Telegrammi. 472
- Subject: Telegrammi. 472
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- Date: Sun, 20 Feb 2011 00:34:12 +0100 (CET)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 472 del 20 febbraio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Una rivoluzione che comincia, nonviolenta
2. Anna Bravo: Uomini perbene e lupe del nemico
3. Libera Universita' delle Donne di Milano: 13 febbraio. Manifestiamo la nostra autonomia
4. Natalia Aspesi: Un grido al Paese
5. Lea Melandri: Un successo. Ma la rivolta non basta
6. Un estratto da "Le donne di Allah" di Anna Vanzan
7. Associazione "Respirare": Una lettera aperta alla segreteria internazionale del Wwf
8. Per sostenere il Movimento Nonviolento
9. "Azione nonviolenta"
10. Segnalazioni librarie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. UNA RIVOLUZIONE CHE COMINCIA, NONVIOLENTA
Tutti gia' sapevamo, da anni, da decenni. Poiche' quello che succedeva nella villa di Arcore, con l'atroce aggravante della minore eta' di alcune delle vittime, e' esattamente quello che succede in parlamento ed in televisione: esseri umani mercificati e asserviti alle voglie del padrone (dei vari padroni: si fatica a trovare tra i volti che compaiono in televisione e in parlamento e negli altri luoghi del potere - dei poteri del regime della corruzione, della ragion strumentale, della societa' amministrata - anche una sola persona che a Berlusconi non assomigli come una goccia d'acqua).
Cosi' la corte dell'impero romano ai tempi di Svetonio. Cosi' l'organizzazione totalitaria descritta da Orwell. Cosi' la societa' dello spettacolo notomizzata da Debord.
Questo sistema, questo regime, e' il nostro nazismo quotidiano.
E' lo stesso che uccide i poveri in Afghanistan e nelle baracche della periferia romana, condanna i poveri al rogo sulle piazze di Palermo o nei campi di concentramento riaperti sul finire del secolo scorso dalla legge Turco-Napolitano, riproduce una barbarie che ovunque provoca orrori.
Ed a questa barbarie resistere occorre.
E questa barbarie occorre sconfiggere, sconficcare dalla struttura e dai tessuti di questo paese e dalla mente e dall'animo di chi vi abita.
Questa barbarie che chiamiamo - per semplificare - berlusconismo (e leghismo, neofascismo, potere mafioso).
E cuore del berlusconismo e' una degradata visione del mondo e una conseguente brutale prassi per cui esiste un nome preciso: maschilismo, patriarcato.
Per questo la manifestazione delle donne del 13 febbraio e' stata il fatto politico piu' rilevante degli ultimi anni in Italia: per questo crediamo che a partire da li' comincia una fase nuova e cruciale della lotta di liberazione dal regime berlusconiano e dal berlusconismo come ideologia e come sistema; una fase nuova e cruciale di lotta contro il maschilismo e il patriarcato, ergo contro la guerra e il razzismo, ergo contro le mafie e l'ecocidio.
Il femminismo - nessuno puo' fingere di ignorarlo - e' la corrente calda della rivoluzione nonviolenta, e' il decisivo inveramento storico della decisiva teoria-prassi di integrale liberazione dell'umanita', responsabile e solidale nel riconoscimento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani. Una rivoluzione che comincia anche nel nostro paese.
2. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: UOMINI PERBENE E LUPE DEL NEMICO
[Dal sito della Libera Universita' delle Donne di Milano riprendiamo il seguente intervento apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 12 febbraio 2011
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008. Si veda anche l'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 353, e quella nei "Telegrammi" n. 450]
Si direbbe che di questi tempi nella sfera pubblica italiana ci sia un solo uomo di sesso maschile, cioe' individuabile e individuato per le caratteristiche di genere, Silvio Berlusconi. Gli altri no. Il no non vale per tutti gli altri, naturalmente, basta pensare a quel che scrivono in questi giorni, e da anni, e molto spesso su questo giornale, alcuni uomini capaci di riflettere su se stessi e di lavorare per un'opinione civilizzata.
Ma il no vale, eccome, per gran parte di quelli che incarnano e plasmano il comune sentire "per bene": politici, editorialisti, conduttori televisivi. La mia impressione e' che moltissimi di loro (e vari amici, compagni o ex, giovanotti sparsi) preferiscano accantonare il fatto di essere maschi; che scrivano e parlino sentendosi per cosi' dire al di sopra del proprio sesso - come fossero appena usciti dal bosco degli smemorati, o da un limbo dove le contraddizioni assomigliano, piu' che a uno scontro, a un minuetto. Ammesso che ci siano. Ma non si sa.
Nelle centinaia di discorsi che voi uomini per bene avete dedicato a Berlusconi, non ho trovato niente, proprio niente, sul modello di mascolinita' e di relazione uomo/donna in cui vi riconoscete, salvo gran dichiarazioni di paritario rispetto per quelle che lavorano, tirano avanti la famiglia, curano i vecchi genitori e confortano il marito in crisi: pura aria anni Cinquanta (ma il tocco acido e' per voi, non per loro, di cui ammiro la maestria).
Tanto meno ho capito qualcosa sui modi in cui vivete l'essere uomini in un mondo di clan stile Chicago boys, sulle difficolta', fallimenti (e successi) che incontrate provando a essere belle persone di sesso maschile. Non si richiedono tranches autobiografiche, solo qualche segno di vita della vostra esperienza di uomini. Noi donne lo chiamiano discorso situato.
Vorrei almeno sapere cosa avete in mente quando, oggi, parlate di donne. Per esempio, io non riesco a vedere una differenza qualitativa fra il dire "le nostre mogli, le nostre compagne, le nostre amiche, le nostre figlie (...) che conosciamo e rispettiamo", e il dire: "tutte puttane, tranne mia mamma e mia sorella". E mi preoccupa, perche' non si tratta soltanto di una riedizione della vecchia dicotomia buone/cattive, madonne/puttante, che gia' sarebbe grave.
Introducendo il discrimine dell'appartenenza, si riproduce la costruzione simbolica secondo cui una donna e' sempre di qualcuno, che sia il marito o che sia il partito. Per questo negli anni Settanta scandivamo lo slogan "io sono mia", che oggi suona estremista e disattento al valore delle relazioni, ma allora era necessario e di grande buon senso. Il buffo e' che nelle vostre intenzioni una donna dovrebbe compiacersi di quel vostro riconoscimento d'appartenenza, perche' assicura tutela della dignita', fiumi di firme agli appelli, compagnia abbondante ai cortei. E un certificato di rispettabilita': dire "le conosciamo" equivale a dire "garantiamo per loro".
E le altre? Donne di nessuno (cioe' di tutti) o in alternativa donne del nemico, prezzolate, indecenti? Vittime, per i piu' clementi, meretrici per i piu' accalorati. Qualcuno le ha definite "le lupe di Arcore" - leggevo, e non volevo crederci. E' vero, si tratta di una citazione letteraria, La Lupa e' quella di Verga, che "si spolpava" gli uomini "in un batter d'occhio, con le sue labbra rosse". Ma letteraria o no, resta pesantissima.
Pur essendo una buona consumatrice di quotidiani, i pensieri piu' seri e lucidi su queste ragazze li ho trovati on line: per esempio sul sito dell'Universita' delle donne e su quello della Libreria delle donne di Milano, dove Luisa Muraro invita a tener conto della loro soggettivita'. Che e', penso, un composto instabile di sbruffoneria e paura, euforia e tristezza, senso di onnipotenza e vulnerabilita', astuzia e dabbenaggine, tenuto insieme da molta fretta. La nostra adolescenza e prima giovinezza erano diverse, ma forse non per questo aspetto.
Mi chiedo come mai dati di realta' cosi' elementari sfuggano a donne e uomini che su altri terreni sanno pensare e dubitare. Le lupe di Arcore, andiamo! deve essere l'effetto "donna del nemico", o venduta al nemico, un meccanismo classificatorio cui sembra diffficile sfuggire. Ce ne sono esempi anche in societa' di alto senso civico. Fatte le dovute proporzioni, nella meravigliosa Danimarca, il solo paese al mondo a aver salvato la quasi totalita' dei "suoi" ebrei, a guerra finita molti buoni cittadini si sono scagliati contro le giovani che si erano inamorate di un tedesco, o gli si erano prostituite: le "loro" ragazze, la parte piu' pregiata del corpo nazionale, aveva tradito!
L'appartenenza protegge, si', ma chi la rifiuta o trasgredisce lo paga caro. E non potrebbe essere diversamente, perche' la contrapposizione fra le "nostre" e le donne degli altri e' figlia della dicotomia belligerante noi/loro, in cui le donne possono soltanto essere usate, come vittime o come reiette: non perche' siano pacifiche di natura, ma perche' nelle guerre e similguerre, di sangue o di carta, al posto di comando e decisione stanno (alcuni) maschi. E' un argomento in piu' contro chi nega il carattere politico delle relazioni uomo/donna.
Nel laido pasticcio di questi mesi, gli uomini che si preoccupano della dignita' femminile si sentono probabilmente nostri paladini. Allora, siatelo davvero. Non ci serve che ci mostriate la vostra devozione attraverso lo smascheramento reiterato di Berlusconi - lo sappiamo (anzi, lo sapevamo) gia'. Non ci serve, e a qualcuna da' fastidio, il vostro sarcasmo sulle belle veline microvestite di Striscia la notizia, e cosi' l'uso del triste termine "velinismo". Non ci serve essere lusingate, ne' sentirci dire che siamo diverse. E cosi' via. Ci serve che siate diversi voi: a partire dai dettagli - smettere di definire "gnocca" una bella ragazza, di denunciare il silenzio delle donne quando basta un giro on line e in libreria a smentirvi - fino a rendervi conto che quel che pensate di sapere sulle donne non ha proprio niente di universale.
Poi, potreste anche marinare il corteo. Ma se ci andate, non stupitevi se a un cartello con su scritto "io rispetto mia moglie", magari qualcuna ne affianchera' un altro: "e basta a farla felice?".
3. RIFLESSIONE. LIBERA UNIVERSITA' DELLE DONNE DI MILANO: 13 FEBBRAIO. MANIFESTIAMO LA NOSTRA AUTONOMIA
[Dal sito della Libera Universita' delle Donne di Milano riprendiamo il seguente volantino di adesione alla manifestazione del 13 febbraio 2011]
13 febbraio
Libera Universita' delle Donne di Milano
Manifestiamo la nostra autonomia:
1. perche' il rapporto di Berlusconi con le donne non sia ridotto a questione "privata" o considerato politico solo in quanto riferito a un'alta carica istituzionale;
2. perche' non si tratta di chiedere amicizia agli uomini, ma di pretendere che mettano in discussione i valori su cui hanno costruito la loro sessualita'. "Valori" come dominio, potere, sopraffazione che stanno alla base di diseguaglianze e discriminazioni;
3. perche' non si mettano sotto l'etichetta della moralita'-immoralita' comportamenti, scelte sessuali, che parlano invece del rapporto di potere tra uomini e donne, dell'immaginario e del desiderio sessuale maschile, dell'identificazione della donna col corpo erotico e riproduttivo;
4. perche' guardiamo con sospetto il fatto che ci si ricordi delle donne e del femminismo solo quando servono a una causa della politica maschile, mentre si evita accuratamente di mettere a tema il rapporto uomo-donna;
5. perche' pensiamo che non siano solo Berlusconi e le sue televisioni ad offendere la dignita' delle donne, ma lo sfruttamento e la violenza che ancora subiscono nelle case, la marginalita' e le discriminazioni nei posti di lavoro, l'assenza dai ruoli decisionali, la messa sotto silenzio della cultura politica prodotta dal femminismo nel nostro paese;
6. perche' vogliamo non solo le "dimissioni" di Berlusconi, ma anche quelle del potere e della cultura maschile di cui e' prototipo in massimo grado;
7. perche' consideriamo che sia una creazione maschile il "femminile", nel suo duplice aspetto di "seduzione" e di "cura" (o salvezza), e non vogliamo piu' essere divise tra decorose e indecorose;
8. perche' pretendiamo di esistere come donne al di fuori della rappresentazione e della rappresentanza maschile;
9. perche' le differenze tra le donne siano occasione di confronto e crescita comune di un soggetto politico che pretende autonomia, dignita' e parola nello spazio pubblico;
10. perche' d'ora in poi si continui a tenere vivo il dibattito che si e' aperto tra le donne, le loro associazioni, tra donne e uomini.
Libera Universita' delle Donne
Corso di Porta Nuova, 32, 20121 Milano, tel/fax: 026597727, sito: www.universitadelledonne.it, e-mail: universitadonne at tiscali.it
4. RIFLESSIONE. NATALIA ASPESI: UN GRIDO AL PAESE
[Dal sito della Libera Universita' delle Donne di Milano riprendiamo il seguente editoriale apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 14 febbraio 2011.
Natalia Aspesi e' una prestigiosa giornalista e scrittrice, acuta e brillante osservatrice dei fenomeni di costume, critica cinematografica e di altre espressioni artistiche e forme di spettacolo; e' nata, vive e lavora a Milano, dove ha iniziato l'attivita' giornalistica alla "Notte", diventando successivamente inviata del "Giorno" e poi di "Repubblica", giornale cui collabora dalla fondazione. E' stata tra le promotrici dell'appello "Se non ora, quando" con cui e' stata convocata la manifestazione delle donne del 13 febbraio 2011]
Duecentomila a Roma, centomila a Milano e Torino, cinquantamila a Napoli, trentamila a Firenze, ventimila a Palermo, persino a Bergamo 2000. In tutte le 230 piazze italiane, piu' una trentina straniere, almeno un milione, forse di piu', non ha importanza. Importa l'immenso, forse inaspettato successo, il risveglio improvviso di chi sembrava rassegnato al silenzio, a subire, ad adeguarsi. Invece il messaggio delle donne, '"se non ora quando?", e' corso veloce ovunque, e ha riempito le piazze come un richiamo ineludibile, finalmente sorridente, entusiasta, liberatorio. Basta, basta, basta! il basta delle donne al di la' di bandiere e partiti, il basta contro questo governo e questo premier, il basta contro la mercificazione delle donne ma anche contro l'avvilimento di tutto il paese.
Il basta gridato da tutte, le giovani e meno giovani, le attrici e le disoccupate, le studentesse e le sindacaliste, le suore e le immigrate, le casalinghe e le donne delle istituzioni, facce note ma soprattutto ignote, donne tutte belle finalmente, non per tacchi a spillo o scollature o sguardi seduttivi, ma per la passione, e l'indignazione, e l'irruenza, e la coscienza di se', dei propri diritti espropriati e derisi: e uomini, tanti, finalmente non intimiditi o infastiditi dal protagonismo femminile, consci che il basta delle donne poteva avere, ha avuto, un suono piu' alto, piu' felice, piu' coraggioso, cui affiancarsi, da cui ripartire per cambiare finalmente lo stato del paese. In mano alle donne, ieri, la politica si e' fatta piu' radicale e credibile, perche' ha usato le parole, le voci, i gesti, non per le solite invettive e ironie e slogan e promesse che intorbidiscono e raggelano, ma per raccontare il disagio, la paura, la fatica, la rabbia, l'umiliazione, che le donne vere sopportano ogni giorno, come lavoratrici senza lavoro, e madri senza sostegno pubblico, e professioniste la cui eccellenza non le esime dalla precarieta', e giovani donne che non possono fare figli perche' senza sicurezze per il futuro, e donne che nessuno protegge dallo sfruttamento, dai maltrattamenti, dall' amore assassino dei loro uomini.
Si sa che l'armata mediatica del berlusconismo che deve il suo imperio alla menzogna e alla capacita' di confondere, aveva stabilito che la manifestazione di oggi sarebbe stata dettata dal bigottismo di donne cosi' sfortunate da non poter fare le escort, e da una superba rivalsa contro le vittoriose ragazze di Arcore e altrove. Che delusione! Nessuna, delle tante donne che si sono alternate sul palco, emozionate eppure decise, forti, ha avuto parole arroganti di separazione tra le buone e le cattive. Al massimo e' stato detto quello che anche le belle signore del Pdl dovrebbero condividere: che cioe' i letti dei potenti piu' o meno ossessionati dal sesso non dovrebbero essere istantanee scorciatoie per entrare in ruoli pubblici di massima responsabilita'. E per esempio la sempre improvvida Gelmini, prima ancora che le piazze cominciassero a riempirsi, annuncio' che ci sarebbe stato solo un gruppetto di desolate radical chic, termine cosi' stantio e irreale che forse gli esperti di slogan del governo dovrebbero modificare. Povera ministra da poco mamma e scrittrice di libri per l'infanzia, oltre che falciatrice dell'istruzione pubblica italiana. Davanti a quelle migliaia di persone in ogni piazza, a quel milione accorso al richiamo di un piccolo gruppo di donne arcistufe e finalmente decise a ribellarsi, cosa avra' pensato? Se persino le donne scese in piazza, persino i partiti dell'opposizione, non si aspettavano un simile successo, figuriamoci gli altri: hanno cominciato a perdere la testa, e prima ancora che vengano dettate dal politburo governativo gli slogan denigratori per negare la realta', han fatto la loro brutta figura, accusando curiosamente la manifestazione di essere antiberlusconiana: come infatti vistosamente, fortemente, appassionatamente, voleva essere. I cervelloni berlusconisti da poco tornati a galla come ultima trincea, terrorizzati da quelle piazze gremite, hanno parlato di "odioso sfruttamento delle donne per abbattere il premier" non avendo capito niente dell' autentica civile autonoma rabbia femminile; c'e' chi ha vaneggiato di una contro-manifestazione da parte delle ministre in carica, "di orgoglio e di amore anche nelle sue perversioni", e la solita sottosegretaria cattivissima, lei devota ad ogni sospiro del suo idolo e fan delle sue movimentate serate, ha accusato le centinaia di migliaia di donne in piazza "di essere solo strumenti degli uomini", non si sa quali, ma di sicuro non dell'ormai pericolante premier. Chissa' se le tante donne intelligenti e libere che hanno trovato mille colte ragioni per disertare una manifestazione che non risultava loro sufficientemente femminile o femminista, si sono alla fine commosse nel vedere tante altre donne, piu' sbrigative e meno sofisticate, gridare insieme, senza divisioni, senza distinzioni, il loro bisogno di dignita' e di cambiamento. Che poi la differenza e' anche questa: le donne non berlusconiane sono in grado di scelte differenti, libere di agire secondo i loro principi in contrapposizione con altre anche se le divergenze sono capillari: nessuna delle signore berlusconiane, dai loro scranni di ministre, sottosegretarie, rappresentanti di partito, osano esprimere non si dice un dissenso, ma un lievissimo, simpatico dubbio. Loro si', pare, sono al servizio del maschio padrone.
Pero' una domenica come quella di ieri, cosi' bella, e appassionata, e corale, dovrebbe mettere in guardia anche l'opposizione. Le donne hanno detto basta a questo governo e al suo leader, ma resteranno vigili: dalle piazze ieri e' venuta allo scoperto una riserva di energia, di intelligenza, di bellezza, di potere, di senso del futuro femminile, che parevano dispersi o rassegnati. Le donne promettono obiettivi ambiziosi, assicurano che non torneranno indietro, soprattutto che dopo una cosi' straordinaria, spontanea prova di forza, niente, ma proprio niente, sara' piu' come prima.
5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: UN SUCCESSO. MA LA RIVOLTA NON BASTA
[Dal sito della Libera Universita' delle Donne di Milano riprendiamo il seguente intervento apparso originariamente sul sito de "Il paese delle donne" come anticipazione alla pubblicazione su "gli Altri" del 18 febbraio 2011.
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]
In un articolo sul "Corriere della sera" del 10 febbraio 2011 Maria Laura Rodota', rivolgendosi con leggero sarcasmo alle "donne intelligenti, donne pensanti, donne impegnate e/o palpitanti" che discutevano sul perche' manifestare, commentava: "Come se fosse un convegno con autocoscienza. Come se fosse una riflessione psico-filosofica o socio-moral-politica". E concludeva che a riempire le piazze sarebbero state le "cittadine" non le "radical chic".
Il 13 febbraio deve averla delusa, perche' in quelle piazze c'e' stato davvero di tutto, per eta', condizione sociale e lavorativa, formazione politica. C'erano persino molti uomini, benche' la manifestazione fosse nata con una specifico tratto femminile. Ma c'era soprattutto la felice commistione tra pensosita' e volonta' di agire, tra l'impazienza di molte che hanno pazientato troppo a lungo e la pretesa di poche di dar conto di un lungo percorso di conoscenza di se stesse e del mondo.
Per questo sarebbe un grave errore se, all'indomani di una manifestazione riuscita, si fosse tentate di liquidare come inutile l'appassionato dibattito che l'ha preceduta, accompagnata e seguita fin sopra quei palchi a cui spettava raccoglierne il senso e le prospettive future.
Se e' toccato a Stefano Ciccone di Maschile/Plurale dire agli uomini presenti o in ascolto "la nostra sessualita' e' politica", sono state le donne a rimarcare che i loro corpi non sono merce di consumo, oggetti di scambio, risorse da sfruttare; che se la politica e' arrivata al degrado presente e' perche' ha avuto finora l'arroganza di essere rappresentativa di un sesso solo, del suo potere, dei suoi pregiudizi, dei suoi desideri e delle sue paure.
Nella storia del movimento delle donne, soprattutto a partire da quella rivoluzione delle categorie essenziali della politica - liberta', uguaglianza, democrazia - che e' stato il femminismo degli anni '70, la riflessione, l'abitudine a ragionare insieme, a confrontare punti di vista e analisi diverse, talora contrastanti, e' stata la molla imprescindibile della sua riuscita pubblica, il presupposto necessario per trasformare il disagio di ognuna nella forza di molte.
C'e' chi vorrebbe ridurre l'eredita' degli anni '70 alla conquista di diritti, a battaglie di emancipazione, cancellando il contesto di riunioni, assemblee, convegni che si sono avvicendati per tutto il decennio e che hanno costruito saperi e pratiche politiche anomale, il "pensare differentemente", per usare un'espressione di Maria Luisa Boccia, che ancora accomuna le componenti piu' diverse dell'associazionismo femminista. Come ha scritto Luisa Muraro, "la forza non vista ma reale del femminismo italiano sta trasformando il momento presente in un confronto che fa luce sulla sua ricchezza di pensiero".
E' comprensibile che la spinta a manifestare la propria indignazione o il proprio desiderio di esserci, proprio perche' nasce in momenti storici di volta in volta diversi, pretenda una primogenitura, un segno di unicita', una nascita dal niente. Si puo' capire sia chi grida "usciamo dal silenzio", che chi giustamente fa notare che "non siamo mai state zitte". Ma e' solo dalla contaminazione, da quel virus positivo che si trasmette attraverso l'ascolto reciproco, che si puo' evitare di perdere la conquista piu' originale e preziosa del neofemminismo: l'autonomia di pensiero, il coraggio di riconoscere nella forzata complicita' delle donne rispetto al perdurare della loro schiavitu', l'incorporazione di modelli altrui, habitus mentali, adattamenti e ricerca di poteri sostitutivi.
I rischi sollevati da molte parti - singole e gruppi, femministe storiche e collettivi di generazioni piu' giovani - che lo "sdegno" mosso da ragioni molteplici, esistenziali, lavorative, culturali, potesse essere incanalato in un'unica direzione - contro l'immoralita' del Presidente del Consiglio e l'offesa che l'uso sessista del potere arreca alla "dignita'" delle donne - hanno trovato nella manifestazione del 13 febbraio un argine. Forse, piu' ancora che sui due palchi di Roma e Milano, i piu' seguiti dalle dirette radiofoniche e televisive e dove ad alternarsi sono state essenzialmente le organizzatrici, donne del mondo dello spettacolo e della cultura, e' nelle città di provincia, in spazi piu' ristretti, che si e' fatta protagonista una parola politica insolita, fatta al medesimo tempo di consapevolezze a lungo meditate e di esperienze ritenute fino a quel momento "private", o "pubbliche" solo quando toccano gli apparati dello Stato.
Alla riuscita della giornata del 13 febbraio hanno concorso fattori diversi, non ultima la promozione che ne hanno fatto i media e le forze politiche impegnate nella campagna contro il governo Berlusconi.
Ricordare che sono stati molto meno solleciti quando si e' trattato di dare voce alla protesta contro l'attacco alla vita e alla salute delle donne, alla denuncia della violenza maschile che avviene nelle case, nelle relazioni quotidiane, nelle condizioni discriminanti del lavoro e della rappresentanza, e' importante per allontanare da questa ripresa di protagonismo delle donne nella vita pubblica l'ombra della strumentalita'.
La parola "basta", gridata in tutte le piazze, e' stata sicuramente declinata dalle migliaia di persone presenti nelle lingue e nelle prospettive piu' diverse di cui e' fatto il disagio nello stato attuale della nostra societa'. Perche' la passione di un giorno non si spenga come un fuoco di artificio, e' necessario che tutta la riflessione che le e' andata attorno, viaggiando per siti e reti internet, oltre che per i giornali che le hanno offerto spazi, rimanga il filo che lega i soggetti molteplici che vi hanno preso parte, in sintonia o in conflitto tra loro; che diventi il tracciato su cui dare continuita' alla ritrovata forza collettiva delle donne e dei pochi uomini che hanno cominciato a interrogarsi su se stessi.
L'affermazione di elementari principi di civilta' - che le donne siano presenti "ovunque si decide", che siano messe in condizione di non dover piu' dividersi tra un destino di cura e di conservazione della vita e il desiderio di essere nel mondo - non puo' piu' essere separata dalla messa in discussione del predominio che ha avuto la sessualita' maschile, della rappresentazione di un femminile corpo-materia acefala, umanita' dimezzata e asservita ai bisogni e al piacere di altri.
C'e' da augurarsi che le due anime che hanno a lungo contrapposto istanze di emancipazione e processi di liberazione volti a costruire una visione di se' e del mondo meno subalterna, possano ora procedere insieme. Se dobbiamo purtroppo alla personalizzazione che Berlusconi ha fatto della politica - confondendo al di la' di ogni limite la sua vita sessuale con il suo ruolo di alto funzionario dello Stato - il protagonismo che hanno assunto i corpi femminili, prima ancora che le donne reali nella sfera pubblica, sta a noi mantenere ferma l'attenzione sul contributo di pensiero e di pratiche politiche che il femminismo ha dato a questi temi, impedire che avvengano semplificazioni o messe sotto silenzio, come e' accaduto finora anche a seguito di mobilitazioni riuscite.
6. LIBRI. UN ESTRATTO DA "LE DONNE DI ALLAH" DI ANNA VANZAN
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo il seguente estratto dal libro di Anna Vanzan, Le donne di Allah, Viaggio nei femminismi islamici, Bruno Mondadori, Milano 2010. Si tratta delle pp. 1-5.
Anna Vanzan (1955) iranista e islamologa, laureata in Lingue Orientali a Venezia, ha conseguito il Ph.D. in Near Eastern Studies presso la New York University. Si occupa soprattutto di problematiche di genere nei paesi islamici, in molti dei quali ha svolto ricerca. Ha tenuto corsi in atenei italiani e stranieri e attualmente insegna Cultura islamica (Iulm Milano) e Storia dei Paesi Islamici (Universita' di Pavia). E' redattrice della rivista "Afriche&Orienti" e collabora con testate giornalistiche e programmi radiofonici nazionali e esteri. E' autrice di numerosi articoli pubblicati in riviste italiane e internazionali, fra i quali: "Un secolo di femminismo in Iran: trasformazioni, strategie, sviluppi", in Genesis, IV/2, 2005, pp. 79-103; "Feeling the Pulse behind the Veil. Western Physicians and Muslim Women", in Alam e Niswan, Pakistan Journal of Women Studies, 13, 2, 2006, pp. 65-81; "Exporting (dis)honour: The practice of honour killing among the Pakistani Community in Italy", in The Other Self: Conflict, Confusion and Compromise, National Commission on the Status of Women, Islamabad (Proceeding International Conference December 2006), n.d., pp. 151-158; "Salima, un'algerina all'opposizione" e "Essere femminista, non essere femminista", in East, 15, 2007, pp. 25-33; "Le rose di Persia all'estero danno solo spine? Sguardo alla letteratura della diaspora femminile iraniana", nel dossier "Narrative di migrazioni, diaspore ed esili" curato da Anna Vanzan, in Afriche&Orienti, 2/2007, pp. 51-67. Tra le opere di Anna Vanzan: La storia velata. Donne dell'islam nell'immaginario italiano, Edizioni Lavoro, Roma 2006; Gli sciiti, Il Mulino, Bologna 2008; Figlie di Shahrazad, scrittrici iraniane dal XIX secolo a oggi, Bruno Mondadori, Milano 2009; Le donne di Allah, Viaggio nei femminismi islamici, Bruno Mondadori, Milano 2010. Si veda anche il suo sito www.annavanzan.com]
Gli esordi
Universita' di Londra, luglio 1997, seminario su "Genere e societa' islamiche". Fra una relazione e l'altra, all'improvviso una delle organizzatrici annuncia un fuori programma: e' arrivata la responsabile dell'Istituto Islamico per le donne d'Iran che, non conoscendo l'inglese, vuole contribuire con un breve discorso nella sua madrelingua, il persiano.
La nuova arrivata si accomoda davanti al microfono: la testa fasciata nel foulard legato con due grosse cocche, alla contadina, coperta da un leggero chador scuro, che indossa con grande naturalezza, senza impaccio, e dal quale sbucano le caviglie ben protette da spesse calze nere infilate in pianelle del medesimo colore. Una delle partecipanti al seminario seduta vicino a me, Shirin M., educazione europea, truccata, elegantissima, fuoriuscita negli Stati Uniti fin dai primi giorni della rivoluzione, rampolla di un'antica famiglia che rappresenta un pezzo di storia dell'Iran, mi sussurra sdegnata all'orecchio: "Ai miei tempi (leggi, ai tempi del deposto shah Reza Pahlavi), una cosi' l'avrebbero presa al massimo come domestica!".
L'imprevista relatrice parla con fare sicuro, sorridendo, esprimendosi a braccio in modo diretto e chiaro, ma al contempo comunicando dei concetti esplosivi. Shirin M. trasecola, si agita sulla sedia: "Ma sta interpretando il Corano!".
Gia': l'oratrice dall'aspetto di florida e innocua massaia sta rivisitando alcuni fra i piu' controversi passi coranici che riguardano la posizione delle donne (poligamia, divorzio, abbigliamento). E la sua rilettura non e' certo conforme ai dettami delle gerarchie religioso-politiche del suo Paese, tutt'altro. Semmai, riecheggia le posizioni gia' articolate qualche anno prima in un contesto geografico e culturale completamente diverso, ovvero negli Stati Uniti, dove una teologa afro-americana convertitasi all'islam, Amina Wadud, ha fatto scalpore pubblicando un testo intitolato Donna e Corano: il sacro testo riletto secondo la prospettiva di una donna.
*
Un problema di etichetta
Sia Amina Wadud (che qualche tempo dopo avrebbe compiuto un atto clamoroso, guidando la preghiera in una moschea americana, funzione solitamente svolta da un uomo) sia l'improvvisata oratrice iraniana, potrebbero essere definite comunemente "femministe islamiche", anche se entrambe rifiuterebbero questa etichetta, per ragioni che ora esploreremo. La locuzione "femminismo islamico", che ha cominciato a circolare agli inizi degli anni novanta, e' un'etichetta di comodo, una sorta di definizione a ombrello, coniata perlopiu' negli ambienti delle studiose occidentali di questo fenomeno comprendente, in realta', strategie diverse messe in atto da musulmane che sostengono la compatibilita' tra la loro religione e il pieno raggiungimento dei diritti delle donne.
Il nostro viaggio, portandoci tra donne di fede musulmana che si battono per i loro diritti secondo varie modalita', ci aiutera' a scoprire che non siamo pero' in presenza di un movimento omogeneo, ma, piuttosto, di varie forme di "femminismi islamici" articolati secondo scuole di pensiero e/o movimenti diversi. In questo libro dunque si auspica di chiarire che cosa stia accadendo all'interno dell'universo femminile musulmano, da sempre visto attraverso il filtro dei nostri stereotipi animati tanto da eurocentrismo quanto da relativismo culturale. Ovviamente, nella piena consapevolezza dell'impossibilita' di riflettere la realta' completa di tutti i movimenti delle musulmane sparse nel mondo: il dibattito internazionale peraltro e' gia' saturo di saggi e dibattiti che usano categorie assolute e perentorie sul tema "donne e islam". Qui si cerca solo di offrire un quadro di alcune, seppure assai significative, tendenze nell'ambito dell'attivismo femminile musulmano in materia di diritti.
Ho accarezzato il progetto di questo libro fin dal 2003, mentre ero Visiting Scholar alla New York University proprio per seguire i seminari legati alle tematiche di genere nel mondo islamico. Dopo aver studiato la storia del femminismo nei paesi musulmani e aver partecipato a numerosi incontri con attiviste di diversi movimenti contemporanei sentivo il bisogno di aprire uno spazio dove convogliare alcune delle esperienze piu' significative, usando la viva voce delle protagoniste poste nel loro contesto storico e culturale. Non una riflessione teorica, dunque, ma uno spazio di incontri, storie personali, vicende vissute, che ho cercato, ascoltato e raccolto.
Come si avra' modo di capire, una classificazione rigorosamente tassonomica e' pressoche' impossibile, vista la varieta' dei raggruppamenti e la molteplicita' delle posizioni di chi li anima.
Volutamente tengo la locuzione "femminismo islamico" virgolettata, ma in realta' dovrei riservare questo trattamento a molti altri termini, cominciando da "islam", che nel discorso comune viene usato con una molteplicita' di significati: religiosi, filosofici, politici, legali, storici, culturali ecc. In un momento in cui tutti parlano di e a nome dell'islam, ci sarebbe bisogno di precisare se ci si riferisce alla "fede dei musulmani", oppure a una societa' in cui la religione musulmana e' prevalente e socialmente dominante, o a una cultura basata su una precisa tradizione...
Attualmente le tensioni internazionali condizionano la nostra percezione: se molti musulmani usano l'etichetta "islamica" per legittimare i loro scopi politici, per numerosi occidentali la stessa etichetta definisce le politiche dell'"Altro", ovvero tutto cio' che si oppone alla modernita'.
Non si tratta meramente di un problema di nomenclatura, ma ontologico, e il discorso sulle donne e i loro diritti ben lo dimostra. Infatti, non solo per gran parte dell'Occidente il binomio donne-islam e' divenuto paradigmatico dell'impossibilita' della conciliazione dell'islam (quale?!) con la modernita', ma lo stesso binomio e' manipolato dai musulmani piu' intransigenti per dimostrare sia la malafede occidentale (accusata di manovrare la questione femminile in senso antimusulmano) sia la non necessita' di parlare di diritti delle donne in ambito islamico, in quanto l'islam di per se' riconosce i diritti alle donne.
*
Al islam karamat al-mara'a
Ovvero "l'islam ha onorato le donne": spesso i cosiddetti "fondamentalisti islamici" (ancora una locuzione da virgolettare!) si trincerano dietro questa frase per chiudere ogni discussione sul bisogno di migliorare la condizione femminile sia socio-culturale sia legale. Molti di loro abbracciano l'islam soprattutto come ideologia politica, ritenendo necessaria l'instaurazione di uno stato islamico ideale sul modello di quelli medievali, dove stato e religione coincidono e l'applicazione della shari'a, la legge divina, consentirebbe un perfetto funzionamento della societa'. Gli aderenti a questa teoria, che affascina anche moltissime donne, vengono etichettati come "islamisti". Per capire in quale posizione si collochino le islamiste radicali rispetto ai diritti delle donne, riporto la risposta di una parlamentare iraniana alla quale avevo chiesto un'opinione riguardo alla poligamia: "Si tratta di un sacrificio che Dio chiede agli uomini, onde sistemare piu' donne che altrimenti si troverebbero senza supporto economico e affettivo".
Ma la stragrande maggioranza dei musulmani (ovvero tutti coloro che osservano piu' o meno i precetti e i rituali dell'islam), inclusa la gran parte di loro ora definiti "islamici" (in quanto per essi l'identita' religiosa e l'osservanza dei precetti dell'islam sono prioritarie) sono concordi nell'affermare il bisogno di ripensare al rapporto fra la religione, la democrazia e i diritti, inclusi quelli delle donne. Queste ultime, pur conclamando la propria identita' di donne dell'islam, stanno sfidando i valori dominanti delle loro societa', chiedendo la fine delle discriminazioni nei loro confronti e una migliore partecipazione socio-politica in un contesto di maggiore democrazia per tutti.
7. DOCUMENTI. ASSOCIAZIONE "RESPIRARE": UNA LETTERA APERTA ALLA SEGRETERIA INTERNAZIONALE DEL WWF
[Riceviamo e diffondiamo]
Alla segreteria internazionale del WWF
alla segreteria italiana del WWF
e per opportuna conoscenza: al Presidente della Repubblica Italiana, al Presidente della Commissione Europea, alla Direzione generale dell'Unesco, alla Commissione nazionale italiana per l'Unesco, ai capigruppo parlamentari della Camera dei Deputati, ai capigruppo parlamentari del Senato della Repubblica, ai capigruppo parlamentari del Parlamento Europeo, al prefetto di Viterbo, al sindaco del Comune di Viterbo, al presidente della Provincia di Viterbo, alla presidente della Regione Lazio, all'assessore all'ambiente del Comune di Viterbo, a tutti i consiglieri del Comune di Viterbo, all'assessore all'ambiente della Provincia di Viterbo, a tutti i consiglieri della Provincia di Viterbo, all'assessore all'ambiente della Regione Lazio, a tutti i consiglieri della Regione Lazio, alla ministra dell'Ambiente, al ministro dei Beni Culturali, al ministro della Salute, al ministro dei Trasporti, alla ministra del Turismo, al commissario europeo all'Ambiente, al commissario europeo alla Salute, al commissario europeo ai Trasporti, alle associazioni ambientaliste italiane, ai mezzi d'informazione locali e nazionali
Oggetto: Appello in difesa dell'area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame; contro la realizzazione di un mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge
*
Gentili signori,
vi segnaliamo che l'area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame a Viterbo, di dantesca memoria, un vero e proprio bene dell'umanita', e' gravemente minacciata di irreversibile devastazione e catastrofico inquinamento da manovre speculative di selvaggia aggressione sia del territorio e dei beni naturali e culturali, sia della salute e dei diritti della popolazione locale.
Punta di lancia di questa aggressione e' il progetto dissennato ed illecito di realizzare, nel cuore di un'area cosi' unica e preziosa, un mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge.
La realizzazione del mega-aeroporto nel cuore dell'area del Bulicame avrebbe come immediate e disastrose conseguenze:
a) lo scempio dell'area del Bulicame e dei beni ambientali e culturali che vi si trovano;
b) la devastazione dell'agricoltura della zona circostante;
c) l'impedimento alla valorizzazione terapeutica e sociale delle risorse termali;
d) un pesantissimo inquinamento chimico, acustico ed elettromagnetico di grave nocumento per la salute e la qualita' della vita della popolazione locale (l'area e' peraltro nei pressi di popolosi quartieri della citta');
e) il collasso della rete infrastrutturale dell'Alto Lazio, territorio gia' gravato da pesanti servitu';
f) uno sperpero colossale di soldi pubblici;
g) una flagrante violazione di leggi italiane ed europee e dei vincoli di salvaguardia presenti nel territorio.
Quell'area va tutelata nel modo piu' adeguato: istituendovi un parco naturalistico, archeologico e termale; e fin d'ora respingendo ogni operazione speculativa, inquinante, devastatrice, illecita.
Con la presente lettera sollecitiamo ancora una volta tutte le istituzioni e le associazioni variamente competenti e interessate, a un impegno in difesa di questa preziosa area, assurdamente minacciata di irreversibile devastazione, e in difesa del diritto alla salute della popolazione viterbese; un impegno che si opponga alla realizzazione di un insensato ed illegale mega-aeroporto nel cuore dell'area del Bullicame a Viterbo.
Restando a disposizione per ogni ulteriore informazione, distinti saluti,
*
L'Associazione "Respirare"
Viterbo, 19 febbraio 2011
L'associazione "Respirare" e' stata promossa a Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto alla salute e la difesa dell'ambiente.
8. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.
Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
9. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
10. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Eugenio Scalfari, Per l'alto mare aperto, Einaudi, Torino 2010, Gruppo editoriale L'espresso, Milano 2011, pp. IV + 284, euro 9,90 (in supplemento a "La Repubblica" e "L'Espresso").
*
Riletture
- Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", n. 1, 1998, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 1998, pp. 256, lire 25.000. Per richieste alla casa editrice: Massari Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail: erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme
- Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", n. 2, 1999, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 1999, pp. 368, lire 28.000.
- Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", n. 3, 2000, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2000, pp. 400, lire 30.000.
- Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", n. 4, 2001, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2001, pp. 400, euro 16.
- Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", n. 5, 2002-2003, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2004, pp. 400, euro 16.
- Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", n. 6, 2004-2006, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2006, pp. 416, euro 18.
- Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", n. 7, 2007-2008, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2008, pp. 416, euro 20.
- Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", n. 8, 2009-2010, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2010, pp. 400, euro 20.
*
Riedizioni
- Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996, 2006, Rcs Quotidiani, Milano 2010, pp. 320, s.i.p. (ma euro 1, in supplemento a supplementi del "Corriere della sera"). Ma mette conto segnalare che in questa riedizione manca la vasta, fondamentale introduzione di Giuliano Pontara all'edizione originale.
- Immanuel Kant, Per la pace perpetua, Rcs Libri, Milano 1968, 2010, Rcs Quotidiani, Milano 2010, pp. 120, s.i.p. (ma euro 1, in supplemento a supplementi del "Corriere della sera").
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Sintesi
- Viviana Birolli, Michele Tavola, Dizionario dell'arte, Alpha Test, Milano 2010, pp. 192, euro 8,90.
- Cecilia Martinelli, Storia dell'arte 1: dalla Preistoria al Romanico, Alpha Test, Milano 2001 e successive ristampe, pp. 128, euro 8,90.
- Cecilia Martinelli, Storia dell'arte 2: dal Gotico al Neoclassicismo, Alpha Test, Milano 2004 e successive ristampe, pp. 192, euro 8,90.
- Michele Tavola, Storia dell'arte 3: dal Romanticismo a Basquiat, Alpha Test, Milano 2007 e successive ristampe, pp. 192, euro 8,90.
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 472 del 20 febbraio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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