Telegrammi. 367
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- Date: Sun, 7 Nov 2010 00:38:48 +0100 (CET)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 367 del 7 novembre 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Leone Tolstoj, cosi' lontano, cosi' vicino
2. Lev Tolstoj: La verita'
3. Silvia Vegetti Finzi: Una risorsa e una difficolta'
4. Alcuni estratti da "Post-Orientalismo. Said e gli studi postcoloniali" a cura di Miguel Mellino
5. Per sostenere il Movimento Nonviolento
6. "Azione nonviolenta"
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. LEONE TOLSTOJ, COSI' LONTANO, COSI' VICINO
[Lev Tolstoj, nato nel 1828 e scomparso nel 1910, non solo grandissimo scrittore, ma anche educatore e riformatore religioso e sociale, propugnatore della nonviolenza. Opere di Lev Tolstoj: tralasciando qui le opere letterarie (ma cfr. almeno Tutti i romanzi, Sansoni, Firenze 1967; e Tutti i racconti, Mondadori, Milano 1991, 2005), della gigantesca pubblicistica tolstojana segnaliamo particolarmente almeno Quale scuola, Emme, Milano 1975, Mondadori, Milano 1978; La confessione, SE, Milano 1995; Perche' la gente si droga? e altri saggio su societa', politica, religione, Mondadori, Milano 1988; Il regno di Dio e' in voi, Bocca, Roma 1894, poi Publiprint-Manca, Trento-Genova 1988; La legge della violenza e la legge dell'amore, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1998; La vera vita, Manca, Genova 1991; l'antologia Tolstoj verde, Manca, Genova 1990. Opere su Lev Tolstoj: dal nostro punto di vista segnaliamo particolarmente Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1985; Pier Cesare Bori, Tolstoj, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1991; Pier Cesare Bori, L'altro Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1995; Amici di Tolstoi (a cura di), Tolstoi il profeta, Il segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (Vr) 2000]
E' lontano da noi Tolstoj, deceduto cento anni fa.
Ma ogni giorno che passa ci e' piu' vicino Tolstoj.
Indagatore del cuore degli uomini e del mondo, generoso elargitore di bellezza e bonta', misericordioso e intransigente compagno di lotte, maestro di nonviolenza.
Vi e' una sola umanita'.
La nonviolenza e' in cammino.
2. MAESTRI. LEV TOLSTOJ: LA VERITA'
[Dalla "Relazione per la Conferenza della pace di Stoccolma" scritta da Tolstoj in data 4 agosto 1909, riportiamo il seguente estratto (il testo integrale e' in Pier Cesare Bori, Tolstoj, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1991, pp. 182-188)]
La verita', infatti, e' talmente semplice, chiara, evidente, vincolante non solo per un cristiano, ma per qualsiasi persona assennata, che e' sufficiente esprimerla in tutto il suo significato, perche' gli uomini non possano opporvisi.
Tale verita' in tutta la sua portata, formulata migliaia di anni prima di noi in quella che noi professiamo come legge di Dio, e' riassumibile in due parole: non uccidere. La verita' consiste nel fatto che un uomo non puo' e non deve mai in nessun caso, per nessun motivo, ucciderne un altro.
La verita' e' talmente evidente, lampante, cosi' vincolante per tutti che basta solo porla in modo chiaro e preciso dinanzi alle persone, perche' quel male che si chiama guerra risulti del tutto inammissibile.
3. MAESTRE. SILVIA VEGETTI FINZI: UNA RISORSA E UNA DIFFICOLTA'
[Da Silvia Vegetti Finzi, Nuovi nonni per nuovi nipoti, Mondadori, Milano 2008, 2009, p. 191.
Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005; Nuovi nonni per nuovi nipoti, Mondadori, Milano 2008; La stanza del dialogo, Casagrande, Bellinzona 2009]
La perdita di ruoli precostituiti e' al tempo stesso una risorsa e una difficolta'.
4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "POST-ORIENTALISMO. SAID E GLI STUDI POSTCOLONIALI" A CURA DI MIGUEL MELLINO
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Miguel Mellino (a cura di), Post-orientalismo. Said e gli studi postcoloniali, Meltemi, Roma 2009.
Miguel Mellino, studioso argentino da tempo residente in Italia, svolge attivita' didattica e di ricerca presso la cattedra di antropologia culturale dell'Universita' Orientale di Napoli; si occupa di studi postcoloniali, cultural studies e di ricerca antropologica sulle societa' complesse, in particolare sulle migrazioni, sul razzismo e sul multiculturalismo; per la casa editrice Meltemi ha tradotto e curato l'edizione italiana di The Black Atlantic. Modernita' e doppia coscienza, di Paul Gilroy, e Il soggetto e la differenza, di Stuart Hall. Tra le opere di Miguel Mellino: La critica postcoloniale. Decolonizzazione, capitalismo e cosmopolitismo nei postcolonial studies, Meltemi, 2005; (con Stuart Hall), La cultura e il potere, Conversazione sui cultural studies, Meltemi, Roma, 2007; (a cura di), Post-orientalismo. Said e gli studi postcoloniali, Meltemi, Roma 2009.
Edward Said, prestigioso intellettuale democratico palestinese, uno dei piu' grandi umanisti del secondo Novecento, era nato a Gerusalemme nel 1935, autore di molti libri, tradotti in 26 lingue, docente di letteratura comparate alla Columbia University di New York, a New York e' deceduto il 25 settembre 2003. Dal sito della casa editrice Fetrinelli abbiamo ripreso tempo addietro la seguente scheda: "Edward W. Said e' nato nel 1936 a Gerusalemme. Esiliato da adolescente in Egitto e poi negli Stati Uniti, e' stato professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York. Formatosi a Princeton ed Harvard, Said ha insegnato in piu' di centocinquanta Universita' e scuole negli Stati Uniti, in Canada ed in Europa. I suoi scritti sono apparsi regolarmente sul 'Guardian' di Londra, 'Le Monde Diplomatique' ed il quotidiano in lingua araba 'al-Hayat'. Nel suo libro Orientalismo - pubblicato per la prima volta nel 1978 - ha analizzato l'insieme di stereotipi in cui l'Occidente ha chiuso l'Oriente, anzi, l'ha creato. Questo saggio ha conosciuto un successo mondiale ed e' piu' che mai di attualita' perche' rievoca la storia dei pregiudizi popolari anti-arabi e anti-islamici e rivela piu' generalmente il modo in cui l'Occidente ha percepito 'l'altro'. Edward W. Said ha sempre lottato per la dignita' del suo popolo e contro coloro che hanno demonizzato l'Islam. Ex socio del Consiglio Nazionale Palestinese, fu un negoziatore 'nell'ombra' del conflitto arabo-israeliano. A causa della sua pubblica difesa dell'autodeterminazione palestinese, a Said e' stato impedito l'ingresso in Palestina per molti anni. Si e' opposto agli accordi di Oslo ed al potere di Yasser Arafat, che ha fatto vietare i suoi libri nei territori autonomi. Conosciuto tanto per la sua ricerca nel campo della letteratura comparata quanto per i suoi interventi politici incisivi, Said e' stato uno degli intellettuali piu' in vista negli Stati Uniti. La sua opera e' stata tradotta in quattordici lingue. E' morto a New York il 25 settembre 2003". Tra le opere di Edward W. Said segnaliamo: Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino 1991, poi Feltrinelli, Milano 1999; La questione palestinese. La tragedia di essere vittime delle vittime, Gamberetti, Roma 1995; Gli intellettuali e il potere, Feltrinelli, Milano 1995; Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente, Gamberetti, Roma 1998; Tra guerra e pace. Ritorno in Palestina-Israele, Feltrinelli, Milano 1998; Dire la verita'. La convivenza necessaria, Indice internazionale, Roma 1999; Sempre nel posto sbagliato, Feltrinelli, Milano 2000; Fine del processo di pace. Palestina/Israele dopo Oslo, Feltrinelli, Milano 2002; Il vicolo cieco di Israele, Datanews, Roma 2003; (con Daniel Barenboim), Paralleli e paradossi. Pensieri sulla musica, la politica e la societa', Il Saggiatore, Milano 2004; La pace possibile, Il Saggiatore, Milano 2005; Umanesimo e critica democratica. Cinque lezioni, Il Saggiatore, Milano 2007; Il mio diritto al ritorno. Intervista con Ari Shavit, "Ha'aretz Magazine", Tel Aviv 2000, Nottetempo, 2007; Nel segno dell'esilio. Riflessioni, letture e altri saggi, Feltrinelli, Milano 2008]
Da p. 7
Miguel Mellino: Introduzione. Riflessioni sul "voyage in" di Said: Orientalismo trent'anni dopo
"(...) l'Oriente e' assai meno un luogo che un topos" (Edward Said, Orientalismo)
"Di qui va compreso cos'e' la descrizione: essa si esaurisce nel rendere la qualita' propria mortale dell'oggetto, fingendo (illusione per inversione) di credergli, di volerlo vivo: 'fare vivo' vuole dire 'vedere morto'. L'aggettivo e' lo strumento di questa illusione: qualunque cosa dica, per la sua sola qualita' descrittiva, l'aggettivo e' funebre" (Roland Barthes, Barthes)
Un sapere selettivo
E' difficile cominciare a scrivere su Orientalismo senza ricorrere a una frase fatta, senza lasciarsi espropriare da qualche espressione di comodo. Come e' noto, si tratta di uno dei testi piu' dibattuti negli ultimi trent'anni, anche se, va detto, al di fuori del mondo accademico e politico anglosassone il suo fascino e' stato sicuramente minore e il suo impatto assai meno travolgente. Comunque sia, proprio a causa del suo grande seguito e della sua estrema popolarita' a certe latitudini, Orientalismo rappresenta ormai una sorta di "testo collettivo che eccede di gran lunga il suo autore" (Said 1978, p. 328), cosi' come l'orientalismo stesso e' venuto a configurarsi nel dibattito corrente come qualcosa che sta a significare molto di piu' di un semplice fenomeno riguardante unicamente l'Oriente. In paesi come gli Stati Uniti, l'India e l'Inghilterra, per esempio, gli effetti delle sue analisi e delle sue posizioni - non solo sui rapporti storici e politici tra Occidente e Oriente, ma anche su questioni piu' generali come le connessioni tra sapere e potere, tra produzione della conoscenza e politica coloniale, tra rappresentazione dell'altro ed egemonia imperiale - sono stati davvero dirompenti all'interno di un insieme piuttosto eterogeneo di campi di studio e di discipline: dalla critica letteraria alla storia, dall'antropologia agli studi culturali, dalla critica d'arte agli area studies, dagli studi mediorientali alla teoria femminista. Inoltre, il modello teorico volutamente eclettico attraverso cui Said costruisce la sua visione dell'orientalismo (un patchwork composto da concezioni riprese da autori davvero dissimili come Michel Foucault, Erich Auerbach, Leo Spitzer, Antonio Gramsci, Claude Levi-Strauss, Gaston Bachelard, Friedrich Nietzsche, Roland Barthes), nonche' il suo costante accento sull'ubiquita', sull'estrema eterogeneita' e pervasivita' del "campo d'azione del discorso orientalista" (capace di attraversare tanto le tragedie di Eschilo quanto gli scritti di Marx, gli studi degli orientalisti classici come Massignon e Renan e le ricerche filologiche di William Jones e di Friedrich Schlegel, la produzione letteraria di Dante, Carlyle e Flaubert e la pittura di Delacroix, le disposizioni di amministratori coloniali come Lord Cromer e Balfour nonche' le concezioni di uomini politici come Napoleone e Henry Kissinger) hanno contribuito in modo decisivo sia alla nascita di nuovi approcci e campi di studio transdisciplinari, sia a un'ulteriore delegittimazione politica dei saperi e dei confini disciplinari ereditati dalla tradizione umanistica. Una tradizione che il lavoro di Said, anche se in modo ambivalente, presenta come inscindibile dall'orientalismo stesso.
Da questo punto di vista, si puo' dire che in certi ambiti di studio l'estrema disseminazione di Orientalismo abbia contribuito a demolire in modo definitivo due dei pilastri fondamentali su cui le discipline accademiche tradizionali avevano costruito il loro edificio epistemologico, la loro legittimita' accademica e il loro riconoscimento sociale. Dopo Orientalismo, infatti, e' stato sempre piu' difficile affidarsi al concetto di cultura come a un comodo rifugio asettico e considerare la produzione del sapere come un campo autonomo dalle logiche di potere e dalle lotte politiche che attraversano l'intera arena sociale, come il frutto di volonta' obiettive e disinteressate. In questo senso, appare indubbio che il testo di Said, mettendo a nudo la faziosita' e la selettivita' dei saperi sedimentatisi lungo il tempo nei testi fondativi delle diverse tradizioni disciplinari, abbia dato il colpo di grazia definitivo tanto a cio' che rimaneva del mito della torre d'avorio dopo le lotte dei grandi movimenti anticoloniali e la straordinaria contestazione del Sessantotto quanto all'idea di autonomia e di eccezionalita' culturale attraverso cui l'Europa aveva cercato di plasmare e legittimare la propria egemonia politica sul resto del mondo. Dopo Orientalismo, dunque, e' diventato sempre piu' chiaro che "l'Europa non sarebbe stata, anzi non sarebbe potuta essere completamente se stessa senza la storia coloniale, e che l'idea antropologica di cultura e' stata in gran parte prodotta dall'esperienza coloniale. Il colonialismo era cultura: una cultura emersa dal laboratorio coloniale come scienza e come strumento di governamentalita'" (Dirks 2002, p. 42; vedi anche Thomas 1992; Scott 1992).
Su questo punto il testo di Said, collocandosi in modo atipico sulla traccia aperta qualche anno prima dall'archeologia del sapere di Foucault, si presentava piuttosto schietto e diretto: nella storia dei rapporti tra Occidente e Oriente il sapere e la cultura hanno funzionato da sempre come dispositivi di controllo, di gerarchizzazione e di assoggettamento, come strumenti essenziali all'incorporazione differenziale delle popolazioni e dei territori orientali nel progetto imperiale occidentale. L'orientalismo, infatti, sarebbe stato impensabile come "scienza trasversale dell'annessione e del dominio" senza la complicita' della conoscenza e senza potenti investimenti simbolici e materiali (oggi diremmo biopolitici) nel campo della cultura, nella produzione di soggettivita' (tanto in Oriente quanto in Occidente). Per questo gli effetti piu' destabilizzanti e disgregatori generati dalla comparsa di Orientalismo si sono verificati proprio in questi campi, ovvero si sono tradotti spesso nella decostruzione radicale - ma sarebbe meglio dire decolonizzazione - degli archivi storici, letterari e culturali dei saperi e delle principali istituzioni occidentali, nonche' nella critica aperta alle pretese di rappresentanza politica e culturale avanzate dalle elite nazionali e imperiali nei confronti delle masse coloniali.
Lo scopo della nostra raccolta, dunque, e' quello di presentare al lettore una parte del dibattito suscitato dal testo di Said nel mondo anglosassone. Si tratta di un dibattito teorico, politico ed epistemologico piuttosto movimentato e tuttora in corso, poiche' incentrato su interrogativi di vitale importanza per la produzione di pratiche teoriche e politiche oppositive e postcoloniali, ovvero di "pedagogie del dissenso" (Mohanty 2003) esclusivamente finalizzate all'emancipazione collettiva e quindi all'istituzione di un nuovo comune globale inteso come il frutto della cooperazione e dell'autonomia sociale. I testi qui raccolti appaiono tutti interpellati da una domanda cruciale: in che misura e' possibile lo sviluppo di saperi post-orientalisti, e cioe' non finalizzati all'espropriazione e alla segmentazione culturale, alla produzione di soggetti gerarchicamente differenziati in funzione delle esigenze degli Stati (nazionali e imperiali), del mercato e delle logiche dell'accumulazione capitalistica?
In effetti, i tre saggi di Said che qui presentiamo, al di la' del loro liberalismo e culturalismo di fondo, insistono sulla necessita' di dare vita a saperi piu' liberi e autonomi, non-coercitivi o secolari (per riprendere il controverso termine dello stesso Said), meno recintati e inerziali rispetto a quelli attualmente egemonici. Si tratta sicuramente di scritti importanti, poiche' ci sollecitano in modo davvero suggestivo a non lasciarci espropriare dal potere dei "saperi morti", da quella conoscenza capace di diventare doxa corporativa e istituzionale, veicolo di potere, di assoggettamento e di integrazione.
Anche la critica aspra e frontale di Aijaz Ahmad a Orientalismo e' sollecitata in parte dalla stessa esigenza. Come appare ovvio, il saggio di Ahmad, collocando sullo sfondo del grande successo di Orientalismo negli Stati Uniti fenomeni come la controffensiva globale del capitale transnazionale, l'ascesa egemonica del neoliberismo di Ronald Reagan e di Margareth Thatcher, il declino politico della sinistra marxista a livello mondiale, la sconfitta dell'antimperialismo piu' radicale degli anni Settanta, lo sviluppo di movimenti migratori profondamente classisti e selettivi dai paesi del terzo mondo verso le universita' angloamericane e la progressiva valorizzazione capitalistica dell'etnicita' e della differenza all'interno di un mercato del sapere molto diverso da quello degli anni precedenti, non fa che rincorrere Said sul suo stesso terreno. Il testo di Gyan Prakash, un autore legato comunque al progetto collettivo indiano dei Subaltern Studies, ci offre invece preziosi suggerimenti su come pensare e scrivere "storie post-orientaliste dell'India", mentre il saggio di Lata Mani e Ruth Frankenberg, due tra le piu' note femministe postcoloniali, ci consente di avere una panoramica piuttosto esauriente delle obiezioni sollevate al testo di Said e quindi di tutte le difficolta' politiche ed epistemologiche inerenti alla costruzione di prospettive - critiche, storiche, antropologiche - davvero post-orientaliste.
Inoltre, e' chiaro che il dibattito sulle possibilita' e sulle condizioni di un sapere post-orientalista - libero, non-coercitivo, indipendente dalle logiche economiche del mercato e dai bisogni politici dello Stato, improntato unicamente alla produzione di un bene comune - puo' assumere per noi ancora maggiore rilevanza di fronte agli attuali tentativi di mercificare, di segmentare ulteriormente la conoscenza e la cultura attraverso la progressiva privatizzazione delle universita' in funzione delle esigenze di un capitalismo neoliberale ormai in crisi (Bousquet 2008, Puwar 2004, Mohanty 2003).
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L'inconscio strutturale dell'Occidente
Tuttavia, cio' che colpisce di Orientalismo, al di la' della sua indiscutibile influenza, e' che sin dal momento della sua uscita nel 1978 e' stato considerato da piu' parti come un testo non soltanto compromesso alla radice da difficolta' e contraddizioni teoriche ed epistemologiche praticamente insormontabili, ma soprattutto come un'opera politicamente ambivalente. In effetti, come nota Robert Young, negli ultimi decenni sono stati davvero pochi i testi capaci di sopravvivere a cosi' tante recensioni, revisioni e valutazioni se non proprio negative comunque altamente problematiche. In questo senso, puo' risultare emblematico il fatto che l'attuale campo degli studi post-coloniali sia venuto a configurarsi come disciplina accademica proprio a partire dal convergere di una grande varieta' di critiche, di obiezioni e di approcci alternativi emersi dal confronto diretto con il lavoro di Said (Young 2001, p. 384). Si tratta, pero', di un'evenienza che, contrariamente a quanto sembra suggerire Young, non fa che confermare la natura, per cosi' dire, "epocale" di Orientalismo. A questo punto, possiamo cominciare a delineare una delle prime tesi di questa breve introduzione: se sull'originalita' di Orientalismo (determinata soprattutto dall'estensione dell'analisi strutturalista e post-strutturalista del linguaggio, in particolare della nozione di discorso di Foucault, al rapporto Occidente/altro-coloniale), cosi' come sui suoi cosiddetti limiti epistemologici strutturali (dovuti in buona parte a un uso eccessivamente umanistico di concetti provenienti da prospettive poco consone con tale tradizione), e' stato detto fin troppo, quasi nulla e' stato scritto sugli aspetti meno "eccentrici", quindi sulle concezioni piu' "tradizionali", dell'impianto complessivo (verrebbe da dire "storico-metafisico") del testo. Da questo punto di vista, Orientalismo presenta una coerenza stupefacente, se per coerenza intendiamo semplicemente la riproposizione - benche' in riferimento a questioni inedite e in modi non certo comuni rispetto al passato - di uno "schema storico-ideologico" generale ampiamente diffuso (pur se con mille varianti) all'interno della tradizione critica della cultura occidentale moderna. In effetti, dal punto di vista dell'architettura "esistenziale" del testo, Orientalismo puo' essere certamente considerato come una sorta di "genealogia di tipo nietzscheano", ovvero come il tentativo di rinvenire le origini di una "tradizione malata" (appunto l'orientalismo) costitutiva della stessa identita' occidentale e del soggetto sovrano moderno.
Prima di proseguire, pero', e' utile chiarire che l'espressione "genealogia di tipo nietzscheano" va qui intesa in senso piu' "metaforico" che "letterale". Come piu' volte e' stato sottolineato, nonostante i pochi ma comunque importantissimi riferimenti a Nietzsche presenti in Orientalismo, sia la prospettiva complessiva dell'opera sia le posizioni piu' generali espresse successivamente da Said nei suoi scritti teorici piu' densi - come The World, the Text and the Critic (1983) o Culture and Imperialism (1993) - vanno in una direzione tutt'altro che nietzscheana. Mediante tale espressione, dunque, intendo semplicemente sottolineare il carattere "genealogico" e soprattutto "diagnostico" del lavoro di ricostruzione svolto da Said (cfr. Clifford 1988, pp. 305-306; Varadharajan 1999, pp. 114-115). Sin dalle prime pagine di Orientalismo, infatti, Said enuncia gli obiettivi e la metodologia del suo lavoro in modi che ricordano da vicino la concezione nietzscheana del filosofo (in questo caso del critico o dell'intellettuale) come "medico", ovvero come "medico della civilta'" dedito all'accertamento della principale patologia della cultura e quindi alla formulazione di una "diagnosi" indispensabile alla ricostituzione esistenziale del genere umano (e dell'umanesimo, nel caso specifico di Said): "proprio qui sta il principale problema posto dall'orientalismo. Si puo' dividere la realta' umana, che sembra in effetti di per se' divisa, in culture, eredita' storiche, tradizioni, sistemi sociali e persino razze diverse, e salvare la propria umanita' dalle conseguenze? Con 'salvare la propria umanita' dalle conseguenze', mi riferisco alla possibilita' di evitare l'ostilita' implicita in una divisione di questo genere, come quella tra 'noi' (occidentali) e 'loro' (orientali)" (Said 1978, p. 52).
In breve: Said propone il suo lavoro come un'indagine volta all'identificazione dell'orientalismo in quanto sintomo della malattia piu' profonda e angosciante della civilta' moderna occidentale, ovvero di cio' che "con la sua violenza (ontologica) costitutiva corrode alla base le sue pretese piu' nobili" (Vadharajan 1999, p. 114). Cosi', vogliamo qui sostenere che per Said l'orientalismo - inteso come un'"othering machine" (Spivak 1984), come una macchina identitaria che non sa procedere o auto-affermarsi se non attraverso la produzione di confini e di differenze gerarchiche tra il se' e l'altro - rappresenti una sorta di "inconscio strutturale" (per riprendere la nota espressione di Levi-Strauss) del soggetto sovrano moderno. Questo riferimento alla nozione di Levi-Strauss puo' apparire a prima vista problematico, dal momento che Said stesso chiarisce nel suo testo, prendendo decisamente le distanze da Foucault su questo punto, che l'orientalismo non e' un "corpus di scritti anonimo e informe" (p. 32) o "un sistema discorsivo di natura impersonale", bensi' il prodotto dell'agire umano e quindi di una particolare sedimentazione del lavoro concreto e originale di tanti singoli autori (p. 32). Tuttavia, come abbiamo anticipato, la teoria sull'identita' contenuta in Il pensiero selvaggio (1962) e' una delle risorse esplicite attraverso cui Said costruisce l'orientalismo come cio' che potremmo chiamare un potente "dispositivo identitario" di dominio e di segregazione dell'altro (non-occidentale). Non e' questa la sede per approfondire ulteriormente l'argomento. Diciamo semplicemente che in Orientalismo Said riprende alcuni concetti e ragionamenti di Levi-Strauss soprattutto per rafforzare la sua concezione secondo cui ogni forma di identita' e' sempre negativa, nel senso che puo' costituire o affermare se stessa unicamente attraverso una sua particolare costruzione culturale e del tutto arbitraria dell'altro. In effetti, uno dei presupposti fondamentali su cui si fonda l'intera struttura metafisica di Orientalismo e' che alla base di ogni identita' c'e' sempre un processo di differenziazione del se' dall'altro, che e' il risultato "di qualcosa di piu' che una conoscenza puramente obiettiva" (p. 62). Cosi', se Said sostiene nel suo testo che Oriente e Occidente non sono che il prodotto di una geografia esclusivamente "immaginaria", cio' dipende anche da una sua particolare interpretazione dell'idea di Levi-Strauss secondo cui "la mente umana sembra tenacemente tendere a una 'scienza del concreto'"(p. 59). "La pratica universale di designare nella nostra mente uno spazio familiare 'nostro' in contrapposizione a uno spazio esterno 'loro' e' un modo di operare distinzioni geografiche che puo' essere del tutto arbitrario. Uso qui il termine 'arbitrario' perche' una geografia immaginaria del tipo 'nostra terra / terra barbarica' non necessita che i barbari conoscano e accettino la distinzione. E' sufficiente che 'noi' costruiamo questa frontiera nelle nostre menti, 'loro' diventano 'loro' di conseguenza, la loro terra e la loro mentalita' vengono considerate diverse dalle 'nostre'. Cosi', in una certa misura le societa' moderne e quelle primitive sembrano costruire il loro senso di identita', per cosi' dire, in forma negativa" (p. 60).
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Da p. 17
Una conoscenza narcisistica e paranoica
In ogni caso, se abbiamo definito l'orientalismo di Said come l'inconscio strutturale dell'Europa e' per sottolineare che nella sua concezione dell'imperialismo occidentale esso ci viene presentato, parafrasando Althusser, come una sorta di "causa assente". In effetti, nello schema di Said e' stato l'orientalismo, attraverso la sua graduale metamorfosi storica da mero campo del sapere (accademico e testuale) a "disciplina di accumulazione sistematica di territori e di popolazioni" (p. 126), a trasformare progressivamente l'Oriente da semplice "esterno-costitutivo" (Laclau 1990) dell'Occidente a un (s)oggetto-altro separato, inferiore, arretrato, silenzioso, passivo, femmineo, estraneo ed esotico (Said 1978, p. 204), a gettare quindi le basi culturali di quei fenomeni di dominio e di violenza che sono stati al centro stesso della formazione e dello sviluppo della modernita' capitalistica occidentale: del colonialismo, della schiavitu', dell'imperialismo, del razzismo, del nazionalismo, dell'antisemitismo. Secondo Said, infatti, la teoria della supremazia dell'uomo bianco e della sua whiteness non apparve ne' per caso ne' all'improvviso: "(...) sono il frutto di complesse circostanze storiche e culturali, tra le quali almeno due hanno molto in comune con la storia dell'orientalismo nel secolo scorso. La prima consiste nell'abitudine, culturalmente approvata, di operare ampie generalizzazioni, con cui suddividere la realta' in varie categorie - lingue, razze, tipi, pigmentazione della pelle, mentalita' - ognuna delle quali esprimeva non tanto criteri neutrali, quanto interpretazioni valutative. A tali categorie e' sottesa la rigida opposizione binaria 'nostro' e 'loro', dove il primo prevale sempre sul secondo, riducendolo a una mera funzione di se' medesimo; un dualismo cui diedero sostegno non solo l'antropologia, la linguistica e la storiografia ma anche, ovviamente, le ipotesi di Darwin sulla selezione naturale e sulla sopravvivenza del piu' adatto, nonche' - non meno importante - la retorica di un sublime umanitarismo culturale" (Said 1978, p. 225).
Sul modo in cui Said propone la sua visione dell'orientalismo come radice di tutti i mali della cultura occidentale, come tradizione (de)generatrice del soggetto sovrano moderno, ci concentreremo dettagliatamente piu' avanti. Per il momento, basta ricordare che per Said l'Oriente a) e' una costruzione culturale dell'Occidente che precede l'incontro con l'Oriente reale e b) che "le due entita' geografiche si sostengono e in una certa misura si rispecchiano vicendevolmente" (p. 15). L'Oriente, quindi, e' stato l'altro per eccellenza dell'Occidente sin dal momento stesso della sua nascita: e non e' un caso se Said rinviene le origini dell'orientalismo nella Grecia antica, nel luogo scelto dalla mitopoiesi umanistica come radice della propria filiazione, in cui "gia' all'epoca dei Persiani di Eschilo l'Oriente si trasforma in una specie di alterita' assai distante e piuttosto minacciosa" (p. 29). Cosi', in una lettura assai psicologizzante, l'orientalismo appare a Said come un prodotto del rapporto di profonda aggressivita' e ostilita' dell'Occidente verso l'Oriente, poiche' l'obiettivo principale di questo "campo del sapere" e' quello di controllare e di addomesticare l'Oriente in quanto insidia e minaccia destabilizzante del proprio se' (p. 66). Ed e' proprio in virtu' di questi presupposti che l'orientalismo non puo' che configurarsi come "una forma di conoscenza paranoica, profondamente diversa, per esempio, dalla normale conoscenza storica" (p. 78).
E' in questo modo, dunque, che per Said alla base della costituzione del soggetto sovrano moderno, come nota in modo davvero efficace Meyda Yegenoglu, non vi e' altro che la "mitologia bianca" (i discorsi orientalisti/coloniali su "noi" e gli "altri") dell'orientalismo; una mitologia che non e' che l'effetto di quel lento e progressivo processo di distacco, di differenziazione, di espulsione (quindi di negazione) e di gerarchizzazione dell'altro-orientale (cfr. Yegenoglu 1998). Si tratta di un processo rimosso ma che deve essere continuamente ripetuto, poiche' rappresenta l'atto di fondazione dello stesso soggetto occidentale, la fonte della sua autonomia e sovranita'. Secondo Said, infatti, e' proprio in questo modo che "l'Oriente acquisto' rappresentanze e rappresentazioni, ognuna piu' concreta, piu' adatta alle esigenze ideologiche occidentali, di quelle che l'avevano preceduta. E' come se, una volta prescelto l'Oriente come entita' atta a raffigurare l'infinito in forma finita, l'Europa non sapesse piu' fare a meno di tale espediente" (Said 1978, pp. 68-69).
Ricapitolando, se nella prospettiva di Said "l'Oriente e' un palcoscenico nel quale l'intero Est e' stato confinato" (ib.), a consentire l'allestimento dell'intero spettacolo e' stata l'irruzione sulla scena di una volonta' di dominio, di sapere e di potere, malata e assolutamente disumana, che occorrera' "disimparare"' (da cui bisognera' disidentificarsi) se si vuole contribuire allo sviluppo di saperi e politiche post-orientaliste, ovvero all'invenzione di "nuove anime" (Cesaire 1956), di "nuovi modi di esistenza immanenti" (per tornare al Nietzsche di Deleuze) e di nuove comunita' (affiliazioni) cosmopolite capaci di andare oltre la logica dei confini e delle essenze culturali: "Ma cio' cui soprattutto spero di aver contribuito e' a una migliore comprensione di come il dominio culturale ha potuto costituirsi e operare. Se questo servira' da stimolo per un modo nuovo di atteggiarsi rispetto all'Oriente, e ci avvicinera' al superamento della stessa dicotomia 'Oriente'/'Occidente', potremmo, come dice Raymond Williams, 'disimparare (...) l'inerente atteggiamento di dominio'" (Said 1978, p. 36).
*
[...] Diciamolo in un altro modo e con parole semplici. Orientalismo deve la sua "compattezza" - un aspetto del testo di cui si parla davvero poco nelle sue numerosissime recensioni e critiche - al fatto che e' stato costruito sulla base di una "struttura metafisica idealistica", per riprendere l'espressione di Ahmad, ampiamente diffusa e condivisa, comune sia all'umanesimo che all'antiumanesimo tradizionali: la Grecia e il soggetto occidentale come fonte di ogni valore, delle qualita' piu' sublimi inerenti alla stessa condizione umana (il cogito, la coscienza, la modernita', la civilta', la critica, il progresso, l'uomo), la Grecia e il soggetto occidentale come fonte di ogni disvalore, delle finzioni piu' terrificanti e autodistruttive della storia dell'umanita' (la storia, lo storicismo, la metafisica, la dialettica, l'origine, il fondamento, il pensiero identitario, la repressione degli istinti, il fallologocentrismo, l'uomo).
Tuttavia, come e' noto, Orientalismo e' stato anche un testo originale e di rottura radicale. Tale originalita' va ricercata soprattutto nella sua abile articolazione della critica al soggetto sovrano occidentale - il fondamento di quella "struttura metafisica idealistica" sia nella versione celebrativa dell'umanesimo che in quella denigratoria dell'antiumanesimo - con la questione coloniale, ovvero con la lunga vicenda di dominio e di sfruttamento degli altri non-europei. La tesi forte di Orientalismo, come abbiamo accennato, e' che alla base della costituzione dell'Europa come qualcosa di diverso e di superiore rispetto al resto del mondo - e quindi dell'istituzione della Storia e del Soggetto (con la S maiuscola, per dirla con Althusser) - vi e' la produzione di discorsi e di rappresentazioni (coloniali) sull'altro orientale e non-occidentale. Un potere di narrare e di rappresentare, afferma Said sin dalle prime pagine del suo testo, che si fondava sulla certezza del silenzio dell'Oriente, sull'impossibilita' degli orientali di autorappresentarsi, e che era quindi il risultato di precisi rapporti di potere esistenti tra l'Europa e il resto del mondo: "L'Oriente e' stato orientalizzato non solo perche' lo si e' trovato 'orientale', ma anche perche' e' stato possibile renderlo 'orientale'" (Said 1978, p. 15). Questo "decentramento geografico" del soggetto europeo operato da Orientalismo (una dislocazione spaziale dell'episteme occidentale di cui non era stato capace nemmeno Foucault nonostante la radicalita' del suo approccio) non faceva che portare chiaramente alla luce, pur se attraverso numerose contraddizioni politiche e ideologiche, il carattere eurocentrico e imperialista sia dell'umanesimo (dello storicismo, della dialettica) che dell'antiumanesimo (della critica dello storicismo, della critica della dialettica) tradizionale europeo. Cosi', nonostante il residuo umanistico (e quindi eurocentrico) dell'opera e le tante ambivalenze teoriche dell'impianto, Orientalismo gettava le basi della critica postcoloniale, divenendo al contempo un testo epocale come pochi altri negli ultimi anni.
5. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
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"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
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7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Anna Vanzan, Le donne di Allah. Viaggio nei femminismi islamici, Bruno Mondadori, Milano 2010, pp. VI + 186, euro 20.
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Riedizioni
- Eugenio Garin, Umanesimo e Rinascimento, Mondadori, Milano 2010, pp. XX + 642, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Il volume sotto un titolo complessivo redazionale contiene due classici libri di e a cura di Eugenio Garin: L'umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento, Laterza, Bari 1952, 2008; e (a cura di), L'uomo del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari 1988, 2008.
- Alberto Pincherle, Vita di Sant'Agostino, Laterza, Roma-Bari 2000, Il sole 24 ore, Milano 2010, pp. XII + 460, euro 9,90.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 367 del 7 novembre 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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