Nonviolenza. Femminile plurale. 331



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 331 del 23 aprile 2011

 

In questo numero:

1. Tiziana Bartolini incontra Ebba Witt-Brattstroem

2. Rosangela Pesenti: Tolleranza

3. Giancarla Codrignani: Ancora un ricordo di Adriana Zarri

4. Maria Grosso: Alice Ceresa tra sperimentazione e femminismo

5. Mariri' Martinengo: Contessa di Dia

6. Mariri' Martinengo: Castelloza

7. Mariri' Martinengo: Donna H.

8. Mariri' Martinengo: Gullelma di Rosers

9. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento

 

1. PROFILI. TIZIANA BARTOLINI INCONTRA EBBA WITT-BRATTSTROEM

[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "La donna del mese: Ebba Witt-Brattstroem. Il lungo cammino delle donne svedesi"

Tiziana Bartolini, giornalista e saggista, e' direttrice di "Noi donne" ed animatrice e partecipe di molte iniziative di pace, solidarieta', giustizia, liberazione, per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Dal sito di "Noi donne" riprendiamo la seguente scheda: "Direttora di 'noidonne' dal 2000. Nata a Roma ha due figli. Laureata in storia e filosofia, giornalista, esperta di comunicazione sociale, ha collaborato con riviste e quotidiani nazionali e con la Rai per il terzo settore. E' stata coordinatrice editoriale di 'Mondo Sociale', ha maturato competenze nel campo della pubblica amministrazione"]

 

"Nella nostra storia ci sono donne geniali che in diversi periodi storici hanno avuto un grande valore simbolico per il movimento femminile, il loro pensiero e le loro opere hanno aiutato il radicamento del concetto di uguaglianza di genere in Svezia".

Ebba Witt-Brattstroem, femminista e storica dei movimenti delle donne, illustra un lungo cammino che prese avvio... con Santa Brigida, "la prima donna simbolo svedese, oggi uno dei patroni d'Europa, e unica santa della Scandinavia. La Svezia, che divenne protestante nel '500, riscopri' Santa Brigida alla fine dell'800, periodo in cui lei e la nostra celebre scrittrice Fredrika Bremer (1801-1865) diventarono il simbolo del movimento femminile nella lotta per il voto alle donne e per la parita' dei diritti".

La cronologia delle leggi sulla parita' in Svezia racconta efficacemente la forza di quelle donne-simbolo e la capacita' delle svedesi di utilizzarne il carisma: diritto all'eredita' nel 1845 e maggiore eta' a 25 anni nel 1858, divieto della violenza contro la donna nel 1864, diritto per le donne di accedere all'istruzione superiore nel 1870, riconoscimento a gestire il proprio reddito dopo sposate nel 1874.

Il cammino continua nei primi decenni del XX secolo: diritto al voto nelle elezioni comunali nel 1919 e nel '21 esteso a tutte le assemblee elettive, nel 1935 il sistema pensionistico e' uguale per uomini e donne, nel 1938 e' consentito l'uso di anticoncezionali. Nel 1939 arriva la legge piu' significativa, in contrasto con quanto avveniva nell'Europa fascista: il divieto di licenziamento a causa della gravidanza. Sul fronte della famiglia, nel 1950 fu imposta la potesta' genitoriale a entrambi i genitori, nel 1965 e' stato criminalizzato lo stupro coniugale e dal 1971 e' stata introdotta la tassazione individuale del reddito in sostituzione della tassazione congiunta. La conquista di questi capisaldi normativi ha consentito, successivamente, altri passi avanti, che si sono realizzati anche grazie a delle modalita' di tessere relazioni al femminile.

"Il femminismo svedese si distingue per la sua strategia basata sul 'networking', capacita' di creare una vasta rete di comunicazione. Molte riforme nei primi del '900 sono state realizzate grazie alle donne che, spesso di nascosto, collaboravano al di la' dell'appartenenza politica. Questa tradizione fu riscoperta nel 1993, quando la rete nazionale Stoedstrumporna ('calze contenitive') comincio' a fare pressione per ottenere maggiore uguaglianza nella politica. I risultati sono arrivati, visto che nel 1994 la Svezia e' stato il primo parlamento e governo al mondo costituito per il 50% di donne. Oggi da noi la parita' nella politica e' scontata, mentre al vertice del mondo imprenditoriale o dell'universita' le donne sono meno del 20%".

Nata nel 1953 in Svezia da genitori tedeschi fuggiti dalla Germania nazista durante la seconda guerra mondiale, Ebba Witt-Brattstroem e' sempre stata una femminista. Negli anni Settanta e' stata membro del network femminista Grupp 8 e negli anni Novanta tra le fondatrici del partito Feministiskt Initiativ, prendendone successivamente le distanze. Insegna Letteratura con indirizzo di genere all'universita' di Soedertoern, vicino Stoccolma, ed e' visiting professor al dipartimento di Studi Nordeuropei all'universita' Humboldt di Berlino. Il suo ultimo libro, nel 2010, e' la storia del movimento femminista svedese 'A alla kaera systrar!' (A tutte le care sorelle!).

L'abbiamo incontrata a Roma per la sesta edizione del seminario internazionale "Storie e identita'. L'Europa degli intellettuali", occasione in cui abbiamo anche cercato di capire quali sono le differenze che, dal suo punto di vista, rileva tra i movimenti femministi in Svezia e in Italia.

"In Svezia le donne hanno raggiunto traguardi piu' avanzati sul piano della parita', ma trovo nelle italiane una fierezza del loro essere donne che a noi manca. A voi lo Stato dovrebbe dare piu' sostegno, come e' garantito in Svezia. Questi traguardi sono stati raggiunti anche grazie alla nostra capacita' di fare rete. Nel '93 ci rendemmo conto di aver perso terreno, ad esempio in Parlamento la presenza femminile era arrivata a circa il 30%, abbiamo reagito puntando sull'appoggio delle donne nelle tv oppure su quelle piu' note, cosi' abbiamo acquistato tutte piu' forza. Il movimento e' trasversale e accomuna sia le classi sociali medio-alte sia le donne che fanno riferimento ai sindacati".

Il tasso di natalita' in Svezia supera il 2,1 bambino per donna e la stessa Ebba Witt-Brattstroem, con quattro figli, ha sempre lavorato grazie "ad un marito che ha condiviso sia il congedo parentale sia il lavoro in casa, tutte cose considerate normali in Svezia". Le proteste delle donne, oggi, riguardano richieste di pensioni piu' alte e, per le giovani, protezioni in caso di separazione. Un terreno su cui c'e' ancora molto da fare e' la parita' salariale, che arriva fino ad un meno 17% per le donne. "Le femministe lo chiamano snoppoaeng (i vantaggi del pisello)". Quando si dice che tutto il mondo e' paese...

 

2. RIFLESSIONE. ROSANGELA PESENTI: TOLLERANZA

[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Tolleranza" e il sommario "Non tolleriamo il mondo che gira intorno mentre noi contempliamo il nostro ombelico. E piu' di tutto non tolleriamo i migranti".

Rosangela Pesenti, laureata in filosofia, da molti anni insegna nella scuola media superiore e svolge attivita' di formazione e aggiornamento. Counsellor professionista e analista transazionale svolge attivita' di counselling psicosociale per gruppi e singoli (adulti e bambini). Entrata giovanissima nel movimento femminista, nell'Udi dal 1978 di cui e' stata in vari ruoli una dirigente nazionale fino al 2003, collabora con numerosi gruppi e associazioni di donne. Fa parte della Convenzione permanente di donne contro tutte le guerre, della Convenzione delle donne di Bergamo, collabora con il Centro "La Porta", con la rivista "Marea" e la rivista del Movimento di cooperazione educativa. Tra le opere di Rosangela Pesenti: Trasloco, Supernova editrice, Venezia 1998; (con Velia Sacchi), E io crescevo..., Supernova editrice, Venezia 2001; saggi in volumi collettanei: "Antigone tra le guerre: appunti al femminile", in Alessandra Ghiglione, Pier Cesare Rivoltella (a cura di), Altrimenti il silenzio, Euresis Edizioni, Milano 1998; "Una bussola per il futuro", in AA. VV., L'economia mondiale con occhi e mani di donna, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 1998; AA. VV., Soggettivita' femminili in (un) movimento. Le donne dell'Udi: storie, memorie, sguardi, Centro di Documentazione Donna, Modena 1999; "I luoghi comuni delle donne", in Rosangela Pesenti, Carmen Plebani (a cura di), Donne migranti, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 2000; "Donne, guerra, Resistenza" e "Carte per la memoria", in AA. VV., Storia delle donne: la cittadinanza, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 2002; Caterina Liotti, Rosangela Pesenti, Angela Remaggi e Delfina Tromboni (a cura di), Volevamo cambiare il mondo. Memorie e storie dell'Udi in Emilia Romagna, Carocci, Firenze 2002; "Donne pace democrazia", "Bertha Von Suttner", "Lisistrata", in Monica Lanfranco e Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne Disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003; "I Congressi dell'Udi", in  Marisa Ombra (a cura di), Donne manifeste, Il Saggiatore, Milano 2005; "Tra il corpo e la parola", in Io tu noi. Identita' in cammino, a cura dell'Udi di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, 2006]

 

Mi e' capitato stamattina di rubare involontariamente il parcheggio. L'auto era ferma con la freccia per uscire, cosi' ho interpretato, in modo evidentemente errato, e la giovane donna mi ha rimproverata con voce dura, mantenuta anche dopo le mie scuse come se fossi un'incorreggibile ragazzina, anzi di piu', una volgare approfittatrice. Le mie scuse e l'evidente imbarazzo non hanno scalfito la coscienza adamantina del suo diritto. Doveva farmi vergognare di me stessa e io mi sono vergognata e scusata. Mi sarei vergognata ancora di piu' di spiegarle che comunque ero gia' stata li' due volte il giorno precedente e me n'ero andata via, perche' non avevo trovato parcheggio e non sono in grado di camminare per lunghi tratti per un problema alle gambe.

Lei era certamente dalla parte della ragione, ma nella vita quotidiana il volto della giustizia non puo' essere di marmo, ha bisogno di corpi che si guardino e riconoscano l'altro nella sua differente ragione. Ho accettato il rimprovero, ma un sorriso ci avrebbe riconciliate nella comune condizione del correre di fretta per non arrivare da nessuna parte, nella comune fatica di conservare la sopravvivenza stipando le nostre giornate di donne con tutto il possibile e l'impossibile.

Forse un sorriso era troppo per la sua fatica quotidiana.

In questo paese tolleriamo tutto: un parlamento che grida vendetta al cospetto di dio (cosi' si esprimeva mia madre per vicende oltre ogni limite, ma i rappresentanti di dio tacciono), la mercificazione di tutto, la crescita visibile delle differenze sociali, governanti che festeggiano mentre la nave affonda sicuri di avere scialuppe a disposizione per salvarsi, le guerre intorno a noi, l'uccisione dei giusti e degli inermi, il femminicidio, la mortificazione del lavoro onesto, l'esaltazione dell'evasione fiscale, la distruzione di scuola e sanita' pubbliche, la devastazione del territorio, la speculazione sui beni comuni e molto altro ancora.

Non tolleriamo l'acqua che cade dal balcone di sopra, i bambini che giocano nel cortile condominiale, l'auto lenta al semaforo, una piccola coda al supermercato.

Non tolleriamo il mondo che gira intorno mentre noi contempliamo il nostro ombelico.

E piu' di tutto non tolleriamo i migranti: signore perbene che escono dalla messa non si peritano di esprimere soddisfazione per quelli affondati prima di toccare le nostre coste.

Quelle che praticano la pelosa carita' negli oratori non nascondono l'insofferenza se gli assistiti vogliono diventare come noi: abiti alla moda e figli a scuola.

Insomma se proprio arrivano che stiano al loro posto tutti, compresi quelli che qui sono nati e pensano che questo sia anche il loro paese.

Cosi' si vive qui, nel profondo nord, ricco e infelice, solitudini miserabili dentro i fortilizi delle proprieta' e del conto in banca.

 

3. MEMORIA. GIANCARLA CODRIGNANI: ANCORA UN RICORDO DI ADRIANA ZARRI

[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Adriana Zarri. Coscienza Integrale" e il sommario "L'eremita non e' la donna spirituale che si disimpegna dai problemi della realta'"

Giancarla Codrignani, gia' presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005. Si veda anche la risposta all'ultima domanda dell'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 343. Un profilo di Giancarla Codriganni scritto da Annamaria Tagliavini ed apparso sull'Enciclopedia delle donne abbiamo riportato nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 513.

Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, teologa e saggista, e' deceduta nel 2010. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo i seguenti stralci: "Adriana Zarri (San Lazzaro di Savena, 26 aprile 1919 - Crotte di Strambino, 18 novembre 2010) e' stata una teologa, giornalista e scrittrice italiana. E' nata nel 1919 a San Lazzaro di Savena, nelle immediate vicinanze di Bologna, figlia di un mugnaio, gia' bracciante, e della figlia di un capomastro. Negli anni giovanili dirigente dell'Azione Cattolica, dal 1952 e' giornalista pubblicista. Dopo aver vissuto in diverse citta' italiane (Roma, soprattutto), dal settembre 1975, per una scelta di tipo eremitale, si e' ritirata prima ad Albiano, poi a Fiorano Canavese, e infine, dalla meta' degli anni '90, a Strambino, sempre in provincia di Torino. Ha collaborato con molte testate cattoliche: L'Osservatore Romano, Rocca, Studium, Politica oggi, Sette giorni, Il Regno, Concilium, Servitium e Adista. Ha collaborato con i periodici Avvenimenti (con la rubrica Diario inutile) e MicroMega. Nel quotidiano Il Manifesto aveva una rubrica domenicale, Parabole. In passato partecipo' anche come ospite fissa alla trasmissione televisiva Samarcanda condotta da Michele Santoro. Ha portato avanti una teologia antitradizionalista, dubitando dell'esistenza dell'Inferno in quanto punzione non educativa e riproponendo una visione pessimistica della morte. Ha preso pubblicamente le distanze tanto dal disinteressamento nei confronti della religione quanto da movimenti conservatori come Comunione e Liberazione oppure Opus Dei. Premi e onorificenze: Il 6 dicembre 1995 le e' stato conferito il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Premio speciale Testimone del Tempo, assegnato dal Premio Acqui Storia; Premio Matilde di Canossa, della Provincia di Reggio; Premio Minerva 1989, nella sezione Ricerca scientifica e culturale; Premio Igino Giordani 2002, del comune di Tivoli. Per il suo volume Vita e morte senza miracoli di Celestino VI ha vinto, nel 2008, la quattordicesima edizione del Premio Letterario Domenico Rea, nella sezione Narrativa e la quarta edizione del Premio letterario Alessandro Tassoni, sempre per la sezione Narrativa". Tra le opere di Adriana Zarri: Giorni feriali, Ipl, Milano 1953; L'ora di notte, Sei, Torino 1960; La chiesa, nostra figlia, La Locusta, Vicenza 1962; Impazienza di Adamo. Ontologia della sessualita', Borla, Torino 1964; Teologia del probabile, Borla, Torino 1967; Tu. Quasi preghiere, Gribaudi, Torino 1973; E' piu' facile che un cammello..., Gribaudi, Torino 1975; Erba della mia erba. Resoconto di vita, Cittadella, Assisi 1981; Dodici Lune, Camunia, Milano 1989; Figlio perduto. La parola che viene dal silenzio, La Piccola, Celleno 1991; Nostro Signore del deserto. Teologia e antropologia della preghiera, Cittadella, Assisi 1991; Quaestio 98. Nudi senza vergogna, Camunia, Milano 1994; Dedicato a, Frontiera, 1998; Dio che viene. Il Natale e i nostri natali, La Piccola, Celleno 2007; Vita e morte senza miracoli di Celestino VI, Diabasis, Reggio Emilia 2008; Un eremo non e' un guscio di lumaca, Einaudi, Torino. Cfr. anche almeno i testi nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 402, e in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 313]

 

Adriana con il gatto. La copertina del libro che Adriana Zarri non ha visto ("Un eremo non e' un guscio di lumaca", Einaudi, 2011) la ritrae come lei voleva essere pensata dagli amici. Amava i gatti, il solo elemento di consonanza che io abbia con il Papa attuale, diceva. Quello della foto si chiamava Malandrino, l'ultima che le ha fatto compagnia fin sotto la bara Arcibalda: "al cane diciamo: vai alla cuccia e lui ci va con la coda fra le gambe, ma il gatto alla cuccia non ci va e tiene la coda dritta come una bandiera... e' in grado di capire il nostro stato d'animo e, se ci vede piangere, viene a leccarci le lacrime".

Adriana Zarri e' stata una donna di fede piu' che di religione. Aveva scelto la vita eremitica e la poverta' vivendo in antichi casolari, a volte senza luce o senza riscaldamento, mai senza bellezza, senza un giardino da riempire di fiori, di rose di tutte le qualita'. Forse non sono scelte facili da capire, soprattutto per chi pensa secondo gli schemi clericali dell'educazione cattolica, che non riesce mai ad imparentarsi con la liberta'. Invece i principi fondamentali a cui si vuole essere fedeli non sono necessariamente gli stessi delle norme: "le teologie sono tante, la fede e' una sola". Per questo sembra strano che la vita eremitica sia compatibile con la partecipazione alle trasmissioni di Santoro, con la difesa delle leggi sul divorzio e sull'aborto, con la nomina a cavaliere di gran croce al merito della Repubblica. Eppure cosi' era Adriana: se il Sant'Uffizio non l'ha mai scomunicata era perche' nemmeno la' sapevano come sarebbe andata a finire. Adriana, infatti, aveva anticipato le novita' portate poi dal Concilio Vaticano II; era stata pronta a cogliere dalla cultura delle donne - che era la sua - la natura della trascendenza come "relazione" con il divino, da rileggere "con il respiro delle donne"; nel 1961 aveva accolto l'apertura ai segni dei tempi indicati da Giovanni XXIII con interventi che ancor oggi sembrano attuali: La Chiesa nostra figlia o La teologia del probabile sono titoli ancora stimolanti, soprattutto se accompagnati dalla consapevolezza che la chiesa, nel Concilio, dove ha saputo dire il "non sappiamo", si e' "depurata da secoli di presunzione".

Ha scritto anche qualche romanzo: l'ultimo e' una parabola dal titolo Vita e morte di Celestino VI, un prete che diventa il papa che avrebbe voluto lei: riforma il celibato, il potere dei cardinali e della curia, il dogma dell'infallibilita', i cerimoniali e l'eccesso delle beatificazioni; e per finire abolisce lo Stato Vaticano.

L'eremo e' la sua misura di vita a contatto con il divino e non un guscio di lumaca perche' lei era innamorata di un Dio non dominatore che non impone sacrifici, ma e' gioia, liberta' assoluta che le si rivela nella sua "solitudine naturale", positiva esigenza dell'essere, che si estrania al mondo e alla societa' senza estraniarsi. Non puo' quindi credere all'inferno perche', se i laici non accettano piu' la giustizia solo punitiva, gli uomini sarebbero piu' buoni di Dio. Crede invece nella stoltezza umana quando vede la parata militare del 2 giugno, bella come spettacolo, ma "arrogante, inutile e costosa". Di fronte alle spese militari - diceva l'anno scorso - sembra che gli italiani siano ricchissimi, "ricchi di parate inutili, di bandiere stinte, di penne per bersaglieri e alpini e poveri di polli spiumati a maggiore gloria della patria... Per fortuna e' giugno e siamo ricchi anche di rose...".

L'eremita non e' la donna spirituale che si disimpegna dai problemi della realta': Adriana si impone come coscienza integrale. Per anni ha scritto "parabole" laicizzando i problemi religiosi e santificando quelli materiali in posizioni ardite che, se scandalizzavano, lei ne traeva la conferma di far bene il suo mestiere di donna del divino. Lo dimostra qualche citazione a caso dalle "Parabole" che pubblicava sul "Manifesto". Sono degli ultimissimi anni.

- "Faremmo meglio a preferire ai crocifissi di legno appesi alle pareti i crocifissi di carne che camminano per le nostre strade senza che noi li riconosciamo...".

- "'Non c'e' alcuna ragione perche' sia impedito ai preti cattolici di sposarsi', ha affermato il vescovo di Nottingham, 'e' sempre stata una questione di disciplina piu' che di dottrina, tantomeno che l'obbligo del celibato fu introdotto solo nell' XI secolo da Papa Gregorio VII". Parole che dedichiamo a papa Ratzinger che forse sapra' come l'obbligo suddetto sia largamente disatteso, e assai frequenti invece le donne dei preti e i figli dei preti: conseguenza inevitabile di un peso imposto e non scelto".

- "Tra le tante chiese crollate a L'Aquila c'e' quella del Suffragio che si dice molto cara all'Opus Dei. E allora che questa se la restauri da sola, che i soldi ce li ha e potra' anche fare un'opera buona a sconto dei suoi molti peccati".

- "Per lungo tempo abbiamo detto che il fine primario del matrimonio e' la procreazione, fino al punto di negare il sacramento a chi e' impotente. Ma io credo che il fine del matrimonio sia l'amore. E se ci sono due persone del medesimo sesso che si amano, pur non chiamando la loro unione matrimonio, dobbiamo aiutarli a stare insieme".

- "In un mondo sempre piu' celermente in cammino verso la pari dignita' dei sessi, dove le donne occupano le cariche piu' prestigiose, il permanente rifiuto cattolico all'ordinazione femminile e' una posizione di retroguardia sempre meno comprensibile".

- "Ormai e' entrato nel linguaggio corrente il ridicolo termine 'papamobile'; non meno ridicolo della gabbia di cristallo entro la quale viaggia il papa chiuso come in un ostensorio. Ormai ci abbiamo fatto l'occhio e non ci stupiamo piu' di tanto...".

- "Mi domando quale interesse possa avere per il cristianesimo un partito egoista, razzista, e perfino idolatra, che adora un fiume (il dio Po) e che disprezza tutti coloro che non risiedono in Padania, cioe' la maggioranza degli uomini".

- "Ci sono beni che non si possono privatizzare perche' sono tutti elargiti gratuitamente da Dio... Tra questi beni il sole che ci illumina e scalda, la terra che calpestiamo, l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo. Ma c'e' chi vorrebbe privatizzare l'acqua (e meno male che non puo' chiudere in un rubinetto l'aria, il sole, la terra".

- "I vescovi assistono allo sfacelo morale del paese ciechi, muti, afoni, sepolti in una cortina d'incenso che impedisce loro di vedere la verita'. Perche' non avete sconfessato Berlusconi quando ha respinto gli immigrati condannandoli a morte certa?". E questa risale al 2009. Figuriamoci come si sta arrabbiando adesso...

 

4. PROFILI. MARIA GROSSO: ALICE CERESA TRA SPERIMENTALISMO E FEMMINISMO

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo originariamente pubblicato sul quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio 2011.

Maria Grosso e' giornalista e scrittrice.

Alice Ceresa (1923-2001), scrittrice, giornalista, traduttrice e consulente editoriale italiana di origini svizzere, ha vissuto prevalentemente a Roma. Tra le opere di Alice Ceresa: La figlia prodiga, Einaudi, Torino 1967; La morte del padre, Einaudi, Torino 1979; Bambine, Einaudi, Torino 1990; La figlia prodiga e altri scritti, La Tartaruga, Milano 2004; Piccolo dizionario dell'ineguaglianza femminile, Nottetempo, 2007)]

 

 

Alice Ceresa rivendicava la sua scrittura difficile: "non mi risulta che le cose (e neanche quelle da capire) siano facili". In questo non ostentava erudizione, se pure avrebbe potuto permetterselo, considerato il suo sconfinato giardino di conoscenze, innaffiate fin dall'infanzia da una insopprimibile passione per lo studio. Quel "difficile" per lei atteneva piuttosto a una spietata consapevolezza della complessita' dell'esistenza, a un'accettazione delle meraviglie e del dolore connessi alla ricerca intellettuale. "Difficile" voleva dire guardare negli occhi la sua responsabilita' di scrittrice per arrendersi all'unico oggetto che per lei valesse la pena di essere indagato, anche a costo di girarci intorno tutta la vita, o di dare alle stampe un piccolissimo numero di opere (perche' il punto non era il produrre ma l'infinito indagare).

L'argomento "e' la posizione esistenziale dell'essere femminile configurato nell'urto fra la personalita' privata e interiore di una donna moderna (che rifiuta di essere un 'oggetto'...) e la tradizionalita' di una societa' edificata intieramente al contrario di questa sua presa di coscienza". Cosi' scriveva nelle note alla Figlia prodiga (Einaudi), opera che nel '67 segna il suo esordio. Disegnava cosi' ("Occorre disegnare, per incominciare...") un filo e insieme un rompicapo che nelle sue novecentesche e personalissime diramazioni - infanzia, femminismo, psicoanalisi, biologia, indagine sul linguaggio - avrebbe attraversato la sua esperienza letteraria, a comprendere La morte del padre (racconto uscito su "Nuovi Argomenti" nel '79), Bambine (Einaudi 1990), a prefigurare Eloise, titolo provvisorio per un'opera cui lavorava al momento della scomparsa (2001), e Piccolo dizionario dell'inuguaglianza femminile, avviato negli anni '70, sempre rivisto e limato, ma dato alle stampe postumo (Nottetempo 2007).

Spingersi fino al nucleo vivo della biforcazione donna/societa' per Ceresa e' pero' inseparabile dall'innescare una deflagrazione delle forme che lo alimentano: linguaggio e stile come baluardi falsamente neutri del potere patriarcale. ("Ben sapendosi la pericolosita' dei padri, che poi siano intelligenti o meno"). Da attenta captatrice dei fervori del suo tempo, risuona con il percorso sperimentale del Gruppo 63, pur cercando strade di autonomia e sprezzando i rischi della traversata (La figlia prodiga, che vincera' il Viareggio opera prima, e' inizialmente lodato, ma giudicato "non pubblicabile" da Vittorini). No al romanzo, alla "presuntuosa" pretesa di continuita', a dialogo, intreccio, descrizione, alle menzogne della prosa che compiace. Si' alla struttura a vista - frammentare, sminuzzare, dissezionare come infrangere la crosta dell'ovvio, "distillare" come ossessivo protendersi verso la radice filosofica delle cose, scrittura come pittura (il modello in letteratura e' Klee), "reinterpretare" come sforare dai confini, lei "nata gia' emigrata" (a Basilea nel '23, poi vissuta a Roma dal '50), bilingue tra la Svizzera italiana del padre e quella tedesca della madre, lei, raffinata traduttrice. Da questo terremoto stilistico, La figlia prodiga e Bambine emergono come sopravvissute senza nome, tanto piu' astratte e simili a ogni altra quanto piu' deprivate di qualunque legittima aspirazione all'unicita'.

Con la forza bruciante di questo sguardo da entomologa, con "la sua voce, la sua intelligenza, la sua volonta'", colloquia Alice Ceresa. La letteratura vive in caverne tappezzate di libri e molto raramente esce allo scoperto, un volumetto edito nel decennale della morte da Beatrice Fittipaldi, compagna di una vita, pittrice e curatrice delle opere di Ceresa, conservate all'Archivio della Biblioteca Nazionale di Berna. Intreccio vitale di scritti della stessa autrice (tra cui l'inedito Che cosa e' una femminista), e di studiose come Tatiana Crivelli, Jacqueline Risset, Maria Paola Fiorensoli, di disegni (Marilu' Eustachio), lettere (Calvino, Scialoja), poesie (Patrizia Cavalli), foto, testimonianze di quante oltre alla scrittura ne hanno respirato la presenza (Maria Rosa Cutrufelli, Giosetta Fioroni, Letizia Paolozzi, Patrizia Zappa Mulas), il libro - oggi alle 18,30 la presentazione alla Casa delle Letterature di Roma - acclude il dvd di Se tu sapessi (2004), documentario di Gianna Mazzini e Loredana Rotondo, andato in onda nella serie Rai "Vuoti di memoria". Qui appare l'ironia di Ceresa, la tenerezza schiva, il senso autocritico, la scelta di "stare nel cono d'ombra del proprio tempo", come nota Zappa Mulas. Ceresa che non scrive per le donne, non pensa a lettrici e lettori, scrive "perche' va scritto". A chi la scopre o la riscopre, la sfida liberatoria del "difficile".

 

5. PROFILI. MARIRI' MARTINENGO: CONTESSA DI DIA

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Mariri' Martinengo "si occupa di politica delle donne, conciliandola con gli affetti familiari, l'interesse per i viaggi, l'arte e la musica. Si e' dedicata con passione e liberta' alla narrazione di contesti relazionali medievali creati da alcune donne intorno a se': Ildegarda di Bingen (Diotima. Il cielo stellato dentro di noi, La Tartaruga, 1991 e Libere di esistere, Sei, 1996) e le Trovatore (Le Trovatore I e Le Trovatore II, Libreria delle Donne, rispettivamente 1996 e 2001). Ultimamente con La voce del silenzio (Ecig, 2005) ha svelato, attraverso la narrazione della vita e della morte della nonna, il travaglio interiore della storica e insieme le radici profonde del suo amore per la storia. Da alcuni anni, all'interno del gruppo "Storia Vivente", studia, con altre, un modo di fare storia a partire radicalmente da se', con la scommessa ambiziosa di far emergere dal profondo elementi di simbolico inaspettati"]

 

Contessa di Dia (Die (Alta Provenza) 1140 ca. - ?).

La Contessa di Dia - una delle piu' note Trovatore - forse si chiamava Beatrix, nacque verso il 1140 a Dia (ora si chiama Die) nell'Alta Provenza. La Vida (la vita, in lingua d'oc) racconta: "La Contessa di Dia era la moglie di Guglielmo di Poitiers, una signora bella e buona. E si innamoro' di Rainbaud d'Orange e scrisse molte belle canzoni in suo onore" (Margarita Egan, Les vies des troubadours, Union Generale d'Editions, Paris 1958, pp. 68-69).

Sia della Contessa di Dia sia di Castelloza, di ciascuna delle quali abbiamo anche la Vida, oltre alle miniature che, nel manoscritto H, ne rappresentano l'aspetto, ci restano quattro canzoni, per cui non e' azzardato tentare di tracciare un profilo della personalita' di ognuna, quale emerge dall'analisi delle loro poesie. Tracciare un profilo, mettere in risalto un'individualita', con le sue caratteristiche specifiche ed irripetibili, significa inoltre non considerare le Trovatore come gruppo indistinto.

Nella briosa canzone "Di gioia e gioventu' m'appago" la Contessa esprime la felicita' che deriva da un amore corrisposto, in cui sentimento e stima reciproci si allacciano strettamente. Ella si preoccupa che il rapporto con il cavaliere amato sia equilibrato, vale a dire che quello che si da' sia alla misura di quello che si riceve: la donna, gelosa custode della propria autorita' e del proprio prestigio, non deve buttarsi via con un uomo che non la merita; nella stessa logica bilanciata, e' necessario amare un uomo di pregio, perche' l'onore si riverbera sulla donna; amare apertamente merita l'approvazione dei prodi, alla quale la Contessa tiene molto, perche' rafforza la stima di se' e, per estensione, di tutto il sesso femminile. La breve composizione e' densa di significati e segue coerentemente un ragionamento. Anche nella successiva "Ora dovro' cantare cio' che non vorrei" la poetessa, con sollecitudine, rassicura l'amato di non aver commesso alcun torto verso di lui, per cui lui deve riamarla; la corrispondenza amorosa e' vista dunque come un premio di buona condotta, il vassallo deve rispondere positivamente alla generosita' del feudatario. La Contessa e' inserita nel mondo feudale in cui vale la legge del concedere e del pretendere in cambio: "io, bella, nobile, di valore e soprattutto sincera, ti ho dato e tu ora mi devi restituire". Sono poesie trasparenti, in cui si afferma il desiderio di un amore retto ed onesto, fondato su solide basi di riconoscenza e di apprezzamento vicendevole, un amore che deve reggere al tempo.

La meravigliosa canzone "Sono stata in grave angoscia" e' molto diversa dalle due precedenti: qui vivacita', trasporto, passione trionfano, occupano tutto lo spazio; non c'e' posto per i ragionamenti, la Contessa ama, lo dichiara ad alta voce, lo grida, con grande spregiudicatezza manifesta i suoi desideri erotici, al di fuori di ogni ritegno, senza nessun'altra preoccupazione: qui cio' che conta e si vuole e' l'immediata e piena soddisfazione dei sensi.

"La gioia cortese mi dona felicita'" mostra una gaiezza cosi' solare che non puo' essere durevolmente oscurata dalla nuvola grigia dell'invidia di alcuni, anzi, semmai, il sapersi oggetto d'invidia raddoppia la felicita'. Le poesie della Contessa, pur pervase di calore, sono concise e sorvegliate, screziate qua e la' da coloriture raziocinanti.

"Come vorrei una sera tenere

Il mio cavaliere, nudo, tra le mie braccia

...

Bell'amico, amabile e buono

...

potessi giacere al vostro fianco una sera

potessi darvi un bacio appassionato!".

Al livello attuale degli studi conosciamo una ventina di Trovatore al cui nome e' legata una poesia, canzone o tenzone (dialogo in poesia su una questione, in genere amorosa) o salut o sirventese (componimento poetico d'occasione d'argomento politico o religioso); molti componimenti poetici sono anonimi, di altre ci restano i nomi, testimonianza della fama di cui godettero in vita.

Le Trovatore si compiacquero di cantare d'amore: nelle canzoni, Tibors di Sarenom, Bieiris di Romans, Castelloza, Azalais di Porcairagues, Azalais d'Altier, Clara d'Anduza e la Contessa di Dia manifestarono il loro amore in versi ora appassionati ora teneri ora struggenti, non sublimando il pathos, non idealizzando la persona amata, ma desiderandone ardentemente la vicinanza.

Le Trovatore si espressero in vari generi poetici: scrissero e musicarono canzoni (come, per esempio, Tibors di Sarenom, la Contessa di Dia, Castelloza, Azalais di Porcairagues, Bieiris di Romans), sirventesi (come Germonda di Montpellier o l'autrice di "Con grande dolore/ e duro affanno/ io piango e sospiro" o l'autrice di "Non posso fare a meno di dire la mia/ su tutto quel che mi duole al cuore"), albe, ballate e numerosissime tenzoni, giocate sia con altre donne sia con uomini.

Molto ampia e' la gamma dei toni in cui spazia la loro poesia: dal canto d'amore appassionato al lamento per la crudelta' dell'amato, alla disperazione per la sua morte, all'espressione della tenera amicizia, alla denuncia di un sopruso, all'ironia, al sarcasmo, alla beffa, alla spudoratezza.

Bibliografia: Mariri' Martinengo, Le Trovatore. Poetesse dell'amor cortese, I, Milano, Libreria delle Donne 1996; Mariri' Martinengo, Le Trovatore. Poetesse e poeti in conflitto, II, Milano, Libreria delle Donne 2001; Angelica Rieger, Trobairitz, Tubingen, Max Niemeyer Verlag 1991; Pierre Bec, Chants d'amour des femmes trobadours, Paris, Stock Moyen Age 1995; Mariri' Martinengo, Il messaggio delle Trovatore, in Scene, evolution, sort de la langue et de la litterature d'oc. Actes du VII Congres International d'Etudes Occitanes, Reggio Calabria-Messina,  7-13 juillet 2002,  publies par Rossana Castano, Saverio Guida, Fortunata Latella, tome I, Viella, pp. 521-532; Mariri' Martinengo,  Marie Therese Giraud, L'eredita' delle Trovatore. Dalle Trovatore alle Preziose, in La voix occitane. Actes du VIII Congres de l'Association Internationale d'Etudes Occitanes, eeunis et edites par Guy Latry, Bordeaux, 12-17 septembre 2005, tome I, pp. 425-434. Cfr. anche il sito della Association International d'Etudes Occitanes.

 

6. PROFILI. MARIRI' MARTINENGO: CASTELLOZA

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]

 

Castelloza (Alvernia 1200 ca. - ?).

Castelloza, una delle piu' note Trovatore, nacque intorno al 1200 e fu originaria dell'Alvernia. La Vida dice: "La signora Castelloza fu dell'Alvernia, una nobile signora, moglie di Truc di Mairona. Amo' Arman di Brion e compose le sue canzoni per lui. Era una signora molto allegra, assai istruita e bellissima. E qui sono riportate alcune delle sue canzoni" (Margarita Egan, Les vies des troubadours, Union Generale d'Editions, Paris 1958, pp. 64-65).

La personalita' di Castelloza e' molto diversa da quella della Contessa di Dia: nei suoi versi esuberanti e rigogliosi, nella scioltezza e abbondanza del suo canto Castelloza gioca a tutto campo la propria liberta' e signoria. La canzone "Amico, se vi trovassi cortese" e' una lunga e rabbiosa requisitoria poetica, non priva di insulti, contro l'uomo amato, nella quale si alternano suppliche a minacce, un monologo-dialogo conflittuale con l'uomo, in cui i moti interiori e l'interlocuzione sono strettamente intrecciati; il procedere dell'esplicitazione dei sentimenti contrastanti segue un moto apparente, un avanti e indietro che ha l'andamento delle onde del mare e, nelle sue ricorrenti contraddizioni, ha le caratteristiche dell'odi et amo.

Castelloza, col suo comportamento, sa d'essere controcorrente e lo afferma fieramente: non le importa di incorrere nella disapprovazione sociale, ma di affermare il proprio volere e piacere. Nel cantare di Castelloza c'e' la profonda consapevolezza, propria di molte altre Trovatore, che l'amore e' sempre impregnato di sofferenza e che il sollievo si trova solo nel sonno o nella morte.

"Non dovrei piu' desiderar cantare" e' una canzone dolente, nella quale la poetessa, abbandonato l'accento aggressivo, si effonde nel lamento per la trascuratezza dell'amato, nel rammarico per la propria inferiorita', nel tormento della gelosia. Al termine vi sono due commiati: Castelloza nel primo si rivolge a una donna, Madonna Migliore, nella quale ripone fiducia, per confessarle, forse domandando un giudizio, che lei ama sempre chi le procura dolore, e un altro a Bel Nome, l'amato, per dirgli che non si pente affatto di amarlo, anche se e' indegno, perche' lei e' comunque cosciente del proprio valore.

Anche "Siete stato a lungo lontano" e' una canzone accorata, dove Castelloza, con toni dolci e appassionati, si duole della lontananza da lei del suo bene, nonostante la propria fedelta' e costanza; viceversa, anche se si e' comportato male, il cavaliere, al suo ritorno, trovera' sempre buona accoglienza. Sono le incongruenze dell'amore.

"Per quante gioie Amor mi possa dare" esala il respiro dell'anima; la poetessa dipinge alla perfezione gli stati d'animo contrastanti che caratterizzano l'amore, qualunque amore, di cui lei e' conoscitrice indiscussa; qui la passione amorosa di Castelloza trascolora da un estremo all'altro: vuole lasciare l'amato, ma contemporaneamente vuole che le stia vicino, vuole morire, ma prega il cavaliere di tenerla in vita con il suo sguardo. Tanto immenso e' il suo amore che accetta che il cavaliere ami anche un'altra, purche' non faccia mancare a lei del tutto la sua presenza. Gli ultimi versi prorompono in un grido di passione e si sciolgono in accenti di rara intensita' e bellezza.

"Oh Dio voglia che tra le mie braccia posiate,

che solo voi mi potete far ricca.

...

Ricca sarei, sol che ricordaste

di raggiungermi

laddove io possa baciarvi e stringervi,

e possa rinascere

il cuor mio...".

 

7. PROFILI. MARIRI' MARTINENGO: DONNA H.

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]

 

Donna H. (Provenza o Italia XII secolo).

Alcune Trovatore, Donna H., Alamanda, Buona Dama, Felipa, donne di pensiero e di cultura, assunsero su di se' responsabilita' sociali, non in virtu' di una parita' con l'uomo, ma per la capacita', unanimemente riconosciuta loro, di governare, tramite l'amore, i rapporti interpersonali e quelli della collettivita', perche' la Provenza, all'epoca, sapeva della differenza femminile e ne accoglieva la voce autorevole.

Per cui in moltissime tenzoni alle donne sono chiesti consigli, da parte di donne e di uomini, su come le une e gli altri si debbano comportare nei rapporti amorosi.

"Buona dama, vi chiedo un consiglio:

datemelo, poiche' ne ho gran bisogno...".

"Se vi chiedo consiglio, bell'amica Alamanda

Non me lo negate, che' ve lo domanda un uomo accasciato...".

"Signora, poiche' ragione e sentire

in voi sono di tutto rispetto,

vengo a chiedervi consiglio...".

 

8. PROFILI. MARIRI' MARTINENGO: GULLELMA DI ROSERS

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]

 

Gullelma di Rosers (Rougiers XII secolo).

Gullelma, originaria di Rosers, oggi Rougiers, che si trova vicino all'Italia, fu trovatora di grande fama. Le uniche notizie biografiche su di lei si possono desumere da quelle relative a Lanfranco Cigala - trovatore e legale genovese, vissuto nel XIII secolo - con cui dibatte' la sua tenzone.

Per alcune Trovatore l'amore non e' solo sentimento, gioia o tormento, godimento dei sensi, ma guida per il comportamento interpersonale e sociale, e' elemento civilizzatore l'intelletto d'amore, di cui dice Dante, caratteristica femminile, nel quale armoniosamente si coniugano intelligenza e sentimento, e puo' governare sia i rapporti interpersonali sia la societa' meglio della nuda razionalita' o dell'interesse.

La tenzone di Gullelma di Rosers ne e' un esempio. Vi si dibatte la questione seguente: due cavalieri trottavano ciascuno verso la propria dama; lungo la strada furono distratti da alcuni pellegrini in difficolta', che chiesero loro aiuto; uno si fermo', per soccorrerli, l'altro, imperterrito, galoppo' dalla sua signora. Lanfranco sottopone la questione a Gullelma: quale dei due si comporto' meglio? Gullelma non ha dubbi: si comporto' bene il cavaliere che corse, per prima cosa, da colei che amava perche' e' all'interno della relazione duale, parlando, che si esaminano, si dibattono le questioni e se ne cerca la soluzione, poi, in base ad essa, si provvedera' al bene collettivo, in questo caso, si rechera' aiuto ai viandanti in difficolta'. Il discutere e il decidere nel cerchio relazionale non vale solo, ci dice Gullelma, per le situazioni che ineriscono al comportamento tra innamorati, ma si allarga a comprendere e considerare i rapporti sociali. La soluzione va cercata di volta in volta, relativamente alla situazione, a chi vi e' coinvolto, alle circostanze, ai tempi, mai una volta per tutte, mai appellandosi ad una legge astratta, valida in ogni situazione e per sempre. Lanfranco e' di parere opposto, vuole la legge, il codice, avulso dai dettami d'amore, al di fuori della relazione con la donna: ambedue difendono la propria posizione e litigano violentemente.

Dice Gullelma:

"Lanfranco, non avete mai trovato ragioni tanto pazze

come a proposito di colui che agi' in tal modo,

poiche', seppiatelo bene, egli commise un grave oltraggio:

dal momento che il gentile servizio gli nasceva dal cuore,

perche' non servi' innanzi tutto la sua dama?

Ne avrebbe avuto grazie da lei e da loro stessi;

poi, per amor suo, avrebbe potuto servire

molte degne persone, e non avrebbe errato".

Le Trovatore, sostenendo ed esplicitando la propria differenza di essere donne, che si manifesta in differenza di pensare, amare e agire, esercitarono sovente la pratica del conflitto con i loro interlocutori, che, il piu' delle volte, a dire il vero, ne accettarono l'autorita' (valga un esempio fra tutti, la tenzone di Donna H). Queste poetesse occitane, maestre d'amore, assunsero su di se' il ruolo di educatrici - l'amore educa, e' la filosofia cortese - e questo ruolo venne loro riconosciuto pienamente; esse affermarono di essere disposte ad amare solo un uomo cortese e, cosi' facendo, contribuirono a trasformare, a civilizzare l'intera societa'.

Ad esempio Felipa raccomanda ad Arnaut Plagues:

"E allora fa' quel che ti dico:

mostrati elegante e cortese,

gentile e di gradite maniere,

e agisci secondo decoro,

per quanto puoi e senza indugi,

che cosi' deve l'innamorato»".

Una poetessa anonima dice:

"Se vuole che gli renda il mio amore, Madamigella,

ben e' necessario che sia cortese e prode,

sincero ed umile, che con nessuno entri in contesa,

e che sia amabile verso tutti;

che' non mi piace un uomo malvagio e orgoglioso,

...

ma sincero e fedele, discreto e innamorato:

se vuole che gli conceda merce, che mi ascolti".

La donna della tenzone "Nobile Signora, a proposito di una faccenda..." chiede:

"Amico Bertran, vuoi sapere come deve essere l'amico del cuor mio?

Dedito e fedele, sincero e non falso

Non prolisso, ne' mieloso, ne' burlone,

ma tenuto in alta stima - secondo quanto

gli si addice - fuori e dentro casa sua".

Come Gullelma anche l'amica di Bertran si fa carico non solo dell'educazione interiore, dei sentimenti, della volonta' dell'uomo, ma altresi' dei comportamenti che da quelli derivano, che si riverbereranno, positivamente, sulla sua famiglia, sul vicinato, nel paese o nella citta': ogni uomo, che avesse voluto entrare nelle grazie di una donna, avrebbe dovuto percorrere questo tragitto, passando dall'elementarita' dell'istinto alla raffinatezza dei sentimenti.

 

9. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO

[Riproponiamo il seguente appello]

 

Giova ripetere le cose che e' giusto fare.

Tra le cose sicuramente ragionevoli e buone che una persona onesta che paga le tasse in Italia puo' fare, c'e' la scelta di destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.

"Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli". Cosi' recita la "carta programmatica" del movimento fondato da Aldo Capitini.

Sostenere il Movimento Nonviolento e' un modo semplice e chiaro, esplicito e netto, per opporsi alla guerra e al razzismo, per opporsi alle stragi e alle persecuzioni.

Per destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' sufficiente apporre la propria firma nell'apposito spazio del modulo per la dichiarazione dei redditi e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione: 93100500235.

Per contattare il Movimento Nonviolento, per saperne di piu' e contribuire ad esso anche in altri modi (ad esempio aderendovi): via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100

Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 331 del 23 aprile 2011

 

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