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Coi piedi per terra. 339
- Subject: Coi piedi per terra. 339
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 30 Aug 2010 12:54:18 +0200
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in
cammino"
Numero 339 del 30 agosto
2010 In questo numero:
1. Elena Camino, Giuseppe Barbiero, Alice Benessia: Abitanti
globalizzati e localizzati di un pianeta in crisi (2007)
2. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e
s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
1. MATERIALI. ELENA CAMINO, GIUSEPPE BARBIERO, ALICE BENESSIA:
ABITANTI GLOBALIZZATI E LOCALIZZATI DI UN PIANETA IN CRISI (2007)
[Nuovamente riproponiamo, estratto da "Azione nonviolenta" n. 8,
agosto-settembre 2007, il seguente articolo di Elena Camino, Giuseppe Barbiero,
Alice Benessia, dal titolo completo "Abitanti globalizzati e abitanti
localizzati di un pianeta messo in crisi dagli umani. Cornice teorica e piste di
ricerca didattica", parte di una ricerca svolta con il contributo della Regione
Piemonte, Assessorato Ambiente (Convenzione Iris 2006/07) e con il contributo
Murst, Universita' di Torino, Progetti locali 2006. Abbiamo omesso le citazioni
in epigrafe, le immagini, le tabelle e le note (per tutti questi elementi non
meramente paratestuali rinviamo alla versione a stampa).
Elena Camino, del Dipartimento di Biologia Animale e dell'Uomo
dell'Universita' di Torino, fa parte del Centro Interuniversitario Iris
(Istituto Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilita').
Giuseppe Barbiero, del Laboratorio di Consapevolezza Ecologica
dell'Universita' della Valle d'Aosta, fa parte del Centro Interuniversitario
Iris.
Alice Benessia, del Dipartimento di Filosofia del Diritto, dell'Universita'
di Catania, fa parte del Centro Interuniversitario Iris]
Parte prima. La cornice teorica
L'economia e le scienze sociali mostrano gravi limiti nella loro capacita'
di integrare le attivita' umane nel contesto dei sistemi naturali: le risorse
sono limitate, i ritmi di trasformazione e ripristino dei sistemi ecologici
richiedono tempi adeguati. Occorre ripensare le scienze economiche.
Le scienze sperimentali dal canto loro hanno spesso fornito una falsa
immagine di se', proponendosi come capaci di descrivere oggettivamente il mondo.
La complessita' dei sistemi naturali rende necessario utilizzare piu'
prospettive, di rado tra loro coerenti, e l'ignoranza appare sempre piu' come un
elemento ineliminabile ed ineludibile della dinamica di questi sistemi. Occorre
ripensare le scienze sperimentali.
Intorno al concetto di sostenibilita' e' possibile esplorare ambiti
condivisi dall'ecologia e dalle scienze sperimentali da una parte e
dall'economia e dalla scienze sociali dall'altra. La sostenibilita' e' un tema
forte che puo' investire l'idea stessa che abbiamo di democrazia. E puo'
richiedere comportamenti e persino procedure democratiche nuove per realizzare
le quali serve un'educazione adeguata e di alto profilo.
*
La Terra come icona
Fotografata, misurata, aggiustata. Grazie alla tecnoscienza, il pensiero
occidentale domina con crescente successo la natura, sviluppando l'idea di una
umanita' esterna al sistema. Ma resta sempre la nostra unica casa.
Le fotografie della Terra vista dallo spazio sono relativamente recenti, ma
sono entrate presto nel sentire comune, utilizzate in innumerevoli programmi
televisivi, articoli di giornali, gadget e magliette. Tuttavia quante sono le
persone che colgono il messaggio implicito di queste immagini e cioe' che la
Terra e' un sistema chiuso e tutto cio' che avviene su questo pianeta dipende
dal flusso costante di energia dal Sole e dal continuo riciclo di materia al suo
interno?
La seconda immagine presenta un grafico assai meno conosciuto, e di lettura
meno immediata. Gli autori, nell'articolo pubblicato nel 2002 su una prestigiosa
rivista scientifica, lo commentano cosi': "La sostenibilita' richiede di vivere
entro le capacita' rigenerative della biosfera. I nostri studi indicano che le
richieste umane hanno superato tali capacita' rigenerative fin dagli anni '80.
Secondo questa nostra preliminare valutazione, il carico umano, che
corrispondeva al 70% della capacita' della biosfera nel 1961, e' cresciuto fino
al 120% nel 1999" (Wackernagel et al, 2002).
Infine, un disegno pubblicato nel 2006 sulla copertina di una nota rivista
italiana di divulgazione scientifica illustra uomini in tuta bianca intenti a
"riparare" la Terra dai guasti causati dall'impatto antropico.
Tre modi di rappresentare la Terra, il nostro pianeta, la nostra unica
casa. Tre modi che, da prospettive diverse, sottolineano comunque una
separazione tra umanita' e natura: l'uomo capace di prendere le distanze, lo
scienziato capace di misurare e quantificare l'uso globale del pianeta, i
tecnici che dall'esterno provvedono a sistemare i guasti.
L'approccio disciplinare e specialistico nello studio dei processi e delle
funzioni dei sistemi viventi che popolano il pianeta ben si accompagna alla
visione economicista che ha dominato il Novecento: dopo la monetizzazione delle
materie prime, delle risorse della Terra, si sta procedendo alla valutazione
economica dei servizi naturali. I processi vitali grazie ai quali abbiamo ogni
anno a disposizione aria, acqua e alimenti adeguati alle esigenze dei nostri
organismi sono stati valutati pari al budget annuale degli Usa (Costanza et al.,
1997).
Sebbene la maggior parte della comunita' scientifica, degli esperti e dei
decisori politici trova ragionevole ed efficace questo approccio, per alcune
minoranze nel mondo occidentale sviluppato e per intere altre culture, questa
chiave di lettura e' totalmente incomprensibile. Esse mettono radicalmente in
dubbio i fondamenti epistemologici di una simile operazione, oltre che
l'attendibilita' sul piano puramente scientifico.
*
Misurare l'impatto del modello di sviluppo dominante
Aumenta la capacita' di misurare l'uso di natura a livello globale e
aumenta la percezione di una riduzione della qualita' della vita a livello
locale. Si delineano sempre piu' chiaramente due categorie: non piu' Nord/Sud, o
Paesi sviluppati e Paesi sottosviluppati, ma abitanti "globalizzati" e abitanti
"localizzati": i primi si spostano facilmente e godono in abbondanza delle
risorse naturali provenienti da ogni parte del mondo; i secondi sono vincolati
alla loro terra, e possono usufruire solo dei beni locali. Se questi vengono a
mancare, sono costretti a migrare per sopravvivere. Complessivamente, si vanno
riducendo risorse e servizi e il pianeta, profondamente perturbato dalla
presenza umana, ha dato avvio a profonde trasformazioni, di esito ignoto.
L'abuso delle fonti di vita da parte dell'umanita' e' stato reso possibile dallo
sviluppo della tecnoscienza, che ha permesso una esponenziale moltiplicazione
degli abitanti e ha fornito gli strumenti per alterare l'omeostasi dei sistemi
naturali, attingendo a fonti non rinnovabili di energia e spezzando i cicli
naturali.
L'introduzione di indicatori di sostenibilita', come l'Impronta Ecologica
(IE), ha contribuito a mettere in evidenza l'uso che le singole persone, o le
citta' o intere nazioni fanno della natura. La strategia utilizzata da Mathis
Wackernagel consente di calcolare i diversi usi di natura da parte dell'uomo,
esprimendone la somma con una sola grandezza, la superficie: ciascuno di noi
utilizza una certa area del pianeta che gli/le fornisce il cibo, il combustibile
per scaldarsi, lo spazio per abitare, le piante che producono l'ossigeno
necessario alla respirazione (Wackernagel e Rees, 1996). Calcoli sempre piu'
accurati hanno consentito di ricavare dati utili per calcolare la propria IE,
paragonarla con quella di altri, confrontarla con la quota di pianeta che
spetterebbe a ciascuno di diritto, nell'ottica di una equa ripartizione.
Alla consapevolezza sul consumo di natura che si sviluppa grazie al calcolo
dell'IE si accompagnano altre constatazioni: cio' che ciascuno di noi consuma
per conservare il proprio stile di vita non deriva solo dalla natura locale.
Sempre piu' spesso si verificano situazioni in cui la biocapacita', cioe' la
produttivita' della natura del luogo in cui si vive, non e' sufficiente a far
fronte alle esigenze. Si attinge allora a luoghi lontani, per ottenere l'energia
e la materia necessari per la vita quotidiana.
Utilizzando l'IE emerge un quadro molto chiaro che si puo' riassumere in
due punti:
1. alcune fasce di popolazione, sia in occidente che in altri Paesi,
utilizzano una quota di beni naturali di gran lunga superiore a quella che
spetterebbe loro di diritto, sottraendone ad altri gruppi sociali, anche
geograficamente lontani, che a causa di cio' risultano deprivati;
2. la popolazione mondiale nel suo insieme sta utilizzando molta piu'
natura di quella in grado di rinnovarsi anno dopo anno, e impoverisce la Terra a
scapito della generazioni future.
Infine, come e' ormai noto anche a livello dei mass media, l'intensita' e
la pervasivita' dell'impatto umano ha innescato alterazioni dei processi
naturali che stanno provocando trasformazioni nel funzionamento globale del
pianeta, i cui esiti sono del tutto imprevedibili.
Queste radicali trasformazioni, avvenute nel volgere di un tempo brevissimo
rispetto alla storia dell'umanita' - poco piu' di un secolo a fronte delle
centinaia di migliaia di anni dell'evoluzione umana - sono state rese possibili
da tre fattori concomitanti:
1) lo sviluppo di una conoscenza del mondo orientata al controllo e al
dominio sulla natura;
2) la messa a punto di tecniche in grado di sviluppare una crescente
potenza;
3) l'accessibilita' di enormi giacimenti di materia organica ad elevato
potere energetico.
Il progresso tecnologico ha accelerato la velocita' con cui attingiamo alle
riserve energetiche della Terra ed ha altresi' incrementato la velocita' con cui
le consumiamo. La limitatezza di queste risorse, la loro distribuzione
geografica non uniforme, la crescente dipendenza di vasta parte dell'umanita' da
queste fonti energetiche sta alla base di conflitti che vengono affrontati con
modalita' violente, innescando processi distruttivi in un crescendo di
devastazioni.
Ogni modello di sviluppo racchiude anche una prospettiva di relazione con
la natura: come dice efficacemente Wolfgang Sachs, del Wuppertal Institute
(www.footprintnetwork.org), "Il mondo non sara' piu' diviso tra le ideologie di
'destra' e di 'sinistra', ma tra coloro che accettano i limiti ecologici e
coloro che non li accettano".
Le nazioni piu' ricche tendono ad avere bilanci ecologici passivi,
soprattutto per l'elevato grado di correlazione tra la ricchezza (in termini di
spese) e i consumi di combustibili fossili. In regioni con modesto consumo di
energia una elevata percentuale dell'impronta ecologica e' associata al cibo
(Footprint of Nations 2004 report). Le nazioni piu' ricche (nonostante i
vantaggi tecnologici) hanno impronte ecologiche pro-capite molto maggiori dei
cittadini di Paesi che consumano meno: i dati del 2001 stimano a 18 acri l'IE
media pro-capite in Africa, contro i 234 del Nord America, a fronte di una
biocapacita' media pro-capite globale di 30 acri.
*
L'ignoranza ecologica
I conflitti nascono spesso da una diversa visione delle situazioni: le
parti in causa si accusano di "colpevole ignoranza". In senso etimologico, il
significato di ignorare e' contrapposto a quello di conoscere, e indica che non
c'e' possibilita' di connettere noto e nuovo. L'ignoranza puo' essere
volontaria, e colpevole, quando non si tiene conto di tutte le possibili
variabili, non si effettuano misure, non si collegano eventi, oppure
semplicemente non e' nelle priorita' economiche. Oppure puo' essere un'ignoranza
involontaria ed incolpevole: non si puo', non si riesce, non ci sono i mezzi
tecnici o economici. Nelle problematiche socio-ambientali complesse e
controverse ci si imbatte spesso nell'ignoranza inconsapevole. Essa deriva da
una mancanza di capacita' riflessiva, da un sistema di valori accettato
interiormente e non portato alla coscienza. E' possibile perlomeno rendere
consapevole questa ignoranza e adottare strumenti di contenimento dei rischi
come il principio di precauzione o la "tecnologia dell'umilta'" (Jasanoff,
2003). E' sull'ignoranza ecologica del pubblico, non di rado alimentata da un
modello di conoscenza basato su una visione meccanicista della realta', che
l'educazione puo' operare.
L'evidenza delle trasformazioni in atto da' luogo a interpretazioni che, a
seconda del contesto, del punto di vista e delle implicazioni che tali
trasformazioni hanno per i soggetti, individuano danni e benefici. Per esempio
l'aumento della rete di strade in una certa regione viene visto da alcuni come
indicatore di progresso e di benessere, da altri come sottrazione di terreno
all'agricoltura. La disponibilita' di una gran varieta' di prodotti alimentari
viene interpretata come segno di grande dinamicita' dei commerci internazionali
e opportunita' per i consumatori, oppure come causa e risultato di degrado
ambientale, per il saccheggio operato ai danni di altre popolazioni e per i
consumi di energia richiesti dai trasporti a lunga distanza.
Dietro alla disparita' di giudizi si nasconde una diversa interpretazione
della relazione tra natura e umanita', e del ruolo che ciascuna svolge in tale
relazione. Una posizione prevalentemente antropocentrica porta ad analizzare
separatamente tra loro eventi e processi, secondo una logica lineare di
causa-effetto; a vedere la natura come un insieme di risorse passive a
disposizione e ad attribuire le cause dei guai alla limitatezza e inadeguatezza
di tali risorse. Una posizione ecocentrica e' piu' portata a connettere fatti e
processi secondo una logica circolare, che mette in evidenza le interdipendenze
e considera la natura come un sistema nel quale l'umanita' trova accoglienza. In
quest'ottica le cause dei problemi sono i comportamenti umani, che vengono
considerati inadeguati al contesto che il pianeta offre per vivere.
Naturalmente le diverse interpretazioni fornite a proposito delle cause
delle trasformazioni umane sui sistemi naturali, e i diversi giudizi espressi
sull'esistenza e l'entita' dei danni portano anche a scelte diverse sulle
strategie da adottare per regolamentare i processi di trasformazione della
natura. Scelte che hanno visto negli ultimi due secoli aumentare in modo
esponenziale l'energia utilizzata, la potenza sviluppata, e gli investimenti
finanziari reclutati.
In termini puramente energetici, il progressivo sviluppo di una potenza
sempre piu' elevata ha permesso la costruzione di manufatti umani di dimensioni
e impatto crescente (dagli aerei sempre piu' veloci e capienti, alle grandi
dighe) ed e' stata resa possibile dalla stretta alleanza tra l'impresa
tecnoscientifica e i poteri economici e finanziari, bracci operativi di una
visione del mondo lineare, basata sull'idea del dominio sulla natura, della
crescita, della competitivita' e orientata al benessere materiale individuale e
alla vittoria: sulla poverta', sul nemico, sul diverso.
Le critiche che da piu' parti stanno emergendo rispetto al modello
dominante spesso si fermano agli aspetti piu' superficiali, senza riuscire a
portare alla luce e alla consapevolezza l'insieme degli schemi concettuali
soggiacenti, che costituiscono i punti di riferimento, spesso impliciti, in base
ai quali sono organizzate le istituzioni, sono promulgate le leggi, sono
strutturate le societa' e i sistemi educativi. Per operare un cambiamento
significativo e' necessario ripensare non solo i singoli campi del sapere, come
la scienza o l'economia, ma scavare piu' in profondita', portare alla coscienza
e mettere in luce le assunzioni implicite, i giudizi di valore, rivedere la
propria relazione con se stessi e con le altre creature, umane e non umane: in
altre parole, portare alla luce l'ignoranza ecologica.
*
Dalla scienza post-normale alla scienza della sostenibilita'
Dopo molti anni in cui le voci critiche sono rimaste circoscritte a piccoli
gruppi e associazioni, in tempi recenti anche in sedi istituzionali a livello
internazionale si e' aperto un ampio e articolato dibattito sulle trasformazioni
delle relazioni tra scienza e societa', che costituiscono il "motore" delle
trasformazioni indotte dall'umanita' sull'ambiente.
Viene segnalata la necessita' di una governance della scienza, il cui
statuto epistemologico e' in fase di profonda revisione perche' ancora incapace
di assumere il nodo cruciale del rischio e dell'incertezza in cui sempre piu'
spesso ci si trova ad operare. Per questa ragione sta emergendo la prospettiva
di una conoscenza scientifica che accoglie l'incertezza come componente
intrinseca ed ineliminabile (Tallacchini, 2005). A favorire questo radicale
cambiamento di prospettiva, questo cambio di paradigma, hanno contribuito
certamente alcuni fattori: uno e' senz'altro il crescente disordine dei sistemi
naturali e delle relazioni tra umanita' e natura. L'altro e' la maturazione di
una consapevolezza circa la complessita' dei processi che collegano viventi e
componenti abiotiche in reti di reciproca interdipendenza. E proprio lo studio
dei fenomeni complessi sembra fornire una pista efficace per ristrutturare
schemi interpretativi della realta' e modelli di sviluppo e per orientare
comportamenti e azioni.
L'idea di scienza post-normale e' stata elaborata da Silvio Funtowicz negli
anni Novanta, a partire dalla constatazione che molti problemi socio-ambientali
complessi e controversi chiamano in causa diverse discipline, ciascuna con un
suo carico di schemi interpretativi, linguaggi, modelli, sistemi di valori,
finalita' (Funtowicz e Ravetz, 1993; Funtowicz, 2002). In queste circostanze i
fatti sono incerti, i valori sono in conflitto, la posta in gioco e' elevata e
le decisioni urgenti.
La pluralita' di prospettive emerge dalla constatazione che si ha a che
fare con sistemi organizzati gerarchicamente, in cui vi e' un forte
accoppiamento tra i diversi livelli organizzativi. Ma l'interazione tra i
diversi livelli avviene con modalita' e ritmi temporali assai differenti tra
loro. Per questo si considera come fondante e ineliminabile la presenza di una
pluralita' di prospettive tra loro incommensurabili e ugualmente legittime, e
l'impossibilita' di giungere a una singola soluzione basata su fatti certi
(Benessia, 2007).
Il quadro concettuale della scienza post-normale e' stato poi ripreso e
articolato nella scienza della sostenibilita' (Gallopin 2004; Gallopin e Vesuri,
2006), che permette di integrare diverse linee di pensiero che non erano state
messe in correlazione tra loro:
- la presa d'atto che l'impresa scientifica sta diventando sempre piu'
frammentata, dipendente dal contesto, orientata alla soluzione di problemi
(Jasanoff, 2003);
- la ricerca di un ruolo appropriato della scienza e della tecnologia nella
transizione verso la sostenibilita';
- la necessita' di mettere la conoscenza specialistica a disposizione di
tutti gli interessati, favorendo il dialogo tra ricercatori di ambiti
disciplinari diversi, e tra modi diversi di produrre conoscenza;
- l'opportunita' di assicurare una partecipazione appropriata dei cittadini
ai processi decisionali che riguardano problemi ambientali complessi e
controversi, portando alla luce scelte basate su valori riguardo alle domande da
porre, a chi considerare esperto e sviluppando competenze sulla gestione del
disaccordo (Kasemir et al., 2003).
*
Parte seconda. Piste di ricerca didattica
Quale educazione scientifica per la scienza della sostenibilita'?
Un'educazione scientifica coerente con il quadro concettuale della scienza
della sostenibilita' fa riferimento a un'idea di scienza diversa da quella
tradizionale: da scienza della certezza a scienza della complessita'; dalla
presentazione - talvolta enfatica - di una tecnologia in grado di risolvere ogni
sorta di problemi a una tecnologia che assume l'umilta' come suo riferimento
(Jasanoff, 2003); da una conoscenza neutrale e oggettiva volta a sconfiggere
l'ignoranza a una conoscenza basata sull'intersoggettivita', costruita nel
dialogo tra prospettive diverse, la comunicazione, l'interazione reciproca,
l'interconnessione (Dalai Lama, 2006). Accettare la lezione della complessita'
che ci viene dal mondo naturale rende razionale l'inclusione della sorpresa e
dell'ignoranza fra le componenti intrinseche, ineminabili e persino
euristicamente utili all'impresa umana della conoscenza.
La scienza della sostenibilita', che rigetta come inadeguata qualunque
spiegazione singola e unidimensionale, accoglie nel proprio statuto
epistemologico la legittimita' dei saperi non formali, sovente indispensabili
per dare corpo alla pluralita' di punti di vista. Da cio' deriva un cambiamento
delle strategie di insegnamento: diventa importante spostare il fulcro della
costruzione del sapere dall'insegnante alla comunita' educante, in cui ciascuno
e' chiamato a contribuire al sapere collettivo con le proprie competenze.
Tuttavia il sapere degli studenti - come quello dei cittadini nel contesto
sociale - e' per lo piu' contestuale, parziale e localizzato, e non e' facile
integrarlo in una rete concettuale efficace e condivisa. Occorre una formazione
mirata a sviluppare capacita' di comunicazione costruttiva e di cooperazione tra
persone con atteggiamenti mentali, obiettivi e visioni del mondo diverse. In
breve, cio' che Mushakoji (1979, citato da Gallopin, 2006) ha chiamato dialogo
interparadigmatico. Cambiano quindi le finalita' dell'insegnamento scientifico:
si passa dalla prospettiva di dominio della natura al cammino condiviso con gli
altri viventi; dall'addestramento ai saperi specialistici alla coltivazione dei
talenti personali e degli sguardi creativi. Il modello di sapere oggettivo,
neutrale, specialistico, distaccato di una realta' esterna, viene affiancato e
trasformato da modalita' qualitative, intuitive, sistemiche, orientate alla
ricomposizione, al senso di inclusione e di interdipendenza con i sistemi
naturali.
Le scelte di contenuti sono funzionali alle finalita': si punta alla
individuazione di concetti chiave connessi tra loro, funzionali a costruire una
visione integrata di insieme. Si esplorano le relazioni fra le discipline, si
sviluppano schemi interpretativi interdisciplinari che diventano sempre piu'
cruciali nelle prese di decisione politiche. Come ha recentemente ricordato
Lester Brown, con un velo di malinconica ironia: "in passato i ministri dei
trasporti non pensavano alla sicurezza alimentare quando formulavano politiche
di trasporti. Ma... molti paesi semplicemente non hanno abbastanza terreno
agricolo da asfaltare per le auto e da coltivare per assicurare cibo alla
popolazione" (Brown, 2004).
Gli obiettivi educativi generali devono quindi essere orientati a
sviluppare competenze per una partecipazione consapevole, responsabile, attiva,
cooperativa ai processi decisionali, e in cui l'esercizio della democrazia sia
praticato entro i confini di un pianeta finito. Le parole pronunciate dal
Mahatma Gandhi quasi cento anni fa - "il nostro pianeta ha risorse sufficienti
per soddisfare i bisogni fondamentali di tutti, non l'avidita' di alcuni"
(Gandhi, 1909) - assumono in questo modo un significato non solo simbolico, ma
pragmatico.
*
Aspetti metodologici
Adottando la prospettiva della scienza della sostenibilita' - una scienza
della complessita', contestualizzata, consapevole della pluralita' di legittime
interpretazioni - gli insegnanti e i ricercatori si trovano ad affrontare due
sfide fondamentali:
1) come dare attuazione pratica a questo insieme di idee, atteggiamenti,
azioni per operare in classe nella scuola attuale?
2) di quali strumenti dotarsi per raccogliere e interpretare dati, e
monitorare le trasformazioni in atto?
La ricerca didattica attuale - che si ispira per molti aspetti alla ricerca
disciplinare - e' fortemente orientata in senso riduzionista, a raccogliere
dati, a eseguire misure, a esprimere risultati in forma quantitativa. I
ricercatori spesso sono esterni al contesto scolastico; gli studenti di una
classe vengono considerati simili, a prescindere dalle differenze
socio-economiche, di maturazione personale, di competenza linguistica; si tende
a proporre un percorso che viene riproposto senza modifiche in piu' situazioni
sperimentali.
Nello scenario di scienza della sostenibilita' si accolgono e si
valorizzano altri modi di fare ricerca scientifica. La ricerca didattica, in
particolare, richiede uno sforzo di contestualizzazione. La possibilita' quindi
di essere al tempo stesso ricercatori e docenti puo' offrire elementi di pregio
in una prospettiva diversa da quella che viene offerta dalla ricerca
tradizionale. La Ricerca-Azione (Elliott, 1993) che unisce il rigore di un
protocollo di ricerca all'attenzione per la componente riflessiva, rappresenta
un buon esempio di integrazione tra i limiti dell'approccio tradizionale e le
prospettive ancora inesplorate di un approccio integrato
trans-disciplinare.
*
Esempi e proposte
Gli autori sono membri di un gruppo di ricerca che si occupa di ricerca
didattica nell'ambito delle scienze naturali e che da molti anni elabora,
sperimenta e valuta percorsi formativi costruiti nell'ottica della scienza della
sostenibilita'. Si presentano qui sommariamente alcune attivita' a titolo
esemplificativo.
*
Nuovi strumenti concettuali per la biologia
Parole d'uso comune e di facile comprensione possono essere utilizzate in
modo riflessivo, e diventare uno strumento concettuale che aiuta gli studenti a
integrare conoscenze che altrimenti restano cristallizzate nell'ambito delle
singole sezioni della biologia, contribuendo d'altro canto a mettere in evidenza
la dinamica di costruzione della conoscenza scientifica, in continua
oscillazione tra statuto epistemologico (i paradigmi accreditati, le
definizioni, le conoscenze consolidate) e statuto metodologico (le nuove idee, i
nuovi modi di interpretare, gli aspetti controversi).
Un buon esempio e' il concetto di confine. Sappiamo che i sistemi viventi
sono tutti interconnessi e interdipendenti: percio' individuare un "confine" di
un oggetto di studio e' un'operazione mentale, di grande efficacia ma anche
relativamente pericolosa, perche' in tal modo si recidono i legami che
connettono l'oggetto all'insieme che lo include.
La parola confine ha molteplici valenze linguistiche, e puo' essere
intesa:
- in un senso etimologico (cum finis), che implica una relazione tra due
entita' che entrano in contatto ed e' quindi adeguato all'approccio
sistemico;
- in un senso letterale (recinto) o metaforico (limite) che rimandano
rispettivamente a individuare una struttura discontinua o un ostacolo che
impedisce di andare/vedere oltre.
La riflessione linguistica che mette in luce la varieta' di significati
della parola "confine", puo' essere vantaggiosamente utilizzata per fare da
ponte tra le due polarita' della costruzione di conoscenza scientifica: le
conoscenze consolidate e le immagini nuove che derivano dall'esperienza
empirica. Il frammento di Dna identificato come gene, la membrana che racchiude
la cellula, i confini dell'ecosistema esprimono lo statuto epistemologico delle
discipline che hanno elaborato queste prospettive. In aula questi saperi possono
essere ri-discussi aprendo prospettive nuove di esplorazioni della realta', e di
integrazione dinamica di conoscenze: sia nell'esplorazione di livelli
organizzativi diversi, sia nell'interazione tra mente e natura.
Vi sono buone ragioni per ritenere che queste attivita' favoriscano non
solo una destrutturazione del noto e una successiva riorganizzazione della
conoscenza (Astolfi e Peterfalvi, 1993), ma privilegino l'acquisizione di
competenze conoscitive, linguistiche e metodologiche trasversali rispetto
all'apprendimento di nozioni disciplinari specialistiche, e siano quindi in
grado di favorire un apprendimento olistico.
Inoltre l'applicazione consapevole di strumenti concettuali consente agli
studenti di rendersi conto che la scienza procede selezionando non solo gli
oggetti di studio, ma anche le categorie concettuali con cui interpretare il
mondo (Cini, 1994), e li aiuta a maturare una visione consapevole e meno ingenua
della natura della scienza (Aikenhead e Ryan, 1992).
*
La metafora di Gaia
La teoria di Gaia e' una teoria scientifica che "considera l'evoluzione dei
biota e del loro ambiente materiale come un unico processo strettamente
accoppiato, dove l'autoregolazione del clima e della chimica dell'atmosfera,
dell'oceano e del suolo sono le principali proprieta' emergenti" (Lovelock,
1988). E' una teoria alla cui elaborazione hanno contribuito un gran numero di
discipline scientifiche e che consente una visione globale della vita sulla
Terra. Essa rappresenta quindi l'ideale punto di osservazione per studiare i
margini di sostenibilita' dell'economia umana in relazione alle risorse del
pianeta (Barbiero, 2005). L'universalita' e l'antichita' del mito forse puo'
spiegare perche' Gaia susciti tanto interesse nella psicologia analitica di
ispirazione junghiana. Gaia e' un archetipo, che ben si presta alla narrazione
(Barbiero, 2000). Questo spiega anche perche' la teoria di Gaia abbia faticato a
lungo prima di essere accettata anche dal mondo accademico piu' ortodosso: non
tanto per questioni inerenti alla teoria stessa - che in realta' ha dimostrato
di essere altamente predittiva oltre che euristica - quanto per la visione del
mondo che ad essa e' associata.
Nella prospettiva di una educazione scientifica orientata alla
sostenibilita', una correzione di rotta del nostro modello di sviluppo sara'
piu' facile se le cognizioni scientifiche che andiamo via via acquisendo si
assoceranno ad una visione emotivamente coinvolgente della natura. Provando a
coniugare razionalita' ed emozione possiamo cosi' immergerci nello studio dei
cicli di Gaia e contemporaneamente incoraggiare gli studenti a godere della
gloriosa manifestazione della sua bellezza.
Gaia e' costituita da biomi, che a loro volta si articolano in ecosistemi,
che sono costituiti da organismi viventi che sono organizzati in cellule. La
cellula a sua volta presenta strati di complessita' crescente frutto di
endosimbiosi seriali affinate nel tempo: dalla associazione di procarioti
(batteri e archei) con organizzazioni cellulari relativamente elementari hanno
avuto origine i primi eucarioti (protisti) cellule dotate di nucleo e membrane,
dalle quali a loro volta hanno preso origine i metazoi: piante, funghi ed
animali (Margulis, 2002). Ogni sistema vivente e' quindi un sistema olarchico,
ovvero un sistema completo in se' che si articola in parti che a loro volta sono
sistemi completi in se stessi e che a loro volta si articolano in sub-sistemi
completi in se stessi e cosi' via. A ciascun livello dell'olarchia compaiono
proprieta' emergenti, caratteristiche proprie del sistema in quel determinato
piano che non sono prevedibili a priori (Volk, 2001).
Anche soltanto questi brevi cenni sulla teoria di Gaia appaiono sufficienti
per illustrare in che modo sia possibile affrontare lo studio dei sistemi
naturali, affiancando all'approccio quantitativo, tutto rivolto all'esterno e
obbligato alla continua definizione di confini, un nuovo approccio attento alla
qualita', ai comportamenti, alle relazioni tra insiemi. La consapevolezza
sistemica inizia la' dove lo studio analitico incontra il suo limite: la
capacita' di apprezzare le relazioni e i processi tra le parti di un
sistema.
*
I giochi di ruolo
Nel contesto dell'educazione alla sostenibilita' e' importante mobilitare
non solo risorse mentali, ma anche fisiche; non semplicemente funzioni cognitive
della mente, ma anche dimensioni affettive ed emozionali. I giochi di ruolo su
problematiche socioñambientali complesse e controverse offrono l'opportunita' di
sperimentare situazioni in cui si viene coinvolti in prima persona, e si
interagisce con gli altri, sia quelli con cui si condivide una posizione, una
visione; sia quelli dai quali ci si sente lontani, ostili, per una dissonanza di
vedute o per una divergenza di interessi o di obiettivi. La simulazione prevede
momenti diversi: l'immedesimazione nel proprio ruolo, l'empatia per il
personaggio, la ricerca dei dati (attinti da una molteplicita' di fonti e
discipline diverse) utili per sostenere le posizioni personali e del proprio
gruppo; gli incontri con il gruppo di diversa opinione, gestiti nella
prospettiva di vincere oppure di trascendere il conflitto (Galtung, 1996); e
ancora la costruzione collettiva dello scenario, la riflessione sui processi
decisionali, sulla molteplicita' di punti di vista, sull'intreccio tra fatti e
valori.
I giochi di ruolo proposti dal nostro gruppo di ricerca sembrano avere
molte delle caratteristiche utili a un'educazione alla sostenibilita', per la
trasversalita' dell'approccio e per la varieta' di competenze che sono in grado
di sollecitare (Colucci et al., 2005). Inoltre, nel coinvolgimento cognitivo,
emotivo e relazionale offerto dalla simulazione si puo' anche arrivare a
comprendere, assai piu' che in una lezione teorica, che nelle controversie
ambientali puo' essere un esercizio senza significato cercare "che cosa la
scienza davvero ci dice" (Sarewitz, 2004). Anche lo studioso piu' "oggettivo" e
disinteressato ha una visione del mondo che e' riconducibile a un sistema di
valori piuttosto che ad un altro. E' la prospettiva disciplinare stessa che, nel
momento in cui viene assunta piu' o meno consapevolmente, trascina con se'
valori e interessi propri che possono entrano in conflitto con le prospettive di
altre discipline e di altri saperi.
*
Il silenzio attivo
Esistono due forme essenziali di silenzio: il silenzio passivo e il
silenzio attivo. Il silenzio passivo e' imposto dall'esterno ed e' frutto del
condizionamento esercitato dalla parte forte all'interno di una relazione
autoritaria. Il silenzio attivo e' invece desiderato e sorge da un atteggiamento
interiore.
La pratica del silenzio attivo, coltivata da alcuni membri del nostro
gruppo di ricerca, e' stata proposta in forma sperimentale in contesti
educativi, nella prospettiva che esso possa diventare elemento significativo
nell'educazione alla sostenibilita'. Riteniamo infatti che il silenzio possa
rivelarsi un mezzo abile nella maturazione di una consapevolezza ecologica
sempre piu' profonda.
Ma come integrare l'equilibrio tra il silenzio e la parola nella ricerca e
nella prassi educative? Da un lato la risposta viene dall'esperienza personale:
nel contatto profondo e naturale con se stessi e con la natura che ci ospita si
tende a connettere il cosmo esteriore con il cosmo interiore, coltivando insieme
il se' ecologico e il se' psicologico. La ricomposizione delle parti di se' e
l'integrazione di diversi sguardi disciplinari risponde alle prospettive della
scienza della sostenibilita'.
D'altra parte, anche la scienza accademica sta esplorando le proprieta'
della mente applicando l'approccio analitico delle neuroscienze alla pratica
esperienziale delle antiche tradizioni spirituali: recenti indagini (Lutz, 2004)
hanno evidenziato in meditanti esperti la capacita' di sincronizzare l'attivita'
nervosa cerebrale in modo significativamente superiore ai non esperti. Diventa
quindi plausibile, e documentabile, l'ipotesi che la pratica del silenzio attivo
operi una trasformazione profonda nella fisiologia e persino nell'anatomia della
corteccia cerebrale, che puo' essere descritta nei termini di un aumento di
consapevolezza, dell'empatia e della capacita' di attenzione, di rimanere in
contatto con la propria dimensione interiore e con il mondo esterno.
In generale, la pratica del silenzio puo' avere valore educativo perche'
nel contesto di specifiche situazioni scolastiche, puo' essere interpretato come
la trasmissione di un insegnamento esperienziale, che coinvolge non solo la
sfera cognitiva, per sviluppare attenzione, ascolto, contatto e osservazione
delle emozioni, e come opportunita' di tranquillita', di contatto "sensibile"
con l'ambiente naturale.
*
Osservazioni conclusive
La sempre maggiore consapevolezza dell'entita' e della portata dell'impatto
umano sui sistemi naturali e la conseguente urgenza di modificare sistemi di
valori e stili di vita verso una relazione piu' sostenibile, si accompagna a una
riflessione critica non solo sui modelli economici di sviluppo, ma anche sulla
natura e sulle applicazioni della tecnoscienza. Da piu' parti si sostiene
l'opportunita' di una profonda trasformazione della relazione tra scienza e
societa', in vista di una governance della scienza che veda partecipi e
responsabili tutti i cittadini. Queste problematiche toccano tutti gli ambiti
dell'educazione, e richiedono in particolare una revisione profonda dei processi
di insegnamento-apprendimento delle scienze. Non si tratta semplicemente di
approfondire o migliorare la qualita' dell'insegnamento scientifico, come alcuni
sostengono: occorre offrire ai giovani dei contesti educativi adeguati a
sviluppare in essi la consapevolezza di essere parte della biosfera,
interconnessi e interdipendenti con gli altri viventi, e aiutarli a costruire un
visione del mondo e delle relazioni tale da permettere di vivere in pace entro i
limiti biofisici posti dai sistemi naturali.
Lo schema concettuale della scienza post-normale, che si e' poi evoluta
nella scienza della sostenibilita', offre numerosi elementi utili a elaborare
percorsi educativi in grado di tener conto e di integrare in modo coerente
aspetti epistemologici e metodologici, scelte di contenuti e modalita' di
valutazione, in uno scenario di educazione alla sostenibilita'.
La nostra specie si e' dimostrata capace di trasformazioni tanto
straordinarie e imprevedibili quanto sono consentite dai gradi di liberta' del
pensiero. Abbiamo da poco cominciato a prendere coscienza dei meccanismi e dei
vincoli di questo grande sistema organico che chiamiamo Gaia. L'intuizione
mistica dei nostri antenati sta prendendo corpo e si trasforma in analisi
scientifica senza che questo diminuisca l'impatto emotivo che, piu' o meno
consapevolmente, ciascuno di noi ha con i cicli della vita. Questa presa di
coscienza ci fa apparire oggi per quello che siamo: figli un po' immaturi e un
po' incoscienti di Gaia. Siamo l'ultima specie di scimmie antropomorfe apparsa
in ordine di tempo e siamo l'unica specie che nel suo insieme sfrutta le risorse
del pianeta senza riciclarle e che si appropria di quasi la meta' del flusso
energetico incorporato nella fotosintesi. Abbiamo bisogno di una conversione del
nostro sistema economico perche' diventi piu' equo e sostenibile. Abbiamo
bisogno di maggiore consapevolezza e maturita' per trasformare la nostra
relazione con Gaia in una relazione armoniosa degna di figli a cui e' stato
fatto il dono del pensiero e della riflessione.
*
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Per corrispondenza: Elena Camino, Gruppo di ricerca in didattica delle
scienze naturali, Dipartimento di biologia animale e dell'uomo, Universita' di
Torino, via Accademia Albertina 13, 10123 Torino; e-mail:
elena.camino at unito.it
2. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO
DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO
Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone
al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo,
in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti:
e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del
comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
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Numero 339 del 30 agosto
2010
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