdurre. Va aggiunto che nel corso dei lavori preparatori sarebbe opportuno che gli organi centrali di questa tenessero maggior conto di quanto non sia avvenuto finora delle proposte che a diversi livelli di elaborazione sono state formulate in altri paesi. Quelle, ad esempio, discusse da autorita' e centri studi del Regno Unito, il paese europeo che ha sopportato i maggiori costi diretti della crisi. Una certa utilita' potrebbe avere anche la corposissima legge che nel luglio 2010 e' stata approvata dal Congresso degli Stati Uniti e firmata subito dopo dal presidente Obama. Mostrero' piu' avanti che essa include soltanto alcuni elementi delle riforme strutturali che sarebbe indispensabile apportare all'architettura finanziaria, ma si tratta pur sempre d'un primo tentativo di porre un limite allo strapotere di Wall Street. E' vero che la Ue non avrebbe dovuto attendere che fossero gli Usa a procedere per primi in direzione di dette riforme strutturali, per poi - forse - imitarli. Questo perche' i problemi del sistema finanziario emersi nella Ue sono stati importati soltanto in parte dagli Stati Uniti. In larga misura sono problemi home made, nati e cresciuti in Europa. Per due motivi: in primo luogo va ricordato che nei processi di deregolazione dei movimenti di capitale, susseguitisi dagli anni '80 in poi, i maggiori paesi europei hanno svolto un ruolo determinante. In secondo luogo, come si vedra', la massa totale delle maggiori istituzioni finanziarie europee, in termini di attivi detenuti, e' superiore a quelle statunitensi. E di certo non minore e' il peso che esse esercitano sul sistema politico.
La ricognizione diagnostica che si propone qui dell'architettura del sistema finanziario si concentrera' sui seguenti aspetti di esso, su cui ci siamo gia' soffermati da differenti punti di vista e che si possono cosi' compendiare:
- Le dimensioni: il sistema finanziario e' cresciuto in misura eccessiva, in se' e rispetto al sistema produttivo.
- Le fondamenta: l'intero sistema si e' fondato sull'aumento smodato del debito pubblico e privato e dell'emissione di titoli derivati non regolati, aventi una prevalente funzione speculativa. Entrambi hanno comportato la eccessiva creazione dal nulla di denaro in forme vecchie e nuove, nonche' rischi intrinseci di collasso sistemico.
- La complessita': sotto diversi aspetti il sistema appare troppo complesso, al punto da risultare inconoscibile ai suoi stessi agenti e non piu' regolabile per mano di qualsiasi autorita' di regolazione presente o futura.
- La connessione contagiosa tra i componenti: questa si verifica perche' i componenti stessi sono stati fabbricati e collegati in modo da presentare numerosi canali e veicoli di contagio diffusivo, a partire da disfunzioni anche limitate di singole componenti. Di conseguenza il sistema risulta intrinsecamente vulnerabile.
Nelle successive sezioni si presentano alcuni dati e argomenti per dare fondamento a codesta diagnosi. L'ultima sezione riporta alcune proposte di riforma tra quelle che da tempo circolano nella Ue, comparate alle riforme attuate in Usa.
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Da pagina 279
Proposte di riforma dell'architettura finanziaria
Quanto detto in merito ai difetti strutturali dell'architettura finanziaria in essere suggerisce di per se' quali sarebbero le principali riforme necessarie per porre riparo a crisi future. Si riducono, fondamentalmente, a quattro o cinque:
- Bisogna procedere a una drastica riduzione delle dimensioni globali del sistema finanziario e ricondurlo alla sua funzione di mezzo fondamentale di sostegno dell'economia reale. E' cio' che si riassume nell'idea di narrow banking, ovvero "attivita' bancaria ristretta o circoscritta". L'idea di narrow banking implica che oltre a quelle dell'intero sistema siano ridotte pure le dimensioni delle maggiori bank holding companies; siano ridefiniti i loro campi di attivita', separando le attivita' di depositi e prestiti dalle attivita' di investimento; infine siano predisposte linee di intervento per diminuire la possibilita' che un loro eventuale collasso debba essere pagato dai contribuenti ed evitare che si propaghi all'intero sistema. Come e' avvenuto nel 2007-2009.
- Dovrebbe essere drasticamente ridotta l'entita' della "finanza ombra", riportando in bilancio la maggior parte dei capitali effettivamente detenuti dalle societa' finanziarie. A tale scopo bisognerebbe innanzitutto ridurre o eliminare sia i veicoli adibiti a "scopi speciali" ovvero a "investimenti strutturati", sia il commercio di titoli non registrati in bilancio perche' destinati a essere venduti a breve scadenza. Si dovrebbe altresi' imporre il rispetto e l'aumento veridico della quota di capitale da tenere come riserva o patrimonio di vigilanza, modificando a fondo i dispositivi insiti nella normativa della Fed, della Bce, degli accordi di Basilea 1 e 2 e anche del Basilea 3, varato a settembre 2010. Il quale ultimo lascia tempo alle banche sino al 2019 per essere applicato: quanto basta alle medesime per inventare mille strumenti e modalita' operative capaci di aggirarlo. Si tratta quindi di dispositivi severi in apparenza, che in realta' hanno permesso e sicuramente permetteranno di farsi beffe dei limiti sopra richiamati. E' con tali mezzi che gli istituti finanziari hanno potuto operare con un effetto leva che sovente ha superato il rapporto di 30 a 1. Oltre ai suoi positivi effetti diretti, la separazione tra banche commerciali e banche di investimento menzionata sopra avrebbe anche la funzione indiretta di aiutare le autorita' di sorveglianza a stabilire se la suddetta quota viene rispettata.
- Occorre regolare in modo stringente il mercato dei derivati, riducendo drasticamente gli scambi non registrati (i pluricitati Otc) e imponendo che tutte le transazioni di prodotti standard siano effettuate tramite piattaforme sottoposte a vigilanza. Dovrebbe inoltre essere proibita la vendita di titoli finanziari che sono troppo complessi, tipo le Cdo, per essere trattati in borsa.
- Andrebbe vietata o fortemente limitata la cartolarizzazione (cioe' la trasformazione in titoli commerciabili) dei crediti. La ragione di cio' si puo' trovarla nella preveggente nota citata in precedenza di Hyman P. Minsky, risalente al 1987, quando tal genere di operazione era assai meno praticato che negli anni 2000: mediante la cartolarizzazione le banche creano masse incontrollabili di denaro.
- Deve essere radicalmente modificato il rapporto che si e' stabilito tra criteri di erogazione del credito bancario, i modelli di gestione del rischio, le valutazioni delle agenzie a cio' preposte - fino ad ora tutte di proprieta' privata -, l'innovazione dei prodotti finanziari, la conformazione dei flussi di ricavi delle banche e i compensi dei manager e dei trader.
Quali prospettive vi sono che riforme del genere siano adottate dall'Unione Europea? Bisogna dire che al presente esse appaiono piuttosto remote, ove si guardi al lavoro istruttorio che stanno facendo le istituzioni: principalmente la Commissione Europea, ma anche il Parlamento e il Consiglio d'Europa. Per contro le prospettive di alcune di esse appaiono piu' concrete se si guarda sia alla riforma americana, sia alle proposte provenienti soprattutto da autorita' del Regno Unito, non a caso il paese in cui l'impatto della crisi iniziata nel 2008 e' stato piu' rovinoso.
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Da pagina 292
Capitolo undicesimo
E' possibile incivilire il finanzcapitalismo?
Ridurre il dominio della finanza: necessario ma non sufficiente.
Il finanzcapitalismo e' il principale fattore di crisi della civilta'-mondo. Allo scopo di arrestare il degrado in corso di quest'ultima pare quindi necessario ridurre anzitutto il dominio smisurato che codesta mega-macchina esercita sull'economia e la societa' intera. Un dominio riassumibile in poche cifre. Ricordiamone qui alcune per comodita' del lettore:
- Nel 2007 gli attivi finanziari globali ammontavano a quattro volte e mezzo il Pil del mondo. Da essi proviene l'eccesso di liquidita' che circola nell'economia mondiale alla ricerca spasmodica di rendimenti eccezionalmente elevati - che sono realizzabili soltanto se si sottrare valore a qualcun altro.
- Le transazioni sui mercati finanziari globali corrispondevano nel 1991 a 15 volte il Pil del mondo; nel 2007 erano salite a 75 volte il Pil del mondo, raggiungendo i 4050 trilioni di dollari. Si stima che oltre l'80 per cento di tali transazioni perseguano unicamente finalita' speculative.
- I soli titoli derivati scambiati privatamente ammontavano alla fine dello stesso anno a 12 volte il Pil del mondo. I derivati sono di fatto scommesse finanziate dalle maggiori banche anglosassoni mediante denaro creato al computer.
- Il mondo, formato da famiglie, imprese, enti territoriali e stati, ha contratto con se stesso un debito stimato in almeno 100 trilioni di dollari. Le sole obbligazioni emesse da imprese e pubbliche amministrazioni locali e centrali ammontano a 80 trilioni. Supponendo che sul totale del debito si debba pagare non piu' del 3 per cento di interesse - ipotesi assai cauta - il Pil del mondo dovrebbe crescere di almeno il 6-7 per cento l'anno, cioe' il doppio degli ultimi decenni, unicamente per pagare il servizio del debito. Per riuscire a rimborsare anche quote di capitale dovrebbe crescere molto di piu'.
- Nei paesi sviluppati le prime cinque-sei banche detengono ciascuna attivi equivalenti a circa due terzi del Pil. Le stesse banche detengono fuori bilancio, nei loro "veicoli" ma non solo in essi, attivi pari o superiori a quelli registrati. In Usa a fine 2007, l'anno in cui si palesa la crisi, esse detenevano derivati per un valore complessivo che variava tra il 2000 e il 6000 per cento dei loro attivi. Tuttavia, essendo considerati titoli negoziabili a breve termine i derivati non rientrano formalmente tra gli attivi. E' una delle zone piu' vaste e oscure della finanza ombra.
Una ulteriore prova del predominio del finanzcapitalismo si e' avuta nel corso del 2010, quando l'intera zona euro, piu' il Regno Unito, rischiarono il collasso perche' alcuni dei maggiori operatori finanziari privati, tra i quali non mancavano investitori istituzionali, poterono impiegare in poche settimane capitali sufficienti per attaccare il debito pubblico degli stati. Debito che era cresciuto in misura cospicua nei tre anni precedenti grazie agli aiuti concessi al sistema finanziario di cui quegli operatori e investitori facevano parte, e agli interventi di stimolo all'economia resi necessari dalle loro stesse azioni.
Un'economia che presenta caratteristiche di tal genere va giudicata patologicamente irrazionale. Una patologia che con rare eccezioni ne' gli attori in gioco, ne' le autorita' di regolazione, hanno per lungo tempo voluto vedere. Due cose avrebbero dovuto esser chiare fin dall'inizio delle bolle speculative susseguitesi dai primi anni '90. Anzitutto occorreva rendersi conto che "la capacita' dell'economia reale di far fronte a prezzi esagerati degli immobili e delle merci, o tassi di scambio squilibrati, e' strettamente limitata". E' quanto si legge in un rapporto dell'Onu. Il quale prosegue: "Ma e' soltanto ora, tramite l'esperienza della crisi, che molti attori e politici cominciano a capirlo". In secondo luogo, l'idea che muove il colossale traffico giornaliero di titoli nelle borse e al di fuori di esse, per cui ciascun attore puo' ottenere regolarmente, a mezzo di strumenti puramente finanziari, rendimenti di molto superiori al tasso medio della crescita economica, va considerata intrinsecamente dissennata.
Allo scopo di ridurre in misura significativa il dominio del finanzcapitalismo il primo passo da compiere consisterebbe dunque nel ridurre le dimensioni massime degli enti finanziari, e al tempo stesso nel restringere il perimetro delle attivita' che essi sono legalmente autorizzati a svolgere. I progetti di riforma volti a questi fini vengono in genere ricompresi sotto la rubrica di narrow banking, alla lettera "attivita' bancaria ristretta". Come si e' visto nel capitolo precedente, grazie al perdurare e all'aggravarsi della crisi manifestatasi col peggioramento del debito pubblico di numerosi stati, le proposte di restrizione delle attivita' finanziarie che all'inizio bastavano per etichettare come massimalista chiunque le avanzasse, sono state formulate nel Regno Unito e negli Stati Uniti perfino da politici, parlamentari ed esperti di orientamento conservatore, nonche' da dirigenti di banche centrali. Il Congresso Usa ha perfino accolto alcune di esse.
Ricordiamo che il mezzo piu' semplice per ridurre a un tempo le dimensioni delle banche e il perimetro delle loro attivita' consisterebbe nel reintrodurre una separazione effettiva tra banche di deposito e banche di investimento. Un po' piu' complicato sarebbe stabilire un limite alla concentrazione dei depositi in ciascuna delle maggiori banche. Ad esempio, nessuna dovrebbe detenere piu' del 10 per cento del totale nazionale dei depositi. Oppure si potrebbe porre un limite alle esposizioni non depositarie; per dire, non oltre il 2 per cento del Pil ciascuna. Ambedue le proposte erano contenute in un progetto di legge, il Safe Banking Act (in realta' pur chiamandosi Act si trattava di un emendamento a un'altra legge) presentato da due democratici al Senato degli Stati Uniti nell'aprile 2010.
Ad onta del fatto di esser state formulate, per cosi' dire, dall'interno del sistema finanziario, proposte del genere hanno al presente una probabilita' assai ridotta di venire sostenute da una maggioranza parlamentare, sia in Usa che nella Ue. Tant'e' vero che il suddetto progetto di legge per una "attivita' bancaria sicura" venne subito bocciato, a meno di un mese dalla sua presentazione, grazie anche a 27 voti contrari di senatori democratici. Sappiamo, tra l'altro, che le banche che erano considerate Tbtf (troppo grandi per fallire) nel 2007-2008 sono oggi ancora piu' grandi, grazie all'incorporazione delle concorrenti meno fortunate e ai colossali aiuti pubblici ricevuti; percio' sono in condizione di sventare qualsiasi tentativo di ridimensionare la loro taglia.
Ora si supponga invece che una maggioranza parlamentare arrivi a formarsi in diversi paesi, e le proposte indicate vengano introdotte. Sarebbe di sicuro un primo passo nella direzione giusta; nondimeno al fine di sottrarre la civilta'-mondo al dominio del finanzcapitalismo esso sarebbe insufficiente. Il finanzcapitalismo e' una formazione economico-sociale, il che significa politica e culturale non meno che economica; una formazione che rappresenta una negazione sostanziale della democrazia in ogni settore dell'organizzazione sociale, sia a livello locale che a livello globale. L'una o l'altra potranno forse sopravvivere, ma non entrambe. Per questo motivo una dose anche relativamente elevata di narrow banking, che sarebbe comunque da considerare benvenuta, non basterebbe per superare tale negazione.
E' infatti certo che il governo economico e politico della societa'-mondo resterebbe assicurato, al pari di oggi, da una nutrita serie di organizzazioni internazionali il cui personale non e' stato eletto da alcuno, ne' rispondono delle loro azioni ad alcun "collegio elettorale" o constituency. Accanto ai grandi istituti finanziari in senso stretto, sono esse le colonne del finanzcapitalismo. Le chiavi delle politiche economiche, finanziarie e monetarie, delle politiche del lavoro e della previdenza sociale, delle politiche commerciali e ambientali, stanno oggi e resterebbero domani saldamente nelle mani di organizzazioni del tutto a-democratiche quali le Nazioni Unite; l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico; il Fondo monetario internazionale; la Banca Mondiale; la Banca europea degli investimenti; la Banca per i regolamenti internazionali; l'Organizzazione mondiale per il commercio; l'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura; l'Organizzazione internazionale del lavoro; la Commissione Europea.
Al tempo stesso, nessuna restrizione del perimetro delle attivita' finanziarie verrebbe a modificare in pur minima misura le strategie di investimento in cui sono impegnati i 60 e piu' trilioni di dollari che gli investitori istituzionali controllano e di cui dispongono a loro assoluta discrezione, ad onta delle speranze da qualcuno riposte nell'attivismo del "capitale del lavoro" (le cui carenze al riguardo sono state richiamate al cap. IX). Meno che mai apparirebbe eroso l'intreccio tra finanza e politica, donde il continuo scambio di risorse e di personale tra i due sistemi, che in America come nei paesi dell'Europa occidentale ha segnato la storia del finanzcapitalismo: dai suoi esordi a fine Ottocento, al suo fiorire negli anni '20 del Novecento, per toccare il massimo fulgore tra la fine degli anni '80 e il primo decennio del 2000. Fulgore appena appannato, posto che mai lo sia, dalla crisi iniziata nel 2007. Un susseguirsi di resistibili ascese che rendono arduo distinguere paese per paese, o epoca per epoca, se la finanza abbia per lunghi periodi asservito la politica, oppure se questa non si sia servita della prima; o, piuttosto, se non si sia stabilita tra l'una e l'altra una proficua alleanza, com'e' avvenuto a suo tempo nella Germania nazista. Nel connubio tra finanza e politica, appare essersi definitivamente consumato il divorzio tra democrazia e popolo. Privatizzato sotto la spinta del nuovo capitalismo, il potere "ha lasciato lo Stato sul ciglio della strada, occupato soltanto a curare gli ultimi arrivati, nascondendo la sua nuova miseria sotto gli orpelli della sovranita'".
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Da pagina 317
Elementi mancanti per ragionare sull'incivilimento del finanzcapitalismo
Abbiamo visto come le analisi sin qui riassunte, intanto che compiono una critica radicale al finanzcapitalismo, ne facciano pero' discendere - sebbene con diversi iati e salti logici - la speranza di un suo superamento o positiva evoluzione, la quale emergerebbe dai suoi stessi paradossi e contraddizioni. Per questo motivo esse potrebbero venire accantonate come odierne versioni deboli - bisogna dire incomparabilmente piu' deboli - del tipo di scenari teleologici in cui Marx, pur sbagliando, eccelse, o dell'idea di contromovimento che Polanyi credette di individuare nel XIX secolo e nel primo terzo del XX. Nondimeno si e' voluto qui presentarle perche' dagli elementi che risultano mancanti in esse, su cui mi soffermero' subito, mi pare si staglino con maggior nitidezza i problemi che la civilta'-mondo in crisi si trova a dover affrontare - se mai lo volesse.
Gli elementi mancanti sono, visti dall'alto, le tecnologie di assoggettamento ovvero di governo del comportamento della popolazione utilizzate dagli stati contemporanei, che del finanzcapitalismo sono al tempo stesso autori ed espressione; e, visti dal basso, i processi di soggettivazione che adducono gli individui a inscrivere nella struttura della personalita' pulsioni e schemi interpretativi congruenti con le esigenze del finanzcapitalismo. Assoggettamento e soggettivazione ovviamente interagiscono, a volte elidendosi, piu' spesso rinforzandosi a vicenda.
Le tecnologie di assoggettamento, micro-modalita' specifiche di esercitare il potere, al cui insieme Michel Foucault attribui' gia' negli anni '70 il nome di governamentalita', sono nate embrionalmente due secoli addietro e hanno conosciuto un notevole sviluppo nel corso del Novecento. All'epoca del finanzcapitalismo sono state rivedute e messe a punto con metodi scientifici che ne hanno moltiplicato l'efficacia. Si presentano in gran quantita' e si applicano a numerosi gruppi e situazioni: scuole e ospedali, prigioni e istituti di cultura, studi professionali e uffici pubblici, sindacati e centri di ricerca, enti previdenziali e trasporti pubblici.
La scienza politica ha studiato soprattutto il potere dei grandi apparati dello stato. Quanto alle maggiori correnti della critica al potere costituito, tipo il marxismo, a loro volta hanno preso a bersaglio, in fondo, il medesimo oggetto. In questa prospettiva lo scopo ultimo della lotta per il potere appare pur sempre essere, per cosi' dire, la conquista del Palazzo d'Inverno; le sue articolazioni nella societa', in cento direzioni e a diversi livelli, restano per contro invisibili. A cio' fondamentalmente si dovrebbe imputare la sterilita' della critica, e con essa l'inefficacia delle lotte contro il potere in forma sia di organizzazione burocratica sia di capitale, non meno che l'insuccesso delle previsioni circa una prossima rivoluzione. Con le parole di Foucault: "Una delle prime cose da capire e' che il potere non e' localizzato nell'apparato dello Stato e che nulla sara' cambiato nella societa' se i meccanismi del potere che funzionano al di fuori degli apparati di Stato, al di sotto di essi, al loro fianco, a un livello molto piu' infimo, quotidiano, non vengono modificati".
Il capitalismo finanziario, con l'ausilio dell'ideologia neoliberale che lo esplica e lo legittima, ha perfezionato all'estremo le tecnologie di governo del comportamento. Lo ha fatto mediante l'imposizione sia nella pratica delle organizzazioni, di qualsiasi genere e dimensioni, anche minime, sia nella condotta dell'esistenza individuale, del modello di gestione dell'impresa. Ospedali e istituti di cultura, prigioni e centri di ricerca, scuole materne e uffici postali dovrebbero essere tutti governati come se ciascuno fosse un'impresa retta da criteri quali il principio sovrano dell'efficienza; la necessita' di "soddisfare il cliente"; le regole ferree della contabilita'; l'imperativo di massimizzare il valore per l'azionista o il proprietario. Per quanto concerne l'individuo, ad esso si chiede, e anzi si tende a imporre, che concepisca se stesso e la propria famiglia come se fossero letteralmente una specie di impresa, con l'obbligo e la responsabilita' di "massimizzare la propria vita"; sarebbe questa, niente di meno, la forma piu' alta di liberta'.
In codesta applicazione universale del modello dell'impresa, un posto di rilievo, sotto il profilo della capacita' di governare in ogni ambito il comportamento individuale, ossia di rendere le persone fattualmente governabili, spetta alle regole contabili. Lungi dall'essere un mero strumento tecnico, la contabilita' aziendale perviene a operare, di fatto, come un'agenzia regolatrice del comportamento di ciascuno e di tutti. Quando le persone hanno l'obbligo, in qualsiasi situazione, di ragionare in termini di bilancio, standard di redditivita', indici di riferimento, revisioni contabili, e nei medesimi termini essere di continuo esposte a un giudizio da parte di altri numerosi agenti, non solo il loro comportamento economico, ma anche il loro comportamento nel campo della politica, dei rapporti sociali, della cultura, della famiglia, verra' a essere governato da analoghe regole contabili. Nell'uomo economico, per citare ancora Marcel Mauss, e' contenuta una macchina calcolatrice. Oggi le regole della contabilita' di impresa sono i programmi che ne governano i calcoli.
La contabilita' euro-americana e' stato anche uno dei principali strumenti con cui l'occidente ha sostenuto l'egemonia politica delle elite ad esso favorevoli in numerosi paesi meno sviluppati e ha assicurato per se' e per loro il controllo della forza lavoro locale. Scrivono al proposito due docenti di amministrazione aziendale, facendo riferimento a situazioni osservate in India: "L'informazione finanziaria [generata dalla contabilita'] aumenta la fiducia degli azionisti ed e' questa relazione da principale ad agente che garantisce la 'sostenibilita' economica' [delle imprese locali] da cui il sistema di controllo egemonico dipende... I progetti egemonici soggiacenti ai programmi neoliberali di privatizzazione tendono a guadagnare e a mantenere il consenso della classe dominante [locale], e l'egemonia politica che ne risulta tende a soddisfare la funzione globale del capitale".
Quanto ai paesi sviluppati, culla del finanzcapitalismo, storia e cronaca degli anni '90 e del primo decennio del 2000 hanno registrato innumeri casi comprovanti la diffusione capillare di codeste tecnologie di governo del comportamento. Ad esempio, il numero di carceri "governate" interamente da imprese private ha avuto un considerevole sviluppo in Usa a partire dal 1984, in Francia dal 1987, nel Regno Unito dal 1992; anni in cui apposite leggi sancirono nei rispettivi paesi la possibilita' di istituire prigioni private. Solo in questi paesi gli istituti penitenziari privati sono alcune centinaia e ospitano centinaia di migliaia di detenuti. A livello delle comunita' locali, in Italia come in Germania, in Svizzera come in Francia, migliaia di scuole, ospedali, uffici postali, farmacie, negozi di piccoli comuni, altrettante cellule essenziali dell'integrazione sociale, sono state chiuse in nome del principio dell'efficienza e le loro attivita' concentrate in unita' di maggiori dimensioni, allo scopo di poterle governare appunto come imprese.
Non meno indicative della "aziendalizzazione" del governo del comportamento sono state le riforme del mercato del lavoro introdotte a partire dagli anni '90 in diversi paesi Ue. Esse si fondano sul presupposto che se uno e' disoccupato in fondo la responsabilita' e' sua. Di conseguenza il comportamento dell'interessato deve ispirarsi a una maggiore autoresponsabilita', fondata sulla concezione di se' e della famiglia come impresa. Non e' un suggerimento tacito o marginale del legislatore. Si vedano le leggi di riforma del mercato del lavoro che in Germania si chiamano, dal nome del loro ispiratore Peter Hartz, che non solo il puro caso ha voluto fosse in precedenza il capo del personale alla Volkswagen, Hartz I, Hartz II... Hartz IV. I lemmi che vi ricorrono piu' spesso sono "nuova responsabilita'" (neue Verantwortung: beninteso del lavoratore); "io-impresa" (Ich-Gesellschaft); "famiglia-societa' per azioni" (AG Familie, dove AG sta appunto per Aktien-Gesellschaft). In quale modo possa operare come una societa' per azioni una famiglia in cui l'uno o l'altro dei partner, o ambedue, guadagnano 450 euro al mese perche' il solo lavoro che hanno trovato e' un minijob cosi' retribuito, il testo di legge non lo spiega.
Nemmeno l'istruzione e' rimasta immune dall'applicazione di criteri contabili in cui la apparente razionalita' del mezzo maschera la sostanziale irrazionalita' del risultato. Le riforme della scuola elementare e media si sono ispirate, in Italia, non alla formazione delle capacita' intellettuali necessarie al cittadino per poter prendere parte attiva alle decisioni politiche, bensi' alla terna ottundente "impresa, internet e inglese". In molti paesi, compreso il nostro, le riforme dell'universita' hanno richiesto ai senati accademici, alle facolta', ai dipartimenti, di stringere rapporti sempre piu' stretti con l'industria, al fine di procurarsi, in quanto imprese, le risorse necessarie al loro funzionamento; il sistema pubblico di ricerca ne e' stato profondamente sovvertito, e le discipline umanistiche che dovrebbero formare il cittadino relegate in ruoli marginali. Agli Istituti italiani di cultura all'estero e' stato raccomandato di assumersi il compito di promuovere il Brand Italia, ovvero la diffusione del Made in Italy - un compito che un tempo sarebbe stato considerato adatto semmai alle Camere di Commercio.
Una conclusione di conseguenza si impone: dovunque si guardi, le tecnologie di governo della popolazione proprie del finanzcapitalismo appaiono applicate ed efficaci in migliaia di gruppi, di societa' intermedie, di organizzazioni di scala minima e media. E' arduo attendersi che dal seno di una popolazione cosi' capillarmente governata emergano forme estese, e non effimere, di dissenso o di opposizione.
L'altro elemento mancante negli scenari che prospettano la possibilita' di un superamento del capitalismo finanziario per via dei comportamenti innovativi da esso stesso innescati, sono le modalita' della soggettivazione che in esso si osservano, ovvero la presa che esso esercita sullo sviluppo della persona. Una prima modalita' e' la negazione radicale dello sviluppo umano. Ove si ponga mente alle condizioni in cui lavorano e vivono miliardi di individui nelle fabbriche e nei conglomerati urbani dei paesi emergenti, e centinaia di milioni nei paesi avanzati, perennemente in bilico tra lo sfinimento da lavoro e la fame da disoccupazione, senza nessuna possibilita' di accedere - non per loro ne' per i loro figli - all'istruzione, a un minimo di potere sulle proprie vite, a un lavoro e un'esistenza decenti, non sembra in verita' passato oltre un secolo da quando Marx scriveva: "La produzione capitalistica... e' estremamente parsimoniosa di lavoro materializzato, oggettivato in merci. Essa e' invece, molto piu' di ogni altro modo di produzione, una dilapidatrice di uomini, di lavoro vivente, una dilapidatrice non solo di carne e di sangue ma pure di nervi e cervelli. In realta', e' per mezzo del piu' mostruoso sacrificio dello sviluppo degli individui che soprattutto si assicura e realizza lo sviluppo dell'umanita' in quest'epoca storica...".
Decenni prima lo stesso autore aveva gia' fulmineamente sintetizzato il rapporto inverso che si osserva tra valore economico e sviluppo dell'uomo: "La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose".
Il finanzcapitalismo, piu' di ogni fase precedente del capitalismo, e' votato a trasformare gli esseri umani in robot, ossia in servo-meccanismi, oppure in esuberi, ma la sua azione non si arresta qui. Esso preclude loro la possibilita' di sviluppare pienamente le potenzialita' intellettive e affettive che in essi albergano, privandoli cosi' di un diritto che dovrebbe essere inalienabile. Generando nel contempo un altro gravissimo danno, giacche', come ha scritto un filosofo che forse piu' di ogni contemporaneo ha prolungato l'argomentazione di Marx allo stato attuale del mondo, "se l'irresponsabile saccheggio del pianeta compromette la sopravvivenza dell'umanita', l'irresponsabile saccheggio dell'umanita' priva di innumerevoli energie la salvaguardia del pianeta".
Una seconda modalita' di soggettivazione, predominante nel miliardo di persone che vivono nei paesi avanzati, ma non piu' esclusivamente in loro, e' rappresentata dalla totale interiorizzazione della razionalita' neoliberale nella struttura della personalita'. Il modello calcolatorio e contabile dell'uomo economico non permea in esse soltanto l'io, l'istanza preposta a perseguire razionalmente gli scopi. Ha plasmato al tempo stesso l'es, le pulsioni istintuali, da un lato; e, dall'altro, le istanze morali, comprese quelle di ascendenza religiosa, che formano il super-io. Per questo gli va attribuita la complessione di una fede. In una simile struttura di personalita' estesa, o carattere sociale, la subordinazione di qualsivoglia azione al calcolo costi-benefici - sia essa inerente all'economia, alla politica, agli affetti, alle relazioni sociali, alla cultura, alla religione, alla famiglia - non sottosta' solamente al riconoscimento che la razionalita' del mercato non deve avere alcuna limitazione. Essa gode anche di una intensa legittimazione morale, sufficiente a impedire non diciamo di apprezzare, ma anche solo di ammettere l'esistenza di altre forme di razionalita', a cominciare dalla razionalita' oggettiva.
Il suddetto carattere, una volta formato, non e' modificabile gradualmente ne' dall'insegnamento ne' dall'esperienza. Puo' soltanto andare bruscamente in crisi. Si tratta di capire fino a che punto la crisi in essere della civilta'-mondo, di cui tale carattere e' intimamente parte, dovra' avanzare prima di costringerlo a riconoscere la propria insostenibilita'. Quando tale riconoscimento avvenisse su larga scala, la mega-macchina del finanzcapitalismo si troverebbe rapidamente privata delle servo-unita' umane indispensabili al suo funzionamento.
4. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.
Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Martin Buber, L'eclissi di Dio, Passigli, Firenze-Antella 2001, pp. 128.
*
Riedizioni
- al-Buhari, Detti e fatti del profeta dell'Islam, Utet, Torino 1982, 2009, pp. X + 738, euro 13,90.
- Peter Brown, La formazione dell'Europa cristiana, Laterza, Roma-Bari 1995, 2006, Mondadori, Milano 2011, pp. XII + 766, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori).
- Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, Rcs Quotidiani, Milano 2011, p. XXXVIII + 330, euro 1 (in supplemento al "Corriere della sera").
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 564 del 23 maggio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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