Telegrammi. 340



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 340 dell'11 ottobre 2010

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. "Azione nonviolenta" di ottobre 2010

2. Cola'. Costi' (2008)

3. Mao Valpiana: 4 novembre (2008)

4. 4 novembre giorno di lutto, in memoria delle vittime della guerra, contro la guerra, i suoi strumenti e i suoi apparati (2008)

5. Gisele Nyembwe intervista Nelofer Pazira

6. Julia Suryakusuma: Da un hotel di Jakarta

7. Gianfranco Monaca: Omicidi bianchi

8. Per sostenere il Movimento Nonviolento

9. Segnalazioni librarie

10. La "Carta" del Movimento Nonviolento

11. Per saperne di piu'

 

1. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI OTTOBRE 2010

[Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]

E' uscito il numero di ottobre 2010 di "Azione nonviolenta", rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

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In questo numero: Il Movimento Nonviolento si riunisce a Brescia, citta' chiusa da aprire, di Mao Valpiana; La nonviolenza per la citta' aperta e' liberazione personale e collettiva, di Daniele Lugli; Il programma del XXIII Congresso; Le commissioni di lavoro; Il manifesto del Congresso realizzato in una scuola di Brescia, di Adriano Moratto; Dal servizio civile volontario alla mini naja di La Russa, di Daniele Lugli; Il cristiano errante non poteva morire, di Kurt Eisner; Una cittadinanza insorgente per pianificare la pace, di Stefano Melis; Mediazione e confronto creativo per trasformare I conflitti, di Caterina Del Torto; Neonati strappati dal seno materno diventano adulti sradicati e violenti, di Gabriella Falcicchio.

Le rubriche: Economia. Un aeroporto non si nega a nessuno, a cura di Paolo Macina; Educazione. Per una storiografia nonviolenta: Historia magistra vitae?, a cura di Pasquale Pugliese; Osservatorio internazionale. La pena di morte accomuna democrazia e dittature, a cura di Caterina Bianciardi e Ilaria Nannetti; Per esempio. Scoperchiare le tombe segrete per cercare la verita' di Cipro, a cura di Maria G. Di Rienzo; Cinema. I militari non amano i coriandoli perche' non si fanno mettere in riga, a cura di Enrico Pompeo; Libri. Riceviamo, a cura di Sergio Albesano; Musica. Il corpo di una donna che disarma la guerra, a cura di Paolo Predieri; Granello di senape. Raimon Panikkar: la pace e' pluralismo, a cura di Enrico Peyretti; Il calice. Contro-tendenza, a cura di Christoph Baker.

In copertina: La nonviolenza per la citta' aperta.

In seconda: Indice.

In terza di copertina: Materiale disponibile.
In ultima: L'ultima di Biani, La guerra fa aumentare l'integralismo?
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Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo  an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

2. MEMORIA. COLA'. COSTI' (2008)

[Riproduciamo ancora una volta questo editoriale del 2008]

 

Prosegue la guerra in Afghanistan. La guerra terrorista e stragista.

La guerra cui l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale.

Prosegue cola' la guerra, e le stragi. E prosegue costi' l'omerta' sulla guerra, la complicita' con le stragi.

 

3. MEMORIA. MAO VALPIANA: 4 NOVEMBRE (2008)

[Riproduciamo ancora una volta questo editoriale del 2008.

Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' segretario nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra recente ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010]

 

La "festa" militarista del 4 novembre e' stata voluta ed istituita dal fascismo. Ed ora che gli eredi culturali del ventennio sono arrivati al potere, quella festa vogliono rilanciare. Non solo caserme aperte, esposizione pubblica di carri armati, parate in divisa, ma anche militari nelle scuole a raccontare ai giovani l'epopea della "grande guerra". Alla festa per la vittoria si e' aggiunta quella per l'unita' nazionale ed anche la Giornata della Forze Armate. Ogni anno, in ogni citta', le autorita' civili, militari, religiose, si ritrovano tutte unite per legittimare eserciti e guerre. Stiamo assistendo ad un arretramento culturale. Le parole perdono il loro significato. Non si dice piu' "carneficina di esseri umani", ma "intervento militare per portare la pace". La guerra ormai e' entrata nelle coscienze di molti, per annullarle. Ed ora si vuole persino riscrivere la storia!

Alle iniziative militariste del Ministro della Difesa, dobbiamo rispondere con una campagna culturale che ristabilisca la verita' storica, che valorizzi il dettato costituzionale che recita: "l'Italia ripudia la guerra".

Il Movimento Nonviolento, i Beati i costruttori di pace e Peacelink propongono quest'anno di trasformare il 4 novembre in una giornata di studio e di memoria, in una giornata di ripudio della guerra.

Nei prossimi giorni diffonderemo un volantino telematico, invitando ogni persona di buona volonta' e di buon senso (soprattutto gli insegnanti onesti) a dire pubblicamente la verita' storica. Invitiamo i cittadini ad esporre dai loro balconi le bandiere della pace e della nonviolenza, ad esprimere pubblicamente lutto per le vittime ed opposizione alla guerra (la Costituzione italiana garantisce a tutti i cittadini il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero: facciamolo correttamente, con educazione e civilta', ma facciamolo).

E soprattutto nelle scuole, ad esempio, gli insegnanti:

- leggano agli studenti le strazianti poesie di Giuseppe Ungaretti scritte in trincea;

- facciano leggere il Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda in cui emerge l'ottusita' di ufficiali arroganti e l'insipienza criminale degli alti comandi;

- facciano leggere Addio alle armi di Ernest Hemingway e Un anno sull'altopiano di Emilio Lussu, grandi testimonianze del fanatismo di quella guerra;

- diffondano le lettere dei soldati che mandavano al diavolo la guerra e il re. Furono censurate. Perche' censurarle oggi nelle cerimonie ufficiali e non farne mai la minima menzione?

- facciano vedere ai ragazzi i capolavori cinematografici La grande guerra di Mario Monicelli del 1959, Uomini contro di Francesco Rosi del 1970, e il film Tu ne tueras pas di Autant-Lara ("Non uccidere" nella versione italiana) che fu denunciato per vilipendio e proiettato pubblicamente nel 1961 dal sindaco di Firenze Giorgio La Pira, con un coraggioso gesto di disobbedienza civile.

Bisogna diffondere la voce di chi ha maledetto la guerra.

La realta' storica ci dice che i costi umani di quella guerra furono tragici: per l'Italia, 680.071 morti; 1.050.000 feriti di cui 675.000 mutilati; per l'Austria-Ungheria, 1.200.000 morti; 3.620.000 feriti (i morti di tutti i paesi coinvolti furono quasi 10 milioni), per conquistare all'Italia terre che si potevano ottenere per via diplomatica, come voleva Giolitti.

Queste le conseguenze di una folle decisione voluta dal re e dal governo contro la volonta' del Parlamento (450 su 508 deputati erano contrari).

Bisogna ricordare che chi non combatteva veniva fucilato dai carabinieri italiani. Il sentimento di pace degli italiani venne violentato da un militarismo spietato, che avrebbe poi aperto le porte al fascismo.

Noi ricordiamo con rispetto e con pena profonda le vittime civili e militari di tutte le guerre. Piangiamo tutti i morti della prima e della seconda guerra mondiale, ed oggi delle guerre in Iraq, in Afghanistan, in Libano, in Israele, in Palestina, in Cecenia, in Africa, in Asia, siano essi civili o militari, uomini o donne, italiani o di qualsiasi altra nazionalita'. Rende vero onore alle vittime soltanto chi lavora tenacemente per far cessare ogni guerra ed escluderla dai mezzi della politica, per sciogliere gli eserciti ed istituire i corpi civili di pace per una polizia internazionale sotto egida dell'Onu.

Il 4 novembre deve diventare giornata di memoria e di impegno per la pace.

 

4. MEMORIA. 4 NOVEMBRE GIORNO DI LUTTO, IN MEMORIA DELLE VITTIME DELLA GUERRA, CONTRO LA GUERRA, I SUOI STRUMENTI E I SUOI APPARATI (2008)

[Riproduciamo ancora una volta questo editoriale del 2008]

 

Il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, sia giorno di lutto: in memoria delle vittime della guerra, contro la guerra, i suoi strumenti e i suoi apparati.

Sia giorno di presa di coscienza: la guerra e' nemica dell'umanita', le armi e gli eserciti servono a uccidere esseri umani.

Sia giorno di impegno civile: per far cessare le guerre e le stragi, per costruire la pace con mezzi di pace.

Sia giorno di iniziativa per la legalita': "L'Italia ripudia la guerra" e' scritto nella nostra legge fondamentale; si applichi finalmente questo principio sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana.

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Cessi immediatamente la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan.

Si avvii la Difesa popolare nonviolenta, si avvii il disarmo, si avvii la smilitarizzazione dei conflitti, del territorio, delle istituzioni, della societa', delle relazioni. Vi e' una sola umanita'. Ogni essere umano ha diritto a non essere ucciso.

 

5. DIRITTI  NEGATI. GISELE NYEMBWE INTERVISTA NELOFAR PAZIRA

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente estratto da un'intervista tratta da un comunicato stampa dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, del 30 settembre 2010.

Gisele Nyembwe e' una funzionaria dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Nelofer Pazira (1973) e' una giornalista, scrittrice e cineasta, attivista per i diritti umani di tutti gli esseri umani]

 

L'ultima fatica dell'ex rifugiata Nelofer Pazira, il film "Atto di disonore", illustra la terribile realta' dei "delitti d'onore" in Afghanistan, dove la regista e' cresciuta prima di fuggire con la sua famiglia nel 1989. Il film, che e' stato girato in un villaggio abbandonato del Tajikistan, racconta anche alcune esperienze vissute dalla stessa Pazira, ed esamina le difficolta' affrontate dalle famiglie di rifugiati che tornano nell'Afghanistan di oggi. L'Alto Commissariato ha collaborato ad alcune scene del film che prevedevano la presenza di rifugiati. Pazira, star del film "Kandahar" del 2001, e co-regista del documentario "Ritorno a Kandahar" del 2003, sta in questi giorni compiendo un tour internazionale per promuovere il film. Di recente, ha rilasciato l'intervista di seguito riportata all'addetta alle pubbliche relazioni dell'Alto Commissariato Gisele Nyembwe.

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- Gisele Nyembwe: Raccontaci del film, e perche' l'hai girato.

- Nelofer Pazira: "Atto di disonore" parla dei delitti d'onore. E' basato sulla storia vera di una donna che ha recitato in un cortometraggio che una delle mie amiche ha girato a Kabul. Suo marito era in Pakistan quando lei partecipo' al film, ma torno' a Kabul mentre lo staff festeggiava la fine delle riprese. Sparo' a sua moglie e la uccise, perche' aveva recitato in un film.

Marina Golbahari, che ha il ruolo della protagonista in "Atto di disonore" fronteggia pressioni simili nella sua stessa vita. E' fra il gruppo crescente di donne afgane che restano testardamente impegnate nel cinema, nonostante le minacce che vengono loro fatte. Durante la mia ricerca e poi durante la stesura della sceneggiatura, queste donne mi hanno ripetuto ad oltranza che speravano che il mondo vedesse la realta' delle loro esistenze attraverso questo film.

Ma la storia si apre con un giovane che spara ad un uomo anziano. E' un omicidio per vendetta. Ho aggiunto questa storia perche' la questione dei delitti d'onore non riguarda solo le donne. Onore e vendetta sono le priorita' assolute di questa cultura. Pure, il film tratta anche del perdono. Il giovane autista di autobus che ha vendicato la morte del padre vuole salvare la vita alla sua fidanzata, alla donna che lui crede lo abbia tradito. E c'e' anche la vicenda di una famiglia di rifugiati che torna al proprio villaggio solo per scoprire che la loro casa e' stata occupata da altri.

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- Gisele Nyembwe: Che messaggio vuoi mandare agli spettatori?

- Nelofer Pazira: Essendo cresciuta a Kabul e poi emigrata in Canada, io vivo sul confine di due culture diverse, l'afgana e la canadese, e sono un prodotto di entrambe. Percio', oltre a condannare i delitti d'onore, volevo esplorare l'idea stessa di onore. Originariamente avevo deciso di scrivere un libro, ma nel 2003 ho pensato che un film era il mezzo migliore per raccontare questa storia. Le immagini viaggiano piu' velocemente della parola scritta, e attraversano confini geografici, tribali e culturali.

Per me era importante non solo condannare i delitti d'onore e la sofferenza inflitta alle donne, volevo capire la psicologia che ci stava dietro, capire gli uomini forzati dalle tradizioni delle loro comunita' - e dai loro stessi fallimenti - ad uccidere coloro che amano.

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- Gisele Nyembwe: Ci sono rifugiati nel film?

- Nelofer Pazira: La maggior parte del cast non e' composta da attori professionisti. Ho amato molto la sfida che comportava il lavorare con loro. Ho cercato persone le cui reali storie di vita riflettessero i tratti dei miei personaggi. Non solo ho basato i personaggi su individui reali, ma volevo trovare persone che potessero portare le loro proprie storie nella sceneggiatura. Uno degli attori, ad esempio, e' un ex rifugiato che e' tornato dall'Iran dopo 26 anni di esilio. Ha scoperto sulla propria pelle quanto difficile e' tornare. Un po' di rifugiati che vivono nel Tajikistan, accanto al confine afgano ed in altre aree, hanno dato una mano di fronte alla cinepresa o dietro di essa.

Io ho recitato il ruolo di Mejgan, basandomi sull'esperienza del girare filmati in Afghanistan che ho fatto negli ultimi dieci anni. Intrappolata fra la vergogna e l'idealismo, lottavo per mostrare che gli afgani potevano essere progressisti. Durante le riprese di "Kandahar", abbiamo scoperto la difficolta' di trovare donne disposte a prendervi parte. Io ero costantemente imbarazzata dall'arretratezza della mia stessa cultura. Allora, tentavo di persuadere le donne afgane dei villaggi ad aiutarmi, per provare a me stessa che gli afgani potevano essere persone aperte come chiunque altro.

Fortunatamente, non abbiamo avuto fini tragiche come il fato di Mena in "Atto di disonore", ma abbiamo sperimentato situazioni terribilmente tristi, in cui giovani donne non tornavano sul set a causa della paura. Gradualmente, ho cominciato a capire ed ho sviluppato piu' empatia per gli uomini e le donne dell'Afghanistan. Il lavorare solitamente con operatori stranieri mi ha permesso anche di vedere l'ingenuita' ed il modo unidimensionale con cui l'Occidente guarda al mondo musulmano.

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- Gisele Nyembwe: Pensi che gli spettatori saranno toccati dalla storia?

"Kandahar"I delitti d'onore sono diventati assai comuni. Ricordo un altro incidente, nel 2001, quando tornai nella regione per recitare in "Kandahar", che fu girato sul confine fra Iran ed Afghanistan. Lavoravamo per lo piu' nei villaggi dei rifugiati. Una ragazza adolescente adorava essere sul set. Abbiamo girato alcune scene con lei, aveva la parte di una delle quattro mogli di un personaggio del film. Ma un giorno fuggi' per il terrore di essere vista da sua padre e dai suoi due fratelli minori. Fu pesantamente picchiata dal padre, perche' aveva "disonorato" il suo nome. Dovemmo gettar via tutte le sequenze in cui lei compariva e ricominciare daccapo.

Oggi, in varie parti del mondo, le donne devono affrontare ogni sorta di violenze: i delitti d'onore sono solo una di esse, e non sono confinati al mondo musulmano. Un certo numero di delitti d'onore e' stato perpetrato, in anni recenti, nel mondo occidentale: tristemente, in maggioranza, da parte di famiglie di rifugiati. Sono scampati alla guerra e alle atrocita': pure, dopo che hanno raggiunto un ambiente sicuro, il divario fra le loro pratiche e quelle delle loro nuova casa diviene ovvio, ed il fardello della salvaguardia dell'"onore" e del "nome" della famiglia viene spesso posto sulle donne.

 

6. DIRITTI NEGATI. JULIA SURYAKUSUMA: DA UN HOTEL DI JAKARTA

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Julia Suryakusuma apparso sul "Jakarta Post" del 2 ottobre 2010 col titolo "Divided by culture, united by religion and... sex!"

Julia Suryakusuma (Nuova Delhi, 1954) e' giornalista e scrittrice, psicologa, sociologa e politologa, attivista per i diritti umani di tutti gli esseri umani; figlia di un diplomatico ha avuto un'educazione internazionale conducendo i suoi studi in Gran Bretagna, Ungheria, Indonesia, Italia e Olanda. Tra le opere di Julia Suryakusuma: Sex, Power and Nation: An Anthology of Writings, 1979-2003, 2004. Il sito di Julia Suryakusuma e' www.juliasuryakusuma.com]

 

Sono lieta di annunciare che la scorsa settimana circa due dozzine di uomini, donne, e me stessa, si sono goduti sei giorni pieni di sesso in un hotel del sud di Jakarta. Tutti abbiamo convenuto che si e' trattato di una vera esperienza religiosa. Abbiamo avuto una settimana di sesso tantrico trascendentale? Magari...

Scherzi a parte, non c'era nulla di trascendentale nel nostro stare insieme. Quel che abbiamo fatto e' piu' terra terra. Vedete, fra il 18 ed il 25 settembre la "Coalizione per la sessualita' ed i diritti del corpo nelle societa' musulmane" ha tenuto la sua terza sessione, questa volta a Jakarta (le precedenti si erano tenute a Kuala Lumpur ed Istanbul). E' stata un'esperienza religiosa perche', come il nome implica, gli organizzatori, i trainer ed i partecipanti venivano principalmente da paesi musulmani, e le connessioni fra sesso e religione erano il tema chiave.

Immaginate una stanza piena zeppa di musulmani dall'Indonesia, Malesia, Cambogia, Bangladesh, Pakistan, Iran, Libano, Ghana, Nigeria, Sudan e Tanzania, che acquisiscono informazioni sulla sessualita' e scambiano esperienze. Non e' esaltante? La Coalizione fu fondata nel 2001 da 21 rappresentanti di ong del Medioriente e del Nordafrica, ed ebbe il suo inizio grazie a Women for Women's Human Rights, un'ong importante nell'attivismo a favore delle donne fondata da Pinar Ilkkaracan, una pioniera del movimento femminista turco.

La Coalizione e' ancora l'unica rete internazionale di solidarieta' per i musulmani che lavorano per promuovere la sessualita' ed i diritti del corpo come diritti umani. Geograficamente copre una vasta regione che va dal Marocco alle Filippine, impegnandosi attivamente per i diritti delle donne, i diritti delle persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender), e per i diritti di salute sessuale e riproduttiva. La Coalizione oggi include 40 organizzazioni, comprendendo anche l'Asia del sud e del sudest. Questa si' che e' una "coalizione dei volonterosi"! In effetti, non ho potuto fare a meno di notare che i numeri della Coalizione sono circa gli stessi che George Bush ha usato per invadere l'Iraq. Non ci vuole molto per scegliere quale delle due opzioni e' piu' divertente: fate l'amore, dico io, non la guerra!Le due Coalizioni sono com'e' ovvio diametralmente opposte per scopi ed orientamento, ma sono pure in relazione, perche' la nostra e' nata come una risposta alla coalizione di guerra: in particolare, alla crescente militarizzazione, alla crescente violenza ed all'alimentazione della paura che sono emerse sull'onda dell'orrendo attacco dell'11 settembre.

Come tutti sappiamo, una delle eredita' dell'11 settembre e' stato un revival di islamofobia, ed una tendenza in Occidente ad "essenzializzare" l'Islam, impacchettando insieme noi musulmani come "terroristi", pericolosi, o come minimo indesiderabili. Questo, di concerto, ha fomentato la crescita di forze politiche egualmente distruttive nel mondo islamico. La risultante fobia anti-occidentale in molti musulmani e' onnicomprensiva e si estende sino all'assurdo, etichettando la sessualita' (e soprattutto le sessualita' alternative) come qualcosa di intrinsecamente "occidentale" e quindi malvagio. Va cosi': se sei omosessuale e' perche' sei stato corrotto dall'Occidente e devi essere incarcerato, o peggio. Se sei un'adolescente che vuole avere amici maschi sei "occidentalizzata" e meriti di essere uccisa per preservare l'onore della famiglia. I risultati di questa follia sono troppo spesso profondamente tragici.

Niente di nuovo, per carita'. Le classi al potere in numerosi paesi musulmani da lungo tempo usano il conservatorismo per opprimere i loro stessi popoli. La religione, come la cultura, diviene facilmente un potente strumento di controllo per leader privi di scrupoli. Cio' che e' nuovo, tuttavia, e' il modo in cui questo e' proliferato negli ultimi dieci anni.

Il primo meeting della "Coalizione per la sessualita' ed i diritti del corpo nelle societa' musulmane" si tenne nel 2001, poco dopo quell'11 settembre che aveva esacerbato le tensioni nel mondo musulmano, come Bin Laden desiderava. Diciannove ong presenziarono all'evento, che aveva per titolo: "Donne, sessualita' e cambiamento sociale in Medioriente e nel Mediterraneo", per discutere delle relazioni tra sessualita', equita' di genere e lotte socio-politiche. La loro conclusione fu che l'aumento globale del militarismo, del conservatorismo e del nazionalismo avrebbe alimentato i meccanismi per le manipolazioni politiche, economiche, sociali, legali e culturali che opprimono le donne e la sessualita' Lgbt: il tempo ha provato che avevano ragione.

Come potete immaginare, la scorsa settimana e' stata molto intensa. I temi andavano dai concetti di base sulla salute ed i diritti, all'Hiv, al nazionalismo, al diritto internazionale e all'attivismo (a livello nazionale, regionale ed internazionale). Le due tavole rotonde in cui i partecipanti hanno parlato delle situazioni nei loro paesi - le somiglianze e le differenze, le lotte ed i successi - sono state rivelatrici. La prima discussione comprendeva gli asiatici del sud e del sudest, la seconda era per gli africani ed i mediorientali. Nonostante le diversita' delle varie culture, molte cose opprimenti erano comuni, in varie gradazioni: violenza domestica, stupro maritale, abuso sessuale dei bambini, discriminazione e violenza contro le persone Lgbt, mancanza di accesso ai servizi di salute riproduttiva, rigetto dell'educazione sessuale, montante incidenza del virus Hiv, mutilazioni genitali femminili, delitti d'onore, gravidanze di adolescenti, abbandono di infanti, assieme ad una lista di ulteriori problemi ugualmente pesanti.

Ascoltando le loro storie, ho persino pensato che a paragone di altri paesi l'Indonesia puo' sembrare un paradiso! Non che noi si sia immuni. Solo per fare un esempio, un legislatore provinciale di Jambi se n'e' uscito da poco con la rivoltante idea di un test di verginita' per le ragazze come parte dell'esame per le scuole di stato. Questo mi induce a credere che abbiamo bisogno di un test di sanita' mentale per chiunque voglia essere un legislatore: o questo, o almeno sei giorni di sesso e religione in un albergo con il nostro gruppo.

 

7. RIFLESSIONE. GIANFRANCO MONACA: OMICIDI BIANCHI

[Ringraziamo Gianfranco Monaca (per contatti: astensis at promotus.it) per questo intervento.

Gianfranco Monaca, costruttore di pace, nato ad Asti nel 1934, laureato in scienze sociali e pedagogiche e in scienze delle religioni, molto attento alle realta' sociali, politiche e religiose, ha anche fatto diverse mostre personali e ricevuto numerosi riconoscimenti come artista (ha esposto la prima volta ad Asti nel 1952); collabora alla bella rivista "Tempi di fraternita'" e ad altre testate; dal sito www.astilibri.com riprendiamo il seguente profilo autobiografico: "Sono nato ad Asti il 31 luglio del 1934. Ho scoperto molto tardi che non era stata una giornata felice per l'Europa: il cancelliere austriaco Dollfuss fu assassinato quel giorno dai nazisti, allo scopo di prendere il potere in Austria. Penso che questo fatto abbia creato un clima avvelenato di paura e di insicurezza che ha condizionato in un modo o nell'altro la vita della gente in quegli anni. L'anno dopo la guerra in Africa Orientale per la conquista dell'impero, nel '36 la guerra di Spagna, nel '38 le leggi razziali, nel '39 l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista, poi della Francia, del Belgio, dell'Olanda... e l'entrata in guerra dell'Italia, per potersi sedere al tavolo della "pace" con qualche centinaio di morti e spartire con la Germania il bottino di guerra. Avevo cinque anni quando venne ad Asti Mussolini. Ricordo l'aspetto strano della citta' addobbata con grandi drappi neri e tricolore. Probabilmente in casa non se ne diceva un gran bene, perche' ricordo che mi tenevo nascosto al di sotto del davanzale del balcone e avevo paura di guardare, poi vinse la curiosita'. Il duce passava in piedi su una macchina scoperta, ma visto dall'alto non era niente di speciale e mi tranquillizzai. Ma furono pochi attimi. Poi vennero i tempi dei bombardamenti, degli sfollati, della resistenza. Mio fratello era partigiano e i miei genitori dovettero darsi alla macchia per non essere presi come ostaggi. Finche' non mi resi conto di queste cose non capii perche' in casa nostra si rideva cosi' poco. Riempivo lunghe ore di solitudine divorando i libri della "Scala d'oro" della Utet e tentando di disegnare i castelli e i cavalieri di cui pullulavano quelle letture. Mi mandarono a prendere qualche lezione di musica dal maestro Baroncini, ma non se ne fece niente; non era affar mio. Provarono con il professor Rosa e con la pittura e il disegno le cose andarono meglio, ma l'impegno nelle attivita' delle organizzazioni giovanili era cio' che mi gratificava di piu'. Dopo la maturita' classica all'Alfieri frequentai per un anno la facolta' di architettura a Torino, ma l'impegno sociale e politico mi attirava con maggiore forza, e piu' ancora il lavoro di riflessione filosofica e teologica e quello dell'intervento pedagogico. A diciannove anni decisi di intraprendere gli studi teologici, che portai a termine con successo. L'attivita' di animazione culturale e pastorale mi andava bene, mi pareva fosse esattamente quello che avevo sempre desiderato, purche' l'avessi potuta svolgere con creativita' e fantasia. Questo mi condusse a inventarmi percorsi nuovi e a vivere esperienze esaltanti: lavorai per cinque anni in Belgio tra gli emigrati nella cintura carbosiderurgica di Liegi e conseguii la laurea in scienze religiose all'universita' di Lovanio nel pieno del periodo della contestazione, con una tesi di cui fu relatore Francois Houtart, uno dei piu' vivaci teologi e sociologi del mondo, ancor oggi punta di diamante del rinnovamento conciliare, irriducibile oppositore del revisionismo e della normalizzazione. Pubblicai piu' tardi su questa esperienza "Come alberi che camminano" per l'Editrice Esperienze, a cura dell'Istituto per la Storia della Resistenza di Asti. Rientrato in Italia, mentre lavoravo al recupero e inserimento dei giovani handicappati (e ci lavorai fino al '91, dopo che la struttura passo' alla gestione comunale), avendo attivato alcuni corsi di formazione professionale speciale nell'ambito dello Ial-Cisl di Asti, preparai gli esami e mi laureai nel 1975 in Sociologia a Torino con una tesi sulle "Centocinquanta ore", istituite per legge nel 1973. Pubblicai "Bestiario intimo" per le Edizioni Omega, collaborai ad alcune collane dei Fratelli Fabbri e della Elledici, di argomento pedagogico. Su invito di Francesco Coppo ho fatto alcune mostre personali e ho partecipato a lungo, per le cortesi insistenze dello squisito amico Giovanni Arri jr, alle mostre collettive della Promotrice. Fu un antico e valente mio insegnante di esegesi biblica, Pietro Daquino, a coinvolgermi in alcune sue ricerche sulla storia locale e nella redazione della rivista "Il Platano". Forse era destino, visto che gia' nel '61 don Alfredo Bianco mi aveva chiesto una piccola collaborazione per la sua "Asti medioevale". Giovanni Boano, come presidente della Cassa di Risparmio di Asti, mi affido' il compito di "raccontare" il duomo, e ne nacque "Asti: un duomo, una citta'" nel 1988. Per la Cassa avevo gia' fatto "La storia di Asti, quasi una controstoria" e "Vittorio Alfieri", combinando insieme il testo e i disegni, ma senza produrre un "fumetto" come si intende di solito questo genere. Dal 1991 questo divento' il mio mestiere, essendo passato a dirigere il Centro per la documentazione didattica dei Musei Civici. La citta' mi si veniva presentando come un'immensa enciclopedia di tutti i saperi, e mi entusiasmava - e ancora mi entusiasma - scoprire e far scoprire dagli altri (i concittadini e i giovani innanzitutto) gli aspetti sorprendenti di cio' che frettolosamente si costeggia ogni giorno senza avvedersene. Che e', tutto sommato, una metafora della vita stessa. Cosi' ho "raccontato" la chiesa e il quartiere di San Secondo in "Asti: San Secondo dei mercanti". E subito dopo ho fatto con Saviolo "Attenzione immigrati", una serie di epigrammi disegnati di impegno sociale; nello stesso senso va la mia collaborazione con il mensile "Tempi di fraternita'", del quale curo particolarmente la pagina dedicata all'"Elogio della Follia" e che ha pubblicato "Grand Hotel Giubileo", una raccolta di umorismo grafico. Teologia, sociologia, storia, umorismo grafico e vita civile sono modi diversi per "incarnare" (con maggiore o minor successo, ma almeno ci provo) l'eterno nel quotidiano, come agitando senza sosta un barattolo in cui materia e spirito rischiano continuamente di separarsi depositandosi a differenti livelli"]

 

 

La violenza che ci circonda e' un mare inquinato da mille fiumi avvelenati, e cedere alla tentazione di rispondere con altrettanta violenza sarebbe l'ennesimo di questi fiumi. Il nostro piccolo gruppo di volontariato, che si occupa abitualmente di "cause perse", sta cercando di rilanciare continuamente il tema degli omicidi bianchi, le morti per causa di lavoro: una violenza inaudita che, a parte qualche nobile messaggio del presidente Napolitano, tutte - dico tutte - le istituzioni cercano di dimenticare. Ben vengano le "ronde" nei cantieri. Chi le ha mai viste?

Addirittura un ministro ha pubblicamente definito "quella roba li'" la legislazione (la famosa legge 626) che, almeno ufficialmente, e' destinata a contrastare il fenomeno dei cosiddetti "incidenti" sul lavoro. La crisi economica e' un'arma di violenza che viene maneggiata cinicamente da chi considera la 626 "un lusso" che nelle presenti condizioni non ci possiamo permettere. Gli operatori economici che condividono questa posizione - e sono la maggioranza - lavorano sul postulato che le spese per la sicurezza nei luoghi di lavoro sono un "costo aggiuntivo" che deve essere ridotto e possibilmente cancellato. La loro cecita' colpevole ignora volutamente anche i dati economici del probema: quanto costa il blocco di un'impresa a seguito di un "omicidio bianco". Quanto pesa sui conti pubblici il suo indennizzo, o l'assegno di invalidita' permanente? Non conta, perche' paga l'Inail, cioe' la collettivita'. Nell'edilizia le cifre dell'Inail dicono che gli incidenti gravano per l'8,4% della popolazione attiva nel settore, e quelli mortali sono il 22,8%. I morti - ufficialmente riconosciuti - sono stati 275 nel 2008, di cui il 18,2% immigrati, quattro volte piu' degli italiani. Ma si sa anche che il totale degli incidenti annuali denunciati e' 900.000, ma si valuta che altri 200.000 non vengano denunciati.

Fortunatamente qualche speranza c'e', visto che il Pm Guariniello, a proposito dei morti della Eternit e quelli della Tyssen, ha incriminato i padroni di omicidio volontario: se il tribunale gli dara' ragione, sara' una bella vittoria della nonviolenza, una luce per tutta l'Europa.

Ma occorre che l'opinione pubblica sostenga la legge e i magistrati, tanto bistrattati, e si capisce perche'...

Il ministero del lavoro rema all'incontrario, diffondendo quel vergognoso spot che dice "Chi si vuole bene pretende la sicurezza nel lavoro". Come se si trattasse di vittime degli sport estremi che si mettessero nel pericolo per divertimento. Nonviolenza e' scrivere alla Rai per protestare, occorre che non ci diamo pace...

Nonviolenza e' non piegare testa e schiena davanti a queste cose (sto citando il mio concittadino Vittorio Alfieri). Si comincia di qui.

 

8. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere finanziariamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Marcel Prelot, Storia del pensiero politico, Mondadori, Milano 1975, 2 voll. per complessive pp. 652.

- George H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, Edizioni di Comunita', Milano 1953, Etas, Milano 1967, 1978, 2 voll. per complessive pp. XVI + 738.

- Jean Touchard, Storia del pensiero politico, Edizioni di Comunita', Milano 1963, Etas, Milano 1967, 1978, 2 voll. per complessive pp. XIV + 704.

 

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

11. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 340 dell'11 ottobre 2010

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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