Nonviolenza. Femminile plurale. 300
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 300
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- Date: Sat, 19 Mar 2011 07:01:07 +0100 (CET)
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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 300 del 19 marzo 2011
In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: L'ultimo messaggio di Miki
2. Imma Barbarossa ricorda Carla Lonzi
3. Fabio Bozzato presenta "Canto che amavi" di Gabriela Mistral
4. Annarosa Buttarelli presenta "Il mistero di Maria" di Luce Irigaray
5. Giovanni Tesio presenta "Il suono dell'ombra" di Alda Merini e "Poesia che mi guardi" di Antonia Pozzi
1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: L'ULTIMO MESSAGGIO DI MIKI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo editoriale.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250, e quella nei "Telegrammi" n. 425]
"Per favore, allontanatevi velocemente", ripete la voce della giovane donna dagli altoparlanti e via radio, "Per favore, fuggite subito e salite in alto". Poi, l'onda ingoia lei e l'edificio da cui ha trasmesso per l'ultima volta. Una massa di rosse intelaiature contorte e' infatti tutto cio' che resta del Dipartimento di crisi di Minami Sanriku, in Giappone. Dei 17.000 abitanti di questa cittadina costiera 10.000 sono attualmente dispersi, ma i restanti 7.000 devono la vita al sacrificio della venticinquenne Miki Endo.
Miki non ha lasciato andare il microfono, sebbene sapesse che sarebbe morta, perche' qualcuno dei suoi compaesani poteva non aver ancora udito l'avvertimento, poteva aver bisogno di aiuto. Il quotidiano "Mainichi Shimbum" riporta le testimonianze dei sopravvissuti, fra cui quella del sessantunenne Taeza Haga: "Ho sentito la voce di sua figlia", ha detto alla madre di Miki, "Da casa all'automobile, durante l'intero viaggio, sino a che sono salito su un terreno piu' alto, la voce di sua figlia e' rimasta con me".
Molti anni prima, un giornalista cosi' descriveva un'altra citta' giapponese: "Sembra che un gigantesco mostro demolitore sia passato su di essa e ne abbia spremuto fuori ogni forma di vita. Scrivo di questi fatti come avvertimento al mondo". Il reporter era lo statunitense Wilfred Burchett, ed il luogo in cui si trovava, il 5 settembre 1945, era Hiroshima. Burchett fu il primo giornalista occidentale a raggiungere Hiroshima dopo la bomba atomica e descrisse la "strana malattia" che continuava ad uccidere le persone a mesi di distanza dall'esplosione, definendo le radiazioni "piaga atomica": "In questi ospedali ho trovato gente che, quando la bomba e' caduta, non aveva sofferto alcuna ferita, ed ora stanno morendo per i suoi inarrestabili effetti collaterali".
Le esplosioni nei reattori di Fukushima (il n. 1 ed il n. 3) hanno rilasciato radiazioni misurabili sino a 100 miglia di distanza: come ha constatato una nave militare americana che si e' mossa in fretta per non esserne investita. Una terza esplosione si e' avuta nel reattore n. 2, ed il reattore n. 4 ha preso fuoco anche se non era in funzione quando il terremoto ha colpito la zona. I sistemi di raffreddamento ed ogni altra precauzione presa hanno fallito.
Hiroshima, Nagasaki. Three Miles Island, 1979. Chernobyl, 1986. Giappone e Canada (sversamento di acque radioattive), oggi. 23 impianti nucleari attualmente operanti negli Usa sono identici al reattore n. 1 di Fukushima. Eppure, per un certo periodo e' sembrato che avessimo imparato qualcosa. In Italia da piu' di vent'anni abbiamo detto no, e detto basta, e spiegato perche', e fornito dati scientifici ed alternative praticabili: energia rinnovabile, eolica, geotermica, solare. Se dobbiamo dirlo un'altra volta, non tiriamoci indietro.
Ascoltate la voce di Miki Endo. Non puo' essere morta invano. Per favore, salvatevi. Salvatevi e salvate i vostri figli, il loro futuro. Salvatevi e salvate questo martoriato pianeta e tutte le sue creature che vi hanno dato sostentamento e gioia. Voltate le spalle alla morte. Celebrate la vita. Non e' troppo tardi.
2. RIFLESSIONE. IMMA BARBAROSSA RICORDA CARLA LONZI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo apparso originariamente sul quotidiano "Liberazione" dell'11 marzo 2010 col titolo "A quarant'anni da Sputiamo su Hegel".
Imma Barbarossa, docente, pubblica amministratrice, parlamentare, militante femminista e pacifista, e' impegnata - tra altre esperienze e iniziative - nella Convenzione permanente di donne contro le guerre. Tra le opere di Imma Barbarossa: (a cura di), La polveriera. I Balcani tra guerre umanitarie e nazionalismi, La Meridiana, Molfetta (Bari) 2004; (a cura di), Laicita' e spazio della polis, Edizioni Punto Rosso, Milano 2007; con Lina Bianconi (a cura di), Corpi/Anticorpi, Edizioni Punto Rosso, Milano 2010.
Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978; Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990]
Credo che dobbiamo essere tutte e tutti grate alle organizzatrici del convegno "Taci anzi parla" su "Carla Lonzi e l'arte del femminismo" che si e' tenuto dal 5 al 7 marzo a Roma, alla Casa Internazionale delle Donne che l'ha ospitato con un grande senso di gioioso orgoglio e all'assessora provinciale Cecilia D'Elia che ha voluto farsene carico. Si e' trattato di un progetto di ampio respiro sia per le intellettuali e le studiose coinvolte che per la mostra fotografica allestita da La Magnolia fino alla ristampa e riedizione delle opere di Carla Lonzi. E' stato un vero e proprio evento che ha visto una numerosissima partecipazione, attenta ed emotivamente coinvolta, di tante donne da molte parti d'Italia, con tante giovani, alcune delle quali hanno preso parola in due relazioni (Beatrice Busi e Liliana Ellena) presentando il punto di vista degli "altri femminismi", delle lesbiche, delle nere, delle trans, come testimoniano anche le ricerche femministe postcoloniali e queer.
Evidentemente, contrariamente a vulgate di vario segno, il femminismo (o i femminismi) non e' qualcosa da archiviare, un retaggio del Novecento fuori moda, in virtu' di una sorta di traguardo che le donne avrebbero raggiunto in quanto "ammesse" in ruoli professionali e istituzionali (in Italia sempre, comunque, in misura molto scarsa rispetto all'Europa e al mondo). Quello che Ida Dominijanni con una felice e forte espressione ha definito il "pattume paritario" e' in realta' una trappola, una sorta di annessione, di cooptazione, di colonizzazione vera e propria, per cui le donne verrebbero ammesse in un mondo in cui vigono le regole maschili, uno spazio pubblico neutro volto inevitabilmente ad annullare la differenza politica femminile.
L'opera piu' nota di Carla Lonzi e', come si sa, un testo "eversivo" nei confronti della cultura filosofica e politica tradizionale: Sputiamo su Hegel del 1970 mette insieme, in una sintesi felice e con un linguaggio ruvido, il maggior filosofo della tradizione occidentale moderna con un verbo che nulla ha di accademico (non "studiamo", "critichiamo", "analizziamo" e nemmeno "decostruiamo", ma "sputiamo"), anzi esprime il distacco dall'ordine politico e simbolico patriarcale che, nella sua massima espressione, Hegel appunto, individua la differenza femminile assegnandole un grado inferiore (il privato, la famiglia) nel percorso della filosofia dello spirito. In questo illuminante testo e' presente anche una critica molto graffiante al marxismo e al movimento operaio (al marxismo piu' che a Marx e' stato detto), che nella lotta di liberazione dell'umanita' dalle catene dello sfruttamento assimilava e dissolveva nella categoria del "genere umano" la differenza del soggetto donna: "La lotta di classe, come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato" (dal Manifesto di Rivolta femminile) e ancora in Sputiamo su Hegel: "La donna... che all'interno della rivoluzione francese prima, di quella russa poi ha cercato di unire la sua problematica a quella dell'uomo sul piano politico, ottenendo solo il ruolo di aggregato, afferma che il proletariato e' rivoluzionario nei confronti del capitalismo, ma riformista nei confronti del sistema patriarcale".
Lonzi in realta' segna un punto di non ritorno nella storia del femminismo del Novecento. Dominijanni ha parlato di "rivoluzione ontologica" e Maria Luisa Boccia ha ritenuto utile chiarire "non in senso metafisico ma nel modo di essere dell'umano". E' con Lonzi che si chiarisce in maniera inequivocabile che la donna non e' piu' la costola di Adamo, quando la sua condizione si trasforma in coscienza: a questo punto Lonzi (Vai pure, dialoghi con Pietro Consagra, p. 83) fa un'analogia con il movimento operaio, quando la condizione dello sfruttato diventa coscienza di "produrre un profitto al padrone": a un certo punto la cosa si e' chiarita. Magari c'e' stato un intellettuale che ha osservato dall'esterno la scena, e ha scritto Il Capitale. Nel rapporto uomo-donna entrambi devono prendere coscienza per cambiare la "condizione", ossia il rapporto di dominio patriarcale.
Lonzi negli anni Settanta ha fatto piazza pulita delle illusioni femminili di entrare nel mondo maschile senza "difesa" ossia senza attrezzi teorici adeguati, senza una vera critica pratica del patriarcato, senza la critica del potere, dei poteri storicamente determinati. Giacche' di un potere particolare si tratta, quello che fa leva anche sul personale, sulla relazione amorosa e sessuale, sull'"offerta di se'", sull'oblazione della complicita' femminile. Hannah Arendt scriveva: "Gli uomini, tranne i piu' brutali, non vogliono donne schiave, vogliono donne che amano essere loro schiave". Un dominio millenario, codificato dai patriarcati religiosi, intellettuali, politici. Lonzi ci ha segnato la strada, con grande lucidita' e rigore. Dobbiamo essergliene grate, dovunque ci troviamo collocate.
3. LIBRI. FABIO BOZZATO PRESENTA "CANTO CHE AMAVI" DI GABRIELA MISTRAL
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo apparso originariamente sul quotidiano "Il manifesto" del 9 gennaio 2011 col titolo "I versi rotti e sfrontati di Gabriela Mistral" e il sommario "Una nuova antologia della poetessa cilena"
Fabio Bozzato, giornalista free lance da Santiago del Cile, collabora con "Lettera 22" e con "Il manifesto".
Gabriela Mistral (1889-1957), poetessa grandissima, premio Nobel per la letteratura nel 1945.
Dalla Wikipedia riprendiamo la seguente notizia: "Gabriela Mistral (pseudonimo di Lucila de Maria del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga; Vicuna, 7 aprile 1889 - New York, 10 gennaio 1957) e' stata una poetessa, educatrice e femminista cilena. Fu la prima donna latinoamericana a ricevere il Premio Nobel per la letteratura, nel 1945. I temi centrali delle sue opere sono l'amore, l'affetto per la madre, le proprie memorie dolorose, la tristezza e la guarigione. Gabriela Mistral nasce a Vicuna, dove prosegue la sua formazione scolastica fino alle secondarie. Suo padre, Juan Geronimo Godoy Villanueva, abbandona la famiglia quando la Mistral ha appena tre anni. A quattordici, e' gia' in grado di sostenere finanziariamente sia se stessa che sua madre, Petronila Alcayaga, lavorando come aiuto-insegnante. Grande sara' sempre l'affetto tra lei e la sua genitrice, tant'e' che alla morte di quest'ultima, nel 1929, Gabriela arrivera' a dedicarle la prima sezione del suo libro Tala. Nel 1904 pubblica alcuni tra i suoi primi poemi, come ad esempio Ensonaciones, Carta Intima e Junto al Mar, nel locale giornale "El Coquimbo de La Serena", usando vari pseudonimi. Nel 1906, proprio mentre lavora come insegnante, incontra Romeo Ureta, un lavoratore delle ferrovie, che pero' si suicidera' nel 1909. La presenza del dolore nella poetica della Mistral, gia' ampiamente dedicata al tema della morte, giungera', a causa di tale evento, ad assumere una consistenza ben maggiore di quella di qualsiasi altro suo predecessore all'interno della poesia latinoamericana. Altra influenza prepotente e' quella dovuta al modo estremamente appassionato con il quale, sempre, la Mistral portera' avanti le proprie amicizie, tanto maschili che femminili. I primi segni del successo coincidono con il dicembre del 1914, allorquando viene insignita del primo premio in una competizione letteraria nazionale, denominata "Juegos Florales" svoltasi a Santiago, per la composizione Sonetos de la Muerte. Da quel momento in avanti, adottera' sempre lo pseudonimo di Gabriela Mistral in pressoche' tutti i suoi scritti. La spiegazione di questo suo pseudonimo risiede nell'unione dei nomi dei suoi due poeti preferiti: Gabriele d'Annunzio e Frederic Mistral. Nel 1922 viene invitata in Messico dal locale Ministro dell'Educazione, come parte di un piano di riforma scolastica e libraria con l'intento di far decollare l'istruzione di quel Paese. Pubblica Desolacion, e con esso arriva anche la fama internazionale. Un anno piu' tardi giunge Lecturas para Mujeres, testo in prosa e versi dedicato all'esaltazione dei temi della maternita', della cura dell'infanzia, e dell'amor di patria. Tornata in Cile, le viene conferito il titolo accademico di Professore di lingua spagnola presso l'Universidad de Chile. La sua statura internazionale le fa compiere un giro di letture, dapprima negli Stati Uniti d'America, e poi nel 1924 in Europa, continente che visita per la prima volta, ma con il quale stabilisce subito un legame potente, tanto da pubblicare a Madrid il suo nuovo volume, Ternura, una collezione di composizioni scritta principalmente per i bambini, ma che spesso si concentra sul corpo femminile. L'anno successivo fa ritorno in America Latina, con visite in Brasile, Uruguay e Argentina. Finalmente in Cile le viene riconosciuta una pensione, ed abbandona l'insegnamento. Tra il 1925 ed il 1934 vive in Francia e Italia. Durante questi anni lavora per la League for Intellectual Cooperation della Societa' delle Nazioni. Tiene lezioni anche presso il Barnard College della Columbia University, nonche' presso il Vassar College e la University of Puerto Rico. Al pari di molti artisti ed intellettuali dell'America del Sud, la Mistral diviene anche console del Cile, dal 1932 fino alla sua morte, svolgendo tale compito nelle citta' di Napoli in Italia, Madrid in Spagna, Petropolis in Grecia, Nizza in Francia, Lisbona in Portogallo, Los Angeles e Santa Barbara negli Stati Uniti, Veracruz in Messico, Rapallo e Napoli, nuovamente in Italia e, per finire, New York. Pubblica centinaia di articoli in periodici e giornali di pressoché tutti i paesi di lingua spagnola. Nel 1938, a Buenos Aires, grazie all'aiuto dell'amica di lunga data e corrispondente Victoria Ocampo, una nuova opera, Tala, fa la sua comparsa. I ricavi delle vendite vengono devoluti ai bimbi resi orfani dalla guerra civile spagnola. Questo volume include vari poemi che esaltano gli usi ed il folklore del Sud America e dell'Europa mediterranea. La Mistral riesce a fondere in maniera unica questi due temi, cosa che ci fornisce una chiave sul perche' ci si riferisca talora a lei con la locuzione "india vasca," ossia "india basca". Nell'agosto del 1943 anche Juan Miguel, suo nipote di soli 17 anni, si suicida. Questa nuova perdita e' causa d'enorme prostrazione per la Mistral, dato che l'aveva cresciuto come se fosse un figlio. Questa morte, cosi' come l'esplodere delle tensioni della Guerra Fredda in Europa ed America, sono l'oggetto del suo ultimo volume di poesie non pubblicato postumo, Lagar, che esce nel 1954. Un ulteriore volume di versi, Poema de Chile, uscira' a cura della sua amica Doris Dana nel 1967. Poema de Chile descrive il suo ritorno, in forma di spirito, in Cile, in compagnia di un ragazzo indio del deserto di Atacama, e di un cervo delle Ande. Il 15 novembre 1945, diviene la prima donna sudamericana a ricevere il Premio Nobel per la letteratura, cosa che l'accomuna ulteriormente ad un altro poeta cileno, Pablo Neruda, dato che gia' un altro legame esiste tra lei e quest'ultimo, e cioe' quello di averlo spinto, proprio in qualita' di sua insegnante, ad intraprendere la carriera artistica. Nel 1947 la Mistral riceve una laurea honoris causa dal Mills College di Oakland, in California. Nel 1951, le viene consegnato nel proprio paese il Premio nazionale per la letteratura. La sua salute peggiora, limitandone la possibilita' di viaggiare. Durante gli ultimi anni della sua vita elegge New York come proprio luogo di residenza, e li' morra' di cancro, a Long Island, il 10 gennaio 1957, a 67 anni. I suoi resti vengono traslati in Cile nove giorni piu' tardi. Il governo cileno dichiara tre giorni di lutto nazionale, e centinaia di migliaia di concittadini vengono a renderle l'ultimo omaggio. Tra le sue poesie piu' apprezzate, vi sono Piececitos de Nino, Balada, Todas ibamos a ser Reinas, La Oracion de la Maestra, El Angel Guardian, Decalogo del Artista e La Flor del Aire. Tra le opere di Gabriela Mistral: Sonetos de la Muerte (1914); Desolacion (1922); Lecturas para Mujeres (1923); Ternura (1924); Nubes Blancas y Breve Descripcion de Chile (1934); Tala (1938); Antologia (1941); Lagar (1954); Recados Contando a Chile (1957); Poema de Chile (1967, postumo). Tra le traduzioni in italiano: Canto che amavi (2010), antologia di poesie scelte, a cura di Matteo Lefevre, Marcos y Marcos"]
Nella sua poesia Vieja, Gabriela Mistral racconta di una donna vecchissima e stanca di vivere. Lei le si stende vicina, "appiccicata alla sua guancia e al suo orecchio" e le parla della morte, fino a che "spalanchi la bocca e se la beva". Un gesto da sacerdotessa che German Carrasco, uno dei maggiori poeti cileni, ha definito di "erotismo pietoso". A lungo ingessate in una sorta di innocua pastorale, le liriche della poetessa cilena vengono oggi rilette come un crepitio spiazzante di ombre e di corpi. A riscoprire questo lato oscuro e liberatorio, riproponendo la sua opera in Italia (dove la Mistral non ha mai avuto la fama che le e' dovuta) e' la casa editrice Marcos y Marcos, che ha di recente fatto uscire l'antologia Canto che amavi, nella traduzione di Matteo Lefevre.
Origini basche ed ebree, portava all'anagrafe un nome gia' evocativo: Lucila de Maria del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga. L'altro nome, con cui e' nota, univa i due poeti che amava, Gabriele D'Annunzio e Federico Mistral. Nata a Vicuna, nella stralunata Valle del Elqui, nel 1889, autodidatta, comincio' a quattordici anni a lavorare come assistente in una scuola. E intanto scriveva. Venne notata nel 1914, e i suoi versi finirono per incantare gli accademici svedesi. Era il 1945. Fu la prima donna latinoamericana a vincere il Nobel. Intanto, con il suo paese cominciava una relazione di amore e odio. Le sue liriche erano il rumore delle vene popolari; la sua figura austera e inacciuffabile ha sempre asusta'o, come si dice in Cile, cioe' inquietato e ammutolito. Da nord a sud, ma anche in alto e in basso della geografia sociale, in un paese che sa essere crudele e compassionevole e si sente sempre abbandonato e spesso superbo.
Le elite cilene, colte e cuicas, cioe' ricche e snob, non hanno mai amato la Mistral; la osservano anche oggi di sbieco per la sua mancata formazione accademica, per la liberta' sfrontata della sua grammatica poetica. Il mondo politico ha usato la sua fama, per riflettersi sul lucido dei suoi premi, ammiccando alla propria vanita' e intanto armando per lei una sorta di esilio diplomatico. La Mistral accetto' l'incarico di console e fini' per rappresentare un paese che non la rappresentava. Quando nel '54 torno' in Cile, fu acclamata da folle enormi. Ma preferi' ripartire, e passo' gli ultimi tre anni della sua vita in una casa di campagna alle porte di New York.
L'antologia della Marcos y Marcos arriva in un momento in cui si torna a discutere della poetessa. Solo qualche mese fa la Real Academia Espanola le ha reso omaggio con una nuova antologia, En verso y prosa. Eppure in Cile e' piu' evocata che studiata, e sono in molti a definirla rara. Poco comune, non solo per il suo genio letterario, ma anche perche' davvero strana, queer diremmo, con un'aperta allusione sessuale: di lei si e' voluto riprodurre solo l'icona della maestra abnegata, di poetessa bucolica e zitella asessuata ("vergine e madre", l'aveva descritta una voce dell'aristocrazia letteraria cilena, Pedro Prado), ma era soltanto una manipolazione agiografica, come ha suggerito la portoricana Licia Fiol-Matta, per anestetizzare la radicale sfida del suo essere lesbica e il grado di cesura della sua scrittura. "A queer mother of the nation", l'ha infatti definita (1988, Kindle Edition).
E' di un anno fa l'uscita in Cile (e lo scorso giugno anche in Spagna, sempre per Random House Mondadori) di Nina errante, il lungo e splendido carteggio dal '48 al '56, tra la Mistral e Doris Dana, sua collaboratrice, complice e amore profondo. Fu Dana a conservare il carteggio fino alla sua morte, avvenuta nel 2006. Aveva lasciato alla nipote, Doris Atkinson, l'incarico di consegnare i documenti allo Stato cileno. Sono stati tre anni di "lavoro enorme", ricorda Pedro Pablo Zegers, uno dei piu' importanti studiosi mistraliani. Nel suo ufficio, alla Biblioteca Nacional di Santiago, racconta come abbia proceduto "prima di tutto alla trascrizione delle lettere, scritte a matita, a volte quasi sbiadite, che a fatica si leggevano". Doris Dana ne teneva una chiusa in cassaforte: e' una delle piu' belle lettere d'amore che siano mai state scritte.
Il libro ha rotto il silenzio su quel rara che tutti ripetono piano, suscitando scandalo e dibattito, anche se sempre sottovoce, com'e' di abitudine in Cile. Dice Zegers: "Il testo fa emergere una versione piu' umana della Mistral, reale, palpabile". Ma cos'e' che non le viene perdonato? "E' come se la si accusasse di aver abbandonato il Paese. Un paradosso. Non solo perche' lo ha rappresentato per tanto tempo all'estero. Gli ha pure dedicato il suo Poema de Chile, uscito postumo nel 1967".
Carrasco, autore tra l'altro della raccolta L'insidia del sole sopra le cose e altri versi (da poco tradotta in italiano da Edoardo Balletta per Raffaelli Editore), commenta: "In Gabriela c'e' un'ode al silenzio. In due poemi, La flor del aire e La copa, si scusa per non essere degna dell'ascolto degli dei, dice che la poesia e' un processo per raggiungere quell'orecchio divino. Ci dice: lavoro con materiali ovviamente non nobili, pero' sono cosciente che la poesia aspira al silenzio". Per Carrasco la figura della Mistral e' una vivente provocazione linguistica e epistemologica: "Adoro la sua scrittura rotta, cilenissima, di difficile traduzione, a-connettiva, a-grammaticale, il suo linguaggio tutto americano, tagliato di fronte all'immensita' del paesaggio o della bellezza o della desolazione". E nella nuova edizione della raccolta Tala, appena uscita in Cile per le Ediciones Universidad Diego Portales, ricorda le parole della poetessa: "Anche se risulta amara e dura, la poesia che faccio mi lava della polvere del mondo e non so fino a che vilta' essenziale assomigli quello che chiamiamo peccato originale". Sottolinea Carrasco: "Lei parla di un peccato stampato fuori dal corpo del poeta, che resta come una macchia sulla pagina".
Come una voce privata della coscienza pubblica, con quella macchia fu anche un'attenta cronista. Dice Zegers: "Il suo sguardo curioso e critico le permise di vedere molto lontano. Gabriela e' anche la difensora dei diritti umani, delle etnie nazionali, parlava di panamericanismo quasi cinquant'anni prima, lavoro' sulla dichiarazione dei diritti dei bambini all'Onu". Profondamente antifascista, era sospettosa del comunismo: "Tutti i suoi migliori amici, come Eduardo Frei, Bernardo Leiton, Valdo Tomich, erano della Democrazia Cristiana. Chiese anche di iscriversi, ma proprio loro le dissero che cosi' avrebbe rischiato di perdere la sua indipendenza come intellettuale. Altri tempi. Quando le chiesero come si definisse politicamente, disse: sono una socialista a modo mio, una umanista, con lo sguardo verso i poveri, i deboli".
Seguendo preoccupata la campagna elettorale del Cile nel 1952, in una lettera a Doris Dana, confesso': "C'e' un candidato comunista che, disgraziatamente, e' la persona migliore tra i tre". Era Salvador Allende.
4. LIBRI. ANNAROSA BUTTARELLI PRESENTA "IL MISTERO DI MARIA" DI LUCE IRIGARAY
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo del novembre 2010.
Annarosa Buttarelli insegna Ermeneutica filosofica e Filosofia della storia all'Universita' di Verona e fa parte dal 1988 della comunita' filosofica di Diotima. Ha scritto saggi pubblicati all'interno di sei volumi di Diotima (Oltre l'uguaglianza, La sapienza di partire da se', Approfittare dell'assenza, La magica forza del negativo, Immaginazione e politica, Politica e potere non sono la stessa cosa). Ha dedicato molti saggi, traduzioni e curatele alla filosofa spagnola Maria Zambrano di cui e' considerata una delle maggiori studiose. E' direttrice della collana "Corrispondenze di Maria Zambrano" per l'editore Moretti & Vitali. Ha ideato ed e' coordinatrice scientifica del Master dell'Universita' di Verona "Filosofia come via di trasformazione" che inaugura un'innovativa formazione per filosofi e filosofe di nuova generazione. Impegnata nel pensiero e nella politica della differenza fa parte da anni della redazione della rivista "Via Dogana". Tra le opere di Annarosa Buttarelli: Donne e divino, S.C.C., Mantova 1992; con Luisa Muraro e Liliana Rampello, Duemilaeuna. Donne che cambiano l'Italia, Nuove Pratiche, Milano 2000; con Laura Boella, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; Una filosofa innamorata, Bruno Mondadori, Milano 2004; Concepire l'infinito, La Tartaruga, Milano 2005; La passivita'. Un tema filosofico-politico in Maria Zambrano, Bruno Mondadori, Milano 2007; con Federica Giardini, Il pensiero dell'esperienza, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008; Maria Zambrano, Per l'amore e per la liberta'. Scritti sulla filosofia e sull'educazione, Marietti 1820, 2008; Immaginazione e politica, Liguori, Napoli 2009; Politica e potere non sono la stessa cosa, Liguori, Napoli 2009; (a cura di), Carla Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una femminista, et al. edizioni, 2010.
Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e' tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi decenni. Tra le opere di Luce Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Amante marina. Friedrich Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981, Luca Sossella Editore, 2003; Passioni elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L'oblio dell'aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996; Tra Oriente e Occidente, Manifestolibri, Roma 1997; Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1997, 2000; In tutto il mondo siamo sempre in due, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006; Preghiere quotidiane, Heimat, 2007; Oltre i propri confini, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007; La via dell'amore, Bollati Boringhieri, Torino 2008; Condividere il mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2009; Il mistero di Maria, Paoline, Milano 2010]
Luce Irigaray, Il mistero di Maria, Paoline, Milano 2010, pp. 58, euro 11,50.
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In un delizioso libriccino da tenere in tasca come quelli destinati alla meditazione quotidiana, Luce Irigaray scrive una delle tappe piu' significative della sua ricerca intorno al divino di segno femminile. L'autrice si conferma come geniale filosofa della differenza sessuale, attraversata dalle contraddizioni del presente e sempre piu' fedele all'impegno di sperimentare e offrire compassionevolmente le chiavi della liberazione per donne e uomini, senza cessare di dare priorita' a un cammino di liberta' delle donne, che e' in corso e le e' debitore di passi decisivi e, crediamo, irreversibili.
Il testo, un'intensa riflessione su Maria di Nazaret e madre di Gesu', scritto con la semplicita' accurata di chi vuole arrivare al cuore di molti e di molte, si muove per soccorrere un'umanita' che ha fatto a pezzi se' e il pianeta dove vive; che si e' ridotta a non avere quasi piu' la capacita' di alimentare lo spirito e di conservarsi caro l'accesso alla trascendenza, prima ancora di gettarsi in qualche confessione religiosa. Da grande pensatrice qual e', Irigaray sa che nel presente le trasformazioni non possono piu' avvenire secondo argomentazioni e dimostrazioni logiche neo-illuministiche, alle quali ci ha abituato un razionalismo estenuato, vista la sua impotenza di fronte al bisogno di saper dare parole anche al sentire, all'immaginazione, a tutto quel mondo dell'interiorita' che Maria Zambrano e Simone Weil indicano come bisogni radicali dell'anima. Irigaray va al punto forse piu' dolente della crisi globale contemporanea: l'ottusita' della ripetizione di tutto cio' che non solo non ma che anzi e' distruttivo, e la correlata mancanza di creativita' dovuta, in Occidente, anche all'abbandono di quella che si puo' chiamare filosofia sapienziale.
Con Il mistero di Maria, la filosofa incoraggia l'accelerazione del necessario processo di ri-spiritualizzazione dell'umano proponendo esplicitamente un cambiamento generale della forma mentis occidentale in favore di una nuova "cultura della saggezza". Si puo' provare la tentazione di attribuire tutto il merito di questa mossa alle sue personali ricerche in ambito buddista e induista, ma rimaniamo comunque stupiti e stupite dalla finezza con cui queste ricerche vengono messe al servizio della riapparizione e della collocazione di Maria di Nazaret al centro della nostra vita politica e spirituale. Riprendendo il filo tessuto nel suo fondamentale Sessi e genealogie, Luce Irigaray ci chiede di mettere al cuore del cambio di civilta' in corso la Madonna cristiana cattolica, in modo da riconoscerla e di avvalerci della sua opera di "co-redentrice del mondo", insieme a suo figlio Gesu'.
Se il senso profondo di questa proposta fosse gia' stato recepito, potremmo gia' tirare un respiro di sollievo: significherebbe che l'intelligenza generale ha registrato che ci troviamo in pieno post-patriarcato, un tempo che non ha piu' punti di orientamento, che ha bisogno di un nuovo ordine simbolico da condividere, per il quale occorre trovare immagini, metafore vive, creativita', nuove dimensioni narrative, e perfino mitologiche, cosi' da scuotere e trasformare un immaginario spento da una sciatteria a senso unico (leggi fallocrazia), che l'ha tenuto in vita per un tempo incalcolabile. Luce Irigaray sa bene che sarebbe tragicamente ridicolo affidare di nuovo ai soli uomini intellettuali il compito di rimettere ordine ai legami sociali o a quel che ne resta, dopo che ne hanno accelerato il disfacimento attraverso la doppia morale: scrivere bene e, nella vita di relazione, razzolare male ma con piu' efficienza. E' piuttosto necessario sapere come la mente abbia bisogno di nuove immagini per riprendere a pensare veramente e a pensare tutte e tutti.
Qui da noi, il cristianesimo popolare e femminile ha seguitato a coltivare il culto di Maria come virgo potens e come figura storica che merita e sostiene tutte le meravigliose attribuzioni contenute nelle Litanie lauretane. La dottrina istituzionale della Chiesa invece, scrive Irigaray, ha scelto di coltivarne la memoria e la posizione come archetipo di maternita' esemplare al servizio di Dio-padre e del suo progetto. Il suo essere "Porta del Cielo" e' stato scambiato come semplice essere corpo che si offre per l'attraversamento di un corpo celeste, mezzo tra padre-dio e figlio-dio. La cosa non e' rimasta senza conseguenze, ne' per la nostra cultura, ne' per la politica, ne' per la ricezione della differenza femminile, quando vada intesa, ad esempio, come autorita' filosofica, sapienziale e politica. Tanto e' vero che, in pieno cristianesimo realizzato (?) e sbandierato, "di Maria non sappiamo quasi nulla", scrive Irigaray, facendo di questa constatazione la cifra di una grave ignoranza della cultura generale e delle pratiche relazionali. L'incipit di Irigaray e' infatti da leggersi anche come un reiterato "delle donne non sappiamo e non vogliamo sapere quasi nulla".
Sono le donne stesse e il culto popolare che hanno traghettato e difeso una presenza e un'esperienza che ora vengono buone per soccorrere i nostri tempi. La pretesa di Irigaray e' alta, e' il tentativo di mostrare l'evidenza di una correzione teologica improcrastinabile: cio' che le donne sono riuscite a sapere di se' e di Maria di Nazaret si rivela necessario per riposizionare le carte in tavola del simbolico, per calarne altre, per ascoltare davvero il bisogno di trascendenza dell'anima. Colei che e' cara a chi "ha fame e sete di giustizia" puo' essere la figura di una nuova era in cui il pensiero si incarna veramente, cosi' come ha segnato l'ingresso nell'era cristiana con il suo consenso alla necessita' di concepire il messaggio d'amore incarnato in suo figlio Gesu'. Dice infatti Irigaray che Maria e' protagonista consapevole di una novita': il concepimento di una nuova umanita' non puo' essere solo emotivo o fisico (Maria non e' mai solo corpo materno) ma accade se si trovano parole nuove, se si parla con l'angelo, come ha fatto per l'appunto Maria. Ci viene ricordato che ogni concepimento e' simultaneamente nel corpo, spirito, pensiero e parole e che ogni nuovo inizio ha bisogno di parole vere incarnate e sessuate.
Maria, secondo la filosofa, corregge genealogicamente l'incauto errore di Eva perche' le insegna che non si puo' pretendere di diventare divini prima di portare a compimento la propria umanita', prima di assumerla avendola accettata. La "redenzione" viene intesa in questo senso e anche nel senso della ripresa del respiro e della parola autenticamente pronunciata. Ma da dove viene l'autorita' simbolica di Maria? Proprio dalla sua misteriosa verginita', bistrattata e fraintesa dalla Chiesa al punto da indurre Luce Irigaray ad accusarla di minare paradossalmente "i fondamenti stessi del cristianesimo", forse perche' le e' sfuggito che e' gia' stata formulata l'idea che uno dei nomi della Madonna sia "Spirito Santo". La filosofa respinge in particolare la teologia della "mediazione" dello Spirito Santo (nel mettere incinta Maria, ndr) che rappresenta l'amore tra il Padre e il Figlio della Trinita' cristiana. "Maria avrebbe concepito senza partecipare!". La cifra della verginita' di Maria (non la castita'!) starebbe invece a significare che, alle radici stesse del cristianesimo, il legame diretto delle donne con Dio, non e' mediato da alcun uomo, ne' da alcunche' di maschile. Come a dire che l'autonoma verginita' del pensare e parlare delle donne e' garanzia di buona novella per tutta l'umanita', e' conveniente per tutti.
Maria appare cosi' anche l'affrancamento, fin dall'origine, dall'identificazione con lo stato di natura in cui la cultura filosofica occidentale ha invitato spesso le donne a rincantucciarsi. Poiche' il "gesto etico" di Maria non consiste solo "nel rispettare la vita dell'altro, ma anche nel dare la vita all'altro", fisiologicamente e spiritualmente differente da lei, ecco che nella vita femminile si evidenzia la capacita' di "rispettare la trascendenza dell'altro, di cui pochi uomini sono effettivamente capaci". Questo affondo di Irigaray intende colpire sia i residui culturali e psicoanalitici dell'ortodossia freudiana, quando teorizza la necessita' dell'intervento del padre per separare il bambino dalla madre, sia la responsabilita' degli uomini di oggi, quando continuano a non vedere come sono loro ad essere i piu' vicini allo stato di natura, incapaci di affrancarsi da impulsi violenti e distruttivi. Le donne gia' si trascendono nel concepire l'opera di dare la vita e di mettere al mondo altre vite differenti in corpo e spirito.
Infine, in continuita' con la sua ricerca filosofica sull'importanza dei "trascendentali sensibili" nella vita di relazione (Etica della differenza sessuale), Luce Irigaray ci presenta Maria come "la prima figura divina del tempo dell'incarnazione", come ben sanno gli artisti che hanno provato a rappresentarne la novita'. Fatta eccezione per la mistica, l'autrice polemizza con l'esito di una cultura cristiana anestetizzata, che considera trascendente solo cio' che "sfugge alle nostre percezioni sensibili, solo cio' che e' disincarnato". Maria, concependo e crescendo nel suo corpo l'invisibile divino, mostra la realta' del divino dentro l'umano e testimonia la necessita' di coltivare le percezioni sensibili interiori ed esteriori, una "cultura del toccare" sensibile e carnale versus le politiche dell'immunizzazione, dell'astrazione e dell'indifferenza.
Mostrando Maria di Nazaret in questa luce, Luce Irigaray, oltre a indicare un modo di fare filosofia radicalmente trasformato, ripercorre i luoghi catastrofici della nostra epoca e presenta la sua proposta, che si accompagna ad altre proposte femminili analoghe, di una nuova politica, forse l'unica politica possibile oggi. Ci offre cosi' una testimonianza ulteriore che porta acqua al mulino di un'intuizione sempre piu' consistente, un'intuizione che dice al secolo appena iniziato: la filosofia e' la filosofia delle donne.
5. LIBRI. GIOVANNI TESIO PRESENTA "IL SUONO DELL'OMBRA" DI ALDA MERINI E "POESIA CHE MI GUARDI" DI ANTONIA POZZI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo apparso originariamente su "La stampa" dell'11 dicembre 2010 col titolo "Alda randagia Antonia dorata" e il sommario "La Merini e la Pozzi, tra solitudini e lacerazioni, voci al vertice del Novecento".
Giovanni Tesio e' docente universitario, saggista, filologo, critico letterario e storico della lingua. Dal sito www.lett.unipmn.it riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Nato a Piossasco (To) il 4 agosto 1946... Collaboratore a riviste scientifiche come il "Giornale Storico della Letteratura Italiana", "Lettere Italiane", "Critica letteraria", "Italianistica", "Belfagor", "Studi Piemontesi". Membro del comitato scientifico della rivista "Studi Piemontesi" (Torino),"Il Parlar Franco" (Villa Verucchio, Ravenna) e "Studi mariniani" (Grado). Condirezione della rivista "Letteratura e dialetti" (Pisa-Roma). Direzione della collana di "Letteratura piemontese moderna" presso il Centro Studi Piemontesi (Torino). Direzione della collana di poesia dialettale "Incontri" per l'editore Boetti di Mondovi' (Cuneo) e della "Collezione di poeti dialettali" per l'editore Campanotto (Udine). Condirezione della Bpo (Biblioteca del Piemonte Orientale). Membro del comitato di lettura per la collana "Lyra" delle edizioni Interlinea (Novara). Direzione dei corsi per l'insegnamento del piemontese e delle altre lingue storiche del Piemonte istituiti dalla Regione Piemonte dall'anno di fondazione (1997) fino al 2005-2006. Collaboratore di "Tuttolibri" e de "La Stampa" a partire dall'anno 1978. Docente presso la Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' "Amedeo Avogadro" (sede di Vercelli). Ambiti di ricerca e principali pubblicazioni: attento, sulla linea segnata da Carlo Dionisotti, alla geografia e alla storia della letteratura italiana (i cui frutti sono poi confluiti nella collaborazione con Gianni Oliva e Pietro Gibellini alla storia e antologia della letteratura italiana Lo spazio letterario presso La Scuola di Brescia, 1991: poi Il valore letterario, poi Il percorso letterario), l'attivita' di ricerca si e' mossa prevalentemente lungo due versanti: da un lato lo studio del rapporto tra scrittura e territorio, dall'altro lo studio delle letterature dialettali. All'attivo: tre volumi di saggi (La provincia inventata, Roma, Bulzoni, 1983; Piemonte letterario dell'Otto-Novecento, Roma, Bulzoni, 1991; Oltre il confine. Percorsi e studi di letteratura piemontese, Vercelli, Edizioni Mercurio, 2007); alcune antologie dialettali (con Mario Chiesa, Il dialetto da lingua della realta' a lingua della poesia, Torino, Paravia, 1978 e Le parole di legno. Poesia in dialetto del '900 italiano, Milano, Mondadori, 1984; con Albina Malerba, I poeti in piemontese del Novecento, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1990; con Remigio Bertolino, I poeti di Mondovi', Mondovi', Amici di Piazza, 1991); la riproposta di un classico del settore, ossia l'antologia di Mario Dell'Arco e Pier Paolo Pasolini, Poesia dialettale del Novecento, Torino, Einaudi, 1995; la cura di un importante epistolario di lavoro come quello di Italo Calvino all'Einaudi, I libri degli altri, Torino, Einaudi, 1991; la cura con Roberto Cicala del volume di Mario Soldati, Un sorso di Gattinara e altri racconti, Novara, Interlinea, 2006; alcune antologie territoriali (un'antologia complessiva, Piemonte e Valle d'Aosta, Brescia, La Scuola, 1984; con Giusi Baldissone e Silvana Tamiozzo Goldmann, La Piana Vercellese, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1993; con Roberto Cicala, Il Novarese. Pianura, laghi e monti, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1998); la cura del volume di Virginia Galante Garrone, Dopo il fiore, Novara, Interlinea, 2007. Ma anche attenzione a scrittori di altre aree, tuttavia profondamente incardinati nel loro territorio geografico, ambientale, emotivo (la monografia su Piero Chiara, Firenze, La Nuova Italia, 1983), cui si e' aggiunta la cura di alcuni volumi singoli, spesso didatticamente orientati: da Riccardo Bacchelli (Il diavolo al Pontelungo) a Lucio Mastronardi (la trilogia di Vigevano, Torino, Einaudi, 1994; A casa tua ridono, Torino, Einaudi, 2002), da Goffredo Parise (Sillabari, Milano, Einaudi Scuola, 1993) a Vincenzo Consolo (Il sorriso dell'ignoto marinaio, Milano, Einaudi Scuola, 1995). Non sono mancate le partecipazioni a convegni nazionali e internazionali (da Torino a Glasgow, da Palermo a Princeton). Restano da segnalare in proposito la cura degli Atti di un convegno nazionale (Augusto Monti nel centenario della nascita [Torino-Monastero Bormida, 9-10 maggio 1981], Torino, Centro Studi Piemontesi, 1982) e la cura di un convegno internazionale (La manutenzione della memoria. Diffusione e conoscenza di Primo Levi nei paesi europei [Torino, 9-10-11 ottobre 2003], Torino, Centro Studi Piemontesi, 2003). Molte le prefazioni a poeti (da Paolo Bertolani a Franco Loi, da Francesco Granatiero a Bianca Dorato, da Tolmino Baldassari ad Amedeo Giacomini), molto parzialmente raccolte nel volumetto Prefatine (Mondovi', Boetti & C., 1989)".
Su Alda Merini cfr. l'ampio profilo in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 209.
Antonia Pozzi nacque a Milano nel 1912, poetessa di straordinaria cultura e sensibilita', si tolse la vita nel 1938. Dalla Wikipedia, edizione italiana, anni fa abbiamo ripreso per stralci la seguente notizia biografica: "Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 - Milano, 3 dicembre 1938) e' stata una poetessa italiana. Figlia di Roberto, importante avvocato milanese, e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel liceo classico 'Manzoni' di Milano, dove inizia con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, una relazione che, a causa dei pesanti ostacoli frapposti dalla famiglia Pozzi, verra' interrotta dal Cervi nel 1933, procurandole la depressione - 'e tu sei entrata / nella strada del morire', scrive di se' in quell'anno - che contribuira' a condurla al suicidio. Nel 1930 si iscrive alla facolta' di filologia dell'Universita' statale di Milano, frequentando coetanei quali Vittorio Sereni, suo amico fraterno, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni, le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi, forse il piu' aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert. Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi tanti interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, conosce il tedesco, il francese e l'inglese, viaggia, pur brevemente, oltre che in Italia, in Francia, Austria, Germania e Inghilterra, ma il suo luogo prediletto e' la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, dove e' la sua biblioteca e dove studia, scrive e cerca un sollievo nel contatto con la natura solitaria e severa della montagna. Di questi luoghi si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene. La grande italianista Maria Corti, che la conobbe all'Universita', disse che 'il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull'orlo degli abissi. Era un'ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo piu' dei suoi simili'. Avverte certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpiscono alcuni dei suoi amici piu' cari; "forse l'eta' delle parole e' finita per sempre", scrive quell'anno a Sereni. Nel suo biglietto di addio ai genitori scrive di disperazione mortale e si uccide con i barbiturici. La famiglia neghera' la circostanza 'scandalosa' del suicidio, attribuendo la morte a polmonite; il suo testamento fu pero' distrutto dal padre, che manipolo' anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite; la storia d'amore con il Cervi sara' falsamente descritta come una relazione platonica. E' sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo, il momumento, un bellissimo Cristo in bronzo, e' opera dello scultore Giannino Castiglioni. Parte dal crepuscolarismo di Sergio Corazzini: 'Appoggiami la testa sulla spalla / che ti carezzi con un gesto lento [...] Lascia ch'io sola pianga, se qualcuno / suona, in un canto, qualche nenia triste' per poi viverlo interiorizzato: 'vivo della poesia come le vene vivono del sangue', scrive, e infatti cerca di esprimere nelle parole l'autenticita' dell'esistenza, non trovando verita' nella propria e, come riservata e rigorosa fu la sua breve vita, cosi' le sue parole, secondo la lezione ermetica, 'sono asciutte e dure come i sassi' o 'vestite di veli bianchi strappati', ridotte al 'minimo di peso', come scrisse Montale, e trasferiscono peso e sostanza alle immagini, per liberarne l'animo oppresso ed effondere il sentimento nelle cose trasfigurate in simbolo. Dall'espressionismo tedesco trae atmosfere desolate e inquietanti: 'le corolle dei dolci fiori/ insabbiate./ Forse nella notte/ qualche ponte verra'/ sommerso./ Solitudine e pianto -/ solitudine e pianto/ dei larici', oppure 'All'alba pallidi vedemmo le rondini/ sui fili fradici immote/ spiare cenni arcani di partenza', o anche 'Petali viola/ mi raccoglievi in grembo/ a sera:/ quando batte' il cancello/ e fu oscura/ la via del ritorno'. La crisi di un'epoca s'incontra con la sua tragedia personale e se, come scrisse in una lettera, 'la poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci rimbalza nell'anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell'arte, cosi' come sfociano i fiumi nella celeste vastita' del mare', quel dolore non si placa nella sua poesia ma, come un fiume carsico, ora vi circola sotterraneo e ora emerge e tracima, sommergendo l'espressione poetica nel modo stesso in cui travolse la sua vita. Opere: Tutte le sue opere sono state pubblicate postume. Nelle edizioni piu' recenti e' stata ricostruita la genesi delle sue poesie. Parole, Mondadori, 1939, I ed., 91 poesie; 1943, II ed., 157 poesie; 1948, III ed., 159 poesie; 1964, IV ed., 176 poesie, con prefazione di Eugenio Montale; Flaubert. La formazione letteraria (1830-1865), tesi di laurea, con prefazione di Antonio Banfi, Garzanti, 1940; La vita sognata ed altre poesie inedite, Scheiwiller, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, 1986; Diari, introduzione di Alessadra Cenni, a cura di A. Cenni e O. Dino, Scheiwiller, 1988; L'eta' delle parole e' finita, con prefazione di A. Cenni, Lettere (1925-1938), Archinto, 1989; Parole, Garzanti, 1989 e 2001, con prefazione di Alessandra Cenni, a cura di A. Cenni e O. Dino; Pozzi e Sereni. La giovinezza che non trova scampo, a cura di Alessandra Cenni, Scheiwiller, 1988; Mentre tu dormi le stagioni passano..., a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Viennepierre, 1998; Poesia, mi confesso con te. Ultime poesie inedite (1929-1933), a cura di Onorina Dino, Viennepierre, 2004; Per troppa vita che ho nel sangue, di Graziella Bernabo', Viennepierre, 2004. Bibliografia critica: A. Cenni, In riva alla vita. Storia di Antonia Pozzi poetessa, Rizzoli, 2002; G. Bernabo', Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia, Viennepierre, 2004. Un sito utile: www.antoniapozzi.it"]
Un invito all'incontro con due tra le voci piu' folgoranti del Novecento poetico: Alda Merini e Antonia Pozzi. Di Alda Merini piu' di mille pagine pubblicate da Mondadori con un bel titolo, Il suono dell'ombra, che raccoglie a cura di Ambrogio Borsani poesie e prose dal 1953 al 2009. Di Antonia Pozzi 650 pagine edito da Sossella con un titolo non meno bello, Poesia che mi guardi, che raccoglie a cura di Graziella Bernabo' e Onorina Dino il piu' ampio numero di poesie finora pubblicate insieme con altri scritti e il dvd del film di Marina Spada presentato al festival di Venezia. Della Merini si sa in genere di piu' o si presume di saperne di piu', vista anche la fortuna mediatica che l'aveva trasformata - dopo la dilaniante esperienza del manicomio - nell'icona forse piu' visibile della poesia nazionale. Della Pozzi si sa meno, ma pure lei ha scalato a poco a poco i gradi di una notorieta' postuma che e' venuta crescendo non tanto in ragione del suicidio che nel 1938 ne concluse tragicamente la vita, ma dell'alta spiritualita' di un'esistenza vissuta sotto il segno dell'interrogazione e di un dire poetico alimentato dalla presenza del dolore.
Due vite agli antipodi, dai Navigli ai palazzi della loro Milano, attraversate dal dolore, richiamate dal divino. Difficile immaginare due vite cosi' diverse, per generazione (la Pozzi era del '12, la Merini del '31), per estrazione sociale, per tempi, per esperienze, per destino. La Merini piu' erotica e sensuale, la Pozzi piu' coperta quantunque non meno estrema. Ma tutt'e due impastate in solitudini lancinanti e in aggrovigliati giri del sangue. Al di la' dei modi e delle forme, in tutt'e due una spinta irresistibile all'essere, un'assoluta necessita' espressiva, una sorta di vizio imperdonabile in cui costringere l'emozione dei fenomeni e delle cose, l'urgenza della passione e della pena, ma anche della preghiera e della pieta': "Con le membra lacerate dai suoni / dai fulmini delle arcate segrete del sogno, / con le membra che chiedono pieta' / io mi alzo a scrivere incerta, / so che le mie carte cadranno nel sonno / di molti critici disattenti, / so che non faro' mai clangore ne' rime / ma devo ugualmente scrivere / per quella corda segreta / che mi porto avvinghiata al collo / come un cappio deciso a frantumarmi". Versi della Merini che Antonia Pozzi avrebbe potuto sottoscrivere. Nella Merini la grande ferita del manicomio, nella Pozzi la ferita del privilegio. Nella Merini la maternita' plurima e coartata, nella Pozzi la maternita' fantasmatica e sognata. Nella Merini la Milano randagia dei Navigli, nella Pozzi la Milano dorata dei Palazzi. Nella Merini gli studi incerti e impossibili, nella Pozzi il liceo classico e l'Universita'. Ma in tutt'e due l'Amore su tutto e soprattutto, la denuncia dell'irrequietudine e dell'ansia eterna, le apparizioni angeliche (gli angeli del Diario di una diversa nella Merini, gli angeli dei Diari nella Pozzi). In tutt'e due la scienza del dono, la generosita' dei gesti, la lacerazione del cuore, il travaglio dell'eterno, il richiamo del divino, la forza della parola che si fa voce di poesia: "Poesia, poesia che rimani / il mio profondo rimorso, / oh aiutami tu a ritrovare / il mio alto paese abbandonato". Questa volta sono versi della Pozzi, ma la Merini avrebbe potuto sottoscriverli.
Le accomuna una spinta irresistibile all'essere, l'urgenza della passione e della pena, ma anche della preghiera e della pieta'. Per chi ama i percorsi un po' fuori dai circuiti professorali e dalle cure troppo specialistiche e a volte francamente uggiose, un'ottima occasione di lettura, cui aggiungerei qualche altra proposta compatibile. Tra ferite del corpo e costanza dell'anima, come sottolinea Barberi Squarotti, Corpus di Maria Modesti (Passigli). Tra vicenda personale e vicenda collettiva Mistral della friulana Ida Vallerugo (Il Ponte del Sale) a cura di Anna De Simone (prefazione di Franco Loi). Tra memoria di una madre e narrazione di un mistero China di Maria Pia Quintavalla (Effigie).
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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Numero 300 del 19 marzo 2011
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