Nonviolenza. Femminile plurale. 335
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- Date: Thu, 28 Apr 2011 07:02:35 +0200 (CEST)
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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 335 del 28 aprile 2011
In questo numero:
1. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
2. Arianna Marullo: Gino Bellani
3. Arianna Marullo: Antonio Corpora
4. Arianna Marullo: Manlio Giarrizzo
5. Arianna Marullo: Bice Lazzari
6. Arianna Marullo: Luciano Minguzzi
7. Anna Chiara Cimoli: Palma Bucarelli
8. Anna Chiara Cimoli: Elsa von Freytag detta Baronessa Elsa
9. Maria G. Di Rienzo: La storia di Lin Moniang e la leggenda della dea del mare
1. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Riproponiamo il seguente appello]
Giova ripetere le cose che e' giusto fare.
Tra le cose sicuramente ragionevoli e buone che una persona onesta che paga le tasse in Italia puo' fare, c'e' la scelta di destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
"Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli". Cosi' recita la "carta programmatica" del movimento fondato da Aldo Capitini.
Sostenere il Movimento Nonviolento e' un modo semplice e chiaro, esplicito e netto, per opporsi alla guerra e al razzismo, per opporsi alle stragi e alle persecuzioni.
Per destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' sufficiente apporre la propria firma nell'apposito spazio del modulo per la dichiarazione dei redditi e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione: 93100500235.
Per contattare il Movimento Nonviolento, per saperne di piu' e contribuire ad esso anche in altri modi (ad esempio aderendovi): via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
2. ARTE. ARIANNA MARULLO: GINO BELLANI
[Ringraziamo Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo at tiscali.it) per averci messo a disposizione il seguente testo estratto dal catalogo "Dalla figurativita' all'astrazione. percorsi dell'arte italiana tra 1945 e 1960 dalle collezioni della Galleria nazionale d'arte moderna" a cura di Mariastella Margozzi, Silvana editoriale, Milano 2006 (sedi della mostra sono state Palazzo Aldobrandini a Frascati e il Man di Nuoro).
Arianna Marullo e' una delle piu' autorevoli collaboratrici del Centro di ricerca per la pace di Viterbo; dottoressa in beni culturali, lungo un decennio e' stata fondamentale animatrice del centro sociale "Valle Faul", in quel periodo forse la piu' rilevante, appassionante ed innovativa esperienza di solidarieta' concreta, di convivenza delle differenze, e di promozione della dignita' umana che ci sia stata a Viterbo negli ultimi decenni, caratterizzata dalla scelta della nonviolenza; negli ultimi anni lavora a Roma nell'ambito della critica d'arte e dell'attivita' museale, della valorizzazione di esperienze culturali e di artisti sovente negletti, e dell'allestimento di rassegne e mostre, contribuendo anche - con la perizia e l'acribia che le sono proprie - a ricerche e cataloghi; e' tra le promotrici dell'associazione nonviolenta "We have a dream". Si veda anche l'intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino", n. 356, e particolarmente la sintetica notizia biografica in essa contenuta che di seguito riportiamo: "Nata a Palermo ma cresciuta a Roma, ho seguito la mia passione infantile per le arti figurative fino alla laurea in Conservazione dei Beni Culturali a Viterbo. Qui ho partecipato all'esperienza del Centro sociale occupato autogestito Valle Faul, molto importante per me anche dal punto di vista personale grazie alle magnifiche persone con cui ho potuto condividerla, uno fra tutti Alfio Pannega. Pur mantenendo forti legami con Viterbo, nel 2001 sono tornata stabilmente a Roma, dove lavoro nel campo della conservazione, della ricerca e della realizzazione di mostre d'arte"]
Gino Bellani (Pignone, La Spezia, 1908 - 2003).
Nonostante il parere contrario della famiglia che lo vuole instradare allo studio della scultura, Bellani si iscrive all'Istituto Nautico di La Spezia e parte diciottenne per il Sud America, dove intraprende l'attivita' di viaggiatore di commercio. Nel 1930 torna a Pignone, dove inizia a dipingere da autodidatta. Si iscrive all'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova e si diploma nel 1937 all'Accademia Albertina di Torino. Dal 1939 al 1969 insegna educazione artistica e storia dell'arte negli istituti superiori. Dal 1937 intensifica la sua attivita' di pittore; partecipa alle Mostre Sindacali di La Spezia e Genova del 1938 e del 1939, con una serie di opere figurative di grande formato. Nel 1944 espone alla Mostra dei prigionieri di guerra nei campi di concentramento in Algeria. Nel dopoguerra partecipa attivamente al dibattito culturale italiano, abbracciando il nuovo astrattismo nascente e partecipando a diverse esposizioni. Nel 1946, insieme ad Angelo Prini e ad altri artisti, costituisce a La Spezia il Sindacato Pittori e Scultori. Nel 1947 e' presente a diverse manifestazioni nazionali e ha la sua prima personale nei saloni del P.R.I. a La Spezia. Nel 1948 nasce il Gruppo dei Sette, sostenuto da Corrado Cagli, con l'intento di sostenere e diffondere l'arte astratta, cui Bellani aderisce insieme agli artisti spezzini Carozzi, Frunzo, Giovannoni, Porzano, Guaschino e Terzet. Bellani espone con il Gruppo in diverse citta' italiane, conseguendo numerosi riconoscimenti. Partecipa alla VI, alla VII e alla VIII edizione della Quadriennale romana tra il 1951 e il 1959, periodo in cui l'artista ritiene concluso il suo periodo puramente astratto. Gia' dal 1950 infatti si volge nuovamente al figurativo, avventurandosi in un'arte dalla finalita' "sociale" tesa alla rappresentazione drammatica del lavoro dell'uomo, e al naturalistico, con particolare attenzione al paesaggio inteso liricamente e reso con una tavolozza brillante e intensa. Alla fine degli anni Cinquanta Bellani e' attratto dall'esperienza informale che andava diffondendosi in Italia, attrazione che si manifesta nella "gestualita'" che informa le opere, nuovamente astratte, del periodo e che permarra' nella successiva prassi pittorica dell'artista nell'uso di pennellate dense di colore, a volte date anche a spatola, che segnano la tela con macchie cromatiche luminose e vibranti. I primi anni Sessanta vedono il ritorno definitivo di Bellani alla figurazione, che proseguira' per tutto il suo ulteriore percorso artistico. L'amato paesaggio ligure e la figura umana tornano al centro delle composizioni dell'artista, in una visione commossa e vitale del soggetto, reso liricamente attraverso "una poesia del colore" (F. Battolini, in Gino Bellani. Antologia 1948-1990) di inesauribile freschezza.
3. ARTE. ARIANNA MARULLO: ANTONIO CORPORA
[Ringraziamo Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo at tiscali.it) per averci messo a disposizione il seguente testo estratto dal catalogo "Dalla figurativita' all'astrazione. percorsi dell'arte italiana tra 1945 e 1960 dalle collezioni della Galleria nazionale d'arte moderna" a cura di Mariastella Margozzi, Silvana editoriale, Milano 2006 (sedi della mostra sono state Palazzo Aldobrandini a Frascati e il Man di Nuoro)]
Antonio Corpora (Tunisi 1909 - Roma 2004).
Nato da genitori siciliani a Tunisi, vi studia con Vergeaud, allievo di Moreau e condiscepolo di Matisse, Dufy, Rouault, Marquet. Nel 1929 arriva a Firenze e l'anno successivo ha una mostra a Palazzo Bardi, visitata da Rosai e recensita favorevolmente. Si trasferisce a Parigi, dove risiede fino al 1939. La sua formazione pittorica avviene nel clima della tradizione moderna, da Monet a Cezanne, Bonnard, Braque e Matisse. A seguito di alcuni viaggi e brevi soggiorni in Italia, nel 1934 entra in contatto con gli artisti milanesi della Galleria del Milione, dove ha una personale nel 1939. Scrive saggi sull'arte astratta e la propone nelle sue opere, che uniscono l'esperienza dei cubisti, Braque in particolare, a quella dei fauves. Entra in amicizia con Fontana, Soldati, Licini, Reggiani, Ghiringhelli e Belli. Trascorre il periodo della guerra a Tunisi e nel 1945 giunge a Roma dove Guttuso, conosciuto nel 1939, gli offre il suo studio. Nel 1946 espone con Turcato, Fazzini, Guttuso e Monachesi alla Galleria del Secolo a Roma; in catalogo appare il Manifesto del neo-cubismo che si proponeva il rinnovamento dell'arte italiana a partire dalla tradizione figurativa moderna europea, da Cezanne attraverso il fauvismo fino al cubismo. Nel 1947 aderisce al Fronte Nuovo delle Arti ed espone, presentato da Guttuso, alla Galleria della Spiga. Dopo la rottura del Fronte, Corpora mette in contatto Venturi, a cui era legato da una profonda amicizia, con il gruppo degli Otto Pittori Italiani, in cui, oltre a lui, militavano Afro, Birolli, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova. Venturi accetta di patrocinarli e li presentera' alla Biennale di Venezia del 1952, dove Corpora riceve il Premio della Giovane Pittura Italiana. Nel 1951 gli viene assegnato il Prix de Paris, l'anno successivo ha una personale alla Galerie de France. Nel 1955 espone a Documenta, a Kassel, e nel 1956 vince il primo premio alla VII Quadriennale di Roma, con opere che gia' documentano l'allontanamento dal gruppo degli Otto. Nello stesso anno ha una sala personale alla Biennale di Venezia, riconoscimento che gli sara' conferito ancora nel 1958, nel 1960 e nel 1966. Alla fine degli anni Cinquanta Corpora si lega con una profonda amicizia a Restany. E' invitato a partecipare ad importanti rassegne e riceve molti riconoscimenti in Italia e all'estero: 1959 Documenta II a Kassel, 1968 primo premio alla Biennale di Roma, 1970 Grand Palais di Parigi, 1973 Galerie Gunther Franke, 1980 Palazzo dei Diamanti a Ferrara. Nel 1986 partecipa con il gruppo degli Otto Pittori Italiani ad una mostra al Pac di Milano; l'anno successivo la Galleria Nazionale d'Arte Moderna gli dedica una mostra antologica. Nel 1992 ha una personale alla Quadriennale di Roma. Nel 2003 e' nominato Accademico di San Luca.
4. ARTE. ARIANNA MARULLO: MANLIO GIARRIZZO
[Ringraziamo Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo at tiscali.it) per averci messo a disposizione il seguente testo estratto dal catalogo "Dalla figurativita' all'astrazione. percorsi dell'arte italiana tra 1945 e 1960 dalle collezioni della Galleria nazionale d'arte moderna" a cura di Mariastella Margozzi, Silvana editoriale, Milano 2006 (sedi della mostra sono state Palazzo Aldobrandini a Frascati e il Man di Nuoro)]
Manlio Giarrizzo (Palermo 1896 - Firenze 1957).
Figlio del pittore Carmelo Giarrizzo, allievo di Domenico Morelli, compie gli studi alla scuola d'arte di Palermo. Nel primo dopoguerra inizia l'attivita' artistica come scultore, interessandosi anche di architettura e arti decorative. Nel 1927 a Palermo partecipa alla prima Mostra degli Architetti Siciliani, l'anno successivo vince la medaglia d'oro per l'architettura alla Mostra delle Arti Decorative di Taormina. Negli stessi anni lavora nell'ufficio tecnico della Ducrot, ditta che produce mobili in stile antico e moderno, assumendone per dieci anni la direzione. Nel tentativo di dare nuovo impulso all'ambiente artistico siciliano, fonda nel 1924 con Amorelli, Drago e Spartisano il gruppo degli Artisti siciliani indipendenti ed il periodico "Aretusa". Dal 1928 si dedica prevalentemente alla pittura, prendendo parte a numerose rassegne quali l'Esposizione Internazionale di Barcellona del 1929, la XVIII Biennale di Venezia, la I Quadriennale romana e la mostra del gruppo di pittori siciliani (Bevilacqua, Castro, Corona e Lazzaro) alla Galleria del Milione di Milano nel 1932. Dopo una prima fase di pittura interessata a cogliere gli aspetti atmosferici ed emozionali della natura, dalla tavolozza ricca di colori limpidi e delicati, Giarrizzo approda ad un realismo lirico, sulla scia dei novecentisti Tosi, Spadini e Carena. Le opere del periodo, esposte alla Quadriennale di Roma del 1935, ritraggono per lo piu' soggetti dipinti dal vero, di gusto narrativo, resi con colori vivaci e pastosi. Nel 1937 ottiene la cattedra di scenografia all'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove si trasferisce. Nel 1939 ha una sala personale alla Quadriennale romana, dove espone dipinti in cui si evidenzia l'assimilazione del linguaggio impressionista nelle pennellate piu' sciolte e immediate. Nel 1940 firma il manifesto del Gruppo Flegreo, interessato al recupero della tradizione figurativa italiana. Nella sala personale della Biennale di Venezia del 1942 espone dipinti che rispecchiano l'approfondimento dei modi impressionisti che si traduce in una pittura edonistica e sensuale, con composizioni equilibrate impreziosite da particolari decorativi, il colore denso steso con l'immediatezza della pittura en plein air. Nella primavera del 1944 partecipa alla II mostra degli artisti liberi napoletani alla Galleria Forti. Nel 1948 ottiene il premio per la pittura alla Biennale di Venezia. Alla fine degli anni Quaranta Giarrizzo inizia una nuova fase di ricerca che riprende in parte la pittura immaginativa del suo primo periodo, pervenendo ad una figurazione di tono fauve, influenzata dall'arte metafisica. Le composizioni, esposte alla XXVI Biennale di Venezia del 1952, divengono sobrie ed essenziali, in una sintesi di forme schematiche dai contorni spigolosi e larghe campiture di colori chiari, che raggiungono talvolta esiti calligrafici e disegnativi. Nel decennio successivo giungera' a conclusione questo graduale passaggio all'astrazione cubista, con la realizzazione di opere caratterizzate da un nuovo ordine spaziale e compositivo, scandito dalla sovrapposizione di piani e dalla visione simultanea della scena. Alla Biennale dell'Accademia di Brera, nel 1955, espone le opere del periodo che attestano il nuovo orientamento stilistico dell'artista verso esperienze astratto-concrete, con composizioni geometriche strutturate da segmenti, riquadri, forme pure. Nel 1956 succede a Carra' nella cattedra di pittura all'Accademia di Brera. Ad un anno dalla morte gli viene dedicata una retrospettiva presentata da Lionello Venturi alla XXIX Biennale di Venezia.
5. ARTE. ARIANNA MARULLO: BICE LAZZARI
[Ringraziamo Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo at tiscali.it) per averci messo a disposizione il seguente testo estratto dal catalogo "Dalla figurativita' all'astrazione. percorsi dell'arte italiana tra 1945 e 1960 dalle collezioni della Galleria nazionale d'arte moderna" a cura di Mariastella Margozzi, Silvana editoriale, Milano 2006 (sedi della mostra sono state Palazzo Aldobrandini a Frascati e il Man di Nuoro)]
Bice Lazzari (Venezia 1900 - Roma 1981).
Compie gli studi a Venezia, prima al Conservatorio poi all'Accademia di Belle Arti. In questo periodo si applica parallelamente sia alla pittura, sia alle arti decorative. Quest'ultima attivita' le consente di indagare sulle caratteristiche dei materiali, svincolandosi dalla tradizione figurativa gia' dal 1923. Le prime mostre, dal 1924, vedranno esposti prevalentemente i suoi dipinti figurativi. Nel 1927 partecipa per la prima volta alla Triennale di Milano, cui sara' sempre presente fino al 1961. Nel 1935 si trasferisce a Roma, dove collabora con diversi studi di architettura. Dal 1938 si dedica alla decorazione murale: esegue pitture parietali nel 1941 per due saloni della Triennale d'Oltremare a Napoli e nel 1942 nel Palazzo della Confederazione dei Chimici a Roma. Nel dopoguerra inizia una lunga attivita' di decorazione per esercizi pubblici; una delle opere piu' importanti e' il pavimento a mosaico per il cineclub Fiammetta del 1949. Nel 1950 vince il Premio per il mosaico alla sezione Arti Decorative della Biennale di Venezia. Gli ultimi anni Quaranta e l'inizio dei Cinquanta segnano la maturazione e l'arricchimento della pittura dell'artista, attraverso il raffronto delle esperienze maturate "in laboratorio" con la temperie artistica contemporanea. Nel 1951 ha la sua prima personale alla Galleria La Cassapanca, dove espone opere astratte. Dal 1953 partecipa alle mostre dell'Art Club in diverse citta' d'Italia. Vince nel 1955 e nel 1956 un premio al concorso del Centro Internazionale d'Arte e del Costume con alcuni disegni per tessuti. Nel 1958 espone in una personale alla Galleria del Cavallino di Venezia, alla mostra Segno e materia alla Galleria La Medusa di Roma e alla Mostra del Bianco e Nero di Catania; in occasione della mostra alla Galleria La Salita e' pubblicata la prima monografia sulla Lazzari, con prefazione di Venturi e un testo di Crispolti. Alla fine degli anni Cinquanta il costruirsi dell'immagine su piani sovrapposti o all'interno di una gabbia visiva, amplia la liberta' del gesto nelle opere della Lazzari, il cui incontro con l'informale non intacchera' l'autonomia del suo linguaggio artistico. Nel 1959, a causa di una grave malattia, lascia la pittura ad olio per volgersi ad altri medium espressivi. Dal 1964 inizia una profonda amicizia con Montana, che avvicinera' la Lazzari ad artisti piu' giovani, interessati alle ricerche gestaltiche. Progressivamente l'autonomia linguistica della sua opera si libera degli ultimi ostacoli e approda a un lucido intervento formale, la cui immediatezza slega l'arte della Lazzari da contesti teorici e formulazioni limitanti. Nella seconda meta' degli anni Sessanta si precisa il percorso della futura ricerca; l'accostamento gestuale col segno trovera' i modi ritmici di un lirismo espressivo piu' cosciente. Nel 1970 conosce Fiorella La Lumia della Galleria Arte Centro di Milano, che diverra' la sua gallerista di riferimento. Nello stesso anno in seguito a un'intossicazione da pigmenti organici, abbandona l'uso della tempera e inizia a lavorare con l'acrilico. Su segnalazione di Palma Bucarelli riceve a Salsomaggiore Terme il Centauro d'oro 1976, come riconoscimento della sua ricerca artistica. Nel 1978 e' costretta a sospendere il suo lavoro a causa di una grave malattia agli occhi, per la quale subira' l'anno successivo due interventi chirurgici; nonostante cio' partecipa alle manifestazioni cui e' invitata (Milano Museo Comunale, 1979; Milano Palazzo Reale, Roma Palazzo delle Esposizioni, 1980; Modena Galleria Civica, 1980).
6. ARTE. ARIANNA MARULLO: LUCIANO MINGUZZI
[Ringraziamo Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo at tiscali.it) per averci messo a disposizione il seguente testo estratto dal catalogo "Dalla figurativita' all'astrazione. percorsi dell'arte italiana tra 1945 e 1960 dalle collezioni della Galleria nazionale d'arte moderna" a cura di Mariastella Margozzi, Silvana editoriale, Milano 2006 (sedi della mostra sono state Palazzo Aldobrandini a Frascati e il Man di Nuoro)]
Luciano Minguzzi (Bologna 1911 - Milano 2004).
Figlio d'arte, il padre Armando e' scultore, si iscrive nel 1931 all'Accademia di Belle Arti di Bologna, dove Ercole Drei insegna scultura e Giorgio Morandi incisione; all'Universita' frequenta le lezioni di storia dell'arte di Roberto Longhi. Nel 1934, grazie ad una borsa di studio, soggiorna due mesi a Parigi, dove studia Rodin, Despiau e Daumier, Degas, Manet e Modigliani. Suoi punti di riferimento resteranno pero' la tradizione scultorea italiana e l'opera di Martini, Marini e Manzu'. Nel 1935 partecipa alla II Quadriennale di Roma. Nel 1937 comincia a insegnare scultura e disegno negli istituti superiori. Nel 1939 e' invitato alla III Quadriennale di Roma, dove espone la scultura in cera Eva, in cui si scorge ancora la matrice martiniana. Nel 1942 ha una sala personale alla XXIII Biennale di Venezia. Partecipa attivamente alla Resistenza, esperienza che si riflettera' nelle sue opere. Alla fine della guerra, con i pittori Borgonzoni, Corsi, Ciangottini, Mandelli e Rossi, fonda il gruppo Cronache, vicino a Corrente, che dara' vita ad una serie di manifestazioni artistiche. Nel 1948 trascorre sei mesi a Parigi, diviene amico di Zadkine e Giacometti e frequenta assiduamente Birolli, Cassinari e Signori. Nel 1950, alla XXV Biennale di Venezia, gli viene assegnato il Gran Premio per la Scultura. Nelle opere di questo periodo emerge l'affermazione di un prorompente vitalismo, che si manifesta nella pienezza e saldezza delle forme; e' il momento degli Acrobati e dei Contorsionisti, che gli permettono di sperimentare una dinamica vivace ma assolutamente reale. Nel 1951 si trasferisce a Milano per insegnare al liceo artistico; vince il concorso per la Quinta porta del Duomo di Milano, che terminera' nel 1965. Nel 1952 partecipa alla Biennale di Venezia con una personale e vince un Gran Premio Aggiunto per la Scultura. Nel 1953 partecipa al concorso per il Monumento al prigioniero politico ignoto alla Tate Gallery di Londra, ricevendo il terzo premio. Nel 1956 gli viene assegnata la cattedra di Scultura all'Accademia di Belle Arti di Brera, dove insegnera' fino al 1975. Dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Sessanta Minguzzi realizza una serie di opere di grandi dimensioni, Uomini del lager, in cui fonde bassorilievo, altorilievo e tutto tondo, saldando modellato in bronzo e inserto precostituito in ferro, tecnica che utilizzera' anche in Uomini, opera finale del ciclo, lunga oltre sei metri. Del 1957 e' la serie dei Guerrieri, dalla forte carica espressionista. Negli stessi anni l'artista, senza mai perdere il riferimento all'oggettivita', sperimenta una fase formale piu' decisamente astratta nei cicli Ombre nel bosco e Luci nel bosco, che culmineranno nella serie degli Aquiloni. Nel 1960 e' nominato Accademico nazionale di San Luca; in questi anni l'opera di Minguzzi riceve consensi sempre piu' vasti, partecipando alle piu' importanti rassegne italiane ed internazionali. Nel 1970 riceve l'incarico per la realizzazione della Porta del bene e del male per San Pietro in Vaticano, inaugurata nel 1977. Dalla fine degli anni Settanta fino agli anni Novanta la sua scultura riconferma quei valori di vitalita' e slancio che costituiscono il nucleo piu' autentico della sua opera, in cui si affaccia un rinnovato senso di stupore di fronte ai segreti della natura e ai destini degli uomini. Nel 1988, dopo quattro anni di lavoro, termina il portale per la chiesa di San Fermo a Verona; l'anno successivo vengono inaugurate le porte della chiesa Stella Maris a Porto Cervo.
7. PROFILI. ANNA CHIARA CIMOLI: PALMA BUCARELLI
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it
Anna Chiara Cimoli (Milano, 1971) "e' una storica dell'arte specializzata in Museologia all'Ecole du Louvre. Dopo aver lavorato in ambito museale ed editoriale, attualmente affianca all'attivita' didattica la ricerca scientifica sul tema delle mostre d'arte e dei loro allestimenti. Su questo tema ha pubblicato Musei effimeri. Allestimenti di mostre in Italia 1949-1963 (Milano, il Saggiatore 2007) e, con Fulvio Irace, La divina proporzione. Triennale 1951 (Milano, Electa, 2007)".
Su Palma Bucarelli dalla Wikipedia riprendiamo la seguente breve scheda: "Palma Bucarelli (Roma, 16 marzo 1910 - Roma, 25 luglio 1998) e' stata una critica d'arte e storica dell'arte italiana. Il suo nome e' legato alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, museo del quale fu storica direttrice e sovrintendente dal 1942 al 1975. Fu una strenua promotrice dell'astrattismo e dell'informale nelle arti figurative e con questo indirizzo diresse la Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Dopo aver frequentato il liceo classico "Visconti" di Roma si laureo' in lettere all'Universita' degli studi di Roma "La Sapienza", dove fu allieva di Adolfo Venturi e di Pietro Toesca. Ebbe come compagno di studi Giulio Carlo Argan e insieme a lui supero' nel 1933 il concorso indetto dal Ministero dell'educazione nazionale per Ispettore alle Antichita' e alle Belle Arti. Entro' dunque nell'amministrazione dello Stato a soli 23 anni e fu assegnata alla Galleria Borghese. Dopo un breve trasferimento a Napoli, dove frequento' il salotto di Benedetto Croce, grazie all'interessamento di Paolo Monelli che intercedette in suo favore presso Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione Nazionale, nel 1937 torno' nella capitale. Legata sentimentalmente a Monelli, lo sposera' nel 1963. Nel luglio del 1941 assunse la direzione della Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Nel corso della guerra lavoro' al salvataggio delle opere d'arte, dividendole tra i nascondigli di Castel Sant'Angelo di Roma e il Palazzo Farnese di Caprarola. Nel 1959 organizzo' una mostra delle opere di Alberto Burri che provoco' un'interrogazione parlamentare, essendo ritenuto Burri troppo estraneo all'arte tradizionale. In piu' di trent'anni di attivita' come direttrice, si dedico' all'arricchimento e alla sistemazione, con criteri museografici moderni, della Galleria Nazionale d'Arte Moderna. La Galleria perse cosi' il suo aspetto di contenitore di opere d'arte, diventando un punto di incontro e di informazione utile non solo "agli addetti alla critica d'arte", ma anche agli artisti e al pubblico. Per quest'ultimo fu istituito un innovativo servizio di "attivita' didattica", cioe' un programma di manifestazioni che comprendevano conferenze e proiezioni annuali, mostre temporanee, mostre didattiche con riproduzioni dei piu' grandi artisti del panorama internazionale e opere, a rotazione, della collezione della Galleria. Ha donato alla Gnam i suoi dipinti e il suo elegante guardaroba, collocato nel Museo delle Arti Decorative Boncompagni Ludovisi di Roma. Palma Bucarelli si e' spenta a Roma nel 1998, all'eta' di ottantotto anni. Il Comune di Roma ha dato il suo nome a una via in prossimita' della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, fra Viale delle Belle Arti e Viale Antonio Gramsci. Tra le opere di Palma Bucarelli: 1944, Cronaca di sei mesi, a cura di L. Cantatore, Roma, De Luca, 1997; Cronache indipendenti. Arte a Roma fra 1945 e 1946, a cura di L. Cantatore, Roma, 2010. Scritti su Palma Bucarelli: Raffaella Cordisco, L'attivita' didattica di Palma Bucarelli e il Neoclassicismo di Giulio Carlo Argan, tesi di laurea, Universita' degli Studi "Roma Tre", Facolta' di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio Artistico, Anno Accademico 2003/2004; Laura Fanti, La didattica alla Gnam negli anni di Palma Bucarelli, in "Nuova Museologia", n. 15, Novembre 2006; Mariastella Margozzi, Palma Bucarelli. Il museo come avanguardia, Milano 2009; Stefania Mastrogiacomo, Palma Bucarelli: una vita per l'arte, Torino 2009; Carlo Bertelli, Addio a Palma Bucarelli, la grande signora dell'arte italiana, IN "Corriere della sera", 26 luglio 1998; Rachele Ferrario, Regina di quadri. Vita e passioni di Palma Bucarelli, Milano, Mondadori 2010". Cfr. anche il testo di Arianna Marullo in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 334]
Palma Bucarelli (Roma 1910 - 1998).
Palma Bucarelli e' stata una delle piu' importanti direttrici di museo italiane del Novecento. In un panorama prevalentemente maschile, e in un'epoca - il secondo dopoguerra - in cui la direzione di un museo assumeva connotati del tutto nuovi, la Bucarelli ha operato con grande apertura culturale e indipendenza di giudizio, promuovendo in particolare l'ingresso dell'arte contemporanea nelle sale del museo e favorendone la comprensione da parte del pubblico attraverso mostre didattiche e cicli di conferenze.
Amata e odiata, adulata e criticata, e' stata la prima direttrice donna di un museo pubblico in Italia. Al "mito" di Palma Bucarelli hanno concorso, oltre alla sicura preparazione scientifica e alla forte personalita', la sua bellezza ed eleganza, riconosciute da tutti, e una certa aristocratica mondanita', certamente frutto di una precisa strategia di auto-rappresentazione (ando' a lezione dall'attrice Andreina Pagnani per meglio impostare la voce; amo' le auto e si fece un vezzo del saperle guidare spericolatamente...). "Palma e sangue freddo", l'aveva ribattezzata Marino Mazzacurati, a sottolinearne lo stile algido e inflessibile, che le sarebbe stato utile nelle battaglie in difesa dell'arte astratta e informale.
Il profilo biografico della Bucarelli si sovrappone a quello del "suo" museo, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, di cui e' stata soprintendente dal 1941 al 1975.
Nata a Roma nel 1910, vive un'infanzia nomade a seguito del padre, funzionario di prefettura, trascorrendo un periodo anche in Libia. Si laurea in Storia dell'Arte a Roma con Pietro Toesca. Durante il corso di perfezionamento conosce Giulio Carlo Argan, che sara' per tutta la vita un punto di riferimento personale e professionale. Dopo aver vinto il concorso "per la carriera direttiva degli storici dell'arte", dal 1933 al 1936 lavora alla Galleria Borghese.
Successivamente viene trasferita alla Soprintendenza di Napoli, dove resta un anno. Dall'agosto 1937 e' ispettrice alla Soprintendenza del Lazio, e dal dicembre 1939 ispettrice presso la Soprintendenza alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, diretta all'epoca da Roberto Papini. Dal 1941, trasferito Papini a Firenze, e' soprintendente unica.
Durante la guerra e' promotrice di un avventuroso salvataggio di opere d'arte, ricoverate a Palazzo Farnese a Caprarola e poi a Castel Sant'Angelo. Il 1944 e' un anno di riflessione e maturazione da cui nasce il diario Cronaca di sei mesi, pubblicato nel 1997. Quello stesso anno riapre - prima in Italia - la Galleria, con undici sale dedicate alla giovane pittura italiana. Emergono, da questo momento in poi, i gusti della Bucarelli: Morandi, Scipione, Savinio (che ne fa un famoso ritratto), mentre un presunto ostruzionismo nei confronti di de Chirico determinera' un'inimicizia duratura, e molte polemiche negli anni a seguire.
Grazie anche al supporto di Lionello Venturi, dal 1946 la direttrice avvia un'attivita' didattica avanzata (parallela a quella promossa da Caterina Marcenaro a Genova). Dal 1948, la predilezione per l'astrattismo si fa sempre piu' chiara: e' l'anno della mostra Arte astratta in Italia. Nel 1951 e' la volta di Arte astratta e concreta in Italia, che sancisce ulteriormente l'orientamento del museo. Perilli, Consagra, Dorazio, Turcato, Corpora, Scialoja, Capogrossi sono i "suoi" pittori; fra le acquisizioni internazionali figurano opere di Moore, Klee, Ernst, Giacometti, Zadkine, Picasso. Non tardano ad arrivare le prime interrogazioni parlamentari sugli acquisti per il museo (1950, 1952, e di nuovo un'ondata alla fine degli anni Cinquanta).
Legata dal '36 al giornalista del "Corriere della Sera" Paolo Monelli (che sposera' solo nel '63), nel 1952 si trasferisce in un appartamento situato in un'ala del museo. Gli anni Cinquanta sono quelli delle grandi mostre che l'hanno resa celebre per le scelte anticonformiste, nonche' per le polemiche che ne sono seguite: Picasso ('53), Scipione ('54), Mondrian ('56, con allestimento di Carlo Scarpa), Pollock ('58). Quest'ultima mostra, insieme all'esposizione del Sacco grande di Burri l'anno successivo, e' il detonatore che fa esplodere la polemica astrattismo-realismo. Sono anni difficili per Palma, difesa da una generazione di artisti e di critici a lei affini (soprattutto Argan e Venturi), ma attaccata sia sul piano culturale che su quello gestionale, con accuse piuttosto pesanti: l'interrogazione presentata a proposito della somma pagata per l'opera di Burri, in realta' offerta a titolo gratuito, avvelena un'intera stagione della sua vita.
Intanto, la soprintendente prepara un'opera importante: la monografia su Fautrier, pubblicata nel 1960 dal Saggiatore. La stanchezza, il cronicizzarsi di una violenta emicrania, le battaglie burocratiche sembrano far emergere un male di vivere, una piu' forte coscienza del proprio limite ("Temo che la mia malattia sia un'impossibilita' di vivere, qualche cosa di scompensato, di non integrato che c'e' stato sempre, tra me e gli altri e il mondo..."). Argan e' il confidente fedele di questa stagione.
Gli anni Sessanta sono punteggiati da grandi riconoscimenti: nel '61 compie un tour di conferenze negli Stati Uniti; nel '62 e' nominata Commendatore dal presidente Segni; viene invitata in tutto il mondo (Canada, Brasile, Giappone...), e ovunque riscuote successo e ammirazione.
Una nuova stagione polemica si apre con il decennio successivo, quando la Bucarelli, ancora e sempre capace di vedere il nuovo e di promuoverlo, imprime un inedito corso al programma culturale della Galleria, ospitando gli spettacoli di Tadeusz Cantor, i concerti di Nuova Consonanza, la mostra di Piero Manzoni (1971). L'acquisto della Merda d'artista sara' oggetto di una nuova interrogazione parlamentare.
Costretta a difendersi da accuse circa i criteri d'acquisto adottati durante la sua gestione, non cede di un passo, difendendo sempre in modo documentato la trasparenza del proprio operato. Nel '72 riceve la Legion d'Honneur e diviene Accademica di San Luca; nel '75 e' nominata Grande ufficiale della Repubblica.
Ormai in pensione, dona una sessantina di opere d'arte della propria collezione alla Galleria, i carteggi all'Archivio di Stato e la biblioteca all'Accademia di San Luca. Muore in una clinica romana nell'estate del 1998.
Bibliografia: Lorenzo Cantatore (a cura di), Palma Bucarelli, 1944, Cronaca di sei mesi, Roma, De Luca 1997; Laura Fanti, La didattica alla Gnam negli anni di Palma Bucarelli, in "Nuova Museologia", n. 15, novembre 2006; Mariastella Margozzi (a cura di), Palma Bucarelli: il museo come avanguardia (Catalogo della mostra), Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma, Electa 2009; Rachele Ferrario, Regina di quadri. Vita e passioni di Palma Bucarelli, Milano, Mondadori 2010.
8. PROFILI. ANNA CHIARA CIMOLI: ELSA VON FREYTAG DETTA BARONESSA ELSA
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]
Baronessa Elsa von Freytag detta Baronessa Elsa (Swinemunde (Pomerania) 1874 - Parigi 1927).
Spregiudicata, esibizionista, scandalosa: cosi' le biografie descrivono Else Ploetz, piu' nota come baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven. Passata alla storia per le sue irriverenti mises - cucchiaini usati come orecchini, francobolli incollati sulle guance, una torta di compleanno, con tanto di candeline accese, al posto del cappello - e per l'amicizia con gli artisti dadaisti newyorkesi, in particolare Marcel Duchamp, la baronessa e' stata poetessa e scultrice, sebbene la sua attivita' artistica sia cosi' profondamente mescolata alle sue stesse scelte di vita da rendere difficile distinguere l'una dalle altre.
Nata nel 1874 a Swinemunde, in Pomerania, Elsa si trasferisce a vent'anni a Berlino rifiutandosi di vivere con un padre violento, accusato di aver trasmesso alla madre la sifilide e di averne causato la follia. Qui, grazie al suo fascino ambiguo e alla spregiudicatezza, lavora nello spettacolo di tableaux-vivants di Henry de Vry, una sorta di vaudeville di moda all'epoca, e poi in quello di Richard Schulz al Zentral Theater. Gli spettacoli sono per lei occasione per mettersi in mostra, per conoscere uomini che la aiutino a far fronte alla poverta' e insieme siano oggetto di una sistematica e compulsiva sperimentazione erotica, e infine per verificare la sua identita' bisessuale con le colleghe chorus girls. La relazione con l'artista Melchior Lechter proietta Elsa nel circolo del carismatico poeta Stefan George, strappandola allo squallore dei bassifondi e facendo di lei, tutt'a un tratto, una musa, avvolta in velluti e ornata di gioielli, in perfetto stile nietzscheano. Il romanzo Fanny Essler, scritto in gran parte da Elsa nel 1905 e firmato da uno dei suoi mariti, sara' una forma di critica satirica - non priva di aspetti vendicativi - del circolo di George.
Dopo due anni trascorsi in Italia, alla svolta del secolo Elsa si trasferisce a Dachau, dove conosce l'architetto August Endell, suo primo marito, esponente di uno Jugendstil molto personale ispirato a elementi organici e ricco di riferimenti spirituali. Nel 1901 la coppia torna a Berlino, dove l'architetto ottiene progetti importanti soprattutto nell'ambito della progettazione di teatri, caffe' e luoghi di ritrovo. Due anni dopo Elsa si innamora di un amico di Endell, il traduttore e scrittore Felix Paul Greve. Il menage a' trois si interrompe durante un viaggio nel Sud Italia, quando Elsa e Felix continuano, da soli, alla volta di Palermo. Poco dopo, Greve viene richiamato in Germania e arrestato con l'accusa di frode; scontata la pena, nel 1904, lui ed Elsa vagabondano per diverse citta', componendo a quattro mani poesie firmate con lo pseudonimo Fanny Essler, per tornare a Berlino nel 1906. Un colpo di scena smuove ora le acque: Greve, inscenando un finto suicidio per sottrarsi ai creditori, parte alla volta del Canada, dove si ribattezza Frederick Philip Grove e inizia una seconda vita. Quando Elsa - complice del finto suicidio - lo raggiunge, si trasferiscono in una fattoria nel Kentucky; ma la vita da agricoltori non fa per loro: Greve/Grove lascia Else (che rivendichera' gran parte della produzione letteraria dell'ex-marito), la quale subito fa rotta verso la grande citta', questa volta Cincinnati, dove lavora come modella.
Dopo molto vagare, il sipario si alza ora su New York, e in particolare sul Greenwich Village, il cuore pulsante dell'esperienza dada. Qui, nel 1913, Elsa conosce e sposa il barone Leo von Freytag-Loringhoven, ricco ma evanescente rampollo di una famiglia tedesca con cui vive una stagione spumeggiante abitando al Ritz e conducendo un'intensa vita mondana. Allo scoppiare della guerra Leo parte alla volta della Germania per non tornarne piu': si suicida, infatti, secondo quello che Elsa definira' "il gesto piu' coraggioso della sua vita".
Ed ecco la baronessa ormai non più giovane, con tre matrimoni e molti colpi di scena alle spalle, bisessuale, sempre piu' eccentrica nel modo di presentarsi (come quando si rasa il cranio o si adorna con oggetti pescati nei cassonetti della spazzatura) e, pare, affetta da incurabile cleptomania. La sua fama si deve soprattutto alle performance che in quegli anni inscena, seminuda o vestita di lattine, nei luoghi piu' inconsueti, fra cui bettole mal frequentate o strade e piazze newyorkesi. Le poesie che Elsa sottopone alle piu' avanzate riviste letterarie dell'epoca ("Little Review", "Transition", "Liberator", "Transatlantic Review", su cui pubblica grazie a Ernest Hemingway, e altre) riscuotono un certo interesse. Alcune di esse sono dedicate al folle (e non ricambiato) amore di quella stagione, quello per Marcel Duchamp, che di lei disse: "La baronessa non e' una futurista: lei e' il futuro". Duchamp e Man Ray coinvolgono Elsa in un video, intitolato The Baroness shaves Her Pubic Hair (La baronessa si rade i peli pubici), di cui purtroppo sopravvivono solo pochi fotogrammi. La vicinanza all'ambiente dada e' testimoniata anche dai ready-made confezionati da Elsa a partire da materiali poveri e di scarto, come l'irriverente God, del 1917: nient'altro che un tubo piegato, dall'evidente allusione sessuale, montato su un piedistallo in legno.
Nel 1923 Elsa torna a Berlino dove, diseredata dal padre e ridotta in estrema poverta', finisce per vendere giornali sul Kurfustendamm e per trascorrere un periodo in una clinica psichiatrica, sempre implorando i vecchi conoscenti, fra cui Peggy Guggenheim, di prestarle del denaro. E' Djuna Barnes, una delle amiche piu' fedeli, a pagare l'affitto dell'appartamento parigino in cui la baronessa si trasferisce nel 1926. Qui, in rue Barrault, muore nel 1927, soffocata dal gas lasciato aperto. Disattenzione o suicidio? Djuna Barnes lavoro' per diversi anni a una biografia dell'amica, che non condusse mai a termine: su Elsa e' così calato un silenzio rotto solo in anni recenti, quando la critica si e' accorta di lei. Dai nuovi studi e' emersa la figura di un'artista indipendente, fonte di ispirazione per molti, e non certo di un'epigona: lo dimostrano i versi moderni e graffianti fitti di riferimenti sessuali, le sculture piene di personalita' e ironia (il vaporoso Ritratto di Marcel Duchamp in cui un assemblage di piume fluttua entro una coppa di vetro), la volonta' di fare del suo corpo un'opera d'arte anticipando di almeno quarant'anni la performance art, e perfino, nella radicalita' delle scelte espressive e nella rilettura del concetto di femminilita', il punk. Berenice Abbott, la pioniera della fotografia statunitense, di lei disse: "La baronessa era come Gesu' Cristo e Shakespeare fusi in un tutt'uno".
Bibliografia: Irene Gammel, Baroness Elsa. Gender, Dada, and Everyday Modernity. A Cultural Biography, Mit Press, Cambridge Ma 2002; Paul I. Hjartarson e Douglas O. Spettigue (a cura di), Baroness Elsa, Oberon Press, Ottawa 1992; Rene' Steinke, Sante gonne. La vita della baronessa Elsa, Alet, Padova 2009. Cfr. anche il sito della University of Maryland, che conserva il fondo documentario della baronessa.
9. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: LA STORIA DI LIN MONIANG E LA LEGGENDA DELLA DEA DEL MARE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Cfr. il suo blog lunanuvola.wordpress.com Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250, e quella nei "Telegrammi" n. 425]
Millecinquecento templi attivi, oltre cento milioni di devoti sparsi fra Cina, Taiwan, Vietnam e zone limitrofe. Decine di migliaia di persone compiono ogni anno il pellegrinaggio al suo tempio piu' antico, ed il giorno della sua nascita si tengono celebrazioni in tutte le regioni costiere asiatiche. Probabilmente, si tratta della dea piu' venerata oggi.
In genere e' conosciuta come Mazu (o Matsu: "madre ancestrale"), ma in circa un millennio ha guadagnato una lunghissima serie di nomi e titoli. Si', perche' Mazu dea lo e' diventata. In origine era Lin Moniang, una ragazza nata sulla piccola isola di Meizhou, di fronte alla costa sudest della Cina, nel 960 d.C.
Si tratta di uno dei rari casi in cui le vicende relative ad una divinita' (miti e leggende) non giungono a noi tramite il lavoro degli antropologi, degli archeologi, dei poeti e dei teologi, ma tramite documenti ufficiali, editti governativi, scritture taoiste e diari di bordo di navi mercantili o da pesca. Mazu, infatti, e' per i suoi fedeli la Dea del Mare, colei che calma le tempeste. E quella che segue e' la sua storia.
La famiglia Lin, una famiglia di pescatori, aveva gia' sei figli quando la futura dea venne al mondo, ma solo uno di essi era femmina. La madre prego' la dea della misericordia, Kuan Yin, di avere un'altra bambina, e fu esaudita. La piccola fu chiamata dapprima Niang. Era una creatura stranamente quieta, sebbene fosse sveglia e sana, e durante il suo primo mese di vita non pianse mai. Percio' i suoi genitori la soprannominarono "Mo" (silenziosa) e da allora il suo nome fu Lin Moniang (all'uso asiatico, il cognome di una persona viene prima).
I genitori si accorsero presto che Moniang era dotata di un'intelligenza profonda e precoce e di quella che viene chiamata "memoria eidetica", e cioe' fotografica. Dall'eta' di quattro anni comincio' anche a manifestare segni del possesso di una "seconda vista", la capacita' di sentire o sapere cio' che stava accadendo a grande distanza. A dieci comincio' a studiare il buddismo e la medicina tradizionale cinese, a quindici era gia' tenuta in grandissima stima come guaritrice: una guaritrice che non si limitava a trattare le infermita', ma insegnava come prevenirle ed evitarle. In questo periodo comincio' a far uso della sua "seconda vista" per proteggere i pescatori: prevedeva il buono ed il cattivo tempo, ed era in grado di indicare se era sicuro uscire per mare; stava sulla costa, vestita di rosso vivo per essere scorta anche a grande distanza, e guidava le barche in porto. Era, ovviamente, un'eccellente nuotatrice anche se questa era un'abilita' che aveva appreso solo da adolescente. Marinai cinesi, giapponesi, tailandesi, malesi, vietnamiti - e persino americani ed europei - attualmente pregano ancora Mazu prima di prendere il largo, e la ringraziano quando tornano sani e salvi. Le leggende che si narrano sulle sue apparizioni mirate al soccorso dei marinai (vestita di rosso all'orizzonte, vestita di luce sul ponte della nave, a cavallo di una nuvola) sono innumerevoli.
Ma la principale riguarda cio' che avvenne quando era ancora Lin Moniang, e i suoi fratelli e suo padre erano in mare. La ragazza stava tessendo quando entro' in trance e "vide" gli eventi che avrebbero portato i suoi parenti in una tomba d'acqua. La sua mente si trasporto' al loro fianco e li soccorse, ma non riusci' a salvarli tutti (alcune leggende dicono che fu il padre a morire, altre un fratello o piu' fratelli) perche' sua madre, vedendola accasciata sul telaio e credendola malata la sveglio'.
Se osservate le raffigurazioni di Mazu, la noterete spesso in compagnia dei due cosiddetti "generali" (che sembrano pero' piu' due demoni), Chien Li Yen - Occhi che vedono a grande distanza, dotato di due corna, e Shung Feng Erh - Orecchie che odono il vento, dotato di un corno. Una versione vuole che si tratti effettivamente di due esseri soprannaturali soggiogati dalla dea, un'altra dice che erano due guerrieri di grande fama, pretendenti di Lin Moniang in due diversi momenti. In quest'ultima versione la ragazza, che non aveva nessuna intenzione di sposarsi e che non lo fece mai nonostante l'immensa pressione sociale, li sfido' entrambi in combattimento: sarebbe diventata la moglie di chi l'avesse sconfitta, ma se il suo avversario avesse perso avrebbe dovuto servirla per il resto della sua vita. Poiche' gli studi di Moniang al tempio buddista includevano le arti marziali, e poiche' sarebbe diventata una dea, potete immaginare come entrambi gli scontri andarono a finire. Da allora, i due generali le furono amici fidati.
La morte di Lin Moniang avvenne all'età di 28 anni, ed il mito narra che fu lei stessa a sceglierla. Un giorno, Moniang disse semplicemente alla sua famiglia che per lei era venuto il momento di andarsene, e che doveva andarsene da sola. Vicini e parenti la videro salire una montagna nei pressi della sua casa. In cima, fu avvolta da nebbie splendenti e canti e trasportata in cielo. Dietro di se' lascio' un meraviglioso arcobaleno (nella tradizione cinese l'arcobaleno indica la presenza del drago, simbolo di grande benedizione e buona fortuna).
Subito dopo la sua scomparsa, Lin Moniang fu elevata al rango di divinita' buddista dal governo cinese. Durante il millennio che segui', corti imperiali di differenti dinastie innalzarono il suo status attribuendole sempre nuovi onori e titoli (ventidue "promozioni" totali, compresa quella che la rende Imperatrice del Cielo).
Pure, se abbiamo qualcosa da imparare dalla sciamana Lin Moniang, che poi divenne la dea Mazu, credo sia il grande amore che ha riversato sulle persone intorno a se': guarendole, proteggendole, istruendole, vegliando su di loro.
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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Numero 335 del 28 aprile 2011
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