Nonviolenza. Femminile plurale. 333



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 333 del 26 aprile 2011

 

In questo numero:

1. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento

2. Opporsi alla guerra e al razzismo, difendere l'umanita'

3. Maria Giuseppina Muzzarelli: Gracia Nasi detta Beatrice de Luna

4. Arianna Marullo: Un profilo biografico di Marcello Avenali, con una antologia critica

 

1. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO

[Riproponiamo il seguente appello]

 

Giova ripetere le cose che e' giusto fare.

Tra le cose sicuramente ragionevoli e buone che una persona onesta che paga le tasse in Italia puo' fare, c'e' la scelta di destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.

"Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli". Cosi' recita la "carta programmatica" del movimento fondato da Aldo Capitini.

Sostenere il Movimento Nonviolento e' un modo semplice e chiaro, esplicito e netto, per opporsi alla guerra e al razzismo, per opporsi alle stragi e alle persecuzioni.

Per destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' sufficiente apporre la propria firma nell'apposito spazio del modulo per la dichiarazione dei redditi e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione: 93100500235.

Per contattare il Movimento Nonviolento, per saperne di piu' e contribuire ad esso anche in altri modi (ad esempio aderendovi): via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

2. EDITORIALE. OPPORSI ALLA GUERRA E AL RAZZISMO, DIFENDERE L'UMANITA'

 

Opporsi alla guerra e al razzismo, difendere l'umanita'.

Insorgere contro il regime delle stragi e delle persecuzioni.

Salvare le vite, difendere la civilta'.

E' l'ora della resistenza nonviolenta contro il regime golpista e assassino della guerra e del razzismo.

E' l'ora dell'insurrezione nonviolenta in difesa della legalita' costituzionale, della democrazia repubblicana, della civilta' giuridica, del diritto a non essere uccisi, dell'umanita' che e' una.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

3. PROFILI. MARIA GIUSEPPINA MUZZARELLI: GRACIA NASI DETTA BEATRICE DE LUNA

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Maria Giuseppina Muzzarelli, "professore ordinario di Storia medievale all'Universita' di Bologna, si occupa di storia della mentalita' e della societa'. Ha studiato in particolare i Monti di Pieta', la storia degli ebrei e delle donne, i Libri penitenziali dell'alto Medioevo e la predicazione nel Basso Medioevo Si e' occupata anche di storia del costume e della moda. Fra le sue pubblicazioni: Guardaroba medievale. Vesti e societa' dal XIII al XVI secolo, Bologna 2008 (prima edizione 1999); Il denaro e la salvezza. L'invenzione del Monte di Pieta', Bologna 2001; Donne e cibo. Una relazione nella storia (con Fiorenza Tarozzi), Milano 2003; Pescatori di uomini. Predicatori e piazze alla fine del Medioevo, Bologna 2005; Un'italiana alla corte di Francia. Christine de Pizan, intellettuale e donna, Bologna 2007"]

 

Gracia Nasi detta Beatrice de Luna (Portogallo 1510 - Istanbul 1569 ca.).

Il suo nome segreto, usato in famiglia, era Gracia, equivalente all'ebraico Hannah. Apparteneva a un antico casato ebraico, quello dei Nasi. Da cristiana nuova, vale a dire forzata ad essere tale, cioe' marrana, si chiamo' Beatrice de Luna.

Nacque verosimilmente nel 1510 in Portogallo dove la sua famiglia si era rifugiata dopo l'editto di espulsione degli ebrei dalla Spagna.

Convertitasi, la famiglia Nasi muto' il nome in De Luna. Pur vivendo da cristiana fu educata occultamente al giudaismo e probabilmente si senti' sempre ebrea. A 18 anni sposo' Francisco Mendes che a Lisbona si occupava di commerci su vasta scala. Ebbe una figlia che battezzo' con lo stesso nome di sua sorella, Brianda ("regina" in ebraico). Brianda sposo' il fratello di Francisco Mendez, Diogo, e i due diedero alla loro figlia il nome della sorella di Brianda, Beatrice. L'intreccio di nomi ha causato difficolta' nella ricostruzione storiografica delle vicende di Gracia.

La ditta dei due fratelli Mendes aveva frequenti rapporti con altri paesi e il Portogallo stava un po' stretto a quanti, come probabilmente Beatrice e i suoi, erano cristiani solo in superficie. Cosi', quando mori' il marito, Beatrice e la ditta Mendes, che si occupava soprattutto di commercio di spezie, si trasferirono ad Anversa dove gia' c'era il cognato. Non le fu facile lasciare il paese visto che i loro beni facevano gola alle piu' importanti famiglie portoghesi.

Ad Anversa gli ebrei esuli dalla Spagna e dal Portogallo formavano una nutrita comunita' che proteggeva i correligionari ai quali era stato impossibile lasciare quei paesi e aiutava quanti intendevano emigrare in Turchia passando dall'Italia. Cio' fu esattamente quello che fece Beatrice (continuiamo a chiamarla cosi' perche' anche ad Anversa viveva pubblicamente da cristiana), che lascio' Anversa tra la fine del 1544 e l'inizio dell'anno successivo. Nel frattempo, tra il 1542 e il 1543, tutt'intorno la situazione per gli ebrei volgeva al peggio. Morto il cognato Diogo, Beatrice eredito' meta' del capitale dell'azienda e divenne amministratrice dell'immensa fortuna dei Mendes. L'azienda "Eredi Francisco e Diogo Mendes" da lei guidata continuo' la propria attivita' producendo una ricchezza che in molti casi pose i Mendes al riparo dalle avversita', ma attrasse anche ostilita': come quando Francesco d'Aragona, discendente della casa reale, mise gli occhi sulla figlia di Beatrice che non aveva ancora dieci anni. Beatrice, assieme alla sorella e alle relative figlie, decise di lasciare Anversa alla volta prima di Aquisgrana - col pretesto dei "bagni" - quindi di Lione e infine di Venezia. Si trattava di una vera e propria fuga in collaborazione con il nipote di Beatrice e di Brianda, Joseph Nasi.

Fra le due sorelle sorsero dissidi: Brianda faticava ad accettare la funzione di amministratrice di Beatrice, la quale a sua volta non voleva stabilirsi a Venezia, tanto da scegliere nel 1549 Ferrara e la corte del duca Ercole II. Anche Brianda fini' poi col rifugiarsi a Ferrara dopo che a Venezia nel 1550 venne decretata l'espulsione dei marrani. Non sono chiare le ragioni che riportano le due sorelle a Venezia. Sta di fatto che a Venezia Beatrice fu costretta al domicilio coatto decretato dalle autorita' alle quali si era rivolta Brianda, che paventava la partenza della sorella per la Turchia con tutto il patrimonio. Le due sorelle si erano infatti accordate a Ferrara sulla spartizione delle risorse ma non sui programmi futuri giacche' Brianda non intendeva lasciare l'Italia. Dopo un lungo contenzioso la questione si appiano' e Beatrice nel 1553 parti' per la Turchia dove pote' essere, come peraltro gia' a Ferrara, l'ebrea che era e si era sempre sentita di essere.

A Ferrara, dove trovo' un ambiente accogliente, era rimasta dal 1549 al 1552. La' torno' all'ebraismo e agi' in favore dei convertiti per forza aiutandoli a ritrovare la loro vera ed originaria identita'. Per favorire il reinserimento nell'ambiente ebraico Gracia promosse, finanziandola, la pubblicazione della Bibbia e di altre opere liturgiche in spagnolo. Come Ferrara fu il centro della produzione editoriale marrana, cosi' nella citta' estense donna Gracia fu l'anima del progetto di rieducazione all'ebraismo. Nella dedica a lei dell'opera di Samuel Usque, Consolazione delle tribolazioni di Israele, l'autore le attribuisce il merito di aver salvato molti correligionari soccorrendoli moralmente e materialmente. Negli ultimi decenni del Cinquecento Ferrara non fu piu' per gli ebrei uno dei luoghi piu' sicuri in cui vivere. Gracia lascio' Ferrara per un breve soggiorno a Venezia per poi partire per le terre della Sublime Porta. In Turchia infatti da tempo trovavano rifugio ebrei provenienti da molti paesi che venivano accolti favorevolmente per la necessita' dell'impero turco di disporre di persone abili nei commerci e nelle industrie.

Nel 1553 Beatrice de Luna, ormai per sempre Gracia Nasi, fu accolta a Costantinopoli con ogni onore assieme alla figlia. Gli ebrei, orgogliosi di lei, la trattavano con devozione chiamandola "Senora". Come a Ferrara si era prevalentemente dedicata alla ricostruzione delle basi culturali e liturgiche ebraiche perdute, cosi' a Costantinopoli si impegno' a sostenere i correligionari piu' poveri. Si diceva che ogni giorno facesse posto alla sua tavola a un'ottantina di indigenti.

Il caso di Gracia, influente e reattiva, mette in crisi la tradizionale e un po' topica considerazione degli ebrei come eterne vittime, capaci solo di rassegnazione. C'e' chi ritiene che Gracia abbia acquistato dal sultano la citta' di Tiberiade per farne un luogo nel quale potessero stabilirsi tutti gli ebrei che lo volessero. Il progetto falli', ma dimostra la sua capacita' propositiva e anche quella del nipote Joseph Nasi, creato duca di Naxos nel 1566 dal sultano, uomo potente e discusso che condivise molte delle traversie e delle iniziative di Gracia e che ne sposo' la nipote.

Nel 1570 Gracia mori' a Costantinopoli dove ha continuato ad esistere a lungo una sinagoga dedicata a lei, "La Senora".

Bibliografia: C. Roth, Dona Gracia Nasi, Parigi 1990; M. G. Muzzarelli, Beatrice de Luna, vedova Mendes, alias donna Gracia Nasi: un'ebrea influente (1510-1569 ca.), in O. Niccoli (a cura di), Rinascimento al femminile, Roma-Bari 1991, pp. 83-116; G. Nassi, R. Toueg, Dona Gracia Nasi, Tel Aviv 1991.

 

4. ARTE. ARIANNA MARULLO: UN PROFILO BIOGRAFICO DI MARCELLO AVENALI, CON UNA ANTOLOGIA CRITICA

[Ringraziamo Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo at tiscali.it) per averci messo a disposizione la seguente biografia di Marcello Avenali con relativa antologia critica, estratte dal catalogo "Marcello Avenali. Opere 1933-1981", a cura di Mariastella Margozzi, Martano Editrice, Lecce 2008 (la mostra ha avuto luogo nel Palazzo Granafei-Nervegna a Brindisi).

Arianna Marullo e' una delle piu' autorevoli collaboratrici del Centro di ricerca per la pace di Viterbo; dottoressa in beni culturali, lungo un decennio e' stata fondamentale animatrice del centro sociale "Valle Faul", in quel periodo forse la piu' rilevante, appassionante ed innovativa esperienza di solidarieta' concreta, di convivenza delle differenze, e di promozione della dignita' umana che ci sia stata a Viterbo negli ultimi decenni, caratterizzata dalla scelta della nonviolenza; negli ultimi anni lavora a Roma nell'ambito della critica d'arte e dell'attivita' museale, della valorizzazione di esperienze culturali e di artisti sovente negletti, e dell'allestimento di rassegne e mostre, contribuendo anche - con la perizia e l'acribia che le sono proprie - a ricerche e cataloghi; e' tra le promotrici dell'associazione nonviolenta "We have a dream". Si veda anche l'intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino", n. 356, e particolarmente la sintetica notizia biografica in essa contenuta che di seguito riportiamo: "Nata a Palermo ma cresciuta a Roma, ho seguito la mia passione infantile per le arti figurative fino alla laurea in Conservazione dei Beni Culturali a Viterbo. Qui ho partecipato all'esperienza del Centro sociale occupato autogestito Valle Faul, molto importante per me anche dal punto di vista personale grazie alle magnifiche persone con cui ho potuto condividerla, uno fra tutti Alfio Pannega. Pur mantenendo forti legami con Viterbo, nel 2001 sono tornata stabilmente a Roma, dove lavoro nel campo della conservazione, della ricerca e della realizzazione di mostre d'arte"]

 

Marcello Avenali (Roma 1912 - 1981).

Marcello Avenali nasce a Roma il 16 novembre 1912. L'interesse per l'arte e la cultura non e' estraneo all'ambiente familiare di Avenali: la madre, Elena Terziani, era cugina di Bonaventura Tecchi, il padre Luigi, avviato dal figlio Marcello, si rivelera' a ottant'anni uno scultore dalla mano felice; il nonno materno era pittore, quello paterno, Domenico, architetto di successo. Nel 1925 si iscrive al Liceo Artistico e nel 1929 all'Accademia di Belle Arti.

Nel 1930 esordisce alla prima mostra nazionale dell'animale nell'arte al Giardino Zoologico con i disegni Allarme e Tigre scacciata dal covo. Nel 1937 vince un premio per la scenografia de L'uomo dal fiore in bocca di Pirandello; ha gia' partecipato a diverse mostre (III Mostra d'Arte della Giovinezza Fascista Romana all'Aranciera di Villa Umberto a Roma nel 1933; Mostra d'Arte dei Littoriali alla Citta' Universitaria di Roma e a Palazzo delle Esposizioni a Firenze nel 1935; V Mostra del Sindacato Artisti Umbri a Terni nel 1936) e lavora come disegnatore per varie riviste. Nel 1938 partecipa all'VIII Mostra del Sindacato Fascista Belle Arti del Lazio (sezione bianco e nero) con il disegno Puma. Nel 1939 si iscrive al nascente Centro Sperimentale di Cinematografia e collabora con lo scenografo Mario Cito Filomarino alla realizzazione dei costumi e dell'allestimento scenico di diverse rappresentazioni al Teatro dell'Opera di Roma; alcuni suoi bozzetti vengono scelti per le scenografie di due brevi film. Nello stesso anno espone al Premio Livorno e, insieme a Cito Filomarino, alla galleria Gallenga di Roma.

Nel 1940 esegue un affresco nel padiglione della Colonizzazione Demografica alla Mostra delle Terre d'Oltremare di Napoli, in cui espone nella sezione bianco e nero, l'anno successivo viene nominato assistente all'Accademia di Belle Arti. In questi anni aderisce spiritualmente alla Scuola Romana ed entra in amicizia con gli artisti di Villa Strohl-Fern, dove ha lo studio. Nel 1943 partecipa alla IV Quadriennale romana. Nel 1944 espone tre opere (Composizione, La ferita al costato, Nudo) alla mostra Italia libera, allineandosi al filone figurativo di rinnovamento contenutistico e formale capeggiato da Guttuso, Cagli, Melli e Gentilini. Le opere di questo periodo sono per lo piu' paesaggi romani e vividi ritratti, caratterizzati da "un vivo sentimento della natura ed un senso di osservazione e di caratterizzazione non ordinario" (Renato Guttuso). Nel 1945 espone tredici opere (Nudino, Composizione n. 1, Figura con cappello, Ritratto, Nudo seduto, Crocifissione, Composizione n. 2, Interno con nudo n. 1, La moda, Linciaggio, Interno con nudo n. 2, Canarino morto e tre Disegni) alla galleria Il Secolo di Roma, insieme a Cannilla e Scordia. Nel 1948 espone alla V Quadriennale d'Arte Nazionale di Roma, la prima del dopoguerra, presso la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, che in questa occasione acquista il dipinto Ritratto (successivamente acquisira' anche l'opera del 1949 Case tra gli alberi); con la presentazione di Palma Bucarelli ha una mostra, con Cannilla, a Villa Alessandra a Cortina d'Ampezzo; ha la sua prima personale a Roma, alla galleria La Margherita, dove espone dei "pupazzi" in legno e stoffa ispirati ai mestieri e ai personaggi delle favole per bambini (L'ubriaco, L'oste, Contadino, La recluta, Vinaio, Contadina, Groom, Fantino, Hansel e Gretel, Puccettino e l'Orco, Cappuccetto rosso), e diversi disegni (paesaggi, periferie, nudi). Nel 1949 si cimenta in un nuovo campo, quello dell'oreficeria, partecipando con Arlecchino (zaffiri, brillanti, rubini e smeraldi) alla mostra I gioielli di Masenza alla galleria L'Obelisco di Roma, insieme ad Afro, Cannilla, Guttuso, Fazzini, Gerardi, Greco, Guerrini, Guttuso, Leoncillo, Mazzullo, Mirko, Savinio.

Nel 1950 conosce Mario Sironi, con cui intessera' una profonda e duratura amicizia: "egli mi ha insegnato molte cose, piu' e in anticipo di quanto possa la vita stessa con il trascorrere degli anni" (Marcello Avenali). Gli anni Cinquanta vedono una ulteriore svolta nel percorso artistico di Avenali; gli affreschi della cappella dei Santi Pietro e Paolo nella chiesa di Sant'Eugenio a Roma, donata da Pio XII alla Nazione Libanese, impegneranno l'artista con nuovi problemi tecnici e compositivi fino al 1951. Nello stesso anno Avenali allestisce una mostra, presentata da Ermanno Ponti, alla Trattoria Romolo in via di Porta Settimiana a Roma; su segnalazione di Sironi partecipa con quattro opere alla Mostra Premio Parigi  a Cortina d'Ampezzo; espone Deposito di rottami n. 2, Figura, Deposito di rottami n. 1 e Periferia alla VI Quadriennale romana. In questi anni inizia una serie di vedute della Roma barocca e monumentale che proseguira' per tutti gli anni Settanta. Il periodico "Il Cartiglio" gli dedica un numero nel 1952; decora l'atrio del Teatro Nuovo di Salsomaggiore e il Cinema Quirinetta di Roma. Nel 1953 realizza un mosaico d'altare e otto vetrate per la cattedrale di San Paolo del Brasile, di cui presenta i bozzetti nel Palazzo degli Uffici dell'Eur. Dalla scomposizione necessaria all'elaborazione delle vetrate, Avenali inizia un'autentica rivisitazione del cubismo, in particolare dell'opera di Braque: "Bisogna lavorare molto per fare una vetrata, tanto che una volta ho persino pensato ad una dispersione di energie, o per lo meno, che questo lavoro mi portasse ad un orientamento diverso da quello della pittura da cavalletto. Invece lavorando mi sono accorto, e ne sono veramente lieto, che sul vetro si acquista una sensibilita' proprio ai fini della pittura" (Marcello Avenali). Nel 1954 partecipa al Premio Avezzano e alla mostra sulle fontane di Roma, allestita nella galleria romana La Fontanella. Nel 1955 partecipa alla VII Quadriennale romana con cinque opere appartenenti a questa nuova fase, un "realismo post-cubista, tutto in bilico tra realta' e astrazione" (L. Trucchi, Avenali, catalogo della mostra Roma, galleria Il Vantaggio, Roma 1956). Nello stesso anno l'artista sara' impegnato in varie importanti occasioni: espone Figura seduta n. 1 alla III Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea - Premio Marzotto a Firenze; ha una personale alla galleria L'Obelisco a Roma, dove espone nudi, nature morte e paesaggi; riceve l'invito a partecipare all'Exhibition of Contemporary Italian Art di Johannesburg; la Comunita' Canadese di Roma gli commissiona delle vetrate per la sua nuova chiesa. Nel 1956, dopo dopo essere stato premiato alla VII Mostra Nazionale Premio del Fiorino, tenutasi alla Galleria dell'Accademia di Firenze, espone alla galleria del Vantaggio di Roma, presentato da Fausto Pirandello che lo definisce in questa occasione "un pittore avvertito, dotato e felice"; e' invitato alla VII Quadriennale romana. Nel 1957 alla I Mostra dell'Autoritratto, a Milano, vince la Tavolozza d'Oro, il premio intitolato a Carlo Mocchetti e si aggiudica con l'opera Figura il Premio Avezzano; realizza quattro mosaici per l'altare maggiore e la cripta della cattedrale di Manila. Nel 1958 partecipa ad una collettiva sul tema della natura morta alla galleria Russo di Roma, con, tra gli altri, de Chirico, Guttuso, Morandi, Pirandello, Purificato; presenta alla galleria Zanini una serie di nature morte sabbiate. Nel 1959 l'Istituto di Arte Liturgica lo incarica di eseguire la pala d'altare della chiesa di San Giovanni Bosco a Roma; con il dipinto San Vincenzo partecipa alla mostra-concorso sulle vedute di Roma nell'ambito della II Rassegna di Arti Figurative di Roma e del Lazio, svoltasi presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma. A partire da quest'anno, e con le opere esposte nel 1960 all'VIII Quadriennale romana (Composizioni nn. 1, 2 e 3, Motivo con macchina da scrivere e Ritratto di Lilli), Avenali ricerca una maggiore astrazione formale e nuovi espedienti tecnico-linguistici. Impiega estesamente la tempera su carta e i collage, le composizioni divengono decisamente astratte.

Nel 1960 realizza dei pannelli in cristallo dipinto per l'Hotel Michelangiolo di Roma. Nel 1961 l'architetto Pietro Passarelli gli affida la decorazione di alcune pareti della Nuova Banca di Sardegna a Roma, realizzate da Avenali con doghe di legno e lamine di rame a sbalzo; esegue alcuni mosaici per la Delegazione Apostolica di Washington e per l'altare di San Paolo per la cattedrale di San Paolo del Brasile. Nello stesso anno, con la scomparsa di Sironi, Avenali inaugura il periodo grigio, una serie di opere, esposte alla IX Quadriennale d'Arte Nazionale di Roma del 1965, che rendono omaggio al grande maestro. Gli anni Sessanta sono ricchi di sperimentazioni, innanzitutto delle potenzialita' artistiche del metallo unito alla trasparenza e ai colori accesi del vetro, in una serie di opere decorative e monumentali, la piu' importante delle quali, la vetrata per la chiesa dell'Autostrada del Sole progettata dall'architetto Giovanni Michelucci, e' terminata da Avenali nel 1963; tale sperimentazione proseguira', anche in sculture autonome di piccolo formato, fino alla meta' degli anni Settanta. Nello stesso anno realizza la decorazione in ferro e vetro dell'altare maggiore della chiesa fiorentina di Santa Maria Novella, definita da Domenico Guzzi "una fantasia magica e barbara"; partecipa con l'olio Paesaggio romano alla I Antologia di artisti romani che si tiene a Palzzo delle Esposizioni a Roma; partecipa alla collettiva newyorchese alla Galerie des Deux Mondes; inizia la progettazione di arazzi e ne espone uno, Crocifissione, per la prima volta ad Atene, alla mostra de Gli arazzi di Asti, insieme a Cagli, Clerici, Guttuso, Guglielminetti, Mirko, Spazzapan. Non abbandona peraltro mai la pittura da cavalletto. Nel 1965 ha una personale, Omaggio a Marcello Avenali, organizzata dalla galleria Casa della Fornarina presso l'Istituto Nazionale di Architettura in Palazzo Taverna a Roma; partecipa con cinque dipinti (Omaggio a Sironi, Uomo e donna, Animale, Composizione in bianco e nero e Figure) alla IX Quadriennale di Roma e con Composizioni nn. 1, 2, 3, 4 e La bestia alla V Rassegna di Arti figurative di Roma e del Lazio. L'anno successivo partecipa alla collettiva organizzata dalla galleria Del Monte a Montecito, in California; esegue delle vetrate per una mostra-concorso alla Villa Reale di Monza e un mosaico per la cappella della famiglia Campilli al cimitero del Verano di Roma. Nel 1967 ha una personale alla galleria Il Carpine di Roma, dove espone degli arazzi e per la prima volta due strutture in metallo e vetro, una delle quali e' Apollo e Dafne; realizza un mosaico per lo scalone d'ingresso dell'Automobil Club di Roma; e' invitato alla IX Quadriennale romana. Partecipa alla VI Biennale romana del 1968 con tre composizioni; nello stesso anno collabora con gli architetti Lucio, Vincenzo e Fausto Passarelli al progetto che sara' vincitore del concorso Progetti nuovi a Roma e realizza con una tecnica nuova, elementi in ferro e vetro incorporati a fuoco, una struttura parietale per una villa a Fregene. Nel 1969 progetta per l'architetto newyorchese Marcel Breur una decorazione parietale; esegue per l'architetto Lucio Passarelli una struttura in acciaio e vetro Dallas per la sala del consiglio della sede di Roma dell'Istituto Mobiliare Italiano; espone a Proposte 1969 alla galleria Farnese di Roma e alla collettiva Pittori italiani all'Istituto Nazionale Italiano di Algeri.

Gli anni Settanta sono esemplificativi del continuo coesistere di poetiche e generi differenti nel fare artistico di Avenali e della continua ricerca sui materiali e le tecniche che l'artista porta avanti negli anni sperimentando la tecnica dello spruzzo, lo smalto, l'acrilico. Riaffiora e si afferma prepotentemente la figura, soprattutto femminile, ma sono presenti anche opere dai motivi astratto-geometrici e astratto-matematici. Calzante e' la descrizione che da dell'artista Maurizio Fagiolo "Peintre artisan Avenali non ha paura dei materiali e delle tecniche, anche le meno 'pittoriche'. Eppure lo sentirai definirsi  sempre 'pittore', perche' di quei materiali gli interessa soprattutto l'impressione coloristica". Nel 1970, con la presentazione di Maurizio Calvesi, espone allo Studio Erre di Roma sculture in acciaio, disegni e inediti collage polimaterici, costituiti da frammenti di stoffe fermati da graffe metalliche; realizza due grandi strutture in acciaio e vetro Dallas per il nuovo edificio del Banco di Santo Spirito in piazza del Parlamento a Roma. Nel 1971 ha una personale al Museo Municipale di Saint Paul de Vence. Nel 1972 diviene membro dell'Accademia di San Luca e del Consiglio Superiore Antichita' e Belle Arti; con la collaborazione dello scultore Luca Luchetti realizza dei grandi componibili in cemento armato sfruttabili ad incastro per il complesso Il Quadrifoglio, progettato dall'architetto Leonardo del Bufalo; allestisce una serie di personali a Messina, Foggia, Potenza, Napoli, Genova e Trieste. Nel 1973 espone alla X Quadriennale d'Arte Nazionale a Roma cinque collage di stoffe (Grande collage, Personaggio, Carmen, La camera dei giochi, Senza titolo) e altri ne espone alla galleria Margana di Roma; ha una personale allo Studio Erre di Roma e alla galleria Levi di Milano. Nel 1974 realizza una struttura in rame per la facciata della Banca Popolare di Milano sita in via Flaminia a Roma, opera dell'architetto Luigi Moretti; presenta allo Studio Erre la mostra Talismani e amuleti, dove espone oggetti realizzati con vari materiali, anche preziosi; ha una personale ad Amsterdam, presso la galleria Krikhaar e a Parigi, alla galerie Ariel. Il 1975 vede l'artista impegnato in una serie di mostre presso la Lidchi Art Gallery di Johannesburg, lo Studio Arte di Roma, la galleria Miraggio di Castelfiorentino (Firenze), Inco Arte 75 di Roma, la Galerie Ariel di Parigi, la galleria Ciruzzi di Padova, lo Studio Erre di Roma e il Centrum Philips Ontspannings di Eindhoven (Olanda). E' nominato Direttore dell'Accademia di Belle Arti di Roma. Gli anni dal 1976 al 1979 sono molto impegnativi per Avenali, occupato in personali in Italia e all'estero (Roma, Brindisi, Messina, Taranto, Bari, Amsterdam, Milano, Ostenda, Bruxelles). Nel 1979 illustra con tre acqueforti il volume di poesie di Paul Verlaine Femmes.

Nel 1980 realizza a Brindisi la sua ultima scultura in acciaio, il Monumento ad Aldo Moro e alle vittime del 16 marzo. Marcello Avenali muore l'11 novembre 1981 a Roma.

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Antologia critica

Il modo di colorire dell'Avenali e' in queste cose piu' visibile. Nell'affresco (ed Avenali ne ha compiuti due grandi, recentemente) egli non si fida del colore ed ha bisogno di sottoporlo alla guida chiaroscuristica, e fa bene. Qui e' piu' libero, si puo' dare con piu' cuore a questa fatica, e in cio' segue, sia pure alla sua maniera, l'esempio dei grandi. Ma, contrariamente a quanto si va facendo in questo campo, egli prende dai grandi artisti che lo hanno preceduto, soltanto il modo, non il colorito che, se e' sincero, e' particolare ad ognuno e insopprimibile: ed in Avenali cio' risulta chiaro e bene... L'Avenali ha gia' mostrato nel tempo, e non so se abbia voglia ancora di mostrarlo, quello che ha fatto tentando la moda o meglio la maniera. Poi si e' accorto che la maniera corre sempre; che per sembrare attuale bisogna essere agile e senza eccessivi pensieri; privo di quel senso umano e superumano ognora piu' raro, che e' proprio del grande artista, di rimanere vivo anche dopo la morte.

Cipriano Efisio Oppo, presentazione al Premio Parigi, 1951.

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Occorre proprio che io mi provi a definire questa pittura di Marcello Avenali, proprio io cui non compete se non una affettuosa testimonianza su quel che credo sia l'efficiente partecipazione di Avenali a questo nostro momento dell'arte? A saperlo fare non sarebbe inutile se l'abitudine invalsa di "fare il punto" di ogni manifestazione risponde poi ad una necessita' d'intesa sui termini dell'arte; intesa che davvero, allo stato attuale delle cose, non mi sembra mai troppa.

Avenali e' in evidente ascesa alla conquista faticata di una posizione di gusto che, a mano a mano, lo conduce alla chiarificazione di ciascuno degli elementi di gravitazione su quel gusto medesimo. Egli combatte quadro per quadro a portare la sua natura di pittore, di colorista (che sarebbe una preziosa natura, una natura arrisa) sul piano di una indifferenza nei riguardi delle ragioni di un discorso obiettivo. Questa indifferenza a me sembra frutto di una combattuta, studiata analisi del proprio volersi in lui di uno schema figurativo che attraverso il gusto risalga ad una piu' decisa determinazione di quel ch'egli intenda revocare in forma e colore.

Credo insomma ch'egli voglia muoversi per una via di opposizione all'astratto, per allinearsi tuttavia, salvato il salvabile, in un discorso di pura forma. Pazienza se quel che resta salvato da noi tutti di certi "universali", e' poca cosa. Penso che una delle antinomie del nostro tempo sia propria nella inanita' di ogni riporto ad una "costante", e intanto nel presentimento che non sia inutile non disperarne. E che dunque sia quantomeno generoso profferirsi ai disagi di un simile dibattito. E' per questo, e per i risultati in questo senso da lui ottenuti, che io faccio gran conto della pittura di Avenali: come di quella di un pittore avvertito, dotato e "felice".

Fausto Pirandello, presentazione della mostra alla galleria Il Vantaggio di Roma, 1956.

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... A me sembra che, nella chiesa dell'Autostrada a Firenze, Avenali abbia indicato una nuova possibilita' dell'inserimento nell'architettura di un tipo di vetrata che non blocca le aperture illuminanti, ma determina anzi fra l'esterno e l'interno ed attraverso un filtro che puo' assumere effetti magici (perche' realizzato su piu' piani complementari) una continuita'... Entro il tessuto della vetrata della chiesa dell'Autostrada si intravedono il cielo, la campagna e i monti e si stabilisce cosi' un rapporto fra le forme architettoniche e la natura, che il vetro colorato altera parzialmente e gradevolmente... Lo spessore della vetrata a piu' strati puo' sempre offrire la possibilita' - maggiore che con le vetrate tradizionali - di partecipare dell'architettura, divenire costruzione e non tamponamento... Se le opere d'arte hanno ancora una ragione di entrare nell'architettura (e per una chiesa sono richieste) il solo modo accettabile e' - a mio avviso - quello di farle nascere proprio come ha fatto Avenali, a contatto della costruzione, durante la sua esecuzione, insieme agli artigiani, ai muratori e carpentieri e manovali, in modo che essi si rendano conto di quello che stanno facendo e ne capiscano la ragione e le caratteristiche...

Giovanni Michelucci, in L'autostrada del Sole, 1963.

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... Avenali usa di volta in volta il microscopio e il cannocchiale, analizza e viceversa sintetizza. Molto schematicamente potrei dire che tutto il suo grande lavoro di "decoratore" e' una proiezione su vasta scala di procedimenti di analisi (e di scomposizione) della realta', mentre quello del pittore e' maggiormente sintetico, condotto con un'ottica diversa. Ma per la verita' il problema e' piu' vasto e complesso, considerando che i due momenti, analitico e sintetico, sono continuamente presenti, in alternativa l'uno all'altro, anche nell'opera pittorica di Avenali. Il quale, partito dalla figurazione, ha analizzato e scomposto le forme sino a giungere alla non figurazione, ed ora sta compiendo il processo inverso con un nuovo approdo alla figurativita'. Solo che, attraverso questo doppio processo, di scomposizione e ricomposizione, il pittore riesce a compiere la sua indagine piu' acuta e stringente della realta'; la quale e' illusoria, gli si sfalda tra le mani come un mazzo di carte da gioco, si aggruma in immagini labili ed effimere, parvenze continuamente revocate in dubbio, senza nulla di certo, flatus vocis...

Cesare Vivaldi, presentazione della mostra alla galleria Il Carpine, 1967.

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... La tecnica della vetrata nella quale Marcello Avenali ha apportato piu' di una rivoluzionaria innovazione, ha costituito senza dubbio un ponte tra la lunga pratica pittorica dell'artista e questa sua recentissima esperienza plastica... Avenali preferisce chiamare le sue recenti opere in ferro strutture e non possiamo dargli torto, giacche' piu' che di masse plastiche si tratta appunto di forme composte e strutturate nello spazio secondo un'impostazione architettonica... Sembra quasi che Avenali in questo suo primo incontro con la scultura, abbia saggiato i vari campi di ricerca dandoci cosi' una specie di riuscito campionario sia della sua versatilita' inventiva, sia della sua abilita' di sperimentatore tenace e coerente. Ma c'e' anche da prevedere che le strutture astratte in vetro e metallo possano aprire in futuro per Avenali un fruttuoso campo di indagini ben congeniali al suo temperamento sempre equamente diviso tra suggestivo amore per il colore e la luce, al quale e' affidato spesso un magico messaggio di spiritualita', e tra una rigorosa indagine formale legata al suo profondo interesse per il disegno...

Lorenza Trucchi, in "Momento Sera", Roma 1967.

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Lo sbalzo tra pittura e pittore e', a volte, enorme; la pittura entusiasmerebbe ma l'autore delude, o invece la pittura deluderebbe ma l'uomo affascina... In Avenali la corrispondenza tra persona e opera e', invece, assoluta... Emana, lui come il suo quadro o la sua struttura di metallo, serenita', calma, entusiasmo, misurato ma alimentato costantemente da una sana tenacia e da una luminosa, gentile gioia di vivere. La misura e' la sua misura, misurate sono le audacie, come di chi sa che tutto, per non essere consumato e divorato, va assaporato, sperimentato, sedimentato. Il suo sperimentalismo, che frastorna solo gli sprovveduti, e' all'insegna, si sarebbe detto un tempo (un tempo lontanissimo: pochi mesi fa), della coerenza: ma oggi che questa parola non va di moda (guai ai coerenti) diremo da buoni avvocati consapevoli dell'umore della giuria, che e' all'insegna dell'anti-consumo. Sperimentare non per consumare, ma per conoscere, o meglio riconoscere, il sempre uguale nel sempre diverso.

Maurizio Calvesi, presentazione della mostra allo Studio Erre, 1970.

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... L'arte murale o decorativa e' per Avenali il veicolo ideale con cui egli puo' esteriorizzare, con il massimo di liberta' e di fantasia, la sua volonta' di partecipazione a una societa' nuova dove il destino delle arti si dirige sempre piu' verso il collettivo. La vera arte murale, d'altra parte, propone preferenzialmente un'immagine-oggetto in opposizione all'immagine-sentimento del quadro da cavalletto (il quale, non dimentichiamolo, si rivolge soprattutto al collezionista privato). A causa dell'ambiente in cui si situa e del vasto pubblico che le e' generalmente riservato, l'arte murale accaparra subito e mette in moto il meccanismo dello sguardo esigendone tutta l'attenzione prima ancora di sollecitare la sensibilita' del cuore e dello spirito. Il suo procedimento, dunque, che postula il primato del fatto plastico e' soprattutto visuale, e spesso spettacolare, e attenua o nasconde, se addirittura non l'annulla, l'espressivita' affettiva inerente alla pittura.

Ora Marcello Avenali ha proprio bisogno della sua arte da cavalletto per affermare meglio la sua arte murale, le sue proposizioni monumentali, le sue strutture geometriche, e permettersi liberta' che altrimenti terrebbe "sotto sorveglianza". La prima arte fa insomma da supporto e da appoggio morale all'altra; inoltre continua a renderlo sempre piu' sensibile - quella sensibilita' per le creature e le cose cosi' congenita alla sua natura di artista - e gli evita una certa secchezza nella strutturazione delle forme e una certa rigidita' automatica nei gesti. La produzione di Avenali scultore e decoratore di grandi spazi trova quindi la sua sicurezza psicologica e la sua fertilita' materiale nella produzione di Avenali pittore.

Andre' Verdet, dalla monografia edita nel 1972.

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... La fusione dei metalli, il mosaico, il graffito, l'encausto, la composizione con materiali vetrosi o la saldatura in ferro, la lavorazione nei due estremi del cristallo e dell'acciaio: peintre-artisan, Avenali non ha paura dei materiali e delle tecniche, anche le meno "pittoriche". Eppure lo sentirai sempre definirsi "pittore", poiche' di quei materiali gli interessa soprattutto l'impressione coloristica. Un pezzo di ferro di recupero o una stoffa vecchia possono valere come un albero, un ferro saldato gli interessa (pittoricamente) come un personaggio. Dei frammenti del mondo circostante, sceglie quelli artificiali o post-tecnici perche', come diceva il grande materialista Schwitters, "il mondo moderno e' l'altra meta' della natura, quella che nasce dall'uomo"...

I grandi collages. All'inizio erano le stoffe che l'artista-trovarobe accumula nel suo studio come testimonianza d'una vita morta, di una funzionalita' sprecata. Poi (nulla si crea e nulla si distrugge) vengono assunte come soggetto d'un collage tre-di ("Amo le materie umili e povere - con la speranza di nobilitarle"). E infine, spedito all'arazziere di Asti o di Parigi, questo quadro viene trasformato in arazzo: si torna cioe' all'inizio del processo. Un non-quadro nato da frammenti di tessuto ritorna tessuto: colorato, brillante, eloquente, come una ribalta affollata di personaggi. O meglio come un teatrino di marionette che miniaturisticamente raccontano vicende della fantasia e della favola. Dietro questi collages variopinti sembra di ritrovare quelle marionette che Avenali assortiva nel dopoguerra per favole da bambino-faber.

Questo lavoro che qualcuno disse (lo ricorda ironicamente Avenali) "di seconda mano", non e' una ricerca fine a se stessa ma dimostrativa, didattica. Con orgoglio, il pittore mostra le tecniche particolari escogitate per una vetrata moderna o per una decorazione funzionale. La destinazione ideale per questo lavoro non e' la galleria d'arte e tanto meno la casa del collezionista: e' semmai lo spazio urbano (ha lavorato con Michelucci, con i Passarelli, con Breuer) o meglio l'ambiente rinnovato di una scuola sperimentale. Non e' colpa di un artista se questa scuola ancora non c'e'.

Maurizio Fagiolo, presentazione della mostra alla galleria Aldina, 1973.

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... Avenali non e' mai diventato vittima dell'estetica nonostante la raffinatezza con la quale sa maneggiare ogni sorta di materiale. Al contrario di Braque di cui e' grande ammiratore, egli lascia che il sentimento corregga il cervello e lo tenga sotto controllo.

Grazie al suo temperamento Avenali e' giunto ad un fauvismo che occupa un posto unico nell'arte italiana contemporanea. A causa della mobilita' barocca il fauvismo di Avenali sembra riallacciarsi al futurismo; c'e' pero' una grande differenza tra la mobilita' dei futuristi e quella che caratterizza la vitalita' pittorica di Avenali. Inoltre l'artista non rifiuta la tradizione, anzi, ne trae ispirazione. La Roma antica e' una realta' storica esistente, esattamente come la Roma di Fellini. Cosi' quando si trova ad Amsterdam egli vede la citta' di Rembrandt nella luce soffusa dei nostri giorni. Il contrasto tra il presente ed il passato accentua i movimenti e da' loro inoltre un significato: perche' le immagini evocate da Avenali non sono passeggere come nei film, ma hanno un valore duraturo: sono immagini di una realta' intensamente vissuta, dinamiche e ricche di colore che nascono sollecitate da una esperienza sensuale e stimolano la nostra immaginazione.

Ed Wingen, La forza vitale dell'immaginazione, presentazione della monografia edita nel 1980.

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... Ritorna la figura, un passo indietro: sono categorie che non appartengono a chi mai accetto' l'opposizione del tutto artificiale ed erronea "astratto-figurativo", come opposizione fra moderno e non moderno, e soprattutto mai ne accetto' l'irreversibile piano inclinato verso la palingenetica catarsi della morte dell'immagine realistica come preludio alla morte dell'arte. Io, ad esempio, non sono in grado di registrare se in Avenali c'e' un "ritorno di figure" che possa in qualche modo appaiarsi allo sfrenato "figurativismo programmatico", cosi' e' giusto chiamarlo, dei postavanguardisti. Mi pare piuttosto che ad Avenali vada riconosciuta una virtu' che non fu propria di molti, appunto, negli anni nei quali la dittatura del gusto astratto stava preparando, tra l'altro, anche la rovina finanziaria di piu' di un inavveduto e calandristico collezionista. Si tratta della virtu' per cui se e' vero che il disegno d'una forma antropomorfica e oggettiva e' pur sempre il disegno d'una figura o d'una immagine figurale o figurativa, cio' che in definitiva in un artista decide non e' l'abbandono o il ritorno di questa o quella "figura" ma il modo, lo stile, la forza di comunicazione che non importa qual tipo di figure riescono ad attingere... Nella continuita' del lavoro di Avenali se puo' esservi, come c'e', il limite d'una scelta che a volte e' programmaticamente decorativa, v'e' tuttavia un nutrimento espressivo delle immagini che risulta sempre libero da preconcetti, appunto, antropomorfici o non oggettivi. E qui sta la modernita' di Avenali relativamente all'epoca nella quale egli si e' formato e si e' maturato.

Antonello Trombadori, dalla monografia edita nel 1980.

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Nel periodo in cui Avenali sta lavorando agli affreschi della chiesa di Sant'Eugenio, Sironi gli fa visita nello studio romano. Dell'episodio Avenali raccontera': "la mia pittura allora era imperniata d'eleganza... rimase un po'... cosi'... lui che era cosi' violento... Poi invece fu lui che mi fece invitare ad un premio a Cortina e mi elogio' per l'opera che avevo mandato. Poi la mia pittura cambio', perche' lui mi insegnava tante cose della vita, ma soprattutto in fatto d'arte...". I due artisti si erano conosciuti a Cortina d'Ampezzo l'anno prima, nel 1950. Avenali aveva atteso a lungo Sironi nella hall dell'albergo, tanto era ansioso di conoscere uno dei miti dell'arte della prima meta' del secolo. Avenali ricordera' con precisione quel primo incontro e la battutaccia di Sironi. "Dunque lei sarebbe un pittore?". Ma aggiungera': "il suono della voce era cosi' gradevole e il desiderio di avvicinarmi a lui era cosi' grande, che ignorai l'impertinente battuta". La descrizione che Avenali fa di Sironi e' toccante, considerato quanto questi fosse di carattere piuttosto scontroso: "Era un uomo profondamente giusto, e profondamente umano nel senso assoluto, universale, e questa rara condizione morale e spirituale non l'ha mai abbandonato per tutto l'arco della sua splendida e feconda opera di grande artista. Un uomo al quale era inutile fingere o nascondere, un uomo al quale bisognava stendere la mano e basta". Da quel momento i due artisti non perdono i contatti; si scrivono lettere affettuose, si telefonano, qualche volta riescono a vedersi. Avenali era evidentemente lusingato da questo rapporto d'amicizia e forse anche sorpreso d'aver trovato tanta familiarita' in un uomo che certo non ne concedeva volentieri. Inoltre l'ammirazione per l'opera di Sironi era talmente grande che Avenali anelava di catturarne anche solo parte della grandezza in ogni atteggiamento, in ogni suggerimento o scambio di idee.

Che impulso Avenali ha potuto riceverne per la sua attivita' futura? Sicuramente ben due effetti hanno sortito da quell'incontro: il primo immediato e di ordine contenutistico relativo alla volonta' di dedicarsi alla grande decorazione; il secondo di ordine stilistico, in tempi piu' lunghi e incidente sulla materia e sulla forma... Nel giugno del 1951 Avenali scrive a Sironi di aver portato a termine gli affreschi di Sant'Eugenio e descrive accorato al Maestro la fatica enorme che aveva dovuto sostenere: "... bello - bellissimo l'affresco Caro Maestro ma quanta disciplina impone! Quanta impotenza di realizzare subito, di vedere subito, li' sulla parete a punta del proprio pennello il risultato dei propri sforzi - chiaro e scuro ombra e luce o tutto ombra non e' possibile saper distinguere; il muro rifiuta la luce con ostinazione, sul momento s'intende, che dopo e' tutta un'altra cosa; il dipinto s'ingerma, s'inarca, si disunisce, si sfrangia, prima di assestarsi, snodarsi alfine sereno e pacato - allora, solo allora, possiedi la visione del tutto - ma quante fatiche Caro Maestro e che voglia di accelerare i tempi di vedere subito".

... Il sincero rapporto d'amicizia e di stima con Sironi, che si snoda per tutti gli anni Cinquanta fino alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1961, e' sottolineato da altre lettere rintracciate negli archivi di rispettivi eredi. In una di esse, datata 8 giugno 1951, Sironi comunica ad Avenali che e' riuscito a farlo inserire tra i partecipanti al Premio Parigi itinerante tra Cortina e Parigi. Sironi e' amareggiato dal "clima di camorra" che si respira a Cortina e non nasconde la fatica che gli e' costata far accettare Avenali. Questi decide di inviare alla rassegna quattro opere, due nature morte e due figure; tra esse Nudo del 1948 viene particolarmente apprezzato da Sironi. Non e' in questo periodo, tuttavia, che nella pittura da cavalletto di Avenali, si registrano influssi sironiani; occorre rilevare la piena autonomia dell'artista rispetto al piu' anziano maestro e la piena consapevolezza di una propria originale evoluzione stilistica, che prende le mosse soprattutto dalle sue esperienze e in primo luogo da quella delle vetrate. E sara', infatti, consapevolmente che Avenali, all'indomani della morte di Sironi, decidera' di rendergli omaggio con una serie di opere la cui produzione si protrarra' almeno fino al 1965, anno in cui vorra' presentarsi alla Quadriennale di Roma proprio con questo particolare aspetto della sua arte... Queste tempere comunicano un Sironi che rivive nelle sue forme primordiali e solenni in Avenali e un Avenali che, in un tentativo - suggestivo, dai risultati sorprendenti e di grande qualita' pittorica - di intenzionale recupero dell'arte di Sironi, ne verifica e ne testimonia lo spessore intellettuale ed il valore estetico.

Episodio tra gli episodi, l'esperienza del cosiddetto "periodo grigio" di ascendenza sironiana si stratifica nella coscienza di Avenali, superata da nuovi simboli e da nuovi entusiasmi, da una liberta' da schemi e modelli, ma da un rigore lavorativo che e' forse l'eredita' piu' vera consegnatagli da Sironi.

Mariastella Margozzi, Avenali e Sironi, in Omaggio a Marcello Avenali, catalogo della mostra, 2001.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 333 del 26 aprile 2011

 

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