Telegrammi. 489
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- Date: Wed, 9 Mar 2011 00:54:56 +0100 (CET)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 489 del 9 marzo 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Jones Mannino: Questo otto marzo
2. Maddalena Robustelli: La leggenda di un fiore, la storia di una donna
3. Vandana Shiva: L'introduzione de "Il bene comune della Terra"
4. Per sostenere il Movimento Nonviolento
5. "Azione nonviolenta"
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. JONES MANNINO: QUESTO OTTO MARZO
[Ringraziamo Jones Mannino (per contatti: alfagamma71 at yahoo.it) per questo intervento.
Jones Mannino e' da sempre impegnato per la pace e i diritti umani di tuti gli esseri umani, ed e' tra gli animatori dell'associazione "Maschile plurale", una esperienza nonviolenta di uomini postisi concretamente all'ascolto del pensiero e delle prassi del movimento delle donne. Da un testo apparso su "Coi piedi per terra" n. 355 riprendiamo la seguente notizia autobiografica: "Sono precario da dieci anni in una pubblica amministrazione regionale e impegnato nel sindacato per tirare fuori me stesso e le/i mie/i colleghi da questa frustrante condizione. Mi occupo di gestione di database statistici epidemiologici e sanitari regionali. Fin dagli anni '80 impegnato nei movimenti pacifisti (Comiso) e antinucleari, ambientalisti e antimafia e successivamente nei movimenti studenteschi post-pantera. Ho militato in numerose organizzazioni politiche di partito e di movimento e in diverse associazioni politico-culturali. Nel 2000 ho incontrato la riflessione dei gruppi maschili impegnati contro la violenza maschile sulle donne, l'omofobia, e i saperi e le pratiche politiche neutre-universali (maschili) e ho contribuito alla costruzione di una rete nazionale di tali gruppi. Nel 2001 ho partecipato alle giornate di Genova con il gruppo romano di azione diretta nonviolenta 'Brigata Molle'. Appassionato (da profano) alla storia orale ho collaborato alle attivita' del Circolo 'Gianni Bosio' di Roma e con ricercatori delle universita' di Palermo e Catania ho avuto la straodinaria possibilita' di partecipare a una lunga e approfondita ricerca di storia orale sulla strage di Portella della Ginestra. Nel 2006 ho promosso con altri uomini l'appello 'La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come uomini' e la nascita dell'associazione nazionale Maschileplurale. Dallo stesso anno faccio parte della redazione del sito www.maschileplurale.it"]
Questo otto marzo e' il mio primo 8 marzo da papa'.
La prima manifestazione a cui ho portato mio figlio di 6 mesi e' stata quella del 13 febbraio.
Gli 8 marzo sono tra i primi ricordi di bambino. I miei mi ci portavano e ne ho un ricordo colorato e festoso.
Da adolescente invece l'8 marzo e' stata spesso un esperienza un po' stravolgente.
Da buon militante giovane comunista andavo a portare la mia solidarieta' alle compagne di scuola e di militanza, spesso ricevendone insulti e scherni, inviti a masturbarmi nel cesso e accuse di essere un "fascista a letto".
Quel sentirmi "in minoranza" e trattato non proprio come mi sarei aspettato ha avuto per me un grande valore educativo.
Vivere per qualche ora l'anno una versione ridotta e un po' caricaturale di quello che le donne subiscono ogni giorno puo' essere un'esperienza molto utile se ti conduce a interrogarti su di te, e sul significato di essere nato e cresciuto in un corpo maschile.
C'e' stato uno slogan che mi ha sempre colpito molto in quelle manifestazioni: "Per ogni donna stuprata e offesa siamo tutte parte lesa".
E io mi chiedevo perche' non potrei o non dovrei sentirmi parte lesa anch'io. Da ragazzino mi dicevo "anch'io sono parte lesa perche' quella donna potrebbe essere mia madre, mia moglie, la mia fidanzata". Da militante sentivo che quel "mia" non faceva tornare i conti, e rendeva la mia solidarieta' pelosa e ipocrita.
Qualche hanno dopo mi capito' di leggere un articolo scritto da due uomini, Stefano Ciccone e Renato Sebastiani, e li' trovai nero su bianco quello che sentivo. L'articolo si intitolava "Se la notte lei ci incontra" e narrava di una situazione in cui mi ero trovato moltissime volte.
Quando noi uomini camminiamo per strada specialmente di sera e incrociamo una donna sola, troppe volte quella donna sentira' di dover accelerare il passo o attraversare la strada. In quell'istante chiunque tra noi uomini e' un pericolo, un potenziale stupratore.
Ecco come mi colpisce e mi ferisce uno stupro, ogni stupro. Mina la fiducia primaria tra esseri umani, rende noi uomini tutti uguali nel senso peggiore del termine, perche' ci assimila e omologa a chi lo stupro lo commette.
Compromette la mia liberta' di incontrare una sconosciuta per strada, di scambiare con lei uno sguardo, un sorriso, una parola.
Mutila in poche parole l'umanita' mia e di tutti gli uomini e rende il mondo un posto peggiore per tutte e tutti.
L'aver incontrato quelle parole e quegli uomini, e con essi poter vivere l'esperienza di maschileplurale, mi ha permesso di interrogarmi da uomo sulla qualita' della mia vita delle mie relazioni, della mia sessualita', assumendo fino in fondo la mia parzialita' e la consapevolezza di essere nato in un corpo di uomo cresciuto dentro il corpo di una donna. E mi ha permesso di vedere quanto la violenza contro le donne e l'omofobia fanno parte dell'aria che respiriamo e contribuiscono non solo a rendere il nostro mondo piu' invivibile ma soprattutto a impedire o ostacolare la possibilita' di mettersi insieme per cambiarlo, creando tutti quei meccanismi di manipolazione, competizione, esclusione e discriminazione che minano alla base ogni esperienza e tentativo di trasformazione collettiva della realta'.
Oggi da uomo festeggio le donne, le loro battaglie per la liberta' e l'umanita' di noi tutte e tutti, e celebro le loro conquiste che hanno permesso ad esempio alla mia compagna di scegliere il mestiere che voleva fare e la maternita' in modo autodeterminato e consapevole, e a me di diventare padre, di godere di congedi parentali al lavoro, di poter essere presente nella vita di mio figlio, di poter godere del piacere di prendermi cura di lui, di giocarci, di baciarlo e stringerlo con affetto come non ho mai visto fare i padri della generazione precedente alla mia.
Festeggio l'8 marzo per dire grazie alle donne per aver aperto per me e per tutti gli uomini spazi di liberta' e di felicita'.
Con altri uomini intendiamo frequentare questi spazi con il nostro desiderio, con la nostra autonomia e parzialita'.
Con la voglia di averne cura senza occuparli e invaderli.
Con quel "partire da se'" e quella "coscienza del limite" che le donne e il femminismo, con le loro lotte e il loro sangue, hanno regalato a noi, al mondo e alla storia.
2. STORIA E MEMORIA. MADDALENA ROBUSTELLI: LA LEGGENDA DI UN FIORE, LA STORIA DI UNA DONNA
[Dal sito www.noidonne.org riprendiamo il seguente articolo dal titolo "La leggenda di un fiore, la storia di una donna" e il sommario "L'8 marzo 1945 Teresa Mattei fece scegliere la mimosa, quale fiore simbolo della giornata internazionale della donna, ricorrendo ad una 'leggenda cinese'".
Maddalena Robustelli e' impegnata nel movimento delle donne e in varie iniziative in difesa della democrazia; scrive su "Noi donne".
Per un profilo di Teresa Mattei dal sito de "Il paese delle donne" riprendemmo anni addietro la seguente breve notizia biografica: "Teresa Mattei, laureata in filosofia, e' una delle ventuno donne dell'Assemblea Costituente, la piu' giovane delle deputate (25 anni). Fece parte del Comitato dei 18 che, il 27 dicembre 1947, consegno' nelle mani del capo dello Stato - Enrico De Nicola - il testo della Carta Costituzionale. Gia' dal 1942 si iscrisse al Partito Comunista con il fratello Gianfranco (Gianfranco, dopo essere stato arrestato e torturato in via Tasso a Roma, si suicido' per non parlare). Partigiana, con il nome di battaglia 'Chicchi', fu nominata comandante della compagnia 'Gianfranco Mattei' del Fronte della Gioventu'. Fu una delle fondatrici dei Gruppi di difesa della donna e tra le prime iscritte all'Udi (Unione Donne Italiane). Fu la donna che scelse per tutte noi il simbolo della mimosa per la ricorrenza dell'8 marzo, Giornata internazionale della donna. Fondatrice della Lega di Ponsacco per il diritto dei bambini alla comunicazione. Teresa, nonostante l'eta' e i problemi di salute, e' sempre attiva e impegnata a ricordare, soprattutto ai giovani, i valori della Resistenza e della nostra Carta Costituzionale"]
Nel 2004, in occasione di una manifestazione pubblica dell'otto marzo, mi posi il problema di regalare alle donne una mimosa che non sfiorisse. Mi chiesi, allora, perche' fosse proprio quello il fiore per tale ricorrenza, sforzandomi di ricordare qualcosa al proposito. Purtroppo, risalendo a ritroso il tempo della memoria non riuscii a dare una risposta alla domanda, di modo che decisi di documentarmi. Cosi' giunsi a Teresa Mattei ed alla sua storia, una storia che sa di leggenda nell'avvenimento che raccontero', come in altri episodi della sua vita.
L'8 marzo del 1945 Luigi Longo, vicesegretario del Pci nonche' responsabile delle donne iscritte a tale partito, chiese ad un gruppo di partigiane quale potesse essere il fiore da distribuire per celebrare quella ricorrenza, in analogia con quanto avveniva in Francia, dove si distribuivano mughetti e violette alle compagne in quella data. Le socialiste indicarono l'orchidea, ma Teresa, che di li' ad un anno sarebbe diventata una delle 21 donne entrate a far parte della Assemblea Costituente, scelse diversamente. Consapevole dei costi del suddetto fiore e conscia delle difficolta' di reperire violette e mughetti in ogni localita' italiana, si invento' una leggenda cinese, inesistente, che raccontava come la mimosa rappresentasse il calore della famiglia e la gentilezza femminile. Forse, fu proprio questa "sua" leggenda a far breccia nei cuori di chi, alla fine, scelse proprio la mimosa come fiore-simbolo delle donne, anche se, come mi ha raccontato la stessa Teresa Mattei, "le socialiste storsero il naso perche' avrebbero preferito l'orchidea". Per anni la mimosa e' stata considerata un fiore sovversivo e chi la diffondeva era passibile d'arresto.
La ricerca sul fiore della festa della donna mi ha permesso di conoscerla e mi ritengo fortunata perche' e' una donna eccezionale, come tutte le storie che ha vissuto. Vive in Toscana, lo scorso primo febbraio ha compiuto 90 anni, ma, nonostante l'eta' e le precarie condizioni fisiche, continua ad essere sempre in prima linea nelle battaglie civili. Ad esempio, nel 2003 ha spedito 5.000 firme contro la guerra in Iraq al Presidente della Repubblica ed ha presidiato, insieme ad altri, la stazione di Pisa per bloccare i convogli che trasportavano materiale bellico. Nel 2004 ha espresso la sua piu' ferma condanna sull'ipotesi di scambio della grazia per Adriano Sofri con quella di Erik Priebke, il torturatore del fratello nonche' l'aguzzino di tanti altri partigiani romani. Mi ha raccontato tante altre storie, ma per brevita' ne vorrei segnalare solo alcune, per far meglio comprendere il valore di questa donna. Nel 1987 fondo' la Lega per il diritto dei bambini alla comunicazione, che promosse numerose iniziative per sviluppare l'attenzione degli adulti sulle capacita' comunicative dei bambini. Con la Lega realizzo' il progetto delle "trecce della pace", che, partendo da un'idea cosi' semplice e povera, acquisi' una forza ed una rappresentativita' in tutto il mondo, tant'e' che i bambini di ogni continente ne fecero circolare ben quindici milioni. Nel 1993 invio' 120.000 firme a Oslo per l'attribuzione del premio Nobel per la pace ai bambini di Sarajevo, grazie alla mobilitazione di centinaia di scuole ed associazioni in tutta Italia. Nel 1997, con il contributo della Coop che consenti' la raccolta di fondi, riusci' ad inviare in Bosnia-Erzegovina una potente radio-trasmittente, che consenti' a molte donne bosniache di ritrovare i figli loro sottratti dalla polizia serba nell'ambito della pulizia etnica attuata da Milosevic.
In un'intervista fattale da Gianni Mina', circa dieci anni fa, mentre Teresa stava illustrando altri episodi salienti della sua esistenza, Pietro Ingrao la interruppe e la sollecito' ad andare nelle scuole italiane, perche' il racconto delle sua vita e' Storia. Anch'io sono fermamente convinta che il patrimonio dei suoi ricordi debba divenire il piu' possibile storia collettiva. Da quando la conosco ho assunto con me stessa l'impegno di parlare di lei, partendo dalla diffusione della sua "leggenda", quella della mimosa, per continuare con la sua storia che e' piena di tante altre storie. Sono consapevole che il fiore-simbolo dell'otto marzo possa perdere, come tanti altri simboli, il suo valore, ma sono altrettanto sicura che la storia di Teresa Mattei rimarra' la' ferma e salda nel tempo perche' si e' resa protagonista di pagine memorabili della storia italiana. Il suo "buon otto marzo" (cosi' ama dare gli auguri in questa data) arriva a tutte noi, congiunto all'accorata speranza che "il mondo possa andare meglio di come va ora, se le donne si uniscono e lavorano insieme per la pace e la sovranita' popolare (articolo 1 della Costituzione) che comprende tutti, e soprattutto le donne, i bambini, e tutti quelli che non sono mai stati ascoltati finora".
3. MAESTRE. VANDANA SHIVA: L'INTRODUZIONE DE "IL BENE COMUNE DELLA TERRA"
[Riproponiamo ancora una volta l'Introduzione (pp. 7-19) del libro di Vandana Shiva, Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008; Ritorno alla terra, Fazi, Roma 2009; Campi di battaglia, Edizioni Ambiente, Milano 2009]
Il progetto democratico ed ecologista che ispira questo studio ha origini antiche, ma costituisce anche l'obiettivo di fondo di un movimento politico emergente che difende la pace, la giustizia e la sostenibilita'. Concepire il pianeta come una grande comunita' e come un bene comune inalienabile a tutte le forme di vita che lo popolano significa porre in correlazione il particolare e l'universale, le diversita' specifiche e gli aspetti comuni, le dimensioni del locale e del globale, richiamandosi a quella che in India viene descritta come vasudhaiva kutumbkham, la "famiglia terrestre", l'insieme di tutti gli esseri viventi che traggono sostentamento dal nostro pianeta. I nativi americani, al pari di tutte le culture indigene del mondo, concepivano la vita come un continuum che vincola le sorti dell'essere umano a quelle di tutte le altre specie, attraverso un condizionamento reciproco che coinvolge tutte le generazioni passate, presenti e future. Il discorso che capo Seattle, della tribu' dei Suquamish, pronuncio' nel 1848 evoca bene tale continuita' del vivente:
"Come si puo' pensare di vendere o di acquistare il cielo, o il calore della terra? Quest'idea e' davvero strana per noi.
"Se la brezza dell'aria e la luminosita' dell'acqua non ci appartengono, come potete pensare di comprarle da noi?
"Anche la piu' piccola parte di questa terra e' sacra al mio popolo. Ogni ago di pino lucente, ogni riva sabbiosa, la bruma che si diffonde nell'oscurita' dei boschi, ogni insetto che ronza sereno e' santo nella memoria e nell'esperienza di vita della mia gente. La linfa che scorre negli alberi porta con se' i ricordi dell'uomo rosso.
Questo sappiamo: la terra non appartiene all'uomo; e' l'uomo che appartiene alla terra. Questo sappiamo. Ogni cosa e' correlata come il sangue che unisce la nostra famiglia. Ogni cosa e' correlata".
Il movimento democratico globale prende forma dal riconoscimento di queste correlazioni, dei diritti e delle responsabilita' che ne derivano. La protesta di capo Seattle: "La terra non appartiene all'uomo", trova eco in altre e piu' recenti forme di contestazione: "Il nostro mondo non e' in vendita", "La nostra acqua non e' in vendita", "I nostri semi e la nostra biodiversita' non sono in vendita". Queste forme di resistenza alle privatizzazioni imposte dall'ideologia insensata della globalizzazione economica costituiscono le fondamenta del nuovo movimento democratico.
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Le multinazionali concepiscono il mondo in termini di mero possesso e il mercato in termini di mero profitto. Ma dopo quanto e' accaduto a Bangalore nel 1993, quando mezzo milione di contadini indiani insorsero per opporsi alla classificazione dei semi come proprieta' privata sancita dal Wto (World Trade Organization, Organizzazione mondiale del commercio) con l'accordo Trips (Trade Relate Intellectual Property Rights) relativo agli aspetti attinenti al commercio dei diritti di proprieta' intellettuale, dopo che gli incontri ministeriali sono stati interrotti due volte dalla protesta popolare, dapprima a Seattle nel 1999 e successivamente a Cancun nel 2003, l'agenda delle multinazionali ci appare sempre piu' contrastata dall'apporto creativo, dall'intelligenza e dal coraggio di milioni di persone che concepiscono la terra come una famiglia, come una comunita' che lega tutte le forme di vita e tutti gli esseri umani senza distinzioni di razza, classe sociale, culto o nazionalita'.
La globalizzazione imposta dalle multinazionali concepisce il pianeta in termini di proprieta' privata. Al contrario, i nuovi movimenti difendono le risorse locali e globali del territorio perche' lo intendono come bene comune. Le comunita' che insorgono in ogni continente per contrastare la distruzione delle loro diversita' biologiche e culturali, dei loro mezzi di sostentamento e delle loro stesse vite costituiscono l'alternativa democratica alla trasformazione del mondo in un gigantesco supermercato, in cui beni e servizi prodotti con costi ecologici, economici e sociali estremamente alti vengono rivenduti a prezzi stracciati. Opponendosi a questa globalizzazione liberista e suicida che inquina il pianeta, dilapida ogni risorsa e impone la dislocazione forzata di milioni di contadini, lavoratori e artigiani, le comunita' si impegnano a sviluppare delle economie alternative che proteggono la vita e promuovono la creativita' individuale.
La globalizzazione economica si configura come una nuova forma di "enclosure of the commons", la recinzione delle terre comuni britanniche, come una privatizzazione imposta attraverso atti di violenza e dislocazioni forzate. Anziche' generare abbondanza, questa privatizzazione subordinata al profitto produce nuove esclusioni, nuove espulsioni e maggiore poverta'. Non solo, ma trasformando in merce ogni risorsa e forma di vita, essa depriva anche i popoli e le specie viventi dei loro fondamentali diritti in termini di spazio ecologico, culturale, economico e politico. La proprieta' privata dei ricchi torna cosi' a fondarsi su una rapina ai danni dei poveri. Le privatizzazioni si traducono in un esproprio delle risorse pubbliche e dei beni comuni dei soggetti piu' poveri, che si ritrovano ad essere economicamente, politicamente e culturalmente depauperati.
I brevetti sulla vita e la retorica di un mondo fondato sulla proprieta' privata, in cui qualsiasi cosa, dall'acqua alla biodiversita', dalle cellule ai geni, dagli animali alle piante, viene considerata in termini di merce, si traducono in una visione del mondo che non riconosce il valore intrinseco, l'integrita' e la sovranita' di ogni forma di vita. Secondo questa ideologia, il diritto dei contadini a disporre dei semi, dei malati a ricevere le loro medicine a prezzi accessibili, dei piccoli produttori a una ripartizione equa delle risorse terrene possono essere liberamente violati. La retorica della proprieta' privata nasconde la filosofia di morte di chi, pur scandendo slogan a favore della vita, cerca di impadronirsi di tutte le risorse del pianeta e della creativita' umana per controllarle e monopolizzarle. In Inghilterra, le recinzioni delle terre comuni trasformarono milioni di contadini in forza lavoro disponibile sul mercato. Se queste prime recinzioni si limitavano a sottrarre delle terre, l'attuale privatizzazione si spinge fino a mercificare ogni aspetto della vita, dai saperi comuni alle tradizioni culturali, dall'acqua alla biodiversita', inclusi servizi pubblici quali la sanita' e l'istruzione.
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A fronte di tale situazione, la difesa dei beni comuni costituisce l'espressione piu' alta di una concezione democratica dell'economia.
La privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici e la mercificazione dei mezzi di sostentamento dei poveri altro non sono che un vero e proprio furto ai danni della sicurezza economica e culturale dei popoli. Milioni di persone deprivate della loro identita' e della possibilita' di provvedere dignitosamente alla loro esistenza vengono indotte a ricorrere all'estremismo, al terrorismo e al fondamentalismo religioso. Queste ideologie identificano l'altro con il nemico e rivendicano un'identita' esclusiva per poter sfuggire a una realta' alla quale rimangono invece ecologicamente, culturalmente ed economicamente connesse. Il loro tentativo di sottrarsi si traduce in un comportamento antagonistico e cannibale. L'ascesa dell'estremismo e del terrorismo e' un fenomeno direttamente imputabile alle nuove forme di recinzione o privatizzazione introdotte dal colonialismo della globalizzazione economica. Cosi' come il cannibalismo di polli e maiali soggetti a un allevamento intensivo si sconfigge con il ricorso a metodi piu' naturali, anche il terrorismo, l'estremismo e le ideologie che invocano la pulizia etnica e l'intolleranza religiosa vanno affrontati come aberrazioni prodotte dalla globalizzazione economica, patologie che si possono sanare soltanto democratizzando la realta' globale.
La privatizzazione genera esclusione, e l'esclusione e' il prezzo che la globalizzazione economica cerca di occultare. Le nostre azioni di protesta contro la biopirateria del neem, del riso basmati e del grano hanno saputo raggiungere l'obiettivo che si erano preposte, ottenendo un riconoscimento del nostro patrimonio biologico e intellettuale come bene comune. La lotta vittoriosa delle donne di Plachimada, una piccola comunita' tribale dello stato indiano del Kerala, contro la piu' grande multinazionale del mondo, la Coca-Cola, costituisce un esempio tra i piu' significativi delle potenzialita' dei movimenti democratici emergenti.
I nuovi diritti sulla proprieta' intellettuale privatizzano un patrimonio comune di natura biologica, intellettuale e digitale. La privatizzazione ci depriva anche delle nostre risorse idriche. Ogni bene comune privatizzato comporta la dislocazione e la perdita d'autonomia di molti soggetti umani, l'arricchimento di una minoranza a scapito di un generale aumento della poverta'. La dislocazione forzata produce precarieta', e nelle sue forme piu' estreme puo' arrivare a negare anche i piu' elementari diritti alla vita. Con la diffusione delle sementi geneticamente modificate e degli aborti indotti per selezionare il sesso dei nascituri, assistiamo alla progressiva scomparsa di un numero crescente di piccoli agricoltori e di donne. L'entita' e il tasso di sviluppo di questo fenomeno sono direttamente proporzionali alla "crescita economica" imposta dai promotori della globalizzazione neoliberista.
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Per fortuna pero', queste forme di genocidio brutale non costituiscono l'unica e incontrastata tendenza della storia contemporanea.
Un futuro diverso ha preso forma per le strade di Seattle e Cancun, nelle case e nelle comunita' agricole di tutto il mondo.
Un futuro che si basa sul principio di inclusione, anziche' di esclusione; sulla nonviolenza e sulla difesa del pianeta come bene comune, anziche' come territorio da recintare; su una libera condivisione delle risorse terrene, anziche' sulla loro privatizzazione e monopolizzazione. Il movimento democratico globale deriva da un'esperienza collettiva di dialogo e solidarieta', di pluralismo e cooperazione, di confronto e di scambio tra le diversita'. Questa e' l'alternativa democratica a piani economici quali il "Progetto per il nuovo secolo americano" (1), un piano di sviluppo definito a porte chiuse e condizionato dalla mentalita' angusta delle multinazionali. Le nostre proposte si qualificano infatti come portato della nostra autonomia organizzativa, di identita' profondamente radicate nello specifico delle realta' locali, della nostra molteplicita' e diversita'. Il nostro intervento non si limita a prendere in considerazione gli interessi del genere umano, ma si estende alla tutela di tutte le forme di vita che popolano il pianeta. E' qualcosa di piu' dell'organizzazione della prossima protesta o del prossimo Social forum: e' quanto intendiamo fare quotidianamente, nella vita di tutti i giorni, per modificare la realta' globale attraverso un impegno individuale e radicato nel tessuto delle nostre realta' locali. I cambiamenti che riusciamo a ottenere possono sembrare di poco conto, ma l'impatto che producono sara' determinante per le sorti del pianeta e dell'umanita'. Essi mirano infatti a contrastare la logica violenta e autodistruttiva perpetrata dalle culture, dalle economie e dalle politiche di morte, per sostituirla con nuovi modelli di sviluppo economico, politico e culturale fondati sulla nonviolenza e sulla creativita' che promuovono, valorizzano e sostengono la vita.
Il progetto di costituire una democrazia della comunita' terrena non deve essere inteso come un'astrazione, ma come l'insieme delle pratiche specifiche dei popoli che reclamano i loro beni comuni, le loro risorse e il diritto di vivere liberi e in pace, preservando la loro identita' e la loro dignita'. Poiche' si tratta di una realta' multiforme e composita, ho scelto di soffermarmi su alcuni esempi significativi dei progetti politici, economici e culturali che concorrono a costituirla. Queste tre dimensioni della politica, dell'economia e della cultura sono ovviamente inseparabili.
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I modelli economici che adoperiamo per produrre e scambiare beni e servizi sono condizionati dai valori della nostra cultura e dal nostro sistema politico. Anche lo sviluppo di un modello economico alternativo si verifica pertanto in sinergia con l'elaborazione di una nuova cultura e di nuove istituzioni piu' democratiche.
Le economie che apportano la vita sono i luoghi e le pratiche in cui le risorse comuni vengono condivise equamente, per provvedere al fabbisogno di cibo e di acqua e per conferire un senso all'esistenza dei singoli e della comunita'. Il movimento democratico globale sorge dalla consapevolezza di essere radicati nello specifico di una realta' locale che tuttavia interagisce con la realta' globale del pianeta, per non dire dell'universo intero. Si tratta di un modello di sviluppo planetario che non puo' fondarsi sulla speculazione finanziaria o sul trasferimento immotivato di beni e servizi, ma sui principi dell'ecologia e della solidarieta'.
Un'economia globale che tiene conto dei limiti imposti dall'ecologia non puo' che valorizzare la produzione locale, per ridurre gli sprechi di risorse umane e naturali. E solamente quelle economie che adottano un modello di sviluppo ecologico possono diventare delle economie che apportano la vita, in grado di assicurare un futuro sostenibile. I nostri piani di sviluppo non possono essere condizionati dalla logica aziendale dei profitti trimestrali, come pure dalle scadenze quadriennali o quinquennali dei politici. Occorre considerare ben altro, perche' il futuro coinvolge l'evoluzione di tutte le forme di vita terrene e il benessere di tutti gli individui che compongono la nostra famiglia, la nostra comunita' e l'intera societa' umana. La tutela dell'ecologia costituisce un obiettivo prioritario perche' la nostra identita' principale e' proprio quella ecologica.
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Noi siamo cio' che mangiamo, l'acqua che beviamo, l'aria che respiriamo. La nostra liberta' non puo' prescindere dal diritto a un controllo democratico del cibo, dell'acqua e della nostra sopravvivenza ecologica.
Le democrazie che tutelano la vita sono gli spazi e gli strumenti politici necessari per riconquistare le nostre liberta' fondamentali, per difendere i nostri diritti e per espletare i nostri doveri e le nostre responsabilita' comuni: proteggere la terra, difendere la pace e promuovere la giustizia sociale. I fautori della globalizzazione economica sostengono che il libero mercato promuove uno sviluppo della democrazia. In realta', le multinazionali distruggono la democrazia in ogni sua forma, a ogni livello.
La privatizzazione delle risorse comuni rappresenta l'effetto negativo piu' evidente, perche' cancella le democrazie di base proprio come la recinzione delle terre provoco' la scomparsa delle comunita' contadine in Inghilterra. Ma anche gli stessi accordi economici che promuovono la globalizzazione non vengono decisi democraticamente, poiche' sono sanciti e imposti da organizzazioni come la Banca mondiale, il Wto o il Fondo monetario internazionale a prescindere dalla volonta' delle comunita' e dei paesi direttamente coinvolti. Le multinazionali che controllano la globalizzazione indeboliscono le istituzioni democratiche dei paesi in cui operano, perche' le loro decisioni vengono prese scavalcando le istituzioni parlamentari e i singoli cittadini. Qualsiasi governo appena eletto, indipendentemente dall'orientamento politico, si trova costretto ad approvare una serie di riforme economiche di stampo neoliberista. L'attuale processo di globalizzazione rende impossibile lo sviluppo di un'economia democratica, configurandosi come una vera e propria dittatura economica delle multinazionali.
Quando una dittatura economica indebolisce le istituzioni democratiche di una nazione, si assiste anche alla crescita di pericolosi fenomeni quali il fondamentalismo religioso e l'estremismo di destra. Ecco allora che la globalizzazione non provoca soltanto una crisi della democrazia, ma anche l'avvento di una democrazia di morte che ricorre all'odio, al terrore e alla discriminazione sociale per ottenere voti e potere.
Impegnarsi in un progetto di democratizzazione ecologica e sociale significa, al contrario, concepire e progettare delle democrazie che tutelino la vita assicurando a tutti la possibilita' di esprimersi su questioni fondamentali come il cibo, che mangiamo o che ci viene negato, come l'acqua, che beviamo o che ci viene sottratta perche' e' stata inquinata o privatizzata, come l'aria, che respiriamo o che forse ci avvelena. Le democrazie che tutelano la vita si fondano sul riconoscimento del valore intrinseco di tutte le specie, di ogni popolo e di ogni cultura, sull'equa ripartizione delle risorse terrene e sulla comune gestione di tali risorse.
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Le culture che valorizzano la vita sono spazi in cui possiamo configurare ed esprimere valori, convinzioni politiche o religiose, pratiche e tradizioni diverse, pur restando in sintonia profonda con la nostra identita' comune e universale di esseri umani che condividono la terra, l'acqua e l'aria con tutte le altre specie. Tali culture si fondano sulla nonviolenza e sulla solidarieta', sul pluralismo e sull'uguaglianza, sul rispetto della giustizia, della diversita' e della vita in tutte le sue forme.
Una cultura che cresce in seno a un'economia che protegge la vita trova spazio per tutti gli esseri viventi, senza distinzioni di sesso, etnia, religione o specie. Essa esprime un radicamento profondo alla terra e alle specificita' del luogo in cui si origina, ma anche un sentimento di solidarieta' per tutto il genere umano, una coscienza universale che nasce dal sentirsi parte di un'unica famiglia terrena. Le culture che valorizzano la vita si fondano sulla compresenza di molte identita'. La nostra identita' terrena e' data al tempo stesso dall'esperienza concreta della realta' in cui viviamo - della quotidianita' del lavoro e del riposo, del gioco e del pianto - e dalla globalita' delle pratiche che ci correlano al resto del mondo.
"Ogni cosa e' correlata," come insegna capo Seattle. Noi esistiamo in rapporto con la terra, localmente e globalmente. Le culture che valorizzano la nostra identita' terrena ci insegnano a seguire dei criteri di sviluppo ecologicamente compatibili. Soltanto ricordandoci di essere cittadini della terra e figli di questo pianeta possiamo riscoprire la nostra identita' comune e superare le scissioni profonde, l'intolleranza, l'odio e il terrore provocati dalle privatizzazioni, dalla polarizzazione del mondo e dagli sconvolgimenti introdotti dalla globalizzazione economica.
Le culture indigene che credono in una convivenza pacifica delle specie e dei popoli, nel rispetto delle differenze biologiche e culturali dei singoli percorsi evolutivi, sono ancora vive nella nostra memoria collettiva e ci aiutano a concretizzare il progetto di una democrazia della comunita' terrena. Il principio di interconnessione e inseparabilita' su cui si fonda questa antica visione viene ribadito anche, in maniera significativa, dalla scienza contemporanea: si pensi alla teoria dei quanti, al continuum spazio-temporale della relativita' generale, o alla complessita' delle strutture degli organismi viventi.
In tempi piu' recenti, questa visione del mondo si e' espressa attraverso i valori, le prospettive e le azioni dei movimenti impegnati a perseguire la pace, la giustizia e la sostenibilita'. Viviamo in un'epoca in cui l'asservimento della democrazia agli interessi del capitalismo globale ha generato nuove paure, nuove insicurezze, nuovi fondamentalismi e nuove manifestazioni di violenza. In India e negli Stati Uniti, le elezioni del 2004 hanno evidenziato come la disoccupazione e il diffondersi della poverta' possano costituire un terreno fertile per l'ascesa del fondamentalismo religioso, un'ideologia che semina discordia e fa leva sulle differenze culturali per distogliere l'attenzione da quei valori che invece possono unirci: il lavoro, l'ambiente, i diritti umani, la nostra comune appartenenza all'umanita'.
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Concepire la Terra come una grande comunita' democratica ci aiuta invece a riappropriarci della nostra identita' di esseri umani e delle correlazioni che ci uniscono a tutte le altre specie. Questa visione del mondo rispetta la sacralita' della vita in tutto il vivente, senza distinzioni di classe, casta, genere o religione, e ci insegna a sconfiggere l'avidita' e la violenza subordinando i nostri interessi individuali a quelli della famiglia terrena. Privatizzare l'acqua o introdurre dei brevetti sulla vita diventa allora impensabile, perche' tutti gli esseri viventi hanno il diritto di vivere e sostentarsi. Se la famiglia terrena riconosce, come capo Seattle, che "ogni cosa respira all'unisono, l'albero, l'animale e l'uomo" e che "l'aria condivide il suo spirito con tutte le creature viventi", essa non consentira' piu' a una parte della comunita' internazionale di alterare il clima, di impadronirsi delle risorse atmosferiche comuni e di produrre il 36% dell'inquinamento da anidride carbonica mondiale, a scapito dei diritti delle altre specie e degli altri popoli.
Conservare gli equilibri ecologici necessari per la sopravvivenza del nostro pianeta e difendere i diritti umani fondamentali come quello all'acqua, al cibo, alla salute, all'istruzione, al lavoro e a un'esistenza dignitosa: questo e' l'impegno di una visione democratica e comunitaria che riconosce l'importanza della vita e la rispetta in tutte le specie e in tutti i popoli.
Negli ultimi trent'anni, la mia adesione a questa concezione del mondo si e' tradotta in un impegno concreto all'interno dei movimenti che lottano per un'affermazione universale dei diritti umani e di quei movimenti ecologisti e animalisti che riconoscono il valore intrinseco di tutte le specie. La difesa dell'umanita' non puo' prescindere da quella delle altre specie, perche' soltanto una comunita' terrena unita e solidale puo' costituire un'alternativa reale a una globalizzazione economica che riconosce soltanto i diritti delle multinazionali e trasforma gli esseri viventi in materie prime da poter sfruttare o in rifiuti facilmente eliminabili.
Sentirsi parte della comunita' terrena significa entrare in sintonia con la fluidita' della vita, che si rinnova e si rigenera costantemente. Significa percepire la continuita' del vivente, dalla nostra esistenza quotidiana a quella dell'universo, e comprendere il significato universale della nostra epoca, della simultanea interazione di diverse realta'. La comunita' terrena deve pulsare in armonia con le potenzialita' infinite di un universo in continua espansione, anche quando si trova ad affrontare minacce che mettono a rischio la sopravvivenza stessa della nostra specie. Essa custodisce le nostre speranze nei momenti piu' critici; ci lascia intravedere la pace in un mondo di guerre senza fine; ci induce ad amare la vita appassionatamente e con coraggio nonostante i messaggi di odio e morte veicolati dai media e dai gruppi di potere.
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Principi costitutivi di una democrazia della comunita' terrena
1. Tutte le specie, tutti gli esseri umani e tutte le culture possiedono un valore intrinseco.
Tutti gli esseri viventi sono soggetti dotati di intelligenza, integrita' e di un'identita' individuale. Non possono essere ridotti al ruolo di proprieta' privata, di oggetti manipolabili, di materie prime da sfruttare o di rifiuti eliminabili. Nessun essere umano ha il diritto di possedere altre specie, altri individui, o di impadronirsi dei saperi di altre culture attraverso brevetti o altri diritti sulla proprieta' intellettuale.
2. La comunita' terrena promuove la convivenza democratica di tutte le forme di vita.
Siamo membri di un'unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto e' nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l'equilibrio ecologico della Terra, nonche' i diritti fondamentali e la sopravvivenza delle altre specie e di tutta l'umanita'. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, ne' di trattarli con crudelta' e violenza.
3. Le diversita' biologiche e culturali devono essere difese.
Le diversita' biologiche e culturali hanno un valore intrinseco che deve essere riconosciuto. Le diversita' biologiche sono fonti di ricchezza materiale e culturale che pongono le basi per la sostenibilita'. Le differenze culturali sono portatrici di pace. Tutti gli esseri umani hanno il dovere di difendere tali diversita'.
4. Tutti gli esseri viventi hanno il diritto naturale di provvedere al loro sostentamento.
Tutti i membri della comunita' terrena, inclusi gli esseri umani, hanno il diritto di provvedere al loro sostentamento: hanno diritto al cibo e all'acqua, a un ambiente sicuro e pulito, alla conservazione del loro spazio ecologico. Le risorse vitali necessarie per il sostentamento non possono essere privatizzate. Il diritto al sostentamento e' un diritto naturale perche' equivale al diritto alla vita. E' un diritto che non puo' essere accordato o negato da una nazione o da una multinazionale. Nessun paese e nessuna multinazionale ha il diritto di vanificare o compromettere questo genere di diritto, o di privatizzare le risorse comuni necessarie alla vita.
5. La democrazia della comunita' terrena si fonda su economie che apportano la vita e su modelli di sviluppo democratici.
La realizzazione di una democrazia della comunita' terrena presuppone una gestione democratica dell'economia, dei piani di sviluppo che proteggano gli ecosistemi e la loro integrita', provvedano alle esigenze di base di tutti gli esseri umani e assicurino loro un ambiente di vita sostenibile. Una concezione democratica dell'economia non prevede l'esistenza di individui, specie o culture eliminabili. L'economia della comunita' terrena e' un'economia che apporta nutrimento alla vita. I suoi modelli sono sempre sostenibili, differenziati, pluralistici, elaborati dai membri della comunita' stessa al fine di proteggere la natura e gli esseri umani e operare per il bene comune.
6. Le economie che apportano la vita si fondano sulle economie locali.
Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creativita' alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili e' quello di operare all'interno delle realta' locali. Localizzare l'economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale. Si dovrebbero importare ed esportare soltanto i beni e i servizi che non possono essere prodotti localmente, adoperando le risorse e le conoscenze del luogo. Una democrazia della comunita' terrena si fonda su delle economie locali estremamente vitali, che sostengono le economie nazionali e globali. Un'economia globale democratica non distrugge e non danneggia le economie locali, non trasforma le persone in rifiuti eliminabili. Le economie che sostengono la vita rispettano la creativita' di tutti gli esseri umani e producono contesti in grado di valorizzare al massimo le diverse competenze e capacita'. Le economie che apportano la vita sono differenziate e decentralizzate.
7. La democrazia della comunita' terrena e' una democrazia che tutela la vita.
Una democrazia che tutela la vita si fonda sul rispetto democratico di ogni forma vivente e su un comportamentodemocratico da adottare gia' a partire dalla quotidianita'. Ogni soggetto coinvolto ha il diritto di partecipare alle decisioni da prendere in merito al cibo, all'acqua, alla sanita' e all'istruzione. Una democrazia che tutela la vita cresce dal basso verso l'alto, al pari di un albero. La democrazia della comunita' terrena si fonda sulle democrazie locali, lasciando che le singole comunita' costituite nel rispetto delle differenze e delle responsabilita' ecologiche e sociali abbiano pieni poteri decisionali riguardo all'ambiente, alle risorse naturali, al sostentamento e al benessere dei loro membri. Il potere viene delegato ai livelli esecutivi piu' alti applicando il principio della sussidiarieta'. La democrazia della comunita' terrena si fonda sull'autoregolamentazione e sull'autogoverno.
8. La democrazia della comunita' terrena si fonda su culture che valorizzano la vita.
Le culture che valorizzano la vita promuovono la pace e creano degli spazi di liberta' per consentire il culto di religioni diverse e l'espressione di diverse fedi e identita'. Tali culture lasciano che le differenze culturali si sviluppino proprio a partire dalla nostra umanita' e dai nostri comuni diritti in quanto membri della comunita' terrena.
9. Le culture che valorizzano la vita promuovono lo sviluppo della vita stessa.
Le culture che valorizzano la vita si fondano sul riconoscimento della dignita' e sul rispetto di ogni forma di vita, degli uomini e delle donne di ogni provenienza e cultura, delle generazioni presenti e di quelle future. Sono culture ecologiche che non producono stili di vita distruttivi o improntati al consumismo, basati sulla sovrapproduzione, sullo spreco o sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Le culture che valorizzano la vita sono molteplici, ma ispirate da un comune rispetto per il vivente. Riconoscono la compresenza di identita' diverse che condividono lo spazio comune della comunita' locale e danno voce a un sentimento di appartenenza che correla i singoli individui alla terra e a tutte le forme di vita.
10. La democrazia della comunita' terrena promuove un sentimento di pace e solidarieta' universale.
La democrazia della comunita' terrena unisce tutti i popoli e i singoli individui sostenendo valori quali la cooperazione e l'impegno disinteressato, anziche' separarli attraverso la competizione, il conflitto, l'odio e il terrore. In alternativa a un mondo fondato sull'avidita', sulla diseguaglianza e sul consumismo sfrenato, questa democrazia si propone di globalizzare la solidarieta', la giustizia e la sostenibilita'.
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Note
1. Il Pnac e' un think-tank americano con sede a Washington, fondato negli anni Novanta, al centro dell'elaborazione delle strategie "neocons" di politica estera statunitense.
4. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.
Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
5. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Gilbert Badia, Clara Zetkin femminista senza frontiere, Erre Emme, Roma 1994, pp. 320.
- AA. VV. (a cura di), Rosa Luxemburg una vita per il socialismo, Feltrinelli, Milano 1973, 1977, pp. 168.
- Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori, Milano 1977, pp. LXXII + 360.
- Rosa Luxemburg, Scritti scelti, Edizioni Avanti!, Milano 1963, Einaudi, Torino 1975, 1976, pp. CVIII + 760.
- Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976, pp. 708.
- Gabriele Raether, Aleksandra Kollontaj. Liberta' sessuale e liberta' comunista, Erre Emme, Pomezia 1996, pp. 192.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 489 del 9 marzo 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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