Telegrammi. 362



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 362 del 2 novembre 2010

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Movimento Nonviolento: Si e' concluso il congresso di Brescia

2. Lorenzo Porta: La questione educativa

3. Anwarul K. Chowdhury: Le promesse fatte alle donne devono essere mantenute

4. David Grossman: Voglio parlare della pace

5. Si e' svolto il 31 ottobre a Viterbo un incontro di formazione nonviolenta

6. Per sostenere il Movimento Nonviolento

7. "Azione nonviolenta"

8. Segnalazioni librarie

9. La "Carta" del Movimento Nonviolento

10. Per saperne di piu'

 

1. INCONTRI. MOVIMENTO NONVIOLENTO: SI E' CONCLUSO IL CONGRESSO DI BRESCIA

[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) riceviamo e volentieri diffondiamo]

 

Si e' concluso il XXIII congresso del Movimento Nonviolento, che ha registrato una consistente partecipazione di amiche e amici della nonviolenza, aderenti e simpatizzanti. Sono state quattro giornate di intensi lavori, terminate con l'approvazione delle mozioni e l'elezione degli organismi di rappresentanza e di servizio. Le mozioni emerse dalle sei commissioni di lavoro, approvate con larghissimo consenso, indicano gli impegni e l'orientamento per i prossimi tre anni di attivita' del Movimento. Saranno diffuse nei prossimi giorni e pubblicate integralmente nel numero di dicembre di "Azione nonviolenta".

Il lavoro in assemblea plenaria e nelle commissioni si e' alternato a tre momenti particolarmente significativi, parte integrante del congresso:

- il dibattito e pubblico confronto su "Brescia, citta' aperta" che e' entrato nel vivo della cronaca cittadina, che ha visto una manifestazione di migranti, ai quali e' giunta la solidarieta' del Movimento Nonviolento;

- la serata di teatro, come laboratorio di forme espressive della nonviolenza;

- la proiezione di tre video particolarmente significativi e coinvolgenti: una comunicazione di Alex Langer sulla convivenza fra culture (registrato ad Assisi il 31 dicembre 1994); la cronaca dei funerali delle vittime della strage fascista di Piazza della Loggia (1974); le interviste realizzate per la redazione del libro "Avamposto nella Calabria dei giornalisti infami", come esempi di resistenza nonviolenta alle mafie.

Anche le pause per pranzo e cena sono state vissute come momenti di convivialita' che hanno dato la possibilita' ai congressisti di conoscersi meglio e stringere amicizie.

A lato del congresso, negli accoglienti spazi del Centro missionario saveriano, si potevano consultare due mostre: quella sui bozzetti realizzati dagli studenti del liceo artistico di Brescia per realizzare il poster del congresso, e quella storica con i manifesti sul "4 novembre, non festa ma lutto", stampati dal Movimento Nonviolento dal 1968 in poi.

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Mozione politica generale

Il XXIII congresso nazionale del Movimento Nonviolento riunito a Brescia nei giorni 29, 30, 31 ottobre e primo novembre 2010, al termine di lavori articolati in commissioni e sedute tematiche e plenarie:

- esprime adesione alle linee generali di analisi e di programma esposte nella relazione introduttiva del presidente;

- assume gli impegni risultanti dai lavori delle commissioni come approvati dall'assemblea;

- ribadisce la necessita' dell'apporto dei pensieri e delle pratiche della nonviolenza, esercizio competente del potere di tutti e di ciascuno, per affrontare la grave crisi della politica e delle stesse strutture della democrazia rappresentativa;

- indica nella diffusione e approfondimento del lavoro dei Centri del Movimento Nonviolento e dei singoli aderenti, nel loro collegamento a livello regionale, nel loro coordinamento affidato al comitato nazionale, nella costante apertura, proposta e pratica di collaborazione ai movimenti o realta' diffuse che alla nonviolenza si ispirano, la condizione necessaria perche' l'aggiunta della nonviolenza, per creare un futuro amico di citta' aperte, sia convinta e convincente.

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Organi eletti

Direttivo: Mao Valpiana (presidente), Elena Buccoliero, Piercarlo Racca, Pasquale Pugliese, Raffaella Mendolia.

Comitato di coordinamento: Adriano Moratto, Marco Baleani, Sergio Albesano, Caterina Del Torto, Massimiliano Pilati, Caterina Bianciardi, Rocco Pompeo, Alberto Trevisan.

 

2. XXIII CONGRESSO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO. LORENZO PORTA: LA QUESTIONE EDUCATIVA

[Ringraziamo Lorenzo Porta (per contatti: porta.l at email.it) per averci messo a disposizione questo suo contributo scritto al XXIII congresso del Movimento Nonviolento svoltosi a Brescia tra il 29 ottobre e il primo novembre 2010.

Lorenzo Porta ha vissuto l'intera esperienza di resistenza alla nuclearizzazione militare a Comiso (Sicilia) per una parte degli anni  '80 dove ha cercato di far convivere in un lavoro collettivo la resistenza ai missili nucleari a medio raggio, poi ritirati dal territorio europeo, ad un  progetto costruttivo di attivita' ecologica nei terreni circostanti la base missilistica. Incarcerato nel carcere militare di Palermo per diserzione perche' autotraferitosi da Milano a Comiso durante il servizio civile, che allora era sotto la giurisdizione militare. Scarcerato (1983) grazie alla solidarieta' internazionale e congedato dopo pochi mesi senza processo. Per diversi anni docente a contratto di Metodologia della ricerca sociale, Sociologia dell'educazione alla pace e Maieutica reciproca e ricerca-azione per la pace presso l'Universita' di Firenze. Dottore di ricerca in Qualita' della formazione presso la stessa Universita'. E' docente di ruolo nelle scuole superiori statali di filosofia, psicologia e scienze sociali. Ha pubblicato libri e saggi su tematiche diverse con riferimento alla realta' giovanile, alla prevenzione dei conflitti armati, alla tematica del pregiudizio antisemitico e al rapporto tra legalita' e partecipazione sociale. E' presidente dell'associazione Cedas (Centro di documentazione sociale, sito: www.cedasnonviolenza.it). Collabora con le associazioni che nel Medio Oriente promuovono i diritti umani, la conoscenza interculturale, la laicita' contro i pregiudizi. Socio attivo per molti anni degli Amici italiani di Neve' Shalom - Wahat al-Salam (villaggio ebraico-palestinese in Israele) collabora con la rivista italiana "Keshet" e con "Peace Power" (Berkeley Ca), "Azione nonviolenta", i "Quaderni della Fondazione Balducci" dove sono comparsi suoi scritti su don Milani e Danilo Dolci. Ultimo libro: Legalita' e partecipazione. Itinerari formativi tra docenti, studenti e detenuti per la legalita' e la Costituzione, a cura di Lorenzo Porta, A. M. Bracciante e Silvia Fossati, Zella, Firenze 2009. Si veda la risposta all'ultima domanda dell'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 355]

 

Saluto Mao Valpiana e tutto il congresso del Movimento nonviolento... Mi trovo nell'impossibilita' di partecipare, come invece era mia intenzione,  per ragioni di salute e familiari.

Intanto constato con piacere che la prima commissione sia dedicata all'istruzione e piu' in generale alla questione educativa.

Come avevo gia' scritto in questi anni in documenti pubblicati sui siti dei  movimenti e dell'Onda studentesca del 2008-2009 e, prima ancora, nella lettera aperta al Movimento Nonviolento che inviai nel precedente congresso, l'istruzione dalle primarie fino alle superiori sta subendo l'attacco annunciato e ratificato due anni e mezzo fa. Sono state falciate circa 45.000 persone tra docenti e personale ausiliario. Le strutture sono obsolete, quando non pericolose e a rischio per docenti e studenti. Gli alunni per classe sono aumentati e i tagli sono stati operati anche nell'ambito del sostegno ai disabili, che come e' noto costituisce un punto d'onore della scuola italiana rispetto a diversi sistemi scolastici europei (Francia e Germania). Presso di noi permane l'anomalia dell'immissione in ruolo di 25.000 insegnanti di religione, tra cui ci sono anche persone preparate e di valore, ma che sono a carico dello Stato con criterio di nomina vescovile. Inoltre il taglio e' evidente anche sui progetti lingua 2 per gli immigrati e sulle nomine  per l'ora alternativa alla religione cattolica, che devono essere fatte, ma tutto procede a rilento. In questa situazione anche di blocco degli scatti stipendiali e di denigrazione di lungo corso della scuola pubblica traggono vantaggio le scuole private paritarie, in Italia a grande maggioranza cattoliche, che ricevono finanziamenti pubblici, in opposizione al dettato costituzionale, dispensano punteggi pieni per gli insegnanti che poi compiono il salto nella scuola pubblica, non si adeguano a criteri di reclutamento su basi oggettive, ma si basano sulla discrezionalita' dei loro direttori. Le responsabilita' in questo senso sono piu' dei governi di centrodestra, ma anche Prodi e prima D'Alema hanno fatto concessioni che hanno forzato il dettato costituzionale.

Se in Germania si punta ad investire risorse nell'istruzione e nella ricerca, se nonostante le ingerenze del mercato privato nell'organizzazione della scuola pubblica in Francia ci sono resistenze forti e organizzate come abbiamo visto, non solo in questi giorni, nel nostro paese c'e' veramente bisogno di rafforzare i collegamenti internazionale per far risaltare le migliori lotte di resistenza e di proposta contro lo smantellamento del bene comune dell'istruzione, contro il branding dell'istruzione, come lo chiama Naomi Klein gia' nel libro No Logo. Gli stati nazionali, le banche centrali dell'Occidente hanno messo in campo un'operazione concertata per miliardi di euro in questi anni di dura recessione per salvare le cosidette banche "sistemiche" con il danaro pubblico: per salvare cioe' chi aveva provocato tale crisi che dal settore finanziario ha investito l'economia reale: questa operazione e' la smentita piu' chiara dell'ideologia neoliberista che si dice fondata sulla deregolamentazione del mercato, merci e persone comprese.

Chiedo al Movimento Nonviolento: perche' non promuovere accanto alle azioni di resistenza anche iniziative che mettano in evidenza le progettualita' migliori che procedono nonostante la crisi? Lavori e ricerche svolte nei momenti di autogestione studentesca e nelle progettualita' curricolari su tematiche rilevanti come la giustizia, la legalita' e la partecipazione; qualita' dello studio, lavoro giovanile precluso (vedi il libro di Massimo Livi Bacci, Avanti giovani alla riscossa, Il Mulino 2008); progettualita' concrete di storno delle spese per sistemi d'arma e missioni estere anticostituzionali verso l'incremento dell'istruzione e della ricerca per delegittimare in modo concreto e creativo il militarismo, cemento del pensiero unico neoliberista. Si crei una rete di collegamento informativo che ci permetta di operare e di diffondere quanto facciamo per una scuola critica. Un lavoro da svolgere assieme a scuole, associazioni, collettivi, istituzioni disponibili.

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Universita': grave crisi corruttiva. Alcuni corsi di laurea per la pace

Il settore pubblico e' ancillare rispetto alla capitalizzazione del settore privato. Lo vediamo nella grave crisi universitaria nel nostro paese, che merita una riflessione specifica. I migliori alleati di chi vuole liquidare il bene pubblico di istruzione e ricerca sono coloro che negli Atenei pubblici per anni hanno sarchiato il terreno fino a trasformare quegli spazi pubblici in squallidi cortili di casa, a scapito di docenti che hanno cercato e che cercano di lavorare bene, talvolta nell'oscurita' mediatica e senza necessari sostegni.   Il posto pubblico garantito senza periodiche verifiche di efficienza, i reclutamenti truccati, l'uso dell'Universita' a fini privati ed illeciti   ha giovato all'espansione di affari privati ed ha svilito e svuotato il settore pubblico (buchi di bilancio notevolissimi). Gli atenei per anni hanno operato ed operano sulle spalle di migliaia di precari, che costituiscono una parte di quel piu' vasto fenomeno del precariato che un sociologo, che studia davvero, come Luciano Gallino ha quantificato in Italia nell'ordine degli 11 milioni di persone, tra cui figurano diversi immigrati, non gli irregolari, perche' " inesistenti" e solo statisticamente "stimabili", ma anch'essi altamente produttivi (vedi di Luciano Gallino, Il  lavoro non e' una merce, Laterza 2008, e scritti piu' recenti su quotidiani e riviste).

Le pratiche corruttive, clientelari e nepotistiche all'universita' trovano riscontro in documentate ricerche, il blocco della mobilita' sociale ascendente nella societa' italiana e' un fatto riconosciuto anche da settori assennati del mondo confindustriale e l'attuale sistema universitario pubblico contribuisce a realizzare questo pernicioso risultato (vedi sito www.lavoce.it, anni 2007-2008 e seguenti). Ho personalmente constatato che financo nei Corsi di laurea come quello di Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti a Firenze nei recentissimi anni, come ho gia' scritto in precedenti occasioni, si sono verificate pratiche corruttive. Per quanto riguarda Firenze ho prodotto personalmente accurata e puntuale documentazione di illeciti nel Corso di laurea succitato tra il 2006 e il 2008, consistenti in verbali inventati, volti a favorire soggetti nella carriera, in barba alle regole. Ben due rettori d'Ateneo  sono stati resi edotti, con documentazione agli atti, su quanto avveniva. Per questa elementare, ma difficile ed aspra azione di trasparenza sono stato allontanato dall'insegnamento a contratto che svolgevo da anni anche dopo aver conseguito un dottorato di ricerca e con giudizio eccellente ed aver prodotto un congruo numero di pubblicazioni.

E' con vivo rammarico che ho constatato un tiepido appoggio e financo un'assenza di prese di posizioni efficaci per bloccare la deriva di trasparenza, legalita' e democrazia. E con altrettanto disappunto ho constatato che, quando ancora prima dell'esplosione dell'Onda studentesca nell'autunno 2008  in un numero sparuto di docenti a contratto protestavamo, nel febbraio-marzo dello stesso anno, contro la cancellazione operata dal Senato Accademico di Firenze a grande maggioranza, del diritto di voto vincolante nei consigli di corso di laurea da parte dei docenti a contratto, come minima garanzia di controllo delle decisioni e delle operazioni di proposte di reclutamento da parte dei docenti strutturati, la componente dei docenti  nonviolenti a Firenze nel corso di Laurea di  Operazioni di Pace non disse nulla, non era nemmeno presente ai Consigli. Ma in autunno si trovavano a partecipare alle iniziative dell'Onda ed a svolgere le lezioni in piazza.

Nei piccoli ma significativi movimenti nonviolenti constato che manca talvolta il momento della verifica delle azioni svolte e della loro efficacia. Il semplice fatto di essere nominalmente nonviolenti costituisce talvolta una rendita di posizione autoimmunizzante, che non tiene conto dell'importanza della scelta di tempo nelle azioni. Perche' invece non sottoporre ad analisi e giudizio collettivo  quella "corta marcia attraverso le istituzioni" costituita dai corsi di laurea per la pace? Perche' non fare un pubblico bilancio delle  condotte e delle scelte attuate? Questo chiedo ad Alberto L'Abate, ad Antonino Drago, persone che hanno dato contributi importanti al diffondersi del metodo nonviolento in Italia. Proprio in ragione di questo non possono esimersi dal discutere nel movimento sulle azioni svolte. E invece constato che in questi anni hanno cercato di passare sopra all'accaduto senza affrontare pubblicamente la questione, ma cercando di mettere ad essa la sordina fino a sminuirne la gravita'. Considero errata questa condotta e nociva ad una crescita reale dei piccoli movimenti nonviolenti oltre che motivo di sofferenza personale. Penso che il Congresso del Movimento Nonviolento possa acquisire questa mia comunicazione e utilizzarla nella discussione di commissione.

Ancora buon lavoro e saluti fraterni,

Lorenzo Porta

 

3. ONU. ANWARUL K. CHOWDHURY: LE PROMESSE FATTE ALLE DONNE DEVONO ESSERE MANTENUTE

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Anwarul K. Chowdhury dal titolo originale "10 Years On: The Promises to Women Need to Be Kept"; intervento inviato da Maria G. Di Rienzo al congresso del Movimento Nonviolento come contributo alla riflessione.

Anwarul K. Chowdhury era presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel marzo 2000 e presento' l'iniziativa che condusse alla Risoluzione del Consiglio 1325 sul ruolo delle donne per la pace e la sicurezza]

 

La Giornata internazionale delle donne nel 2000 e' stato un giorno speciale, per me e per le donne. Quel giorno ebbi l'onore, su mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, quale suo Presidente, di presentare un testo che formalmente portava all'attenzione globale il contributo non riconosciuto, sottovalutato e poco utilizzato che le donne avevano dato per prevenire la guerra, costruire la pace e vivere in armonia.

I membri del Consiglio di sicurezza riconobbero, in quel documento, che la pace e' inestricabilmente connessa all'eguaglianza fra donne ed uomini. Affermarono l'uguale accesso e la piena partecipazione delle donne nelle strutture di potere ed il loro pieno coinvolgimento negli sforzi tesi ad assicurare pace e sicurezza.

Sfortunatamente, l'intrinseco ruolo che le donne assumono nelle questioni riguardanti pace e sicurezza non e' stato riconosciuto sin dalla creazione delle Nazioni Unite. Per lungo tempo c'e' stata l'impressione che le donne fossero solo vittime impotenti di guerre e conflitti. Il ruolo delle donne nel promuovere la pace nelle loro comunita' ed oltre esse e' spesso stato ignorato. Ma l'8 marzo 2000 l'inesplicabile silenzio durato 55 lunghi anni si ruppe per la prima volta. Il seme per la Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza era stato gettato.

L'adozione della Risoluzione 1325 apri' uno spazio a lungo atteso di opportunita' per le donne, le quali hanno dimostrato ancora di portare miglioramenti qualititavi nello strutturare la pace e le architetture post-conflitto. La questione principale non e' garantire sicurezza alle donne in caso di guerra, ma strutturare la pace in modo tale che non vi sia ritorno di guerra e conflitto. Questo e' il motivo per cui le donne devono partecipare ai tavoli dove la pace si discute, coinvolte nel processo decisionale e nelle squadre di "peace keeping". Vi e' necessita' di loro in particolar modo come civili, per avere una reale differenza nella transizione dal culto della guerra alla cultura della pace.

La Risoluzione 1325 segno' per la prima volta che tale proposizione era riconosciuta come obiettivo dal Consiglio. Percio', la sua implementazione pose una responsabilita' unica, che abbracciava tutti, alla comunita' internazionale, ed in special modo alle Nazioni Unite.

Quando per la prima volta sollevai l'istanza "donne, pace e sicurezza" al Consiglio, un vasto disinteresse, e persino indifferenza, furono espressi dai miei colleghi. Alcuni dissero che il Presidente stava diluendo il mandato del Consiglio di sicurezza tentando di portare un'istanza "soffice" (minore - ndt) nella sua agenda. Ma io credo che il fatto che la Risoluzione 1325 sia passata sia un passo avanti impressionante per l'eguaglianza delle donne sul piano delle attuali politiche di sicurezza.

Tuttavia, il valore della Risoluzione come primo meccanismo internazionale che riconosceva esplicitamente la natura di genere dei processi della guerra e della pace, e' stato sminuito dai tassi deludenti della sua implementazione. La complicita' del Consiglio in pratiche internazionali che risultano sostanzialmente in accordi militarizzati fra stati per la sicurezza e' deludente. Tuttavia, dobbiamo ricordare che lo stesso Consiglio di sicurezza sta ancora interiorizzando le considerazioni di genere nel suo comportamento operativo.

Il ruolo del Segretariato delle Nazioni Unite, ed in particolare del suo Segretario generale, lasciano parecchio a desiderare. Indubbiamente c'e' un chiaro bisogno del suo impegno sincero e forte nell'usare l'autorita' morale delle Nazioni Unite e l'alto ufficio da lui occupato per l'effettiva implementazione della Risoluzione 1325.

Come inizio, persino a distanza di dieci anni, la guida del Segretario generale dovrebbe manifestarsi in almeno quattro aree.

Primo, il Segretario generale dovrebbe dare massima priorita' all'incoraggiare e sostenere i membri delle Nazioni Unite affinche' preparino i Piani d'azione nazionale basati sulla 1325. Di 192 paesi, solo 20 hanno a tutt'oggi preparato tali Piani: un misero terzo dei quali sono nazioni sviluppate. Il Segretario generale dovrebbe scrivere personalmente ai capi di stato e di governo suggerendo un'agenda temporale per aver pronti i loro Piani ed incaricare i Coordinatori delle Nazioni Unite residenti nei vari paesi di seguire il processo.

Secondo, l'area che merita speciale attenzione e' il bisogno di consapevolezza, sensibilita' ed addestramento dei funzionari maggiori nella loro totalita', all'interno del sistema delle Nazioni Unite, in merito alla Risoluzione 1325.

Terzo, attenzione urgente dovrebbe essere data al mettere fine alla violenza sessuale ed agli abusi che si sono dati durante le operazioni di "peace keeping", cose che sono state ignorate, tollerate e lasciate impunite per anni dalle Nazioni Unite. Non dovrebbe esserci impunita' alcuna, tantomeno invocando la sovranita' nazionale.

Quarto, il Segretario generale deve prendere la guida nel costruire un processo di consultazione semestrale per l'implementazione della 1325 con le organizzazioni della societa' civile a tutti i livelli, coinvolgendo le entita' rilevanti che fanno capo alle Nazioni Unite, e dovrebbe incoraggiare un simile processo con le organizzazioni non governative su base nazionale.

Come e' stato spesso detto: "La Risoluzione 1325 non e' un punto finale, ma l'inizio dei processi che gradualmente contribuiranno a ridurre il divario delle diseguaglianze". Nei contesti di pace e sicurezza le donne non sono solo un gruppo vulnerabile, esse sono allo stesso modo agenti dalle forti risorse. Come abbiamo visto, quando le donne sono state incluse nelle negoziazioni di pace, i loro contributi e le loro prospettive hanno spesso assicurato che gli accordi includessero le richieste relative all'equita' di genere nelle nuove strutture costituzionali, giudiziarie ed elettorali.

Chiedere che le parti in conflitto adottino una prospettiva di genere nelle negoziazioni di pace, o che la adottino tutte le missioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, e' una richiesta vuota e priva di significato se non provvediamo realmente opportunita' e sostegno alle donne nell'ottenere miglioramenti sui piani politico ed economico, un posto al tavolo delle negoziazioni e l'eguale rappresentanza a tutti i livelli del processo decisionale.

Come contributo personale all'effettiva implementazione della Risoluzione 1325 ho lanciato la mia proposta, "Indicatori praticabili di prima traccia per concretizzare la promessa della 1325 in realta'", in luglio, all'incontro di lavoro sulla Risoluzione 1325 tenutosi all'Istituto di Pace delle Nazioni Unite a Washington. La proposta descrive misure che dovrebbero essere prese senza ulteriori indugi e senza prolungare l'agonia e la frustrazione della comunita' internazionale dopo dieci anni di attesa.

Infine, non dobbiamo dimenticare che quando le donne sono marginalizzate ed ignorate, ci sono ben poche possibilita' per il mondo di ottenere pace fattibile, nel senso reale del termine.

 

4. RIFLESSIONE. DAVID GROSSMAN: VOGLIO PARLARE DELLA PACE

[Dal quotidiano "La Repubblica" dell'11 ottobre 2010 riprendiamo il testo del discorso che David Grossman ha tenuto in occasione del conferimento del "Premio della pace" dell'Associazione degli editori e dei librai tedeschi alla Fiera del libro di Francoforte (la traduzione e' di Alessandra Shomroni).

David Grossman, nato a Gerusalemme nel 1954, e' uno dei maggiori scrittori contemporanei, da sempre impegnato per la pace e i diritti umani; suo figlio Uri e' morto nella guerra del 2006. Tra le opere di David Grossman: Vedi alla voce: amore (1986); Il libro della grammatica interiore (1991); Ci sono bambini a zigzag (1994); Che tu sia per me il coltello (1998); tutti presso Mondadori. Cfr. anche il libro-intervista curato da Matteo Bellinelli: David Grossman, La memoria della Shoah, Casagrande, Bellinzona 2000]

 

Quando ho cominciato a scrivere A un cerbiatto somiglia il mio amore sapevo di voler raccontare la storia di Israele che da piu' di cento anni - ancor prima che diventasse una nazione - si trova in uno stato di guerra. E sapevo che l'avrei raccontata attraverso la storia privata, intima, di una famiglia.

Sarete forse d'accordo con me che il vero grande dramma dell'umanita' e' quello della famiglia. E ognuno di noi e' un personaggio di questo dramma in quanto in una famiglia e' nato. Ai miei occhi i momenti piu' significativi della storia non sono avvenuti sui campi di battaglia, in sale di palazzi o di parlamenti bensi' in cucine, in camere da letto matrimoniali o in quelle dei bambini.

In A un cerbiatto somiglia il mio amore ho cercato di mostrare come il conflitto mediorientale proietti se stesso, la sua brutalita', sulla fragile e delicata sfera familiare e come, inevitabilmente, ne modifichi il tessuto.

Ho cercato di descrivere la lotta che persone intrappolate in questo conflitto, o in un qualunque scontro violento e protratto, devono sostenere.

E' la lotta per mantenere il sottile e complesso intreccio dei rapporti umani e sentimenti di tenerezza, di sensibilita', di compassione, in una situazione di durezza e di indifferenza nella quale il volto del singolo viene cancellato. A volte paragono il tentativo di preservare questi sentimenti nel pieno di una guerra a quello di camminare con una candela in mano durante una violenta tempesta. Concedetemi ora di condurvi, con una candela in mano, in mezzo a questa violenta tempesta.

Se mi chiedeste cosa mi auguro per il conflitto israelo-palestinese la mia risposta, ovviamente, sarebbe che finisse al piu' presto, si risolvesse e regnasse la pace. Ma forse allora insistereste a chiedere: "E se le ostilita' dovessero andare avanti ancora a lungo, quale sarebbe il tuo piu' grande desiderio?". Dopo aver provato una punta di dolore per questa domanda risponderei che in quel caso vorrei imparare a essere il piu' possibile esposto alle atrocita' e alle ingiustizie, grandi e piccole, che il conflitto crea e ci presenta ogni giorno, e non chiudermi in me stesso o cercare di proteggermi.

Per me essere uomo in uno scontro tanto prolungato significa soprattutto osservare, tenere gli occhi aperti, sempre, per quanto io riesca (e non sempre ci riesco, non sempre ho la forza di farlo). Pero' so di dovere almeno insistere, per sapere cio' che succede, cosa viene fatto a nome mio, a quali cose collaboro malgrado io le disapprovi nella maniera piu' assoluta. So di dovere osservare gli eventi per reagire, per dire a me stesso e agli altri cio' che provo. Chiamare quegli eventi con parole e nomi miei, senza farmi tentare da definizioni e da termini che il governo, l'esercito, le mie paure, o persino il nemico, cercano di dettarmi.

E vorrei ricordare - e spesso e' questa la cosa piu' difficile - che anche chi mi sta di fronte, il nemico che mi odia e vede in me una minaccia alla sua esistenza, e' un essere umano con una famiglia, dei figli, un proprio concetto di giustizia, speranze, disperazioni, paure e limitatezze.

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Signore e signori, oggi mi conferite questo prestigioso "Premio della pace", e della pace voglio parlare. E' indispensabile parlarne, insistere a parlarne, soprattutto in una realta' come la nostra. E' importante praticare una rianimazione costante e intensa alla coscienza terrorizzata e paralizzata di israeliani e palestinesi per i quali la parola "pace" e' quasi sinonimo di illusione, di miraggio, se non addirittura di trappola di morte.

Dopo cento anni di guerre e decenni di occupazione e di terrorismo la maggior parte degli israeliani e dei palestinesi non crede infatti piu' nella possibilita' di una vera pace. Non osa nemmeno immaginare una situazione di pace. E' ormai rassegnata al fatto di essere probabilmente costretta a vivere in una spirale infinita di violenza e di morte. Ma chi non crede nella possibilita' della pace e' gia' sconfitto, si e' autocondannato a una guerra continua. Talvolta occorre ricordare - e di certo su questo autorevole palcoscenico - cio' che e' ovvio: le due parti, israeliani e palestinesi, hanno il diritto di vivere in pace, liberi da occupazioni, dal terrorismo, dall'odio; di vivere con dignita', sia a livello del singolo che come popoli indipendenti in un loro stato sovrano, di guarire dalle ferite provocate da un secolo di guerre. E non solo entrambe le parti hanno questo diritto, hanno anche un estremo bisogno della pace, un bisogno vitale.

Non posso parlare di cosa si aspettino i palestinesi dalla pace. Non ho il diritto di fare i loro sogni. Posso solo augurare loro, dal profondo del cuore, che conoscano al più presto un'esistenza di liberta' e di sovranita' dopo anni di schiavitu' e di occupazione sotto turchi, inglesi, egiziani, giordani e israeliani; che costruiscano la loro nazione, uno stato democratico, in cui crescere i figli senza paura, godere di una vita normale, di pace, e di quanto essa puo' offrire a qualunque essere umano. Posso pero' parlare dei miei desideri e delle mie speranze di israeliano e di ebreo.

Ai miei occhi la parola "pace" non definisce soltanto una situazione in cui finalmente la guerra, con tutte le sue paure, sara' finita e Israele manterra' buoni rapporti con i suoi vicini. La vera pace, per Israele, significhera' un nuovo modo di essere nel mondo, la possibilita' di guarire lentamente da distorsioni causate da duemila anni di diaspora, di persecuzioni, di antisemitismo e di demonizzazione. E forse, fra molti anni, se questa fragile pace resistera', se Israele rafforzera' le basi della propria esistenza e potra' sfruttare appieno il suo grande potenziale umano, spirituale e culturale, anche la sensazione di estraneita' esistenziale, di isolamento, che l'uomo ebreo, che il popolo ebreo, prova in mezzo ad altri popoli, svanira'.

Con la pace Israele avra' finalmente dei confini, cosa non da poco, soprattutto per un popolo che per gran parte della sua storia e' stato disperso in altre nazioni e molte sue tragedie sono derivate proprio da questo. Pensate: ormai da 62 anni Israele non ha confini definitivi. Le sue frontiere sono instabili, vengono modificate, allargate o ristrette, a ogni decennio. Nel nostro mondo chi non possiede dei confini chiari e' paragonabile a chi vive in una casa i cui muri ondeggiano e la terra trema costantemente sotto i suoi piedi. A chi non possiede una vera casa.

Nonostante la sua grande forza militare Israele non e' ancora riuscito a infondere nei suoi cittadini il senso di naturale serenita' di chi si trova al sicuro nel proprio paese. Non e' riuscito - ed e' questa la cosa tragica - a guarire gli ebrei da un'amara sensazione di fondo: il disagio di chi non si sente quasi mai a casa nel mondo. E dopo tutto Israele e' stato creato per essere rifugio degli ebrei e del popolo ebreo. Era questo il sogno che ha portato alla sua creazione. Ma fintanto che non ci saranno la pace, dei confini definitivi e concordati e un vero senso di sicurezza noi israeliani non avremo la casa di cui siamo degni e di cui abbiamo bisogno. Non ci sentiremo a casa nel mondo.

Di sicuro ve ne rendete conto: certe parole, pronunciate da un ebreo israeliano in Germania, hanno una cassa di risonanza come in nessun'altra parte del mondo. Cio' di cui parlo, i termini che uso, i palpiti della memoria che questi risvegliano, provengono dalla ferita della Shoa' e a essa fanno ritorno. Molto di quanto avviene in Israele, sia in ambito privato (nei rapporti di un uomo con se stesso, con la sua famiglia, con i suoi amici), sia in quello pubblico, politico e militare, intrattiene un discorso complesso con la Shoa', con il modo in cui questa ha forgiato la coscienza ebraica e israeliana. Anche le cose che dico qui, nella Paulskirche, sede del primo parlamento tedesco democraticamente eletto nel 1848, le mie parole, come un colombo viaggiatore della Shoa', tornano sempre "laggiu'", a quei giorni.

Ma al tempo stesso, e senza fare paragoni inaccettabili tra situazioni storiche completamente diverse, io rammento a me stesso che qui, in Germania, si puo' anche vedere come un popolo e' in grado di risollevarsi non solo dalla distruzione fisica ma dal superamento di ogni limite e freno, dallo sgretolamento di ogni senso di umanita', e di impegnarsi a rispettare i valori dell'etica e della democrazia e di educare i giovani all'idea della pace.

Ma torniamo alla realta' del Medio Oriente: solo la pace potra' curare Israele dalla profonda paura che palpita nei cuori dei suoi cittadini riguardo al futuro del loro paese e dei loro figli. Credo che non ci sia al mondo un altro stato che viva una tale angoscia esistenziale. Quando leggete sul giornale che la Germania ha grandi progetti per il 2030 la cosa vi sembra logica e naturale, ma nessun israeliano farebbe progetti cosi' a lungo termine. Quando penso a Israele nel 2030 provo una stretta al cuore, come se avessi profanato un qualche tabu' concedendomi di immaginare un futuro tanto lontano...

Solo la pace dara' a Israele una casa, un domani, generazioni future. E solo la pace permettera' a noi israeliani di vivere una situazione, o sensazione, mai provata prima: quella di un'esistenza stabile.

Chi e' stato esiliato, deportato, perseguitato, cacciato ripetutamente per gran parte della sua storia, chi ha errato sospeso tra la vita e la morte per migliaia di anni, puo' solo aspirare a un'esistenza stabile e sicura nella propria patria. Aspirare a sentirsi un popolo radicato nella propria terra, con confini protetti e riconosciuti dalla comunita' internazionale, accettato dai vicini, in buoni rapporti con loro e integrato nel tessuto delle loro vite, con un futuro davanti e finalmente a casa nel mondo.

Eccomi qui a parlarvi della pace. E' strano. Io che non mai conosciuto un solo istante di vera pace in vita mia, vengo a parlarne a voi? Eppure ritengo che proprio cio' che so della guerra mi dia il diritto di farlo.

Gia' da molti anni la mia vita, i miei libri, si dipanano in questo miscuglio di guerra, di paura delle sue conseguenze, di ansia per Israele e per i miei cari che ci vivono, di lotta per il diritto ad avere una vita privata, intima, non eroica, in una situazione spesso monopolizzata dal conflitto, dalla tempesta, dalla candela.

E quanto piu' conosco profondamente la distruzione e la devastazione di una vita in uno stato di guerra, piu' sento il bisogno di scrivere, di creare, come se questo fosse un modo di rivendicare il mio diritto all'individualita', di dire "io" anziche' "noi".

La guerra, per sua natura, annulla le sfumature che rendono unico un individuo e la meravigliosa peculiarita' di ogni essere umano. E con la stessa violenza rinnega anche la somiglianza fra gli esseri umani, le cose che ci rendono uguali, il nostro comune destino.

La letteratura, non solo scrivere libri ma anche leggerli, e' l'opposto di tutto cio'. E' la totale dedizione all'individuo, al suo diritto di essere tale e al destino che condivide con l'intera umanita'. La letteratura e' lo stupefazione per l'uomo, per la sua complessita', la sua ricchezza, le sue ombre.

Quando scrivo cerco di redimere con tutte le mie forze ogni personaggio dalla morsa dell'estraneita', della banalita', degli stereotipi, dei cliche', dei pregiudizi. Quando scrivo lotto, talvolta per anni, per cercare di capire ogni aspetto di una figura umana, per essere lei.

C'e' un che di tenero, quasi materno, nel modo in cui uno scrittore cerca di percepire con tutti i suoi sensi i sentimenti e le emozioni del personaggio che crea. C'e' un che di vulnerabile e di sprovveduto nella sua disponibilita' a dedicarsi senza difese ai personaggi di cui scrive. E' forse questo cio' che di grande puo' offrire la letteratura a chi vive in uno stato di guerra, di alienazione, di discriminazione, di poverta', di esilio, di sensazione che il suo "io" venga continuamente calpestato: la capacita' di restituirci un volto umano.

*

Signore e signori, ho aperto questo discorso parlando di come ho cominciato a scrivere A un cerbiatto somiglia il mio amore. Forse sapete che il romanzo narra di un soldato israeliano che parte per la guerra e la madre, in ansia per il figlio, fugge di casa perche' un'eventuale brutta notizia non la raggiunga.

Tre anni e tre mesi dopo avere cominciato a scrivere il libro e' scoppiata la seconda guerra del Libano in seguito a un improvviso attacco di Hezbollah a una pattuglia israeliana in ricognizione entro i confini di Israele. La sera di sabato 12 agosto 2006, poche ore prima del cessate il fuoco, mio figlio Uri e' stato ucciso insieme a tre suoi compagni, l'equipaggio di un carro armato, da un razzo lanciato da Hezbollah.

Diro' solo questo: pensate a un ragazzo sulla soglia della vita, con tutte le speranze, l'entusiasmo, la gioia di vivere, l'ingenuita', l'umorismo e i desideri di un giovane uomo. Cosi' era Uri e cosi' erano migliaia di israeliani, palestinesi, libanesi, siriani, giordani ed egiziani che hanno perso, e continuano a perdere, la vita in questo conflitto.

Al termine della settimana del lutto ho ripreso a scrivere.

Quando a un uomo capita una tragedia una delle sensazioni piu' forti che prova e' quella di essere esiliato da tutto cio' in cui credeva, di cui era certo, dalla storia di tutta la sua vita. All'improvviso niente e' piu' scontato.

Per me, tornare a scrivere dopo la tragedia e' stato un atto istintivo. Avevo la sensazione che cosi' facendo avrei potuto, in un certo senso, tornare dall'esilio.

Ho ripreso a scrivere. Sono tornato alla storia che, stranamente, era uno dei pochi luoghi della mia vita che ancora potevo capire. Mi sono seduto alla scrivania e ho cominciato a riannodare i fili lacerati della trama. Dopo qualche settimana ho sentito per la prima volta, con un certo stupore, il piacere di scrivere. Mi sono ritrovato a cercare per ore una parola che descrivesse con esattezza un preciso sentimento. Mi sono reso conto di non potermi accontentare di un termine che non rispecchiasse fedelmente quel sentimento. A tratti mi stupivo che qualcosa di tanto piccolo accentrasse a tal punto la mia attenzione quando il mondo intorno a me era crollato. Ma non appena trovavo la parola giusta avvertivo una soddisfazione che pensavo non avrei piu' provato in vita mia: quella di fare qualcosa come si deve in un mondo tanto caotico. Talvolta mi sentivo come chi, dopo un terremoto, esce dalle macerie di casa, si guarda intorno, e comincia a impilare un mattone sull'altro.

E mentre scrivevo a poco a poco riaffiorava in me il piacere di immaginare, di inventare, lo stimolo del gioco e della scoperta che palpitano in ogni creazione. Inventavo personaggi, soffiavo in loro la vita, il calore e la fantasia che non credevo piu' ci fossero in me. Davo loro una realta', una quotidianita'. Ritrovavo dentro di me il desiderio di toccare tutte le sfumature di un sentimento, di una situazione, di un rapporto. E non temevo il dolore che talvolta questo contatto provoca. Riscoprivo che scrivere e' per me il miglior modo di combattere l'arbitrarieta' - qualsiasi arbitrarieta' - e la sensazione di essere una vittima impotente dinanzi a essa. E ho imparato che in certe situazioni l'unica liberta' che un uomo ha e' quella di descrivere con parole sue il proprio destino. Talvolta questo e' un modo per non essere piu' una vittima.

E questo e' vero sia per il singolo che per le comunita', i popoli. Mi auguro che il mio paese, Israele, trovi la forza di riscrivere la sua storia. Di porsi in maniera nuova e coraggiosa dinanzi al suo tragico passato e ricrearsi da esso. Mi auguro che tutti noi troveremo la forza necessaria per distinguere i veri pericoli dai potenti echi delle sciagure e delle tragedie che ci hanno colpito in passato, per non essere piu' vittime dei nostri nemici o delle nostre angosce e per arrivare, finalmente, a casa.

Grazie e shalom.

 

5. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 31 OTTOBRE A VITERBO UN INCONTRO DI FORMAZIONE NONVIOLENTA

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Domenica 31 ottobre presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo si e' svolto un nuovo incontro del percorso di formazione nonviolenta.

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La prima parte dell'incontro e' stata dedicata alla prosecuzione dell'iniziativa in difesa dell'area del Bulicame e contro la realizzazione di un mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge; a tal fine si e' concordato di inviare una lettera aperta all'assessore all'Agricoltura della Regione Lazio per denunciare la gravita' dello scempio che la realizzazione della folle e criminale opera aeroportuale provocherebbe.

La seconda parte dell'incontro e' stata dedicata alla prosecuzione di un impegno sulla situazione delle acque del lago di Vico, per contribuire all'iniziativa in difesa dell'ambiente e della salute della popolazione; a tal fine si e' concordato di inviare una lettera aperta alla Ministra del Turismo.

La terza parte dell'incontro e' stata dedicata alla lettura integrale e al commento del Critone di Platone.

*

Il prossimo incontro del percorso di formazione e informazione nonviolenta si terra' domenica 7 novembre 2010 con inizio alle ore 15,30 sempre presso il centro sociale "Valle Faul" in strada Castel d'Asso snc a Viterbo.

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Le persone partecipanti all'incontro

Viterbo, primo novembre 2010

Per informazioni e contatti: viterbooltreilmuro at gmail.com

 

6. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere finanziariamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

7. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"

 

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.

E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Jan Patocka, Socrate, Rusconi, Milano 1999, pp. 504.

 

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

10. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 362 del 2 novembre 2010

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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