Telegrammi. 364
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- Date: Thu, 4 Nov 2010 01:16:03 +0100 (CET)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 364 del 4 novembre 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: La guerra assassina, i volti delle vittime
2. Edi Rabini: Dalla Difesa popolare nonviolenta ai Corpi civili di pace europei
3. La "Carta" del Movimento Nonviolento
4. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PEPPE SINI: LA GUERRA ASSASSINA, I VOLTI DELLE VITTIME
La guerra e' sempre assassina.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Cessi l'illegale partecipazione militare italiana alla guerra in Afghanistan.
S'impegni l'Italia per la pace che salva le vite.
2. STUDI E RICERCHE. EDI RABINI: DALLA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA AI CORPI CIVILI DI PACE EUROPEI
[Ringraziamo Edi Rabini (per contatti: edorabin at fastwebnet.it) per averci messo a disposizione questo suo testo, datato Bolzano 21 settembre 2008, pubblicato in Pace, solidarietà, cittadinanza - Trent'anni di obiezione di coscienza e servizio civile a Venezia 1979-2009, Comune di Venezia, maggio 2009.
Edi Rabini, che e' stato grande amico e stretto collaboratore di Alex Langer, e' impegnato nella Fondazione Alexander Langer (per contatti: e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org), di cui e' infaticabile e generosissimo animatore.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992 esaurito). Dopo la sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005; Alexander Langer, Was gut war Ein Alexander-Langer-ABC; inoltre la Fondazione Langer ha terminato la catalogazione di una prima raccolta degli scritti e degli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa), i materiali raccolti e ordinati sono consultabili su appuntamento presso la Fondazione. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana, Molfetta 2000; AA. VV. Una vita piu' semplice, Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005; Fabio Levi, In viaggio con Alex, la vita e gli incontri di Alexander Langer (1946-1996), Feltrinelli, Milano 2007. Si vedano inoltre almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione della Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2000, 2004; il volume monografico di "Testimonianze" n. 442 dedicato al decennale della morte di Alex. Inoltre la Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (esaurito). Videografia su Alexander Langer: Alexander Langer: 1947-1995: "Macht weiter was gut war", Rai Sender Bozen, 1997; Alexander Langer. Impronte di un viaggiatore, Rai Regionale Bolzano, 2000; Dietmar Hoess, Uno di noi, Blue Star Film, 2007. Un indirizzo utile: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Latemar 3, 9100 Bolzano-Bozen, tel. e fax: 0471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org]
Dalla Difesa popolare nonviolenta ai Corpi civili di pace europei. L'evoluzione normativa in materia di servizio civile all'estero in Europa: tendenze, resistenze, prospettive
Non conosco nei dettagli la regolamentazione del servizio civile nei singoli paesi europei, salvo quelli dell'area di lingua tedesca con i quali nella nostra provincia si intrecciano legami piu' stretti.
Mi pare pero' di capire che l'esperienza del servizio civile, in particolare di quello all'estero di cui mi occupero' in questo testo, e' di difficile comparazione con quello del resto d'Europa.
In Italia il Servizio civile viene inserito nella legge di riforma del 2001 in continuita' con la precedente normativa che prevedeva un servizio alternativo a quello militare, anche all'estero, riservato agli obiettori di coscienza.
Nel resto d'Europa, almeno nei rari casi in cui permane la leva obbligatoria, ormai sostituita quasi ovunque dall'esercito professionale, l'obiezione di coscienza e' stata introdotta con tempi diversi in tutti gli stati, con modalita' che si intrecciano ad altre forme di servizio socialmente utile, svolto in istituzioni pubbliche o private all'interno del paese, in un periodo d'eta' che va dai 15 ai 28 anni e con differenti modalita' d'accesso.
Anche le forme di penalizzazione, come l'allungamento della durata, del servizio alternativo a quello militare si vanno sempre piu' riducendo, fino a scomparire in quasi tutti gli Stati, soprattutto in seguito all'abolizione quasi generale del servizio di leva.
La legislazione italiana ha affermato prima l'obiezione di coscienza e ora il servizio civile come scelta etica individuale, da adempiere con un periodo di lavoro volontario socialmente utile, assolvibile anche all'estero, presso associazioni riconosciute idonee, rinunciando nel tempo all'originaria utopia dei primi obiettori di coscienza, di farne strumento per la costruzione di un modello di difesa alternativa, la cosiddetta Difesa Popolare Nonviolenta, alla quale hanno lavorato in profondita' molti "padri" fondatori della nonviolenza in Italia.
In questo testo cerchero' di argomentare la tesi che la proposta di costruire un Corpo civile di pace europeo, avanzata da Alexander Langer e fatta propria per la prima volta nel 1995 dal Parlamento Europeo, ha messo in moto una nuova prospettiva generale, una nuova concreta utopia, d'analoga portata ideale. E che il Servizio civile all'estero, in alcune esperienze maturate in Europa, assume significato come parte di questa prospettiva, un suo primo gradino, sia dal lato formativo che da quello di una possibile nuova professione. Infine che le Regioni e gli Enti Locali possono svolgere un ruolo decisivo in questa direzione come hanno gia' dimostrato in tutto il percorso che ha visto alcune Regioni e Province italiane unirsi nella ricerca e nella proposta di riconoscimento giuridico delle figure professionali dell'"Area umanitaria" (Operatori di pace e mediatore interculturali).
So che il termine Corpo civile europeo di pace - European Civil Peace Corps - Ecpc, e' ancora troppo generico (una parola di gomma direbbe Ivan Illich) e puo' provocare l'illusione di una soluzione semplice a problemi molto complessi. E che non riesce a descrivere i molti modi con cui oggi un giovane interessato al grande mondo puo' iniziare il suo percorso, attraverso scambi, viaggi intelligenti, campi di lavoro e di studio, stage, sia durante i periodi di formazione scolastica che professionale. O piu' tardi dentro programmi di cooperazione, protezione civile, assistenza umanitaria promossi da organismi internazionali, Ong, enti locali, o semplicemente gemellaggi avviati da piccole e grandi associazioni di volontariato. Preferisco usare questa denominazione Ecpc, con i modi diversi con cui si possono definire i suoi operatori (peacebuilder, peaceworker, peace expert, conflict consultant, ecc), perche' puo' essere considerato un grande contenitore per le piu' diverse soluzioni che si muovono nella stessa direzione. E perche' questa denominazione e' entrata ormai a far parte di documenti e decisioni istituzionali, sia europee che nazionali, dopo ormai 15 anni d'incubazione.
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Alexander Langer e i corpi civili di pace europei
Alexander Langer decide di rinunciare alla vita il 3 luglio 1995, all'eta' di 49 anni. Alcuni giorni prima, il 26 giugno, si era recato a Cannes con altri parlamentari europei per presentare al vertice dei Capi di stato e di governo un drammatico appello: "L'Europa nasce o muore a Sarajevo". In un articolo scritto subito dopo per la rivista "La Terra vista dalla luna" (e ripubblicato in "La scelta della convivenza", Edizioni e/o, 1995), dopo aver implorato un intervento per interrompere l'assedio delle zone protette, riassume ancora una volta gli strumenti centrali di una nuova politica estera europea, all'altezza della domande poste in quel momento dal dramma che si consumava nelle regioni dell'ex-Jugoslavia. Queste in sintesi le sue proposte:
1. Ristabilire il valore del diritto, a partire dall'istituzione di quel Tribunale penale internazionale che poteva separare le responsabilita' individuali dalle generalizzazioni etniche;
2. Offrire una prospettiva d'integrazione europea, un tetto di protezione piu' ampio, alle popolazioni che avevano visto dissolversi la precedente casa comune;
3. Dare massimo sostegno alle forze di dialogo interne, evitando di accreditare come unici interlocutori i signori della guerra;
4. Mettere in moto misure di prevenzione nelle regioni, come il Kosovo, la Macedonia, la Vojvodina, che potevano subire un'espansione della guerra in atto;
5. Professionalizzare il volontariato, in un corpo civile europeo, accanto ad una forza di polizia internazionale sotto l'egida dell'Onu.
Per il 7 luglio 1995 aveva programmato con i suoi collaboratori a Bruxelles un incontro tra militanti dei movimenti di pace ed esperti internazionali, che aveva all'ordine del giorno proprio una risoluzione parlamentare per l'istituzione dei Corpi civili europei di pace.
Nel documento preparatorio, elaborato con l'assistente parlamentare dei verdi Ernst Guelcher e pubblicato su "Azione nonviolenta" dell'ottobre 1995, si individuano i punti essenziali di quella proposta che, per la loro solidita', concretezza, lungimiranza, vengono ancora riconosciuti a fondamento del tragitto che ha portato al riconoscimento dei Cpce da parte della Commissione Europea.
Di recente, nel dicembre 2007, Arno Truger del Centro per la Pace di Stadt Schlaining, che era pure tra gli invitati e i promotori di quell'incontro, ha fatto avere alla Fondazione Langer il testo originale e completo.
Vale la pena di riportarlo nella sua interezza.
"Per la creazione di un corpo civile di pace dell'Onu e dell'Unione Europea. Alcune idee, forse anche poco realistiche (appunti di Alexander Langer ed Ernst Guelcher).
Il peacekeeping delle Nazioni Unite ed il suo efficiente funzionamento sono oggi le sfide piu' importanti per le forze armate e per gli addetti alla politica estera dentro o fuori dell'Europa.
Nello stesso tempo il ruolo potenziale dei civili nel prevenire o nel gestire i conflitti e' tuttora grandemente sottostimato. Cio' dovrebbe essere superato. I governi e le istituzioni internazionali inviano i loro osservatori e diplomatici nelle aree di conflitto e le Ong umanitarie e pacifiste cercano, spesso in circostanze assai difficili, di (ri)stabilire il dialogo, la coesistenza e la fiducia in e tra comunita' divise e violente. Una volta cessati i combattimenti esse cercano di essere d'aiuto nella ricostruzione dei valori umani e materiali controllando le disposizioni prese e le iniziative di riconciliazione. Negli anni recenti e' stata accumulata una grande esperienza fatta sul campo ed e' stata fatta molta ricerca, spesso nonostante la mancanza di una qualsiasi risorsa finanziaria sufficiente. Il rapporto "Bourlanges/Martin", adottato dal Parlamento Europeo il 17 maggio 1995 nella sua sessione plenaria a Strasburgo, ha riconosciuto questo ruolo nella societa' civile affermando che "un primo passo verso un contributo nella prevenzione del conflitto potrebbe essere la creazione di un Corpo civile di pace europeo (che includa obiettori di coscienza) con il compito di addestrare osservatori, mediatori e specialisti nella risoluzione dei conflitti". Questo fatto ha un grande significato in quanto il Parlamento Europeo riconosce per la prima volta che questi corpi di pace possono essere di un'importanza fondamentale come strumento credibile per contrastare la militarizzazione ed i conflitti. Questo rapporto possiede inoltre un valore aggiunto perche' rappresenta la posizione ufficiale del Parlamento Europeo nella Conferenza Intergovernativa per la revisione del trattato di Maastricht nell'anno 1996.
Per far si' che alle parole seguano i fatti, dobbiamo cercare di elaborare questo concetto in una maniera chiara e praticabile.
Perche' dei corpi civili di pace
L'Europa, come il mondo, e' afflitta da guerre e conflitti. La maggior parte di questi non avvengono tra gli stati ma all'interno di stati o regioni. Molti di questi conflitti sono motivati da differenze etniche, repressione delle minoranze, tendenze nazionaliste, confini contestati. Quando i rifugiati abbandonano le loro terre divenute ormai dimora di guerra, nuovi conflitti insorgono nelle aree dove questi approdano. Sempre di piu' alla Comunita' Internazionale, ed in particolar modo alle Nazioni Unite, viene richiesto di spedire truppe per il mantenimento della pace in modo da impedire lo scatenarsi della violenza. Sebbene questo concetto si e' ormai sedimentato, le recenti esperienze militari di mantenimento della pace non hanno brillato per una serie di ragioni che non verranno pero' trattate in questo documento. Ci si aspetta comunque, o almeno si spera, che le molte difficolta' saranno presto superate e che il mantenimento della pace diventi un compito "ordinario" per i soldati agli ordini della Comunita' Internazionale.
Organizzazione
Il Corpo civile internazionale verrebbe costituito dall'Unione europea sotto gli auspici delle Nazioni Unite ai cui servizi dovrebbero essere prestati. Il Corpo dovrebbe sottostare o almeno riferirsi all'Osce (come organizzazione regionale delle Nazioni Unite). Gli stati membri dell'Unione europea contribuirebbero al Corpo. Il Parlamento europeo dovrebbe essere coinvolto nelle decisioni sulla costituzione del Corpo e sull'attuazione delle operazioni. In primo luogo il Corpo presterebbe servizio all'interno dell'Europa, ma potrebbe agire anche al di fuori del continente europeo. Poiche' sarebbe una forza di stanza, deve avere quartieri generali e personale pienamente equipaggiato, basato in un luogo specifico (Osce-Vienna?) e a livello locale durante le operazioni. Per l'inizio il Corpo dovrebbe essere costituito da 1.000 persone di cui 300/400 professionisti e 600/700 volontari. Se i risultati fossero positivi si dovrebbe naturalmente espandere in modo considerevole.
Compiti
Prima il corpo sara' inviato nella regione, prima potra' contribuire alla prevenzione dello scoppio violento dei conflitti. In ogni fase dell'operazione potrebbe adempiere a compiti di monitoraggio. Dopo lo scoppio della violenza, esso e' la' per prevenire ulteriori conflitti e violenze. Nel fare cio' esso ha solo la forza del dialogo nonviolento, della convinzione e della fiducia da costruire o restaurare. Agira' portando messaggi da una comunita' all'altra. Facilitera' il dialogo all'interno della comunita' al fine di far diminuire la densita' della disputa. Provera' a rimuovere l'incomprensione, a promuovere i contatti nella locale societa' civile. Negoziera' con le autorita' locali e le personalita' di spicco. Facilitera' il ritorno dei rifugiati, cerchera' di evitare con il dialogo la distruzione delle case, il saccheggio e la persecuzione delle persone. Promuovera' l'educazione e la comunicazione tra le comunita'. Combattera' contro i pregiudizi e l'odio. Incoraggera' il mutuo rispetto fra gli individui. Cerchera' di restaurare la cultura dell'ascolto reciproco. E la cosa piu' importante: sfruttera' al massimo le capacita' di coloro che nella comunita' non sono implicati nel conflitto (gli anziani, le donne, i bambini). Potrebbe cercare di risolvere i conflitti con ogni mezzo d'interposizione ma non imporra' mai qualcosa alle parti. Denuncera' i fautori della violenza e dei misfatti alle autorita' locali e internazionali. Denuncera' la cattiva condotta di queste autorita' alla comunita' internazionale. Si adoperera' per allertare tempestivamente e monitorare. Costantemente cerchera' di trovare ed enunciare le cause del conflitto o dei conflitti. Fara' il possibile per ricostruire le strutture locali. Qualche volta, ma solo su richiesta e temporaneamente, subentrera' alle autorita' e ai servizi locali. Piu' in particolare adempira' ai servizi non armati quotidiani di polizia nelle aree dove la polizia locale non riscuote la fiducia della popolazione. Cooperera' nell'area con le organizzazioni umanitarie per provvedere ai rifornimenti e ai servizi, cosi' come per alleviare le sofferenze delle vittime.
Quale professionalita'
Poiche' consideriamo il Corpo e i suoi partecipanti agire in zone ad alto potenziale di violenza, i singoli partecipanti debbono possedere molte qualita' e valori eccellenti, alcuni dei quali saranno questione di talento, altri richiederanno un alto livello d'addestramento professionale.
Qualita'
Molte qualita' d'alto livello sono necessarie per gli individui che partecipano al Corpo di pace: tolleranza, resistenza alla provocazione, educazione alla nonviolenza, marcata personalita', esperienza nel dialogo, propensione alla democrazia, conoscenza delle lingue, cultura, apertura mentale, capacita' all'ascolto, intelligenza, capacita' di sopravvivere in situazioni precarie, pazienza, non troppi problemi psicologici personali. Coloro che vengono accettati a far parte del Corpo di pace apparterranno alle persone piu' dotate della societa'.
Nazionale/internazionale; uomo/donna; anziani/giovani
Il corpo di pace non dovrebbe essere costituito da contingenti nazionali ma dovrebbe essere internazionale dall'inizio con individui di diverse nazionalita' che lavorano insieme come amici. Questo farebbe immediatamente superare barriere fra diverse culture. L'imparzialita' e' necessaria ma i partecipanti al Corpo di pace non devono assolutamente provenire solo da paesi neutrali. Dovrebbero farvi parte sia uomini sia donne e l'eta' dovrebbe essere tra i 20 e gli 80 anni. A differenza delle operazioni militari il lavoro del Corpo di pace potrebbe in gran parte ricadere sulle spalle degli anziani e delle donne.
Volontariato solidale
Le Ong, con un'esperienza diretta nella prevenzione dei conflitti, nella loro risoluzione e sviluppo come anche nel servizio civile, saranno le prime cui si richiede di reclutare partecipanti al Corpo di pace. Questi partecipanti potrebbero essere in larga misura obiettori di coscienza. Un ruolo puo' essere svolto anche dai militari peacekeeping in pensione e dai diplomatici. Particolare attenzione deve essere data ai rifugiati e agli esiliati della regione dove il conflitto dovrebbe essere gestito. Molte di queste persone sono colte e individui nonviolenti con grande conoscenza della situazione locale. D'altra parte essi sono parte del conflitto e potenziali bersagli. Essi potrebbero essere piu' utili nel retroterra che in prima linea a livello di consulenza e potrebbero giocare un ruolo fondamentale di supporto linguistico.
Professionisti/volontari
Poiche' le qualita' e l'esperienza determinano il successo o il fallimento di qualsiasi operazione, almeno un terzo dei partecipanti di ciascuna operazione del corpo di pace consisterebbe di professionisti. Gli altri possono essere volontari e lavoreranno sotto l'autorita' di professionisti.
Addestramento
Il successo e il fallimento saranno anche determinati dal grado d'addestramento delle persone del Corpo di pace. Programmi d'addestramento prepareranno ciascun partecipante alla sua missione. Allo stesso tempo gli educatori dovrebbero avere la possibilita' d'essere stagiairs in missioni per acquistare esperienza sul campo. L'addestramento includera' la crescita della forza e della mentalita' personale ma anche cose pratiche come la lingua, la storia, le religioni, le tradizioni e la sensibilita' delle regioni dove si va ad operare.
Come preparare le operazioni dei Ccp
Le condizioni per le operazioni dei Corpi civili di pace sono fondamentalmente le stesse di quelle del peacekeeping militare: l'intervento deve essere richiesto dalle parti ed essere svolto in modo imparziale.
I Corpi di pace possono funzionare solo finche' le parti in conflitto chiedono una loro presenza nella loro regione. A nessuna delle parti deve essere permesso di usarli per le loro proprie manovre tattiche e la propria propaganda. Ma mentre il peacekeeping potrebbe esigere un peace-enforcing, i Corpi di pace possono solo provare a convincere con la negoziazione. Su quest'aspetto e' necessario raccogliere ancora esperienze.
In caso di conflitto il Consiglio Europeo, il Segretariato Generale dell'Onu e/o l'Ocse puo' convincere le parti a richiedere l'intervento dei Corpi civili di pace. Una volta fatta questa richiesta, l'organizzazione internazionale puo' negoziare le condizioni di base, il tipo di mandato, il suo periodo e il finanziamento. E infine, ma non meno importante, devono decidere chi avra' il comando delle operazioni. Dato che non vi e' ancora una struttura preposta all'interno dell'Unione Europea l'intervento deve essere affidato all'Ocse, mentre le operazioni al di fuori dell'Europa devono ricadere direttamente sotto la responsabilita' delle Nazioni Unite.
Finanziamento
Prevenire un conflitto e' costoso, ma risolverlo una volta permesso che esploda e' ancora piu' costoso. Un Corpo civile di pace da inviare sul campo dopo che e' esploso il conflitto deve essere adeguatamente finanziato. Senza fondi non si puo' fare niente. Cio' significa linee di budget per stipendi e per costi di funzionamento. Significa anche compensi per servizi in situazioni pericolose. Puo' anche significare costi per rimpatri, per partecipanti feriti o uccisi, e compensi per i danni che lasciano dietro. L'Unione Europea avra' il compito di stabilire linee di budget stabili per questo scopo. Deve essere tenuta in considerazione la possibilita' di finanziare progetti pilota affidati a delle Ong. D'altra parte e' facilmente immaginabile che un'operazione di un Corpo civile di pace sia molto piu' economica di qualsiasi coinvolgimento militare.
Le relazioni con i militari
I membri dei Corpi civili di pace avranno bisogno di protezione. Nella maggior parte dei casi i peacekeeper militari potranno essere presenti sul campo per questo scopo. Dato che tra la cultura militare e quella dei civili non c'e' naturale rispetto e reciproca comprensione, bisognera' dedicare molta attenzione e formazione per raggiungere questo scopo. I corpi civili e i peacekeeper devono lavorare insieme a tutti i livelli e cio' richiede formazione ed esperienza.
Conclusione
Un'operazione del Corpo di pace puo' fallire e nessuno si dovrebbe vergognare ad ammetterlo. Per esempio se una delle parti in guerra e' determinata a continuare o accrescere il conflitto, i civili non possono fermarla. Se il conflitto si trasforma in una vera guerra, i civili farebbero meglio a fuggire dal campo di battaglia. Se fanatici delle due parti non sono piu' sotto il controllo dell'autorita' locale e cominciano a sparare contro i partecipanti del Corpo di pace o a prenderli in ostaggio, cio' sara' la fine delle operazioni. Se i media locali, influenzati dai demagoghi locali, intraprendono campagne di sfiducia verso il Corpo di pace, e' meglio ritirarsi. Ma fintanto questo non si verifichera' il Corpo civile di pace potra' adempiere la sua funzione fino a quando sara' necessario. Il problema e' qui lo stesso del peacekeeping militare. Finche' non c'e' alcuna soluzione politica, il Corpo di pace non puo' veramente partire. E' essenziale che la cooperazione delle autorita' locali e le comunita' dovrebbe essere promossa da una politica internazionale di premio (e non da punizioni/sanzioni). Poiche' la poverta', il sottosviluppo economico e la mancanza di sovrastrutture quasi sempre sono parte di qualsiasi conflitto, la preparazione a vivere insieme, a ristabilire il dialogo politico e i valori umani, a fermare i combattimenti e la violenza dovrebbero essere premiati da un immediato sostegno internazionale economico-finanziario a beneficio di tutte le comunita' e regioni interessate. Troppo spesso ci si e' dimenticati che la pace deve essere visibile per essere creduta. Ma se e' resa vivibile la pace trovera' molti sostenitori in ogni popolazione".
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Civili e militari
Il testo pubblicato da "Azione nonviolenta" nel 1995 e' piu' breve dell'originale. Uno dei passaggi che era andato perso riguardava la questione controversa delle "Relazioni con i militari", che e' il nodo intorno al quale in Italia, a mio avviso, si sono arenati i tentativi di costruire una solida rete di sostegno, e di convincere i governi che si sono succeduti, al di la' del loro orientamento politico, di raccogliere in modo convinto quella proposta.
Evidentemente c'e' un arco fortunatamente molto ampio di possibili interventi di pace, che possono essere svolti in piena autonomia da forze civili, nella prevenzione dei conflitti, la cooperazione e l'aiuto umanitario, la ricostruzione della convivenza. E non sono qui in discussione la legittimita', e anche i meriti, di associazioni (come e' il caso per esempio di Operazione Colomba, Caritas, Focsiv, o di Peace Brigades International) che chiedono una rigida separazione dell'intervento civile da quello statuale e degli organismi internazionali, per il loro sentirsi parte inconciliabile di un'altro tipo di "militanza" etica, religiosa o politica, e per questo rifiutano in primo luogo ogni collaborazione con le forze militari, anche in luoghi dove non si sono create condizioni di sicurezza.
Ma penso che la praticabilita' di una richiesta di riconoscimento istituzionale dei Corpi civili di pace europei, anche in Italia, non puo' che essere inserita all'interno del quadro di riferimento maturato nelle Nazioni Unite e nella Comunita' europea.
E' proprio su questo scoglio, a mio parere, che e' rimasto bloccato nelle precedenti legislature (e forse lo sara' anche in futuro), il lavoro del "Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e nonviolenta" previsto dalla legge 230 del 1998 e confermato nella successiva legge 64 del 2001.
Costituito formalmente solo nel 2004 con decreto della Presidenza del Consiglio, al quale e' collegato, il Comitato ha promosso il 19 maggio 2005 un seminario dal titolo "L'evoluzione del principio costituzionale del sacro dovere di difesa della patria, alla luce dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale: la difesa civile non armata e nonviolenta". In quella sede il ministro Carlo Giovanardi, allora come ora in possesso della delega per il Servizio Civile, aveva posto in maniera netta la questione politica della volonta' di considerare in modo unitario, cioe' senza una pregiudiziale di superiorita' etica di una delle scelte mi par di capire, i giovani che scelgono la professione militare e quelli che optano per il volontariato civile, pur nella distinzione dei ruoli.
Rinnovato in extremis dal ministro Ferrero, prima della caduta del governo Prodi, il Comitato ha affidato al dott. Andrea Valdambrini e al prof. Pierluigi Consorti uno studio sulle "Attivita' formative civili relative al Peacekeeping e Peace research", ora pubblicato nella collana del Csdc, che offre un quadro accurato delle esperienze accumulate e delle proposte sul tappeto in Italia e in Europa.
Nella parte introduttiva lo studio si sofferma sulle ragioni - culturali, semantiche, metodologiche - che spingerebbero alla necessita' di una assoluta separazione tra intervento militare e civile, a partire da una descrizione piuttosto statica e ideologica dei cambiamenti avvenuti nelle forze armate italiane ed europee dopo la caduta del muro di Berlino.
Piuttosto che condannare militari e civili ad una recita obbligata, mi chiederei invece se non sia piu' auspicabile una buona dose di contaminazione reciproca, che possa portare la componente militare a spostare sempre piu' in la' la necessita' di un intervento violento, acquisendo sempre maggiori competenze nel campo dell'interposizione, mediazione, garanzia. E consentire alla componente civile di essere presente, in forma organizzata e nella distinzione dei ruoli, anche in situazioni in cui permangono o possono venire rischi di degenerazione violenta dei conflitti. Un tentativo in questa direzione si era avviato a conclusione del recente conflitto tra Israele e Libano, quando era stato da piu' parti auspicata e sollecitata una presenza consistente di forze civili, accanto a quelle militari, da parte dello stesso governo libanese.
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Il Servizio Civile di Pace in Germania Federale
La Germania Federale puo' essere considerata il paese dove, per ragioni storiche e per iniziativa di singole personalita', piu' si sono nel tempo strutturate, cioe' regolamentate, quelle che possono essere definite "politiche di pace", attraverso una buona sinergia ed un reciproco riconoscimento tra societa' civile e istituzioni.
La Germania e' un paese che e' stato sottoposto fin dalla nascita, dopo la tragedia nazista, a forti condizionamenti nell'uso dello strumento militare, con una Costituzione che garantisce i diritti di perseguitati e rifugiati, una socialdemocrazia che da Willy Brandt in poi ha stretto intensi rapporti con i paesi del terzo mondo e quelli cosiddetti non allineati, una Chiesa evangelica orientata a sostenere, con strumenti "laici", iniziative civiche per la pace e la giustizia.
La guerra nell'ex-Jugoslavia, una guerra alle porte di casa, ha messo alla prova in tutta Europa la tenuta e l'efficacia dei movimenti per la pace cresciuti all'ombra della guerra fredda. E' una guerra lunga che entra nelle case di ciascuno, con l'assedio di Sarajevo e di altre citta' che l'Onu dichiarera' inutilmente "protette", la ricomparsa dei campi di concentramento, gli stupri come arma per la pulizia etnica. C'e' in tutta Europa un proliferare di iniziative di solidarieta' e di mobilitazione civica. C'e' chi valuta insufficienti gli strumenti di analisi e approssimativa la preparazione dei volontari che partono spesso alla ventura producendo piu' danni che benefici. Nascono in quel vuoto non solo alcuni Centri di studio e di formazione che faranno scuola, come ad esempio il Berghof Institut a Berlino o il Centro evangelico di studi a Lochum che diventano luoghi di ricerca e di confronto trasversale agli schieramenti politici. Si avvia soprattutto il percorso che portera' alla formazione e al riconoscimento del Servizio Civile di Pace.
C'e' da dire, per inciso, che anche la legge sul finanziamento pubblico dei partiti in Germania e' diventata un potente motore di formazione e di rinnovo della classe dirigente, compreso il terreno della politica estera che qui interessa analizzare. Notevoli risorse vengono infatti destinate dallo Stato a Fondazioni d'area, indicate dai partiti presenti in Parlamento, ma autonome e trasparenti nella loro gestione. Il loro compito generale e' quello di contribuire alla formazione, alla ricerca e all'animazione politico/culturale della societa'. Le Fondazioni piu' note sono la Konrad Adenauer Stiftung vicina ai cristiano/democratici, la Friedrich Ebert Stiftung vicina ai socialisti, la Heinrich Boell Stiftung d'area verde e, da ultima, la Rosa Luxemburg Stiftung della neoentrata Die Linke. Una buona parte dei fondi viene da queste Fondazioni destinata al conferimento di migliaia di borse di studio, a beneficio di giovani ricercatori, e alla creazione di "ambasciate" nei luoghi cruciali del mondo e delle sue crisi, che sono diventate spesso un solido punto di riferimento per la crescita di realta' locali critiche e attive. E' una scelta questa che ha messo le Fondazioni d'area tedesche nelle condizioni di competere da posizioni d'estremo vantaggio nell'accesso dei fondi stanziati dall'Unione Europea, potendo contare su entrate garantite e su personale qualificato presente sul campo. E' lo stesso vantaggio di cui usufruisce in Italia l'associazionismo d'ispirazione religiosa, che puo' accedere ai benefici dell'8 per mille.
La proposta d'istituzione dei Corpi Civili Europei di Pace, fatta propria con sempre piu' convinzione dal Parlamento Europeo dopo il genocidio a Srebrenica, torna d'attualita' e d'urgenza quando tra il 1998 e 1999 precipita la crisi in Kosovo. Li' era iniziata la guerra e solo li' sarebbe finita, dicevano fin dall'inizio gli osservatori piu' acuti.
Un impulso e un'accelerazione viene proprio dalla Germania, con la nascita di una nuova coalizione rosso-verde presieduta dal socialdemocratico Gerhard Schroeder e con Joschka Fischer vicepresidente e ministro degli esteri, espressione di un mondo verde-alternativo che si appresta all'esperienza di governo, dopo il salutare periodo di astinenza dal parlamento tra il 1990 e il 1994.
Sono tempi difficili per il precipitare della crisi in Kosovo nel 1999, l'inasprimento del confronto tra israeliani e palestinesi, l'attentato alle Torri Gemelle del 2001 e il riesplodere di politiche di guerra prima in Afghanistan e poi in Iraq.
E' in questo contesto che prende corpo la necessita' di definire gli strumenti di un nuovo campo d'azione, quello della promozione di processi di pace, che fosse distinto dalla tradizionale politica di cooperazione. Nell'aprile 2002 viene creato a Berlino il Zentrum fur internationale Friedenseinsaetze (Zif), un'agenzia dotata di notevoli mezzi, incaricata di curare la formazione di personale qualificato per le missioni promosse da Onu, Osce, Ue, il coordinamento tra civili e militari e la messa in opera di misure civili concrete per la prevenzione dei conflitti.
Ma gia' nel 1999 aveva preso avvio il Servizio Civile di Pace (Civil Peace Service), che diventera' un primo pilastro del progetto di riconoscimento europeo degli Ecpc.
Il Forum Ziviler Friedensdienst, uno dei suoi piu' convinti promotori, era nel 1992 solo un piccolo gruppo ecclesiale nel quartiere di Berlin-Brandenburg che si poneva il problema di come trovare un'alternativa all'impiego di truppe tedesche - da alcune parti sollecitato - per garantire la difesa delle citta' protette in Bosnia Erzegovina. Il gruppo cresce e diventa un rete che mobilita decine di associazioni intorno ad una proposta, presentata al governo con una petizione, di inviare in quelle zone delle forze civili addestrate ad un'interposizione nonviolenta.
Nel 1997 il Zfd raccoglie 41 organizzazioni e 240 personalita'. Poi una Regione, il Nordrhein-Westfalen, finanzia il primo impegnativo corso di formazione della durata di quattro mesi.
Ma anche altre reti di cooperazione e pace, di area religiosa e laica, si muovono nella stessa direzione.
E' la nuova coalizione rosso-verde, al governo dal 1998, a riconoscere per la prima volta, negli accordi di programma, che "per il consolidamento della pace nelle zone di crisi e' di fondamentale importanza la collaborazione con le organizzazioni non governative, per cui si rende necessaria la creazione di una infrastruttura per la prevenzione e per l'elaborazione dei conflitti".
Viene messa in cantiere e approvata una legge sul "Servizio civile di pace" che cosi' definisce le caratteristiche essenziali del servizio:
a) ha il compito di inviare professionisti in luoghi di crisi, sia all'interno che all'estero, con il sostegno dello Stato ma con delega operativa affidata ad organizzazioni non governative;
b) si rivolge a donne e uomini, con eta' superiore ai 28 anni, che abbiano concluso il ciclo di studi o di formazione al lavoro, e possano quindi apportare le loro specifiche esperienze di vita e capacita' professionali;
c) i partecipanti al corso di formazione sono chiamati a contribuire con una quota d'iscrizione che copre circa un quarto dei costi (attualmente 2.750 euro);
d) dopo l'ammissione al servizio, gli aspiranti vengono destinati ad una sede, sulla base di un programma concordato, e ricevono un contratto di lavoro retribuito per almeno 24 mesi, un'assicurazione sociale, un contributo per il reinserimento al loro rientro;
e) per l'elaborazione e la gestione del "Piano di Servizio di pace", da concordare non con il ministero degli Esteri ma con quello alla Cooperazione e dello sviluppo e' stato costituito un consorzio tra 8 reti di ong e di federazioni che raccolgono movimenti di pace sia di area religiosa che laica.
Tra i compiti elencati per i volontari Zfd ci sono:
- rafforzamento delle potenzialita' di partner locali a lavorare per la pace in luoghi di conflitto;
- mediazione tra autorita' locali, portatori d'interessi, rappresentanti di gruppi etnici e religiosi;
- monitoraggio e promozione dei diritti umani e della democrazia per affermare lo stato di diritto;
- reintegrazione e riabilitazione del gruppi particolarmente colpiti da fatti violenti;
- contributo alla riconciliazione e alla ricostruzione delle strutture civili a livello territoriale.
Vale la pena di andare sul sito del Ministero della cooperazione e lo sviluppo della Repubblica federale di Germania (con le sezioni dedicate alla promozione della pace, prevenzione delle crisi, elaborazione dei conflitti, riforma della sicurezza, bambini in armi, ricostruzione delle istituzioni, servizio civile appunto) per scoprire quanto fruttuosa sia stata in Germania l'integrazione tra volonta' politica e iniziativa coordinata del volontariato organizzato. Traspare perlomeno una comunanza di linguaggi e una esplicita assunzione di responsabilita' locale e globale.
Per il funzionamento del Servizio il governo federale ha messo a disposizione 14,5 milioni di euro nel 2006, saliti a 17 nel 2007, al quale si aggiungono fondi ottenuti dall'Ue, con l'obiettivo di raggiungere nel 2010 una presenza sul campo di 500 volontari, contro i 130 attuali, con progetti realizzati in Serbia, Croazia, Kosovo, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Israele/Palestina, Uganda, Mozambico, Kenia, Sierra Leone, Nigeria, Angola, Colombia, El Salvador, Timor Est, Sri Lanka, e, da ultimo, nelle Filippine.
Dalla primavera 2007 anche il Forum Zfd e' stato parificato giuridicamente alle oltre Ong, con la possibilita' quindi di realizzare direttamente i progetti per i quali ha formato i volontari.
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Il Servizio Civile di Pace in Austria
L'Austria e' stata il primo paese, nel 1992, a reagire alla sollecitazione dell'allora segretario dell'Onu Boutros Ghali, di istituire Centri per la formazione di personale specialistico civile per gli interventi delle organizzazioni internazionali.
L'"International Civilian Peace-keeping and Peace-building Training Program" (Ipt) venne sviluppato, su incarico del governo, dall'Oesterreichische Institut fur Friedensforschung (Austrian Study Center for Peace and Conflict Resolution - Aspr), un Centro di ricerca della pace che si era formato dieci anni prima in uno splendido castello a Stadt Schlaining, come istituto indipendente, con una sezione dedicata alla formazione di personale specializzato nella risoluzione di conflitti.
Da allora l'Aspr ha assunto un ruolo di rilievo crescente nella formazione di esperti, nell'elaborazione di modelli operativi, nel supporto alla trattativa avviata con il Parlamento e l'Unione europea per il riconoscimento istituzionale degli Ecpc.
In corsi della durata di quattro settimane (due per le nozioni di base e due per sezioni specialistiche), circa 80 persone acquisiscono ogni anno un titolo professionale che si e' fatto apprezzare dagli organismi internazionali.
Nel 2001 la Commissione Europea affida all'Aspr la realizzazione del "Project on Training for Civilian Aspects of Crisis Management". Nell'ambito di questo progetto, al quale hanno partecipato 13 istituti di ricerca e formazione europei (tra questi la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa), sono stati sviluppati nuovi approcci, curricula e metodi formativi nell'ambito dei principali settori dell'elaborazione civile dei conflitti. La formazione per il monitoraggio elettorale e l'aiuto umanitario e' stata realizzata all'interno di altri progetti dell'Ue.
Sull'onda di quest'esperienza esemplare anche in Austria si e' avviato il percorso per l'istituzione e il riconoscimento di un Servizio civile di Pace (Oesterreichische Friedensdiente - Ofd). Il Servizio e' stato promosso nel 1991 da una rete di associazioni che, con il sostegno dell'Agenzia austriaca per lo sviluppo Adp, aveva formato e accompagnato dal 1993 al 2004 circa 120 volontari in missioni all'estero, della durata di 12-14 mesi, soprattutto nelle regioni dell'ex-Jugoslavia con le quali l'Austria ha storicamente piu' intense relazioni.
In seguito all'interruzione dei finanziamenti decisi dal governo nel 2004, le associazioni promotrici del Servizio si sono date una nuova struttura basata soprattutto sull'esperienza maturata da ex-volontari formatisi nei primi corsi e tornati dal periodo di lavoro all'estero. Il confronto, non ancora concluso, e' stato riavviato su nuove basi con il Governo e la sua Agenzia per lo sviluppo, per la realizzazione di un Servizio simile a quello istituito in Germania federale.
Poiche' oggi l'Agenzia riconosce solo enti che sono in grado di formare e inviare in missione almeno 25 volontari ogni anno, le associazioni promotrici si vanno consorziando per raggiungere lo standard richiesto.
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Una lobby europea per i Corpi Civili di Pace
Come abbiamo visto, dalla Germania e dall'Austria e piu' in generale da paesi nordici, e' venuta la spinta decisiva per un collegamento in rete delle esperienze che si sentono di condividere la necessita' di un riconoscimento anche istituzionale di un Ecpc.
Nasce cosi' nel 1999 lo "European Network for Civil Peace Services - En.Cps", una rete di organizzazioni che sentono la necessita' di valorizzare l'intervento civile nei conflitti e piu' in generale la costruzione della pace con mezzi civili. Vi aderiscono attualmente 18 network e associazioni, di diversa consistenza, appartenenti a 14 paesi europei. Alla rete non aderiscono le organizzazioni italiane che fanno riferimento alla Chiesa e privilegiano l'autonomia della loro presenza internazionale, anche se non disdegnano il sostegno pubblico dello Stato.
Su impulso di organizzazioni locali, altri parlamenti e governi nazionali hanno avviato progetti di riconoscimento di un Servizio Civile, anche se denominato in modi diversi.
In Francia una legge del 31 marzo 2006, che istituisce il servizio civile, consente di svolgerlo anche all'estero sia presso Ong riconosciute che presso le proprie amministrazioni, a partire dai 18 anni di eta', per periodi non inferiori ai 2 anni e con un massimo di 6, con compensi mensili che vanno dai 1100 ai 2900 euro.
Anche il governo cantonale svizzero consente di svolgere all'estero, in forma totalmente volontaria, un servizio alternativo a quello militare, pero' poco utilizzato dagli obiettori di coscienza per la laboriosita' delle procedure.
Anche il governo rumeno e quello regionale della Catalogna, la Svezia e la Danimarca hanno elaborato piani d'azione e progetti di formazione sulla prevenzione dei conflitti, cooperando con associazioni civili.
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Il percorso del riconoscimento europeo degli Ecpc
Nel 2001 En.Cps fonda con altre reti lo "European Peacebuilding Liaison Office - Eplo", un ufficio di collegamento con i diversi partner europei che ha fatto compiere un salto di qualita' alla rete e alle decisioni della Commissione.
Nella cornice della crisi riesplosa in Kosovo, il Parlamento europeo approva il 10 febbraio 1999 una raccomandazione elaborata da Per Gahrton, parlamentare verde, a nome della Commissione per gli affari esteri, la sicurezza e la politica di difesa, in cui si chiede tra l'altro al Consiglio:
1. di elaborare uno studio di fattibilita', piu' forte ed efficace, sulla possibilita' di istituire un Cpce nell'ambito di una Politica estera e di sicurezza comune;
2. di vagliare la possibilita' di approvare concreti provvedimenti generatori di pace finalizzati alla mediazione ed alla promozione della fiducia fra i belligeranti, all'assistenza umanitaria, alla reintegrazione (specie tramite il disarmo e la smobilitazione), alla riabilitazione nonche' alla ricostruzione unitamente al controllo ed al miglioramento della situazione dei diritti umani;
3. di attivare una struttura minima e flessibile, al solo fine di censire e mobilitare sia le risorse delle Ong, sia quelle messe a disposizione degli Stati, e di concorrere, eventualmente, al loro coordinamento;
Dopo un'analoga risoluzione presentata da un altro parlamentare verde, Joost Lagendijk il 13 dicembre 2001, uno studio di fattibilita' viene finalmente realizzato sia dallo stesso Parlamento, nel 2004, che dalla Commissione nel 2005.
S'incomincia ad intravedere almeno la volonta' di passare dal cielo degli "auspici"ai primi atti concreti.
Gli studi confermano la validita' dell'originale intuizione e impostazione voluta da Alexander Langer e dal Parlamento Europeo a conferma dell'idea che gli Ecpc possono effettivamente essere uno strumento valido, flessibile ed efficace, di risposta alle situazioni di crisi. E che possono costituire un supporto allo sviluppo di una societa' civile europea attiva nel campo della pace e della gestione dei conflitti.
Lo studio suggerisce di mettere in moto un numero limitato di progetti pilota affidati a poche centinaia di professionisti, di inserire nei team anche personale qualificato locale, di considerare validi sia gli standard formativi elaborati nell'ambito del programma "International Civilian Peace-keeping and Peace-building Training" (Ipt) coordinato dall'Aspr austriaco, sia i data base gia' attivati, in particolare quelli realizzati dal Zif di Berlino e dal Peaceworker Register inglese. Propone di formare un piccolo team, direttamente collegato alla Commissione, di decentrare invece il reclutamento su base nazionale o regionale, di strutturare un partnerariato solido con la rete di ong o le agenzie che si sono formate sul campo.
I compiti individuati non si allontano da quelli da tempo proposti dalle reti piu' attive e dal Servizio civile di Pace istituito in Germania Federale:
- Monitoraggio dei diritti umani in zone di conflitto, compresi i diritti delle donne, la situazione dei bambini e il rischio di un loro forzato arruolamento, le condizioni dei rifugiati e degli internati in campi profughi;
- La mediazione locale, con lavoro a livello di base con le autorita' locali e tradizionali, gruppi di donne, leader religiosi, per contribuire al ristabilimento del dialogo, compresa la lotta all'esclusione, alla poverta' e alla discriminazione;
- La capacita' di prevenzione e trasformazione i conflitti, formando ad una diffusione dei saperi legati ai diritti umani, natura dei conflitti, ruolo della legge, accesso alla giustizia.
Durante il semestre di presidenza germanica dell'Unione Europea del 2007, si svolge a Berlino tra il 20 e 21 giugno un importante convegno, preceduto da un seminario preparatorio a Bruxelles il 28 e 29 marzo, dal titolo "Partner in Konfliktpraevention und Krisenmanagement - Zusammenarbeit von Eu e Nros" (Partnerariati nel campo della prevenzione e nella gestione di crisi, collaborazione tra Ong e Unione Europea), organizzato da Eplo, dalla Fondazione privata Bertelsmann e da Crisis Management Initiative - Cmi, un'associazione finlandese no-profit fondata nel 2000 da Martti Ahtisaari. Il convegno presentava una ricerca condotta nell'ottobre 2006 dalle stesse organizzazioni e dal Ministero degli esteri tedesco, sul come migliorare il rapporto tra Ue e le Ong europee, nella ricerca di soluzioni a conflitti violenti, partendo da due casi di studio, la Somalia e la Repubblica del Congo.
Tra le provvisorie conclusioni del convegno, inoltre, si suggeriva alle Ong e all'Ue di elaborare un punto di vista comune e coerente sull'impegnativo legame che esiste tra politica estera, di cooperazione, sicurezza e consolidamento della pace, nonche' sui rispettivi ruoli. Di mettere inoltre particolare impegno per favorire la massima assunzione di responsabilita' diretta da parte dei partner locali nella costruzione di istituzioni pubbliche autorevoli e democratiche.
Finalmente nel documento finanziario per il 2007-2013 approvato dalla Commissione, vengono messi a disposizione nel 2008, all'interno del cosiddetto "stability-instrument", circa 150 milioni di euro l'anno per il "crisismanagement civile", anche se destinati prevalentemente alla formazione di personale pubblico, di polizia e addetto alla giustizia. Per la "Peacebuilding Partnership", che riguarda specificamente attori non statali come sindacati, chiese, reti di donne ecc, sono stati destinati 7 milioni di euro all'anno e di questi 2 milioni per progetti gestiti direttamente da Ong riconosciute.
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Pensare localmente, agire globalmente
L'esperienza autonomistica che abbiamo maturato in Alto Adige-Suedtirol dagli anni '70 e' partita da condizioni speciali, costituzionalmente protette, cioe' la presenza di tre gruppi linguistici che si sentono garantiti solo da un alto livello di autogoverno territoriale. E' venuta da qui la spinta ad affrontare questioni apparentemente generali, anche di portata internazionale, con il massimo di riflessione e di utilizzo delle risorse locali. Alexander Langer e' stato un maestro in questo, tanto da far ritenere che avesse voluto invertire il paradigma piu' conosciuto del mondo ambientalista: dal "pensare globalmente e agire localmente" a quello del "pensare localmente e agire globalmente". Sta qui anche l'essenza del federalismo, come una possibilita' di affrontare la perdita di punti di riferimento provocati dalla globalizzazione e dal trasferimento di molte competenze statali a organismi sopranazionali, con il rafforzamento congiunto di istituzioni locali e regionali, da un lato, e sopranazionali, dall'altro, in modo che possano essere tra loro coordinate e interdipendenti, sviluppando cioe' la capacita' di cogliere i cambiamenti in corso nel grande mondo con il massimo di utilizzo di risorse locali.
1. Srebrenica: un luogo da adottare
La Fondazione Alexander Langer Stiftung ha preso avvio a Bolzano nel luglio 1999, lacerata anche al suo interno da cio' che accadeva nel vicino Kosovo. Il premio internazionale della Fondazione era andato a Ding Zilin e Jang Peikun, madre e padre di un ragazzo ucciso il 4 giugno di dieci anni prima in piazza Tienanmen. Ma la principale sessione dell'incontro fu dedicata a quel "Mai piu' guerra, mai piu' Auschwitz", che indicava la difficolta' di tenere insieme due convinzioni forse inconciliabili. All'incontro avevano preso parte tra gli altri Vjosa Dobruna, profuga kosovara, la redattrice di Radio B92 di Belgrado Lidija Popovic, la macedone Teuta Arifi, l'algerina Khalida Messaoudi e la ruandese Yolande Mukagasana.
Sembro' naturale che l'anno dopo, nel 2000, il premio andasse a due donne straordinarie che non avevano cessato di lottare insieme durante quell'ultima guerra balcanica: Vjosa Dobruna appunto, insieme a Natasa Kandic, fondatrice a Belgrado dello Humanitarian Law Center.
E' venuta Roberta Biagiarelli a presentarci il suo neonato monologo teatrale "A come Srebrenica". E poi dalla Bosnia Erzegovina, per aiutarci a capire, una numerosa delegazione composta da Zlatko Dizdarevic, Konstantin Jovanovic, Marko Vesovic, Vehid Sehic, Irfanka Pasagic. Una sessione dell'incontro fu dedicata alla presentazione dei Corpi civili europei di pace, tornati d'attualita' e fatti proprio in quei giorni dal Parlamento Europeo, con interventi degli europarlamentari Renzo Imbeni e Gianni Tamino, di alcuni studiosi della nonviolenza come Jean-Marie Muller, Sam Biesemans, Nanni Salio, ma anche del colonnello Vincenzo Cardo, del IV Corpo d'Armata alpino di Bolzano.
Dopo un seminario su "Difesa civile e Difesa militare" organizzato il 14 e 15 marzo 2002, l'annuale incontro Euromediterraneo della Fondazione, fu dedicato nel 2003 a "Guerra e Pace". Il tema dei Corpi civili di pace fu oggetto in quell'occasione di una settimana di approfondimento dentro la prima Scuola estiva internazionale.
Con l'assegnazione del premio Alexander Langer 2005 a Irfanka Pasagic, originaria di Srebrenica, direttrice dell'Associazione Tuzlanska Amica, l'attenzione si e' trasformata nella decisione di adottare quella citta' cosi' carica di dolore e cosi' bisognosa di riscatto. Da allora la Fondazione ha promosso ogni anno la partecipazione alla solenne cerimonia annuale di seppellimento delle vittime del genocidio iniziato l'11 luglio 1995. Una piccola rete di volontari ha cominciato ad incontrarsi, dalla Bosnia Erzegovina, dalla Serbia e dal Kosovo, per spezzare il cerchio dell'odio e della contrapposizione etnica. E' cresciuta la prospettiva di mettere in moto la nascita di un Centro internazionale a Srebrenica, ad opera di Tuzlanska Amica e di un gruppo di volontari locali tra loro ben integrati che si sono trovati piu' volte anche in Italia, da ultimo nel maggio 2008 a Bolzano, con altri gruppi misti di Bratunac, Prijedor, Peja-Pec in Kosovo e Kralijevo in Serbia scoprendo comuni orizzonti e aspirazioni. Cosi' l'ultima settimana di agosto del 2007 ha visto la citta' animata dalla presenza di numerosi ospiti internazionali, riuniti nell'ambito della prima Settimana Internazionale della Memoria, desiderosi di ascoltare la voce della citta' e di contribuire alla sua rinascita intellettuale e sociale; un'esperienza che si e' ripetuta nel 2008, con la partecipazione di oltre 150 tra relatori, artisti, volontari locali e internazionali.
Ecco quindi un luogo (ma ce ne sono purtroppo molti altri), dove la prospettiva di una presenza internazionale di lungo periodo ha un senso e deve essere sottratta al "mordi e fuggi" di certe priorita' emergenziali. Un luogo dove vanno ancora create le condizioni che consentano il ritorno dei profughi, dove poter mettere in discussione l'impostazione separatista degli accordi di Dayton del 1995, dove l'efficacia del Tribunale penale internazionale e' spietatamente verificata e va accompagnato ad un impegno, appena avviato, di riconoscimento delle vittime, per la cura dei traumi, il lento ristabilimento di un clima di fiducia, premessa di una possibile futura riconciliazione.
2. Professione operatore di pace - mediatore di conflitti
Nel 2002, responsabili politici e amministrativi della sezione italiana della Formazione Professionale di Bolzano, che avevano partecipato al seminario promosso dalla Fondazione su "difesa civile e difesa militare", decidono di utilizzare la loro competenza primaria in materia, per istituire un primo corso per "Operatori e operatrici di pace", finanziato con il Fondo sociale europeo, avviato nell'autunno del 2003.
Il corso professionale, partito inizialmente da un'analoga esperienza realizzata a Roma dal Csdc, e' giunto ora alla sua quarta edizione ed e' riconosciuto come Master di I livello dall'Universita' di Bologna. Rilascia cioe' sia il titolo accademico che quello di qualifica professionale, rimanendo aperto ad uditori non laureati.
Prevede 1500 ore di attivita', delle quali 360 di aula e 300 di stage, strutturato in modo da consentire, anzi favorire, la presenza di adulti gia' inseriti in ambienti di lavoro, e di mettere in relazione le competenze per intervenire a livello internazionale, con quelle del livello locale. Per questo il corso/master copre un ampio spettro di competenze teorico-pratiche, dalla trasformazione dei conflitti sul territorio, l'aiuto umanitario e allo sviluppo, il peacebuilding e il peacekeeping, con elementi di diritto internazionale e di tutela delle minoranze.
Alla progettazione del corso e alla sua realizzazione partecipano, insieme alla Fondazione, diverse istituzioni e associazioni tra le quali Csdc, Fields, Ucodep, Eurac. Il Corpo d'Armata Alpino contribuisce con momenti di formazione teorica e con l'esercitazione Wild Horse che viene realizzata nel campo di addestramento di San Giorgio di Brunico.
E' questo forse il motivo - detto per inciso - per il quale nello studio citato di Andrea Valdambrini, il corso viene elencato tra quelli "ambigui", di dubbia affidabilita', visto che avrebbe evitato una preliminare scelta di campo tra approccio militare e approccio civile.
Contemporaneamente la Provincia di Bolzano ha realizzato dal 2006 un progetto interregionale di ricerca su "Interventi finalizzati alla qualificazione delle competenze e delle figure professionali Area umanitaria: Operatore di pace e mediatore interculturale", con il coinvolgimento delle Regioni Campania, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Sardegna. La ricerca e' ora disponibile in una pubblicazione curata da Tecnostruttura per Franco Angeli editore, 2006. E' stata presentata nel corso di un convegno internazionale a Bolzano il 28 settembre 2006, del quale sono disponibili gli atti, curati da Giulia Allegrini, nelle edizioni Praxis 3, Bolzano 2006.
Le stesse Regioni, con la Provincia Autonoma di Bolzano, l'Universita' di Bologna, la Fondazione Langer e la rete italiana Ipri-Ccp, hanno promosso dal 29 novembre al primo dicembre 2007 a Bolzano e Bologna tre "Giornate di studio e iniziativa su interventi e corpi civili di pace", con relazioni di alcuni dei piu' qualificati esperti internazionali in materia.
Molto rimane da fare, ma il riconoscimento giuridico di questa nuova area professionale puo' anche venire dall'impegno delle Regioni, interessate a dare validita' almeno europea, ai titoli di qualifica professionale e di studio universitario rilasciati ai termini dei numerosi corsi avviati.
3. Servizio civile all'estero: giovani e adulti
Con legge 19 ottobre 2004 Nr. 7 la Provincia Autonoma di Bolzano ha approvato nuove "disposizioni per la valorizzazione del servizio civile volontario", in cui la "valorizzazione" consiste in un allargamento agli adulti della possibilita' di effettuare un servizio volontario, definito "sociale", per una durata dagli 8 ai 24 mesi, in diversi ambiti, comprendendo tra questi anche "forme alternative di interventi nonviolenti da attuare in situazioni di crisi".
La Corte Costituzionale si e' pronunciata il 28 novembre 2005 su alcune questioni di illegittimita' sollevate dal governo, che non hanno pero' investito questo aspetto, confermando cosi' l'esistenza di uno spazio, tutto da esplorare, sulla possibilita' di legare il Servizio civile all'estero riservato ai giovani di eta' inferiore ai 28 anni, con quello di adulti che portano con se' un patrimonio di cultura e di esperienza professionale.
Nel regolamento di attuazione della legge, la Provincia di Bolzano ha per ora scelto di limitare provvisoriamente l'ambito di applicazione della legge ai soli settori della lungodegenza, assistenza agli anziani e a persone affette da malattie fisiche e psichiche, ma cio' nulla toglie alla prospettiva piu' generale.
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Conclusioni
Se si dovesse mettere mano ad una riforma del Servizio civile all'estero, da questa sommaria carrellata di esperienze nazionali, regionali e internazionali possono forse emergere alcuni elementi utili ad un suo inserimento in un contesto piu' ampio, che lo sottragga dal rischio di essere una - seppur a volte utile - semplice avventura esistenziale.
Tra queste suggerirei di considerare:
1. Il Servizio civile di Pace per adulti come si e' andato strutturando in Germania, per la sua sinergia con la politica estera e di cooperazione del paese, il rapporto collaborativo con le principali reti associative che garantiscono sia il radicamento nel proprio territorio che presenze di lungo periodo in alcuni significativi luoghi, l'impegnativo percorso formativo, la durata almeno biennale del servizio ben delineata dal punto di vista contrattuale. Il Servizio civile all'estero riservato ai giovani beneficerebbe in questo caso della possibilita' di essere parte di un intervento strutturato e inserito in uno staff collaudato.
2. Gli elementi delineati dalla Commissione con l'avvio dei Corpi civili europei di pace, come parte innovativa delle politiche di prevenzione e di gestione dei conflitti, che mutuano l'esperienza accumulata da tempo nel campo della Protezione civile: un ristretto staff professionale, l'apporto organizzato e temporaneo di un volontariato ben qualificato e addestrato, la collaborazione delle Regioni con le loro infrastrutture specializzate, e quella con l'esercito nei casi di estrema emergenza.
3. La sinergia tra titoli di studio e di qualifica rilasciati da Universita' e Regioni con quelli di Istituti specializzati che possano valutare in modo indipendente e autorevole le qualita' delle esperienze professionali e formative acquisite, da inserire in apposito albo.
Il Servizio civile all'estero potrebbe cosi' diventare uno dei passaggi, il primo generalmente, verso una professione di cui si sente estremo bisogno.
3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
4. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 364 del 4 novembre 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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